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Autore: Silver Shadow    24/05/2014    1 recensioni
Questa fanfiction inizia dopo "Lo scontro finale", ma non tiene conto degli avvenimenti dei libri "Gli eroi dell'Olimpo".
'Il mio nome è Willow Blackblood. Ho 15 anni e ho dei lunghi, lisci capelli neri che non stanno mai al loro posto. I miei occhi sono verdi “come il mare”, mi dicono tutti, sono piuttosto magra e porto l’apparecchio. Mi piace il colore nero e amo la musica rock e metal. Studio molto e ho ottimi voti a scuola. Sono una ragazza come voi, a parte il fatto che sono la figlia di Poseidone. '
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Chirone, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo qualche altro imbarazzatissimo secondo di silenzio in cui realizzai pienamente quello che era successo, la folla iniziò ad acclamarmi, un po’ per la vittoria e un po’ per il riconoscimento. Mi sentivo più seccata che contenta. Ci volevano davvero 3 giorni per questo?
Quando tutti si furono calmati, Annabeth si tolse l’elmo e corse ad abbracciarmi e Percy mi venne vicino con un sorriso a trentadue denti. Un fratello. Ricambiai il suo sorriso sinceramente, perché se qualcuno doveva essere mio fratello avrei proprio voluto che fosse lui.
Gli altri semidei mi sollevarono tenendomi, e mi portarono fino alla mensa urlando il mio nome e acclamandomi. Cenammo, e improvvisamente tutti coloro che fino ad allora non mi avevano considerato vennero a complimentarsi e a parlare con me. Qualcuno ci provò perfino.
- State lontani da mia sorella – continuava a ripetere Percy con fare protettivo, come se fosse una cosa naturale,che era abituato a fare e faceva da sempre. Non potei fare a meno di provare un immenso moto d’affetto verso di lui. Sarebbe stato difficile abituarsi all’idea di un fratello, ma d’altra parte anche per lui doveva essere strano realizzare di avere una sorella. Bhe, un problema che avremmo affrontato insieme. Ero felice, perché non ero più sola.
Dopo cena, ci radunammo intorno al fuoco cominciando a cantare quelle tipiche canzoni del campo di cui io non conoscevo neppure una parola. Mio fratello (wow, è strano) mi lanciava occhiate per verificare se stessi cantando e io cercavo di seguire gli altri evitando il suo sguardo, ma vedevo perfettamente con la coda dell’occhio la sua espressione contrariata. Dovetti trattenermi per non ridere.
A fine serata, ero esausta. Già la Caccia alla Bandiera mi aveva stancata, ma ero stata a chiacchierare e cantare fino a tardi e volevo solo andare a dormire. Solo quando arrivai alla cabina di Ermes mi ricordai che quello non era più il mio posto. Dovevo andarmene. Potevo andarmene.
Raccolsi in fretta e in furia tutta la mia roba e mi precipitai alla cabina tre, bussando alla porta, ma nessuno venne ad aprire. Aggrottai la fronte. Che fosse successo qualcosa? Bussai di nuovo. Nessuna risposta. Iniziai a sentirmi nervosa. Ero da sola, al buio della notte, e tutti erano chiusi nelle loro cabine a parlare, ascoltare musica o prepararsi a dormire. Mi morsi il labbro restando in attesa, finché non sentii un fruscio dietro di me. Mi voltai. Nessuno. Mi accigliai ancora di più, guardandomi intorno attentamente. Un cespuglio vicino la cabina 10 si mosse. Un brivido percorse tutta la mia spina dorsale, e mi diedi della stupida. Magari me lo stavo immaginando. Mi girai verso la cabina e riprovai a bussare,ma ancora niente. Spostai il peso da un piede a un altro e mi voltai nuovamente per tornare alla casa di Ermes. E lanciai un urlo.
Davanti a me si era materializzata una figura, un’ombra dalle dimensioni umane. Al buio non si distinguevano molti dettagli, ma capii che era un ragazzo. Aveva dei capelli neri scompigliati e non troppo lunghi, occhi scuri (ma non riuscivo a distinguere data l’oscurità) una carnagione pallidissima che risaltava nella notte e indossava pantaloni e maglietta neri (la maglia aveva un teschio disegnato sopra) e un giubbotto da aviatore. Notai che a un dito portava un anello d’argento con un teschio.
Il suo viso era inespressivo, le labbra sottili e i lineamenti delicati. Continuava a fissarmi senza dire nulla, così strinsi di più a me la roba che avevo portato dalla cabina dove vivevo prima.  Deglutii.
- Dov’è Percy? – mi chiese all’improvviso. La sua voce era bassa e profonda, quasi sussurrava. Non sapevo dire se era perché era notte e non voleva svegliare qualcuno, o perché era proprio il suo timbro. Mi sentivo sempre più nervosa, le mani cominciavano a tremarmi, così le strinsi a pugno per evitare che si notasse.
- Tu chi sei? – la mia voce suonò più acuta del solito, e mi maledii per l’ansia che provavo e non dovevo mostrare.
Lui continuò a fissarmi, stavolta con espressione incuriosita. Questo cambiamento un po’ mi calmò.
- E tu chi sei? – mi chiese, inclinando un po’ la testa di lato. Il suo tono era più gentile.
- Io sono la sorella di Percy – risposi, stavolta prontamente e con voce normale, drizzando la schiena e riprendendo il controllo di me stessa.
Probabilmente il ragazzo misterioso non se l’aspettava, perché sollevò  le sopracciglia, stupito. Pochi attimi dopo, aprì la bocca per dire qualcosa, ma si bloccò non appena un’ombra si materializzò vicino la cabina 10, correndo verso di noi e urlando qualcosa. Strinsi gli occhi cercando di vedere meglio e il ragazzo davanti a me si voltò per cercare di riconoscere chi avesse urlato. A mano a mano che si avvicinava, correndo, lo riconobbi. Percy. Il suo sorriso a trentadue denti non era stato intaccato e rimasi a guardare mentre abbracciava e dava pacche sulla spalla di quel ragazzo, che sembrava piuttosto a disagio, o meglio, contrariato, come se non gli piacesse essere toccato. Poi mi notò, e il suo sorriso si allargò (ma era possibile?).
- Oh, Willow, hai portato le tue cose! Scusami, avevo da fare su in mensa.. Ma vedo che hai fatto già la conoscenza di Nico – mi disse solamente, tenendo un braccio attorno alle spalle del ragazzo. Nico. Lui riprese a fissarmi, come se cercasse di riconoscere il mio nome nei lineamenti del mio viso.
- Nico, lei è mia sorella. Cioè, l’abbiamo scoperto stasera, è stata riconosciuta – si rivolse al ragazzo, cioè, a Nico, e poi subito dopo a me – lui è Nico, Willie. Il figlio di Ade. –
Sbarrai gli occhi. Non volevo farmi sorprendere così, ma quando Percy me l’aveva detto, lo confesso, non l’avevo preso troppo sul serio. Ma ora un vero figlio di Ade era lì davanti ai miei occhi e mi fissava come se non vedesse una persona da mesi.
Allungai una mano verso di lui, non più tremante ma solo curiosa.
- E’ un piacere – ruppi il ghiaccio, sorridendo, come mio solito, da un angolo delle labbra. Lui schiodò lo sguardo dal mio e lo spostò sulla mia mano tesa. Allungò anche la sua, con fare incerto, e la strinse debolmente. La sua pelle era dannatamente fredda.
- Non ti aspettavamo prima di domattina, Nico – gli si rivolse Percy, guardandolo.
- Ho fatto presto – rispose lui, piuttosto evasivo. – come vanno i lavori per la cabina di Ade? – si voltò verso i lavori in corso, aggrottando la fronte.
- Ehm.. Per questo ti aspettavamo domani – gli rispose Percy, grattandosi la nuca imbarazzato – non è ancora pronta. Però.. – alzò lo sguardo, pensieroso.
- Però cosa? – Nico si voltò di nuovo verso di lui. Mio fratello sorrise.
- Puoi restare da me. Cioè, da noi, in questa cabina. Non penso che Chirone farà storie.. Soprattutto se non lo sa – sussurrò facendogli l’occhiolino. Nico alzò gli occhi al cielo, ma quando Percy aprì la porta della cabina lui si infilò silenziosamente dentro. Li seguii tentando di non far cadere nulla dal mio mucchio di vestiti ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle con un piede.
L’interno era pazzesco. La cabina era piuttosto bassa, ma comoda e spaziosa. Diversi letti a castello erano allineati all’interno e la roba di Percy era un po’ dappertutto. Sistemai i miei vestiti su un mobile mentre Percy e Nico chiacchieravano, seduti uno di fronte all’altro su due letti (Percy, probabilmente,su quello che era il suo, visto che era cosparso da vestiti e lattine di Coca Cola e pezzi di panino). Feci di tutto per non disturbarli, e salii i gradini che portavano al letto appena sopra quello dove era seduto Nico. Mi rannicchiai sul cuscino e iniziai a leggere un libro che non avevo ancora terminato (Il ritratto di Dorian Gray, sapete?), o almeno tentai di farlo. Mi sentivo completamente deconcentrata. Tutta la mia attenzione era rivolta ai due ragazzi a un piano più sotto.
- Cavolo, e hai passato tutto questo tempo da tuo padre? –domandò incredulo Percy.
- Beh, non proprio tutto, ma ho visitato gli Inferi molto spesso – rispose tranquillamente Nico.
Gli Inferi. Quella parole mi fece rabbrividire. Non riuscivo nemmeno a immaginare come fosse passare dei secondi lì, figuriamoci dei giorni. Abituarsi a quell’ambiente, poi, era un’utopia. Potevo capire perché Nico fosse così silenzioso e (devo ammetterlo) un po’ sinistro.
Quando finalmente Percy chiuse la luce e ci augurammo la buonanotte, restai qualche altro minuto a pensare a tutto quello che era successo quella sera, rannicchiata sotto le mie coperte. Il riconoscimento così improvviso, era qualcosa che non avevo programmato (ma d’altra parte dovevo aspettarmi che sarebbe successo in questo modo). Avevo pensato a chi potesse essere mio padre, ma Poseidone era stato escluso quasi subito. Probabilmente avrei fatto lo stesso discorso per qualsiasi altro dio.
E poi c’era l’incontro con Nico. Nonostante Ade come divinità mi incutesse terrore, dovevo ammettere che la sua progenie aveva un certo fascino. Cioè, oltre all’estetica. Il fatto che fosse tanto taciturno lo circondava di un alone di mistero che spingeva a voler provare ad oltrepassare la corazza che si era chiaramente costruito intorno. O forse succedeva solo a me.
Immersa in questi pensieri, quasi istintivamente mi sporsi dal mio lato del letto per guardare Nico, steso nel letto sotto il mio. Sussultai quando vidi che i suoi occhi erano aperti e fissamente puntati nei miei. Mi spostai subito, rimettendomi sdraiata sul letto, e posandomi una mano sul cuore che aveva preso a martellarmi nel petto, sperando che quel gesto potesse nasconderlo o placarlo; temevo rimbombasse anche nel resto della stanza. Sentivo ancora il battito sotto la mano quando mi addormentai.
  
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