Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Maya98    26/05/2014    3 recensioni
"È una dissonanza prodotta tra due voci, o parti, e può avvenire fra due note con lo stesso nome, suonate in successione che siano una naturale e l'altra alterata, ma in parti differenti."
Sherlock capisce che c'è solo un modo per battere Moriarty, e questo modo è fingersi dalla sua parte, con tutte le conseguenze e i sacrifici che questa scelta comporta. Ovviamente, John ne è totalmente all'oscuro.
Note: Johnlock, accenni pesanti di Jary e "Sheriarty" senza sentimento, e qualche cosa di Sherlock&Mary. Cammei vaticani, P.O.V. di Sherlock, Post-HLV.
Avvertimenti: Non è non-con perché è consensuale, ma sicuramente non voluto.
 
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
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3. Air
S. Bach - Aria dalle variazioni Goldberg



 
Loneliness Garage, tra cinque minuti. SH

Ooooh, a cosa devo il piacere di ricevere un messaggio da Sherlock Holmes!? :) JM

Credo di doverti una chiacchierata. SH

Più d’una, in effetti. Mi sei mancaaato, Sherly. Tanto tanto! JM
Non ti sei fatto sentire per due anni, in fondo :( JM


E tu per uno e mezzo. SH

Avevo un impero da ricostruire, su. Cerca di essere realista. JM

Cerca di non essere troppo impegnato per mancare all’appuntamento. È importante. SH

Mi auguro che mi offrirai una cena, come minimo. Ma ci sarò. JM


Mentre cammina, Sherlock sente freddo.
Si stringe la sciarpa, si sistema i guanti, alza il bavero per ripararsi dal vento.
Ma nulla: continua a sentire freddo. Una sensazione che gli scava dentro, nelle ossa, che supera la barriera della pelle e gli si raccoglie infondo agli occhi. Uno spiffero freddo che gli agita i riccioli, che gli confonde le idee e lo droga di aria pura. Cristo, ha bisogno di una sigaretta. Un dannato cerotto alla nicotina.
Sapeva che un giorno sarebbe successo. Sapeva che un giorno il granello avrebbe inceppato il meccanismo. Ma ora quella sembra l’unica soluzione possibile, e per quanto si prospetti un sacrificio di lunga durata, sembra valere il risultato. Ha sempre giocato, ha sempre rischiato, si è sempre sporto in bilico oltre il bordo, anche se il gioco non valeva la candela. E perché ora, che non è diverso, dovrebbe sembrarlo tanto? Simile al cadere.
Simile al fallire, quando la vittoria consiste nel raggiungere il tuo scopo e allo stesso tempo, perdere. Ma i sillogismi non gli sono mai piaciuti, pertanto non ha intenzione di mettersi a filosofeggiare proprio ora: ma la sua mente galoppa a briglia sciolta, via da lì, via da tutto il resto, come un fulmine si abbatte sulla terra cruda, e propaga l’incendio.
Una scelta di rinunce in vista dell’obiettivo. L’unico modo.
La sua vita sta radicalmente per cambiare per un po’ di tempo. Nessuno, nemmeno lui, sa esattamente quanto. Il garage dove deve entrare è davanti a lui, eppure esita, come insicuro, come se fosse qualcosa di sbagliato.
Bé, lo è.
Ma è l’unico modo, in fondo.
L’unico modo per fermare tutto questo una volta per tutto.
Nella sua mente, a forza e assolutamente contro la sua volontà, si fa spazio il viso di John. Lo guarda con gli occhi brillanti e l’aria ferita, i frammenti della sua anima nelle sue mani tagliano più del vetro acuminato. Teme quello sguardo che gli rivolgerà, se mai dovesse scoprire ciò che sta facendo. Quello, insieme all’espressione di profondo disgusto, e rinnego, e rabbia. Quello che lo tiene lontano, che lo ferma quando sta per fare qualcosa di sbagliato. Inghiotte il groppo e stringe le mani, mentre il volto di Mary sostituisce quello di John, con la stessa chiarezza, ma più solare, più deciso. Un sorriso, piccolo, appena accennato, e gli occhi che brillano di incoraggiamento. Anche lei lo farebbe, lo farebbe per salvare John. E per quanto questo non coincida con la cosa giusta da fare, lo sente giustificare tutto ciò che sta facendo. Stringe i palmi, tenendo stretta la custodia del violino e la sua sacca, e si avvicina alla porta laterale, circondata dai cespugli.
Dio, uno dei suoi nascondigli. Gli sembra di essersi trasformato in Mycroft. Sarà impossibile da riutilizzare in seguito, ma questo potrebbe dare la prova di una reale fiducia che in realtà manca del tutto.
Abbassa la maniglia della porta, con un sospiro. È stanco di esitare. Di aspettare. Di pensare.
Un’altra via non c’è: che la percorra fino infondo.
E apre la porta.

-Ti sei fatto aspettare,-lo accoglie una voce derisoria, così familiare da fargli quasi venire la nausea. Prende un respiro profondo prima di avanzare di qualche passo da dietro lo scaffale, mostrandosi, atteso, presentandosi a quel momento come ogni uomo al giorno del Giudizio Universale. In qualche modo potrebbe esserlo, se non fosse la costante recita che renderebbe falsa ogni dichiarazione successiva. Un altro paio di passi, rimbombanti sul duro pavimento di cemento, e poi eccolo, esposto, sul palcoscenico, senza più possibilità di ritirarsi al sicuro tra le quinte.
-Ho sempre trovato...snervante questo tuo fare il prezioso.-continua James Moriarty in tono affabile, stravaccato su una sedia piazzata strategicamente proprio nel mezzo della sala, quasi pronto per le luci di scena, quasi consapevole a sua volta del palcoscenico che li divide. Le dita agili e sottili, strette attorno ad una sigaretta appena accesa (oh, così plateale) hanno un breve scatto nervoso, mentre improvvisamente ritira le gambe dal bracciolo, girando il busto in avanti è balzando in piedi, con un fluido movimento elegante, ai limiti dell'artistico (è sempre un attore, fino alla fine. La sua copertura non poteva essere più adatta. È quasi confortante). E in un attimo è tre passi più avanti, col suo andamento ondeggiante, a sbilanciarsi anche lui, sempre più velocemente, sul bordo insieme come l'ultima volta sul tetto. Ti guarda con espressione felina, quegli occhi da gatto che celano più di quanto voglion mostrare di fare, che brillano nel buio come illuminati dai fari di una macchina. Sorride, e quasi Sherlock vede i denti aguzzi.
-Come se fosse l'unica cosa di me che trovi snervante.-dice Sherlock tranquillamente, procedendo con un passo sicuro, il volto ora in luce, avvolto nel suo lungo cappotto nero. L'incedere deciso stride con l'armonia su cui sono accordati i suoi pensieri, e la dissonanza è fastidiosa, ma non abbastanza da far sì che qualcosa trapeli sul suo volto pallido, anche solo un barlume, una luce. Non un foro nella maschera, non una pecca nella recitazione:-Non ti sei fatto più sentire, dopo il tuo plateale ritorno. Mi aspettavo...non so, un biglietto di auguri. Bentornato?-chiede poi ironicamente, lanciando un occhio attorno alla ricerca di qualche cecchino, o eventualmente qualche uomo armato a garantire la sicurezza del suo capo. Jim segue con gli occhi la sua ispezione, arricciando le labbra in un sorriso vanesio, leggendo le sue intenzioni come pagine di un libro aperto, sfogliandole pigramente a suo piacere:-Non c'è nessuno,-commenta infatti, avveduto, roteando gli occhi al soffitto come due biglie, per poi riportarli su di lui, incandescenti:-Solo tu e io, Sherlock. Dopo tutto, mi avevi detto che era un appuntamento.
-Non aspettarti che paghi il conto, però.-commenta in modo sibillino, appoggiando i suoi bagagli a terra per congiungere le mani libere all'altezza del viso, camminando in avanti fino ad arrivargli di fronte, per poi iniziare a girargli intorno, lentamente, senza fretta, le sopracciglia alzate e l'angolo della bocca arricciato da sbruffoncello, come se avesse ancora un'anima da vendere (l'ha regalata tempo fa, svenduta per due penny e un po' di adrenalina, e ora non ha nulla da perdere, non più). Ed è mentre lo guarda che la vede svanire, la maschera d'attore, che scivola lentamente via calata poco a poco dal suo possessore, ed ecco che gli occhi da gatto si moltiplicano, in paia e paia in più, il sorriso affilato si trasforma, la mascella si sporge in avanti, compaiono le tenaglie, e poi le braccia, si sdoppiano, si moltiplicano, diventando sempre di più, coperte da una peluria nera, scura. Lo spettatore della metamorfosi tace, continua a girargli intorno, come per distrarre il ragno dal creare la sua ragnatela, ben consapevoli entrambi che quello è solo l'ennesimo temporeggiare, l'ennesimo rimandare il loro Problema Finale.
-Va bene, basta flirtare.-Jim centellina le parole con cura maniacale, rasentando l'attenzione massima quasi come nel suo modo di vestire, impeccabile, inarrestabile, mentre l'eco di quelle stesse parole dette una sera di molti anni fa, in una piscina, riecheggiano tra loro attraverso i vari piani temporali, infiltrandosi nel presente:-Immagino tu non sia venuto qui perché avevi voglia di vedermi. Allora, che c'è sotto?
-Un importante momento, svolta, di cui volevo renderti partecipe.-anche lui sceglie le carte da giocare con l'abilità di un giocatore di poker, decidendo da quale partire per scoprirsi, e quali ancora tenere nascoste. È una partita, uno spettacolo o un valzer, ciò che si frappone tra loro? Non lo sa, ma sicuramente è un incanto che ha la strategia del primo, la creatività del secondo e l'eleganza del terzo:-Ci sono tante cose che sono cambiate dall'ultima volta in cui ci siamo visti.
Jim si sporge in avanti, verso di lui, come il marinaio attirato dal canto delle sirene. Resta ad una distanza ben precisa, tuttavia, come se fossero separati da uno specchio, o un vetro trasparente. Lo osserva da vicino, gli guarda negli occhi, due pozzi neri contro un verde brillante, come per cercare di capire se stia dicendo la verità o meno. Ma Sherlock sa come controllare il suo corpo, sa come mantenere basso il suo battito cardiaco, come evitare di deglutire, arrossire o sudare: si è cucito addosso la parte così accuratamente che pensa di poter riuscire ad ingannare anche sé stesso. O per lo meno, è ciò che spera di riuscire a fare, perché tutto - ogni cosa - dipende da quello.
-John si è sposato.
L'amarezza nella voce non è reale, anche se sarebbe giustificata. Non lo è mai stata. Ha avuto paura per il matrimonio di John, ne è stato triste, felice, colpevole, orgoglioso, ma mai amareggiato. È una percezione sottile diversa da quella che ha adottato, non scelto di adottare così come Mary non ha mai rappresentato per lui una rivale. E non lo è stata.
-Sapevi che prima o poi sarebbe successo. Sei sempre stato così codardo,-Moriarty dà una risatina, leggera, stridula, ma abbastanza per fare crepare il vetro tra loro, una piccola scheggia che inizia a far correre le spaccature lungo la superficie delicata, come i rami di un albero si protendono verso il sole:-per fare il primo passo. Non ti eri già preparato alle conseguenze?
-Mi ha lasciato indietro.
Il vetro si infrange. Cocci di speranze e sogni illusi, alimentati da anni di felicità effimera, nutriti da parole e silenzi e sottointesi mai pronunciati che hanno finito per rovinare il germoglio che stava nascendo dalle ceneri del vecchio mondo. Jim lo guarda, fermo, in silenzio, ed è come se lo vedesse davvero per la prima volta. Sherlock sa che esporsi, in questo caso, non solo è mettersi completamente alla mercé del nemico, ma anche guadagnarsi la sua fiducia.
-Mi ha lasciato indietro. Se ne è andato. L'unica cosa che mi ancorava a quella vita. L'unico angelo che tentava ancora di trattenermi sulla sua sponda.-il respiro affannoso, la voce tremante, ma non distoglie mai lo sguardo. Gli occhi di Jim sono neri, profondi, le sopracciglia aggrottate lo studiano come per giudicarlo. Sherlock alza le mani, i pugni serrati e le unghie nella carme, e apre le braccia, come per mostrarsi esposto completamente:-Non c'è più niente per me là fuori. Non c'è nulla per cui possa valerne la pena. Sono un estraneo, ora, e nulla cattura la mia attenzione.
-Perché sei venuto da me?-chiede Moriarty dopo un lungo silenzio. La sua immagine è tornata a coincidere con la realtà: nient'altro che un essere umano diffidente e ambizioso, davanti a lui, niente più della poesia che incarna. Se Jim Moriarty potesse essere un'essere astratto sarebbe l'Eleganza, perché nulla nei tratti, nella raffinata mente, può eludersi da questa sferzante impressione.
Sherlock dà una risata sprezzante, abbassando il capo:-Lo sai perché.
Lo sa, in effetti. Lo può vedere dagli occhi brillanti, increduli e diffidenti insieme, e così vogliosi. No, forse non sarebbe l'Eleganza, ma la Brama. Un concetto che quasi sfugge alle leggi dell'essere astratto, sconfinando continuamente nel materiale, fisico risultato delle cose. Ciò che, per la cronaca, Sherlock ha sempre disprezzato.
-Siamo diversi, Jim, siamo nemesi. Ma proprio per lo stesso concetto, siamo molto simili. So che questo puoi capirlo, e so che lo hai fatto. Dunque, possiamo direttamente saltare questa parte e arrivare a tu che mi dai una risposta?
Si ferma. Si fermano entrambi. Tutto è immobile, cristallizzato: una cornice di ghiaccio. Divisi e legati indissolubilmente da un legame cucito con sangue e morte. Sul precipizio, di nuovo, insieme, l'orlo della cascata. Sherlock sente il rumore dell'acqua così forte che lo assorda.
-Sherlock Holmes, un criminale.-Jim fa scivolare la parola sulla lingua, assaporandola, con una punta di sarcasmo nella voce, la sfumatura di chi ancora non è convinto del tutto:-Sembra nuova.
Sembra nuova. Tutto qui. Due parole, quattro sillabe e un'inflessione vocale. Deludente? Oh sì. Non immagini quanto, pensa Sherlock tra sé, rispondendo alla voce della sua coscienza, che al momento ha assunto il tono di Mary.
-Non lo è mai stata.
E poi, improvvisa nel silenzio, la risata. Sguaiata, acuta, rieccheggiante. Moriarty getta la testa all'indietro, la gola esposta e gli occhi rovesciati, lasciando che tutto ciò che c'era di armonioso nella sua figura si dissolva, lasciando la parte ingombrante, deforme, mostruosa. Sherlock fa un passo indietro, quasi spaventato, rompendo l'incantesimo. Gli occhi neri diventano rossi, e per un attimo si sente il respiro mancare.
-E tu pensi davvero che io ci creda?-la voce che stride come un'unghia sul vetro, o il gesso sulla lavagna. Ore di castelli in aria, perfezionando una scultura di per sé già fragile che crollano a terra spinti da un soffio di vento. Sherlock si sente già perso:-Tu, oh mio povero, sciocco illuso, hai davvero pensato che potrei mai credere allo stratagemma più comune, al classico, alla storia più vecchia del mondo?-Jim sbuffa, alzando le mani verso di luigino e inclinando il capo con fare pietoso:-Mi deludi, mi deludi, sciocco Sherlock...
Al detective non bastava che quello: l'eccesso di sicurezza che rivela una profonda debolezza. Le carte sparse sul pavimento con la polvere e i cocci di vetro si ricompongono in fretta, ricostruiscono le basi del castello, si riordinano da sé come un nastro di una vecchia videocassetta riavvolto all'indietro. Sorride amaro, e pensieroso, gli occhi bassi, e poi rialza lo sguardo, rinfrancato.
-Tu credi che non mi aspetti che mi chiederai una prova?
Un tono sbeffeggiante, derisorio, ma finalmente forte. Forte come è sempre stato, non come ha sempre finto di essere: quella forza oscura e ingovernabile che rianima lo spirito per non mollare ad un passo dalla fine, quella forza convincente che fa rialzare un uomo zoppo caduto a dieci metri dal traguardo, e lo fa correre pur di superare quella linea. Sherlock ha sempre padroneggiato una forza incontrollabile ed imprevedibile, che non avvisa mai quando sta per venir meno o giungere in soccorso, enigmatica, insormontabile, esattamente come lui, uomo mortale che ha tentato e finto per anni di essere un dio.
-Non sottovalutarmi di nuovo, Jim Moriarty; è stato un errore che hai pagato caro l'ultima volta.-come se ondate di energia si elevassero all'improvviso, scaturita da una voce due tonalità più profonda del solito. Sono fiamme quelle che gli danzano attorno, le fiamme in cui aveva giurato di bruciare, che stanno per rivoltarsi contro chi ha lanciato la maledizione. Una volta l'aveva concessa, una stretta di mano all'inferno. Ma allora era ingenuo, e disposto a dare così poco. Chissà per cosa si venderà ora, che ha come unica moneta uno scrigno di parole?
Jim lo guarda come si guarda un diamante prezioso, affascinato dalle luci che emette e conscio di non poterselo permettere. Lo guarda con quell'espressione indecifrabile, senza confine, senza filo che distingue l'odio e il disgusto dall'ammirazione, dall'attrazione, il motivo primo per cui quando si incontrano flirtano e quando si allontanano si temono, e si studiano come due belve feroci pronte al combattimento. Fa sfarfallare le ciglia, in un incanto senza fine, poi annuisce lento, pensieroso. La morte in quegli occhi gli fa capire che ha passato il primo test.
Poi schiocca le dita, appoggiato con una mano al pomello della sedia, tutto il peso caricato su quel braccio in una posa tesa e tediata. Una macchina scura avanza lenta come la morte, sfiorando il profilo della sua ombra, delicata come ogni cosa nel suo stile, in un'infinita sfilata macabra, così come il falco sfiora l'acqua per catturare la sua preda marina. Jim fa tempo a dire "Seb, apri." con tono al limite della sopportazione, che già la portiera scatta, e Moriarty fa un cenno a Sherlock di entrare. Questo raccoglie le sue cose, la sacca, il violino, il bagaglio che sarà d'ora in poi il suo ultimo collegamento con la vita precedente, l'unica cosa che gli ricorderà chi è stato il vecchio sé stesso. Prende un lungo respiro e con esso raccoglie il coraggio, poi abbassa la testa ed entra nella vettura. Jim, dietro di lui, monta sinuoso come un serpente.
-Seb, parti. Solita destinazione.-Jim schiocca di nuovo le dita, prima di accavallare elegantemente le gambe e, solo quando la macchina parte, volgersi di nuovo con la completa attenzione verso il suo prigioniero volontario. Lo studia con gli occhi scintillanti, Un sorriso che somiglia più alle fauci scoperte di una tigre che ad una vera e propria espressione umana. Un paio di tenaglie pronte a scattare sulla preda che agonizza, imbrigliata nella sua sottile ragnatela. Il mento sporto in avanti, il rispetto per gli spazi personali nullo, costantemente invadente, costantemente curioso, fin troppo, fino a peccare.
-Allora, mio caro.-scandisce, e la voce è così affettata da parere affilata come la lama di un rasoio:-Finalmente ci siamo dati una svolta. Se davvero le cose sono come dici, non penso che il cambiamento e le prove che ho in mente per te saranno così sgradevoli.-il ghigno di allarga, enorme, incontenibile, e continua a crescere fino a coprire tutta la visuale di Sherlock, che non vede altro, e stringe i pugni, le gambe accavallate, le unghie nella carne, e come unica ancora alla ragione il solo pensiero, un solo nome: John, John, John.
-Se davvero sei cambiato,-sussurra Moriarty al suo orecchio, improvvisamente vicino, improvvisamente soffocante, ma eterno, come se fosse sempre stato lì:-saresti davvero pronto a tutto.
Una mano serpeggia vicino al suo ginocchio, leggera come una farfalla, e si posa su di esso con una delicatezza che non avrebbe pensato, e lo stringe. Sherlock la segue con lo sguardo, concentrandosi solo su quella, eliminando ogni altro pensiero, ogni nausea, ogni conato che gli risale dal fegato, ogni per John che domina la sua mente, focalizzandosi sulle lunghe dita di quella mano (lunghe rispetto a niente). È la seconda parte del test. Se la fallisce, è tutto finito. Non ha più bisogno di prendere fiato per decidere: ormai si è buttato (di nuovo). Ormai sta già cadendo (ancora. E per sempre).
Lentamente, senza staccare gli occhi dalla mano, schiude leggermente le gambe.
Il sorriso di Jim è tagliente, ma soddisfatto. Ritira la mano, senza essere ingordo, come se semplicemente l'avesse fatto per dimostrare una tesi. Il bagliore dei suoi occhi è rosso scuro come il sangue, ma la fiamma che vi riluce e danza ipnotizzante è solo fuoco, che brucia ardente. La sua voce è carezzevole quando si china in avanti, per sussurrare all'orecchio di Sherlock:-Puoi stare tra le mie file. Ad una sola condizione.
Sherlock non si muove. Niente si muove. Non respira. Cristallo, vetro, ghiaccio, immobile contro le fiamme dirompenti. E attende. Attende. Attende.
-Uccidi Mary Watson.

( Continua )
 
 
Note:
Questo è il capitolo che per ora mi sembra venuto meglio. Potrebbe essere una mia percezione, visto che è terrificantemente metaforico e le metafore piacciono solo a tre persone nell’universo, e una di queste tre sono io, l’altra è la mia prof di italiano. La terza non lo so. Ah, Vichy, sei contenta? Jimmy-boy è arrivato
Volevo solo fare un ringraziamento a Mask of Roses, mia carissima amica, che mi ha lasciato come recensione al capitolo scorso una poesia sul suddetto capitolo che lei ha scritto addirittura in inglese. La lascio qui perché è giusto farla leggere, visto che è bellissima, e poi per ringraziarla tanto tanto tanto tanto perché le voglio bene punto.


Never nice this way to disappear
Looking around with eyes
Which can't spread a single tear

Telling yourself nothing but lies
Hiding regrets and fear
Well, you've never borne goodbies

This is not time for us
This is not time for joy
This is time for me to leave

Don't you hear a melody full of pain?
Your heart never cares
About feelings it cannot explain

Someone is waiting for you downstairs
Of a life there will remain
Just the shadows of two lonely armchairs

This is time for plays
This is time for games
This is not time for me to live.      

 
  
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