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Autore: Francesco Coterpa    26/05/2014    2 recensioni
Finché l'ultimo uomo non sarà salvo, la guerra rimarrà l'unica fonte di salvezza; l'ultimo spiraglio di luce nel mare di tenebre che offuscano la breve e vuota vita; l'unico desiderio al di sopra della propria sopravvivenza, che permette di sacrificare la propria anima perfetta per poter raggiungere una pace temporanea.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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La nave barcollava smossa dalle forti onde che si erano alzate questa mattina presto. Il giorno non era mai sorto, vi erano solo nubi nere del colore della pece o meglio dell'inchiostro con cui gli dei più alti scrivono nei cieli il nostro fato di uomini. Le nubi richiamavano la tempesta e in breve le saette di Zeus squarciarono l'aria. La pioggia iniziò a cadere pesante come dardi lanciati ad una breve distanza e che colpiscono in pieno il bersaglio. Noi eravamo il bersaglio, o meglio loro lo erano, noi eravamo il bottino del bersaglio.

Già cinque lune si erano levate in cielo da quando fui sottratto alla mia vita da persona normale. Rimasi per tempo imbavagliato, e quando non lo ero, l'unico con cui potevo realmente parlare era il tizio, di cui ancora non sapevo nulla, posto alla mia destra, l'unico con cui potevo parlare. Per giorni la stessa domanda mi trapanava il cranio e non mi lasciava dormire. Chi era?

Avevo i capelli sporchi e il corpo segnato dai giorni che avevano posto su di me una forte umidità che sentivo fin dentro le ossa. A volte gemevo quando l'acqua del mare, salata, mi penetrava nelle ferite che mi ero procurato quel giorno. Ogni giorno schegge mi incidevano la carne. Dove mi stavano portando? Chi era colui che sembrava sapere tutto?

Un tuono squarciò i pensieri. Mi svegliai. Non ero imbavagliato o forse mi ci ero abituato e non sentivo più il ruvido straccio che mi aveva oramai segnato i contorni delle labbra. No, non lo avevo. Mi guardai in giro, alcuni dormivano, alcuni piangevano, altri non riuscivo a vederli perché nascosti dalle casse che erano state caricate con noi in maniera totalmente disordinata. Alcuni erano morti. Altri gettati in mare. Altri uccisi perché non obbedivano. Cercai il volto conosciuto e speranzoso del mio compagno di disavventure. Era lì ora di fronte a me, distante forse sei passi, legato come me ad un palo dell'imbarcazione coi polsi legati dietro.

“Buon giorno principessa” mi disse lui in tono ironico.

“Buon giorno mio re” gli risposi io sorridendo o almeno provandoci.

“Ha dormito bene?” disse sorridendo anche lui “era di vostro gradimento il letto?”

“Un tantino scomodo, forse troppo duro”

Sorridemmo entrambi. Quei brevi scatti di divertimento, o meglio, di ironia erano gli unici momenti dove nessuno dei due pensava a cosa realmente stava succedendo. Meno pensieri e meno domande.

“Bé lei per caso ha un'idea, anche vaga, di cosa vogliono da noi questi tizi? ”

Non volevo realmente fargli questa domanda ma volevo invece chiedergli “Chi diamine sei tu?”, ma la mia lingua asciutta non riuscì a chiederlo, come non era riuscita i giorni precedenti.

Sorrise.

“Sinceramente non saprei, penso che ci abbiano catturati per farci schiavi o soldati semplici, magari anche regine se ci va di fortuna” rispose.

“Oh! Che bello, è sempre stato il mio sogno essere regina di una nazione.”

“Bene, sono felice per te, visto che secondo ciò che posso intuire dai raggi del sole che entrano dagli spiragli e delle onde... ci stiamo dirigendo alle colonne d'Ercole.”

“Cosa? Dove? Ma no, è impossibile.”

“Ebbene sì, invece.”

Mi iniziarono a frullare in mente troppe cose, miti, leggende, storie sulle terre di quella zona e sullo stretto che apriva ad un mare infinito e che portava all'abisso dove la terra poi termina.

“Bene adesso almeno sono consapevole di dove stiamo andando, ma perché e chi, rimangono ancora i miei dubbi più forti.”

Mi guardò per un istante tra le ombre della stiva senza fiatare mentre fuori si cercava di mantenere a galla la bagnarola.

“Non è questa la domanda giusta da porre.”

Lo guardai anch'io. Stupito e sorpreso dalla risposta.

“Come scusa? Cosa dovrei chiederti?”

“Bé, penso tu voglia chiedermi chi sono.”

Spalancai gli occhi.

“Adesso sì.”

“Perché prima non volevi?”

“No, prima non...”

“E ieri?”

“Ma sinceramente...”

“E ieri l'altro?”

Non parlai. Mi limitai a guardarlo, per quanto riuscivo, in volto in cerca di indizi. E se fosse un veggente? Oppure un sacerdote! Non riuscivo a cogliere nulla dal suo volto, solo astuzia, furbizia e un pizzico di spavalderia, che però poteva permettersi visto l'intuito.

“E se ti domandassi chi sei?” chiesi con fare deciso “tu cosa risponderesti?”

Pensò per un breve lasso di tempo, guardò le travi di legno umido sopra la testa e poi mi guardò dritto verso la mia anima.

“Penso ti risponderei allo stesso modo di quando ci siamo visti la prima volta.”

Non capivo. Sapeva già molto di me ma io non riuscivo a capire nulla di lui, non era umano. Chi era?

“Non continuare a chiedertelo o ti salterà la testa” mi disse lui ridendo.

“Senti allora ti devo chiedere...”

Non riuscii a terminare la frase che la porta si spalancò e sbatté contro la parete di legno marcio, un colpo un poco più forte l'avrebbe spezzata sicuramente.

“Fuori signorine! Abbiamo una nave da salvare!” urlò un uomo appena entrato “alzatevi subito e andate fuori a remare! Nettuno oggi vuole la vostra anima negli abissi del suo regno!”

Entrarono altri uomini con dei coltelli in mano e con quelli tagliarono le corde con cui la maggior parte di noi era legata ai sostegni della nave.

Fummo spinti fuori dalla nave e fatti sedere in alcune panche di legno, avevamo ancora delle catene alle caviglie. Il mare era in tempesta, l'acqua ci sputava addosso, il sale bruciava gli occhi, i pesci fuggivano via dove la tempesta era invece sereno.

L'orizzonte non si vedeva, né la terra. Solo acqua in burrasca e basta, nient'altro.

Arrivò un uomo grosso con una frusta in mano, ci colpì e ci incitò a prendere i remi che erano posti al lato sinistro nostro. Volevano usarci per muovere la nave, volevano dimezzarci. In quanti avrebbero potuto superare il giorno senza sole? In quanti potevano arrivare vivi alle colonne d'Ercole, e finalmente piantare lì le proprie gambe e finalmente urlare “Terra!”? In quanti?

La nave si alzava e cavalcava le onde che alzavano gli dei. Erano alte più di sei metri e ogni onda che riuscivamo a schivare due ci colpivano, ogni onda che cavalcavamo una colpiva in pieno lo scafo, danneggiandolo. Per quanto ancora avremmo potuto rimanere tra il cielo ed il mare? Uomini che istigavano e frustavano, uomini che remavano, urla, dolore, persone che venivano travolte inesorabilmente dalle onde e sparivano nel nulla. Dei miei aiutatemi!

Dopo alcune ore di instancabile fatica, il mare si placò e le nubi furono trafitte dai raggi del sole, che finalmente, in pieno pomeriggio, potevano schiarire il tetro cielo. Eravamo rimasti in quaranta sulla nave tra capitani, soldati e schiavi. Appena alcuni uomini si furono ripresi e il vento cominciò a soffiare nella giusta direzione, furono spiegate le vele e furono iniziati i lavori per poter tappezzare almeno le fratture più grandi dello scafo. Noi invece, stremati fummo portati giù nella stiva. Eravamo non solo magrissimi per il poco cibo che ricevevamo ma addirittura scheletrici e straziati dalla estrema fatica a cui fummo sottoposti. Ci riversammo a terra stremati e col fiatone, non avevo ancora aperto bene gli occhi e non avevo ancora guardato in faccia nessuno, avevo rischiato di perdere la vita cadendo in mare o in altri mille modi, non volevo più pensare, solo riprendermi o aspettare che il fato venisse a prendermi. Ero al mio limite, o almeno credevo di esserci arrivato. Feci ruotare la testa verso sinistra, ero sdraiato per terra nel pavimento spinoso e non mi importava più nulla della mia salute né della mia vita.

“Non pensare a quelle cose.”

Aprii gli occhi e guardai da dove proveniva la voce, senza alzarmi però, solo muovendo gli occhi in cerca della persona che aveva parlato. Era lui.

“A cosa non dovrei pensare?”

“Non dovresti pensare che la tua vita sia un nulla ora che hai usato un po' i muscoli al posto degli occhi e le meningi.”

Chi era? Chi era questo stronzo che sapeva sempre tutto di tutti e nessuno riusciva a levargli mai quello sguardo impassibile e rilassato, quasi soprannaturale.

“Sei un gran bastardo lo sai?” gli dissi.

“No, non credo, penso solo di aver avuto molta fortuna e un pizzico di impegno.”

Era tranquillo, sereno, non aveva il fiatone, aveva ancora i muscoli nonostante non mangiasse da giorni, da dove diamine prendeva tutta quell'energia? Chi diamine gli dava la forza a quell'uomo. Era Ulisse per caso o Achille?

“No mi spiace per te, loro erano eroi, io no.”

Alzai lo sguardo in aria cercando di non pensare più a nulla perché più mi sforzavo di capire chi fosse più capivo di essere lontano dal conoscerlo.

“Se ti va di distrarti ti potrei raccontare una storia?”

Sospirai oramai arreso alla sua conoscenza e risposi “sentiamo.”

Prese un attimo di tempo per organizzare le idee e iniziò.

“Un tempo molto lontano, c'era un mostro marino oltre a Scilla e Cariddi che dominava i mari. Era temuto da tutti, invincibile. Nessuno poteva non temerlo, il suo nome era Ceimòn, il mostro della tempesta. Era un uomo normale un tempo che viveva in terra come tutti gli uomini, ma gli Dei avevano altri progetti per lui, progetti che avrebbero scaraventato la sua vita negli abissi del profondo mare.” Nella stiva intanto tutti drizzarono le orecchie e rimasero ad ascoltare la leggenda, potevano distrarsi dalla fatica e il dolore.

“Ceimòn aveva una splendida famiglia, una moglie bellissima che era amata da tutti gli uomini, e purtroppo anche dagli Dei, un figlio giovane e robusto ed una dolce figlia, piccola nata da poco. Come detto gli Dei erano gelosi della sua felicità e avevano progetti che le nostre menti povere non possono comprendere. Se a tutto si unisce anche l'amore, la storia si risolve in un dramma. Poseidone, il Dio dei mari mise gli occhi sulla splendida donna di Ceimòn e decise di rubarla e farla divenire una delle sue serve nel palazzo che possiede nel fondo del mare. Ceimòn era ignaro di tutto non avrebbe mai potuto pensare al male, perché un uomo che vede solo bene e felicità non potrà mai concepire il dolore, la paura o la morte. Un giorno così Poseidone decise di intervenire, con l'approvazione del fratello Zeus, colui che tutto conosce. Il Dio scese in terra e si tramutò in un giovane stupendo, fantastico a cui nessuna donna mortale sarebbe mai potuta resistere, entrò nella casa di Ceimòn ed egli lo accolse calorosamente come suo ospite. Poseidone, come tutti gli dei, mentì sulla sua natura e sulla sua origine, mentì su tutto. E poi arrivò il vespro, la sera, la notte. Iniziò il piano, ma purtroppo per il Dio, non andò come voleva. La moglie di Ceimòn era tanto bella quanto fedele, e respinse le richieste del Dio, ma Poseidone voleva la donna e tentò in tutti i modi di averla per sé. La tensione si riscaldò in fretta e Ceimòn fu costretto a far uscire l'ospite dalla casa. Il Dio andò su tutte le furie e maledì Ceimòn assicurandogli che quando meno se lo sarebbe aspettato sarebbe tornato e gli avrebbe tolto tutto ciò a cui lui era più legato e gli avrebbe insegnato il dolore e la sofferenza. E così passarono gli anni, cinque anni, abbastanza da dimenticare. Ma la parola di un Dio non passa nel vuoto. Così un giorno Poseidone tornò nella casa di Ceimòn e rapì la moglie. Ma non solo, fece altro.”

Alzò gli occhi per vedere se poteva continuare e se non andava a toccare punti troppo sensibili.

“E poi...” chiese un uomo nel lato opposto della stiva.

“E poi... e poi... Poseidone, entrò nella stanza della giovane figlia di Ceimòn e lì, mentre con una mano teneva la madre, costrinse a guardare il Dio mentre stuprava la figlia, mentre la violentava, la picchiava e infine... la uccideva. La moglie cercava di urlare straziata dal dolore e piangeva forte ma in silenzio perché ammutolita dal Dio. Così poi il Dio rubò il figlio e tornò nel mare. Il giorno seguente Ceimòn impazzi. Vide l'orrore della figlia squartata e violentata e non trovava più né la moglie né il figlio. Stava imparando il dolore più grande di tutti, la morte. Così decise di andare al mare, e lì giunto sfoderò la spada ed iniziò a colpire l'acqua per sfogare la sua rabbia che oramai era divenuta follia. Strappò alle acque l'unità e i suoi fendenti erano tanto forti tanta era l'acqua nel mare, ma ad un certo punto l'acqua si tinse di rosso. Un rosso intenso. Salì a galla il corpo di un ragazzo. Lo girò e riconobbe appena il figlio strappato alla vita dai suoi fendenti. Un urlò tanto grande da rompere i cieli e aprire i cancelli del Tartaro ricoprì terra, mare e cielo. Ceimòn insultò gli dei e giurò vendetta. Accecato dalla follia e dalla rabbia, iniziò a colare sangue denso dalla sua pelle che si lacerava dalla rabbia contenuta. Così persa ogni caratteristica di umano ne uscì un demone, un mostro ed egli iniziò a vagare per i mari in cerca della moglie e per uccidere colui che aveva tolto a lui la felicità, Poseidone. E ancor oggi vaga in cerca del sangue del Dio, e quando rimembra la morte dei figli, le sue urla scuotono il mare, i suoi pugni fan tremare la terra e la sua collera annerisce il cielo.”

Il silenzio era oramai piombato nella stiva e solo il cigolio dell'imbarcazione che si muoveva appena nel mare, creavano un sottofondo. E così giunse la notte. E il viaggio continuava.

La mattina dopo da sopra di levò un forte grido che ci svegliò tutti di soprassalto, tutti tranne lui che continuava a dormire come se nulla fosse, come se lo avesse già previsto.

“Terra!”

Quale terra pensai io. Non la mia, di sicuro. Non la terra da cui ero stato sottratto, rapito e fatto schiavo. Che terra dovevano vedere ora i miei occhi, pestare i miei piedi, accarezzare le mie mani. Dove ci avevano portati. In quale luogo. Eravamo veramente alle colonne d'Ercole? Chi poteva dirmi dov'ero? Lui? Lo guardai dormire ancora con noncuranza e continuai a guardarlo in cerca di indizi. La nave questa mattina barcollava molto poco, evidentemente Ceimòn stava cercando e sinceramente speravo che avrebbe continuato finché i miei piedi non avessero toccato terra o sabbia.

“Se ti fai poche domande, avrai tutte le riposte” mi disse lui con gli occhi ancora sbarrati.

Feci finta di non guardarlo. Ma la mia mente continuava a porsi la medesima domanda. Chi era?

  
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