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Autore: Alessandro Picarelli    26/05/2014    0 recensioni
Enrico è costretto nel suo letto da sedici anni per colpa
della Sla ... con due semplici punti di sfogo e di aggancio per non
affondare in un mare di tristezza: il Vecchio ... le sue spalle ... la sua
vocina interiore che gli consiglia cosa fare... il suo consigliere ...
e Lucia ... l'amica perfetta ... la bellissima
ragazza dai capelli nocciola del palazzo accanto. Ma un giorno la sua vita
viene sconvolta e estrapolata da un incontro imprevisto e inatteso ... che
gioverà o meno sulla sua persona.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III Quando la malattia non aveva ancora invaso tutto il corpo del mio piccolo, all’età di otto anni, gli regalai un agenda dove gli proposi di scrivere tutto quello che gli piaceva fare e che avrebbe desiderato imparare. Fu un’iniziativa che gli piacque sin dal principio. Se gliela proponessi oggi me la sbatterebbe in faccia ... Ciononostante, se il mio piccolo avesse la possibilità di alzare il braccio per fregarmi in faccia quella stupida agenda, glielo proporrei in continuazione e me la farei tirare fin quando non mi farebbe male e diventerebbe rossa. Molti anni fa qualcuno, non ricordo bene chi, mi disse che Dio ci va vivere abbastanza per poter fare e provare almeno una volta tutto ciò che ci piace. In questo caso perché Enrico è ancora vivo? Perché Enrico continua a vivere sdraiato su un letto dalla mattina alla sera senza che possa fare niente, al di fuori di disperarsi e sperare di morire? È come un barattolo di Nutella vuoto e indurito che qualcuno, per distrazione, ha dimenticato di gettare. Lo so, non dovrei dire queste cose. Ma ogni volta che guardo il mio piccolo cerco di immedesimarmi in lui e ogni volta che lo faccio preferirei non esistere pur di stare in quelle condizioni. E ogni volta che guardo l’agenda che gli ho regalato – che mi ha voltato indietro quando la malattia si è degenerata, per la semplice consapevolezza che sarebbe restato solamente un sogno irrealizzabile – getto all’aria tutto e piango disperato per lui. Ho un dolore lacerante allo stomaco e so per certo che non è colpa del mio solito sugo scotto che mi fa indigestione. Ho un problema, lo ammetto, ma non so bene come farlo passare. Suonare la chitarra, c’era scritto al primo posto. Gliela regalai appena vidi scritte quelle poche parole. E ricordo, con piacevole nostalgia, le note stonate che strimpellava il mio piccolo che a loro volta inondavano l’intero palazzo di un suono che mai, al giorno d’oggi, spereremo di udire dalle sue mani. E poi fare il chierichetto … diventare calciatore … avere una fidanzata … avere una macchina sportiva … andare in bici … andare al mare … Fanculo a tutte queste cose! Cazzate, mi dico, sono solo cazzate che mai saranno realtà. E il mio povero Enrico resterà per sempre così, inondato dalla sua densa malinconia. Perché non a me? Perché non io? Lui è giovane e potrebbe essere forte e felice solo se non ci fossi tu … malattia, figlia di puttana! Cerco di smettere di piangere. Devo riuscirci, non è in me non avere autocontrollo, non è in me non sapere ciò che faccio e sono. Calmati … calmati … non rimuginare sull’irrimediabile … Ecco cosa devo fare. Quello che faccio sempre. Quello che faccio sempre quando mi sento così. Quando mi sento debole dentro e l’unica soluzione che mi faccia star meglio è il mio forte ma debole angelo custode all’acre odore di acqua ossigenata e medicinali. Scendo le scale più in fretta che posso. La mia salvezza abita un piano sotto di me. E anche se gli angeli, solitamente, ti vegliano da sopra, noi facciano il contrario: io sono il suo tetto, e lui, a sua volta, è le fondamenta che non mi lasciano affondare. Suono il campanello. Milly mi apre, come sempre. Mi dice che il mio piccolo sta riposando, ma mi lascia ugualmente entrare. La parola riposo per lui equivale a dire vivere. Apro la porta della sua stanza, come sempre è accostata. ‘Ehi …’ gli dico ‘come va?’ Non gli chiedo mai come si sente, o come sta, non servirebbe, la risposta l’avrei già stampata davanti gli occhi. Come va?, tutto qui. Credo lo faccia sentire meno ‘diverso’ per quanto lui non lo sia. Volta la testa, mi guarda. Accenna un sorriso, che io ricambio come sempre. Sorrido anche quando lui è triste. Gli fa bene. ‘Bene Vecchio … come mai prima d’ora.’ Aspettavo ad orecchie spalancate la sua monotona risposta. Ma mi sorprende. Il mio piccolo non smette mai di stupirmi e di cogliermi di sorpresa. Il Vecchio, mi chiama. È un’abitudine che ha già da diversi anni. Ed io sono contento di quest’appellativo … se non lo avessi significherebbe una sola cosa: che il mio piccolo non si fida e non è in confidenza con me. Dopotutto credo mi stia bene questo nome … il Vecchio … mi descrive impeccabilmente … sono vecchio infatti, ma ogni sorriso del mio piccolo non fa che aggiungermi un anno di vita. ‘Come mai?’ gli chiedo curioso. Lo guardo negli occhi in attesa di spiegazioni. Wow! Mi ci perdo in quegl’occhi … mi ci perdo irreparabilmente … in quell’oceano di sofferenza mi sento circondato da più predatori che non mi lasciano via di scampo e ai quali però non mi ribello affatto. E sono loro che mi danno la certezza e la conferma che quello è Enrico. Gli occhi racchiudono in se tutta una persona e la conservano nel tempo. Ne conservano sempre tutto, riservandone però la parte più bella. E sono quegli occhi l’unica cosa che non è cambiata in Enrico in questi ultimi anni, l’unica cosa per cui non lo confonderei con mille Enrico identici al mondo. Infondo il mio piccolo è unico al mondo … e a me va bene così. ‘Ieri’ mi racconta, uno strano sorriso stampato in faccia, riportandomi senza sforzi sulla terra dei mille dolori e sofferenze ‘mio padre aveva una riunione di lavoro qui a casa - il che non mi sorprese affatto, tantomeno ci vidi qualcosa da cui trarre felicità e spensieratezza, quella felicità e quella spensieratezza che non vedevo nel mio piccolo da tempo .- e mentre era chiuso in ufficio con questo tipo, si presenta qui un ragazzo. Ho sentito dei rumori in corridoio, così pensai a Milly, ma se n’era già andata da un pezzo. Invece era lui. Tommaso. Siamo stati insieme un po’ e abbiamo ascoltato della musica. Non ti dico il titolo del brano, tanto non lo capiresti.’ Rimasi stupito, attonito come non mai. Non fu la felicità che provai per il mio amico alla notizia che forse ne avrebbe avuto un altro, la prima sensazione che mi sfiorò la mente. Ma la stranezza e allo stesso tempo la bellezza di quel fatto che mai era capitato prima. Non potei fare a meno di chiedergli: ‘Ritornerà?’ Sperai di si con tutto me stesso, sperai che il cavaliere della felicità chiamato Tommaso, tornasse galoppando nella stanza del mio piccolo, e che con le spade affilate, che portavano l’odore malsano ma tanto buono del mondo, trafiggesse le paure e le tristezze di Enrico e gliene trasmettesse un po’. ‘Credo di si …’ rispose incerto il mio amico ‘Gliel’ho chiesto e ha detto che tornerà a trovarmi qualche volta.’ Non potei mai farci nulla. Quella era una di quelle cose che nel mio piccolo non potei mai cambiare: la convinzione che le persone vere – non so perché le chiamasse così, perché anch’io, la madre, il padre e Lucia lo siamo dopotutto – le persone vere che vivevano il mondo reale, quello fatto di felicità, di svago, di crisi, di feste, di scioperi … si allontanassero da lui dopo averlo visto per sbaglio. ‘Certo che tornerà! A come me ne parli questo Tommaso mi sembra un tipo in gamba … non credi?’ A volte ci scambiamo i ruoli io e il mio piccolo … a volte sono io a sostenerlo e a fargli da sostegno, da supporto … un supporto però troppo debole, che dopo un po’ si stanca, e ha la necessità di ritornare al suo vero posto. ‘Credo di si …’ mi butta in risposta Enrico. E a me va più che bene. So per certo che queste sue piccole convinzioni pian piano si solidificheranno e diverranno sempre più realtà … sempre più dense e compatte. Così dure che non lo lasceranno ricadere mai più nell’immenso mare della malinconia. Improvvisamente mi sembra di aver completamente digerito il mio sugo al forte odore di cipolle e con lui sembrano essersene andati via anche tutta la monotonia della vita del mio piccolo e i sassi di dolore che provo al sol vederlo.
   
 
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