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Autore: lucabovo78    27/05/2014    1 recensioni
« La magia è dentro di noi, fa parte della nostra natura. Dobbiamo solo trovare il modo giusto per usarla. »
Se la magia fosse una cosa naturale come respirare, tutti sarebbero in grado di usarla. Invece, questo "privilegio" è affidato a pochi individui, dotati di grande potere e chiamati Stregoni.
Questa è la storia di un giovane stregone e del prezzo che dovrà pagare per questo potere.
« Non è bene sottovalutare le trame del destino, potrebbe rivoltarsi contro di noi. »
Copyright © 2013 Luca Bovo, tutti i diritti riservati
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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27.  La città morta

 

Boid li vide arrivare quando il sole stava scomparendo all’orizzonte. Il cielo a est era già nero, mentre la luna piena, straordinariamente grande e rossa, si stagliava alle spalle della città, nascondendone i dettagli e trasformandola in un’ombra nera nel mezzo della pianura. Il silenzio era quasi irreale e l’aria completamente immobile. L’unica traccia di vita in tutta la piana era quella silenziosa dei corvi. Centinaia di corvi neri sorvolavano ininterrottamente le case e il palazzo reale, incuranti del fumo che continuava a salire dalle rovine.

   «Vediamo come te la cavi Lind».

Lo stregone osservava i due ragazzi dirigersi verso la città, dall’alto della collina da dove aveva salutato i suoi compagni, con lo stato d’animo combattuto. Non era sicuro che restare in disparte, in quel momento, fosse la scelta migliore, ma se fossero riusciti a cavarsela con le loro sole forze, sarebbe stata la conferma di quello in cui credeva. In caso contrario, sarebbe intervenuto e avrebbe comunque cercato una strada per arrivare allo scopo che si era prefissato. In un modo o nell’altro, quindi, li avrebbe quindi guidati verso il loro destino.   

   «Questo posto fa venire i brividi».

I due giovani erano arrivati all’ingresso della città. Avevano attraversato la porta ad arco che si apriva nella cinta muraria e si erano fermati a osservare la situazione. Quello che si trovavano davanti agli occhi era uno scenario da incubo: l’intera città era deserta e la maggior parte delle case bruciata o ancora in fiamme. La cenere cadeva incessantemente in una calda nevicata e il fumo ristagnava nell’aria pesante come nebbia lattiginosa, nascondendo le cose a pochi passi di distanza. La fioca luce della sera rendeva l’atmosfera ancora più cupa. Non si vedeva anima viva, eccezion fatta per i corvi. Una moltitudine di grossi corvi. La cosa più inquietante era che non emettevano nessun verso: si limitavano a osservare con i loro occhi neri e inespressivi, appollaiati sugli scheletri delle case in rovina o volando silenziosamente. Come se aspettassero qualcosa.

   «Cosa diavolo è successo qui?»

Avanzavano lentamente guardandosi intorno. 

   «Ho paura che quell’uomo avesse ragione, questo posto ha tutta l’aria di essere abbandonato. Anche se ho come l’impressione di essere osservata. E non si tratta dei corvi».

   Lind le fece cenno di fermarsi e contemporaneamente estrasse la spada dal fodero.

   «Vado a dare un’occhiata in giro, tu aspettami qui». 

«Non ci penso nemmeno, vengo con te». 

   «Va bene, ma stammi vicina e fai attenzione, ho un brutto presentimento.» 

   Di nuovo quella sensazione. Come per il golem e per gli orchi. Un senso di oppressione alla base dello stomaco. Stava per succedere qualcosa e, visti i precedenti, non sarebbe stato piacevole. L’istinto gli stava dicendo di andarsene, ma c’era qualcos’altro. Anche lui si sentiva osservato e sapeva che doveva scoprire chi o cosa li stava controllando. E poi doveva assolutamente sapere se il Maestro era o era stato in quel luogo.

   Avanzando tra le case, lo scenario di desolazione non cambiava. Ogni tanto sobbalzavano a causa del rumore delle travi che crollavano all’interno di abitazioni fumanti, unico suono che rompeva il silenzio di morte che aleggiava. Attraverso il fumo, incominciarono a intravvedere le spettrali torri del castello reale. Il maniero era immerso nelle tenebre, eccezion fatta per una fioca luce rossa che brillava in uno dei piani alti. Decisero di seguire quella luce, forse qualcuno era ancora all’interno della costruzione. Dopotutto, sembrava essere l’unica scampata alle fiamme. Dopo qualche tempo, che sembrò un’eternità, nel quale scambiarono pochissime parole quasi sussurrate, intimoriti nel rompere quel silenzio, giunsero al maestoso cancello in nero ferro battuto che delimitava l’ingresso al giardino del castello. Era spalancato, per cui non ebbero problemi a varcarlo. Da quella distanza, nonostante il buio e il fumo, la costruzione si ergeva in tutta la sua maestosità. Due altissime torri dominavano i lati della facciata in pietra grigia. A destra e a sinistra si estendevano due lunghissime costruzioni, dotate di ampie vetrate, che terminavano con delle torri merlate, più basse rispetto a quelle centrali. Un’ampia scalinata, costruita in modo da poter essere scalata dai cavalli, per cui senza scalini, sostituiti da file di pietre semicircolari appoggiate alle piastrelle lisce, portava a una grande terrazza, dalla quale si accedeva al maniero. Sull’imponente portone ligneo erano intarsiate scene di battaglia, nelle quali figure incoronate a cavallo sconfiggevano orchi e nemici all’apparenza umani. Al centro, una figura più grande delle altre raffigurava un guerriero che trafiggeva un mostro alato, forse un drago, con una lancia. Sopra il portone, si apriva la grande vetrata dalla quale proveniva il bagliore rosso che avevano visto da lontano. I vetri colorati, che un tempo la ornavano, erano rotti, ma non ce ne era traccia all’esterno, come se qualcosa li avesse sfondati dall’esterno. Tra il cancello e il castello vi era il grande giardino, attraversato da un viale, ricoperto da ghiaia bianca, che portava alla scalinata. Ai lati del viale si ergevano, a qualche metro di distanza l’una dall’altra, delle statue in pietra che raffiguravano i re del passato, perlopiù raffigurati in abiti militari. Due grandi piscine, ricoperte di ninfee e ornate da fontane, putti ed enormi vasi di pietra, occupavano la maggior parte del giardino. La cosa che attrasse subito l’attenzione dei due ragazzi fu il degrado nel quale versavano le statue, alcune erano distrutte, altre mutilate, nessuna aveva la testa al suo posto. A giudicare dallo stato dei resti, però, lo scempio si era verificato di recente. Subito dopo, si accorsero di qualcos’altro. A causa dell’oscurità e del fumo che ristagnava sul terreno, li videro solo dopo aver percorso qualche passo nel viale. Decine di corpi riversi al suolo. Mutilati, decapitati, alcuni quasi completamente carbonizzati. Riversi sulla scalinata, sul viale, sul giardino. Tutt’intorno, i segni di una furiosa battaglia, dalla quale erano usciti miseramente sconfitti. I due ragazzi si fermarono di colpo, non appena si resero conto di quello che si trovavano davanti.

   «Lind…cosa può essere successo?»  

«Non lo so, ma c’è qualcosa di strano. Sono tutti banditi, tutta gente che viveva qui, in teoria compagni, non vedo altre persone. Possibile che non siano riusciti a sconfiggere nessun nemico?»  

   «Che sia effettivamente avvenuta una battaglia fratricida?»

Il ragazzo si chinò su uno dei cadaveri, per osservarlo meglio.

   «Non credo, hanno tutti delle strane ferite, sembrano fatte con qualcosa di simile a degli artigli. E quelli..» riferendosi ai corpi carbonizzati «…sembrano le conseguenze di un incantesimo di fuoco.»

   La ragazza si avvicinò a lui, per la prima volta ebbe la sensazione che fosse veramente nervosa. Come darle torto.

   «Forse è stato il Maestro, tentando di fuggire.»

Il ragazzo si rialzò e strinse più forte la spada, non era convinto dell’ipotesi.

   «Rimarrebbero da spiegare gli artigli.»

Improvvisamente, la sensazione di essere osservati si fece più intensa, quasi inconsciamente alzarono entrambi lo sguardo verso la vetrata illuminata. Una figura li stava osservando dall’alto, dall’interno della stanza sulla quale dava la vetrata. Era un uomo, dai lunghi capelli che inspiegabilmente, vista l’immobilità dell’aria, sembravano mossi da una leggera brezza. Indossava un lungo mantello e impugnava una sottile spada, tenendo la lama verso il basso, con la punta appoggiata al pavimento. I lineamenti non erano distinguibili, a causa della luce che proveniva alle sue spalle, ma si riusciva a capire chiaramente che gli mancava un braccio, troncato all’altezza del gomito. Era immobile. Sentirono un brivido correre lungo la schiena.

   «E’ lui…»

La voce di Sephyr era un sussurro.

   «Lui chi? Intendi…»

«Nicodhem, ne sono sicura!»

   Prese la mano del ragazzo nella sua e la strinse con forza. Erano quindici anni che aspettava quel momento, pensava di essere pronta. Invece, stava rivivendo lo stesso terrore di quel giorno. Com’era possibile? Era cresciuta, era diventata più forte, allora perché stava tremando come una foglia? Lind strinse la sua mano più forte.

   «Non so se sia Nicodhem, ma so, e non chiedermi perché, che quello ha qualcosa di veramente strano. Non avevo mai provato una sensazione del genere, ma è come se ci trovassimo di fronte a qualcosa che non è né vivo, né morto.»

   «Cosa?»

Un bagliore incominciò a sprigionarsi dalla mano destra del ragazzo. La spada aveva incominciato a emettere la nebbia bianca, le ali del drago, però, erano rimaste al loro posto. Si guardarono preoccupati. Lind provò una sensazione strana, diversa dalle altre volte, sentiva l’energia fluire dall’arma al braccio e poi al resto del corpo, ma senza avvertire la presenza dell’entità che aveva preso il controllo del suo corpo come contro gli orchi. La nebbia luminescente lo avvolse e,  attraverso la mano che stringeva, avvolse anche la ragazza.

   «Cosa sta succedendo, Lind?»

Sephyr provava una sensazione di calore, simile a quella che aveva provato quando aveva impugnato la spada. Era rassicurante, come un abbraccio protettivo.

   «Non lo so…sembra che abbia intenzione di proteggerci da qualcosa.»

   Nicodehm, o chiunque fosse la figura misteriosa, alzò improvvisamente la spada. In quel momento il silenzio fu rotto dai corvi che si alzarono in volo, tutti contemporaneamente, gracchiando spaventati da qualcosa. L’improvviso rumore colse di sorpresa i due ragazzi, spaventandoli. Ma non fu nulla, a paragone del terrore che provarono un istante dopo. I cadaveri che erano sparsi tutt’intorno cominciarono ad alzarsi da terra, lentamente. I mutilati arrancavano, non avendo le braccia o le gambe per reggersi o alzarsi. I carbonizzati, non avendo più abbastanza fibre elastiche per muoversi restavano a terra, come vermi rantolanti. Altri corpi invece, solo feriti o decapitati, si alzarono rapidamente.

Sephyr si mise a urlare. Lind era impallidito e aveva la pelle d’oca.

I cadaveri cominciarono ad avanzare lentamente verso di loro, allungando le braccia. Erano accerchiati. Uno di essi, quello più vicino a loro, cercò di afferrare il braccio di Sephyr, ma appena la sua mano fu attraversata dalla nebbia bianca, prese fuoco con fiamme azzurre e intense. In meno di un secondo, del cadavere redivivo rimase solo un mucchietto di cenere. La ragazza ammutolì alla scena. Il ragazzo guardò la spada, un sorriso si disegnò sul suo volto.

La figura misteriosa grugnì di disapprovazione. 

  
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