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Autore: milly92    27/05/2014    8 recensioni
Stanchi delle solite storie in cui un'alunna e un professore si amano e riescono ad essere felici superando mille ostacoli? Allora questa storia fa per voi, visto che il professore in questione non sa nemmeno che la ragazza con cui ha a che fare sia una sua alunna e non ha per nulla intenzioni "serie"...
"Mi... Mi stai incoraggiando a...".
"Ad uscirci, sì".
Trudy sembra aver assimilato subito e fin troppo in fretta la notizia, in un modo che mi lascia alquanto scioccata. Sembra crederci più di me, quasi quasi. "Sai come si dice in questi casi?".
"Sei fottuta?" suggerisco, melodrammatica come sempre.
"No. "Fake it until you make it"! Fingi! Fingi fino a credere sul serio di non essere una sua alunna e il gioco è fatto, no?".
Da una parte, il discorso della mia amica ha un minimo di senso, dall'altro sono troppo spaventata perchè, per la prima volta in vita mia, rischio di iniziare un cammino caratterizzato dal proibito e ho paura di scottarmi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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21g
Penultimo capitolo, gente! Sono stata rapidissima, visto?
In questo caso, gli esami che incombono aiutano ad aumentare la mai ispirazione, eheh xD
Preparatevi, ormai siamo agli atti finali e ne succedono di tutti i colori, io vi ho avvisato!
Nel prossimo capitolo, l'ultimo, aggiungerò qualche nota alla fine, ora credo sia superflua perchè
la parola sta a voi, sono curiosissima di sapere che ne pensate!
Ci ho messo anima e corpo, sul serio, e ci tengo tantissimo ai vostri commenti!
Ho visto che aumentate sempre di più, quindi... GRAZIE! <3
Visto che ora devo scappare, risponderò alle vostre recensioni stasera, scusatemi! ^^'
Buona lettura e bacioni,
milly92.


 Capitolo 21
Quando il Karma Ti Frega



20 luglio 2013

Caro diario,
non ne posso più di studiare, onestamente. Ho il cervello a pezzi, arrivo a fine giornata che non so se parlare in italiano, tedesco o inglese.
Ieri, a cena, ho detto a Trudy: "Wasser, please!" per chiederle l'acqua, rendiamoci conto... dovrei inventare una nuova lingua, il Tedese o Inglesco.
Comunque, penso a cosa succederà domani, onestamente.
Ho l'ultimo esame per ora, quello di Letteratura Inglese III, e poi mi rimarrà solo l'orale di inglese III a settembre, non ci credo.
Dovrei essere sollevata, tanto ho superato la prova intercorso con venticinque e di sicuro l'esame, male che vada, si può considerare comunque superato, ma in realtà sono preoccupata perchè mi hanno detto che anche Dario sosterrà quest'esame domani.
Ci incrociammo più di un mese fa, allo scritto di Inglese e quello di Tedesco, e mi ha ignorato, senza nemmeno salutarmi, dopo che lo avevo chiamato per giorni e provato a contattarlo in qualsiasi modo, ma niente. Ho smesso di cercarlo da più di venti giorni, perchè, per l'amor del cielo, ho sbagliato a non dirgli nulla, ma mi sembra una reazione esagerata a questo punto, gli ho detto tutto il ventitrè maggio, sono passati quasi due mesi, avrebbe dovuto farsene una ragione e affrontarmi, dicendomi ciò che pensa.
E, invece, no, silenzio. All'inizio mi ero incolpata di tutto, dicendomi che dopotutto aveva ragione, mentre ora, beh, penso che anche lui non è che si stia comportando da persona matura. Ci ho messo due mesi per dirglielo, ma alla fine ho avuto le cosiddette "palle", mentre lui si sta comportando da bambino.
Pensa di potermi ignorare per sempre? Bah.
Comunque, sono quasi le undici, penso sia meglio andare a dormire, domani l'appello inizia alle nove.
Speriamo bene!
Lena.



"Devo prendere trenta, accipicchia, non posso permettermi di sbagliare dopo che ho superato la prova con ventisette!" mormora Trudy tra sè e sè, mentre fa il pieno di energia con la sua solita colazione pre esame: due toast grondanti di Nutella, uno yogurt con tre biscotti al cacao e un bicchiere di latte.
Il solo vedere tutto quel cibo fa aumentare la mia nausea causata dall'ansia, così mi limito a bere un bicchiere di succo alla pesca come se fosse il mio ultimo pasto e fossi condannata alla ghigliottina.
"Si sono invertiti i ruoli, mi sa. A me basta avere l'esame sul libretto, tornare qui, dormire dodici ore, fare l'ultima serata di lavoro e poi tornare a casa e andare al mare con Lisa" borbotto.
"Capisco, ti devi disintossicare un po' da Napoli e... Alcuni suoi abitanti" risponde comprensiva.
"Non c'entra, Trudy, ormai non lo vedo da un mese. E' che voglio pensare solo ed esclusivamente a me, dopo tanto tempo. Se ho dimenticato Matteo, riuscirò a superare anche i casini di questi mesi e ad andare avanti".
"Sai, ci ho pensato ultimamente, e un po' mi sono pentita di averti spronato ad uscire con Leo" ammette la mia amica, colpevole.
"E' stata una scelta mia e... Lo sai che, in fondo, non me ne sono pentita. Era così bello sentirsi me stessa, capace di farmi desiderare da un uomo così affascinante, non avevo nessun problema e senza l'aiuto di Leo forse sbaverei ancora per quell'idiota del mio ex. Te lo ripeto, rimpiango solo le bugie, ma ormai è andata" spiego.
"Alla fine avresti dovuto salutarlo, prima della partenza".
Rido amaramente, dopo aver bevuto l'ultimo sorso di succo. "Trudy, ti ricordi come ero messa? E poi, va bene così, il nostro addio è stato giusto e bello così come è stato. Dai, abbiamo un esame che inizia tra un'ora, diamoci una mossa".
Alla parola esame, la mia amica scatta all'impiedi e annuisce come se fosse un soldato, diligente come non l'ho mai vista prima d'ora.
Provando a concentrarmi solo sull'esame, vado a preparare la borsa, continuandomi a ripetere mentalmente che ho fatto il possibile per mettercela tutta e che almeno poi potrò riposarmi un po'.


L'arrivo davanti all'aula in cui si sosterrà l'esame è lo stesso, identico e preciso di tutti gli esami precedenti: gente disperata, ragazze sedute per terra con mille fogli in mano, gruppi di amici che improvvisano un ripasso all'ultimo minuto per poi finire per sclerare, i soliti non frequentanti che fanno domande a chiunque circa la docente e il programma...
Io e Trudy avanziamo lentamente verso il luogo in cui avrà origine la strage, come per non farci contagiare da tutta quell'ansia, per poi bloccarci davanti ad una scena alquanto strana: al centro del corridoio, Damiano e Dario sembrano star discutendo animatamente, seppur a bassa voce, in un modo che rende i toni ancora più taglienti.
"Ehm, ciao ragazzi, possiamo passare?" esordisce Trudy.
Sobbalzando, i due smettono di parlarsi addosso e, mentre Damiano annuisce, Dario mi guarda, con un'aria che non so assolutamente decifrare.
Nel pallone, tra ansia, imbarazzo e chi più ne ha più ne metta, mormoro solo: "Grazie, ciao" e continuo a camminare con Trudy, finchè qualcuno non mi trattiene per un braccio.
Sperando che sia Dario, mi giro, ma invece scopro con un po' di delusione che si tratta di Damiano.
"Ehi, dopo l'esame devo dirti una cosa" dice serissimo, come se fosse una cosa di vitale importanza.
"Va bene" mormoro, non riuscendo a capire di cosa possa mai trattarsi.
"Allora ci vediamo dopo, quando la prof fa l'appello" mi saluta, prima di tornare indietro con aria risoluta e decisa al massimo.
"Mah" commento, senza sapere che pensare, ma la vista della porta dell'ufficio della prof in cui si terrà l'esame mi riempie nuovamente di ansia e mi fa dimenticare tutto ciò che non abbia a che fare con l'esame imminente.
Nella mia mente, iniziano ad arrovigliarsi discorsi sul modernismo, pezzi di "Dubliners", "Between the acts" e "Prelude" che ricordo a memoria a furia di averli letti, gli importanti dati autobiografici della vita della Woolf e di Joyce... Non so quanto tempo passa da qui al momento in cui la professoressa esce dal suo ufficio con l'aria tipica di chi vorrebbe essere al mare e non in un corridoio colmo di studenti disperati che lottano contro i trentacinque gradi all'ombra e l'ansia.
Risoluta come sempre, sembra godersi il silenzio che si genera subito dopo la sua uscita trionfale nello studio e ci squadra uno ad uno, aggiustandosi gli occhiali sul naso e dando uno sguardo al foglio delle prenotazioni.
"Bene, allora, per fortuna mi sembrate di meno rispetto al numero delle prenotazioni... Vi dividerò in due gruppi, quelli che hanno già sostenuto la prova intercorso e quelli che non l'hanno fatta o non l'hanno superata. I primi verranno esaminati da tre assistenti, i secondi saranno esaminati da me. Bene, inizio col primo gruppo, vediamo chi c'è! Vi ricordo che ora parlo a nome del gruppo G-M dell'anno 2012-2013, poi vedremo i fuori corso. Allora... Goliardi... Immaturo... Inverno...".
Alzo la mano, tremante, e aspetto il resto dell'appello, con la gola secca e una crescente paura che mi invade. Sono così presa dal panico che mi sembra di non conoscere più mezza parola in inglese, e la cosa mi rende super nervosa perchè l'esame, ovviamente, si svolgerà tutto in inglese.
Poi, risvegliandomi dal flusso di pensieri negativi, odo la fatidica frase: "Goliardi, Immaturo e Inverno, entrate. Gesto, tu lo farai con me".
Trudy mi stringe il braccio, sussurrando "In bocca al lupo!", ed io annuisco a stento, avviandomi con gli altri tre verso il famoso patibolo alias l'ufficio della docente.
La stanza per fortuna è fresca grazie ai condizionatori, e vedo la professoressa che conduce Goliardi dall'assistente giovane che, a detta di tutti, è super stronza, mentre Immaturo capita con uno sulla quarantina che non ho mai visto.
Non ho nemmeno il tempo di domandarmi con chi farò io l'esame visto che c'è un'altra scrivania vuota, che la porta alle mie spalle si riapre e la professoressa sorride. "Here you are! Pensavo mi avessi abbandonato per andartene al mare!".
Ci mancano solo i teatrini, penso, mentre, di spalle rispetto alla porta, estraggo il libretto universitario dalla borsa.
"No, no, mi dispiace ma ieri sono arrivato all'una qui, a Napoli, e... Ero stanchissimo, mi sono svegliato tardi, I'm sorry!".
Sgrano gli occhi, sentendo il cuore sprofondare. Io conosco quella voce, conosco quell'accento. Deglutisco, dicendomi di star sognando.
"Ma figurati, caro, anzi, è già un miracolo che tu sia qui, mi dispiace per l'organizzazione dell'università. Contattarti con poco preavviso per il prolungamento del contratto! Scusaci, davvero".
"Ma no, mi fa piacere, ero senza lavoro e dopotutto sono laureato in letteratura inglese, no?".
Non riuscendo a muovermi di mezzo centimetro, con le mani sudate, faccio cadere il libretto per terra senza volerlo.
"Qui c'è la tua prima cavia, comunque!" esclama la prof, indicandomi, credendosi divertente. "Sulla scrivania c'è il foglio con i voti della prova, e la lista degli argomenti. Mi fido di te, Leonard! Buon lavoro!".
Mentre lei si allontana, Leo si abbassa contemporaneamente a me per prendere il libretto.
"Ecco" dice, per poi bloccarsi quando, non potendo più celarmi, devo mostrargli il mio viso.
Un viso che dimostra vergogna, paura, che prenderei a schiaffi, se potessi.
Si blocca, sgranando occhi e bocca, ed io quasi riesco a sentire il rumore che fa la mia messainscena di questi quattro mesi mentre si frantuma in mille pezzi.
Si rialza, col libretto in mano, proprio mentre la stanza si riempie di voci che parlano in inglese e domande alquanto precise. Lo apre, legge il mio nome affiancato a quello dell'università, con una furia che mi fa sentire male.
Se potessi permettermelo, sverrei qui, all'istante, ma probabilmente, per quello che ho fatto, mi lascerebbe per terra sperando che nessuno mi dia una mano.
"Lena Inverno, iscritta al corso di "Lingue, letterature e culture europee" presso la facoltà degli studi di Napoli "L'Orientale". Che stupido" sussurra, mentre prende posto dietro la scrivania.
Mi siedo a mia volta, sentendo di voler scoppiare in lacrime o di inginocchiarmi ai suoi piedi per scusarmi, ma non riesco a dire nulla.
"Ehm... Professor Scott..." esordisco, sentendo quanto suoni strano chiamarlo così.
"Dimmi, mia cara studentessa. Come mai non ti ho mai visto al mio corso di Inglese III? Eri impegnata ad uscire con...".
"Leo, per favore...".
"Chi è Leo? I'm your teacher, my little liar" m'interrompe, sconvolto, evidentemente nauseato.
Vorrei mandare al diavolo l'esame, dire che mi ritiro, spiegargli tutto, ma me lo merito, merito di essere bocciata da lui, accidenti.
Le bugie hanno le gambe corte, ed io ne sono la prova vivente.
Paurosa, lo osservo mentre legge la lista degli argomenti, sentendo quasi la testa girare.
"Well, let's start with... "The Waste Land". Start reading" ordina, prendendo la mia copia del libro e prendendo una pagina a caso.


"My nerves are bad tonight. Yes, bad. Stay with me.
"Speak to me. Why do you never speak. Speak.
"What are you thinking of? What thinking? What?
"I never know what you are thinking. Think."
I think we are in rats' alley
Where the dead men lost their bones.



Mi ferma mille volte per correggere la mia pronuncia, con un atteggiamento pseudo nazista, e più mi corregge, più leggo male, sentendo l'aria mancarmi e la voce tremare.
Mi chiede il significato di questo pezzo, poi passa a Virginia Woolf, senza farmi finire il discorso.
Da lì passa a Katherine Mansfield, poi a Joyce. Poi a Symons.
Mi fa leggere "Eveline", una short story tratta da "Dubliners", e continua a correggermi, per poi chiedermi se trovo qualche cosa in comune con qualche altra storia della raccolta. Addirittura passa ad una sorta di analisi testuale, chiedendomi di indicargli tutti i verbi che indicano il concetto di "paralysis".
Non soddisfatto, torna sulla Woolf, soffermandosi sui suoi dati autobiografici, in particolare sul Bloomsbury Group e la figura di suo marito, Leonard Woolf.
"Did she love Leonard?" chiede, apparentemente asciutto.
"Well... Not really. She was very fond of him but she had a relationship with a woman...".
Fa un sorrisino accondiscendente, e si passa una mano tra i capelli, sospirando. "You know, if your name is Leonard, people will never tell you the truth".
Comprendendo questa frecciatina, sentendo che ormai non ho nulla da perdere, lo guardo negli occhi e dico: "But, before her suicide, Virginia Woolf wrote a letter to Leonard, saying that she knew that if there was a chance to be saved by someone, this person would be him*. If your name is Leonard, you can help people, and I'm saying  this because it happened to me, few months ago".
Ci guardiamo per un lungo istante, durante il quale leggo incertezza e giusto un pizzico di impressione nel suo volto, poi riprende il libretto e dice: "Le confermo il 25, signorina. Ha studied ma si lascia troppo prendere dall'emotion, avrebbe potuto fare better. Sign here".
Non comprendendoci più nulla, firmo la camicia d'esame, lascio che metta il voto, vado dalla prof per la firma sul libretto, e prima di uscire lo guardo, ma lui è impegnato già nel parlare con la prossima studentessa.
Sentendomi sul punto di svenire per la fatica, l'emozione, lo stress, esco dall'aula, ignorando lo stormo dei fastidiosissimi: "Che ti ha chiesto? Che voto ti ha messo? E' facile?", e mi reco vicino Trudy, che mi guarda con preoccupazione.
Mi trascina in un angolo remoto del corridoio, super ansiosa, fissandomi. "Ho visto entrare Leo! Che ci fa qui? Non dirmi che...".
"Mi ha esaminata lui. Ha scoperto tutto. Mi ha confermato il voto. Voglio andare a casa, Trudy, scusami se non rimango con te" biascico, sentendo che la testa mi esploderà da un momento all'altro.
"Cavoli! Quando l'ho visto stavo svenendo, correva come un matto!".
Annuisco distrattamente, posando il libretto, afferrando una matita e usarla per dare vita ad uno chignon che non ha nè capo nè coda.
"Ci vediamo a casa" dico semplicemente, senza nemmeno aspettare la replica del suo saluto.
Non ho nemmeno il tempo di fare dieci passi che Damiano mi viene incontro, con una faccia dispiaciuta.
"Lena! Ti ha esaminato lui?" chiede a bruciapelo.
"Cosa? Ma che ne sai, tu?".
"L'ho saputo... Tutto bene?".
"Scusami ma voglio andare a dormire, sono in vacanza, no?".
"Sì... Appena stai meglio chiamami" dice semplicemente, dandomi un bacio sulla guancia e lasciandomi libera di volare via da quell'Inferno chiamato università.
Corro via, percorrendo come una furia i quattro piani che mi separano dall'uscita, per poi dirigermi come una furia verso casa.
Entro, getto la borsa per aria, mi spoglio, tutta sudata per il caldo, l'afa e la corsa, e mi dirigo sotto la doccia, per poi scoppiare a piangere come una cretina.
Ho finto, ho finto fino a credere che Leo sia un semplice uomo con cui uscivo, e poi la verità mi ha punito facendomi trovare lui all'esame, dopo che sarebbe dovuto essere in America.
Non ne posso più, è un anno che me ne succedono di tutti i colori, e penso che sia giunto il momento di non avere a che fare con nessun ragazzo per i prossimi mesi, se non anni.
Le lacrime sul mio viso si confondono con il risultato del getto della doccia, mentre numerose immagini di questi mesi mi passano davanti come una sorta di film distorto che ha un finale pessimo. "La ragazza che passò dall'avere tre uomini intorno a zero", ecco il titolo.
Chi sono, io? Chi sono diventata? Sono una persona orribile, ho fatto scappare Dario, e ora anche Leo ha una considerazione bassissima di me...
Ho appena il tempo di uscire dalla doccia e vestirmi che, senza riuscire a fare altro, mi addormento, sperando di risvegliarmi a marzo e non commettendo gli stessi errori. Se l'inizio della mia estate è così, non oso immaginare come sarà il proseguimento, onestamente.



"Alle 8 p.m. sarò sotto casa tua. Devi dirmi tutto, me lo devi. And try to be HONEST, please".
Non ho nemmeno il tempo di svegliarmi, alle sei del pomeriggio, dopo un lungo sonno che mi ha reso più stanca, se possibile, che mi ritrovo questo sms di Leo.
Mi trascino fino in cucina, di malumore, dove trovo Trudy che sta mangiando un panino.
"Ehi. Dormito bene?" chiede pacatamente.
"Domanda di riserva?" domando, aprendo la dispensa e prendendo il barattolo di Nutella.
Sento lo sguardo della mia amica sulla nuca mentre prendo un cucchiano, apro il barattolo, mi siedo e inizio a mangiare varie cucchiaiate di quel nettare tanto buono quanto dannoso.
"Lena...".
"Me lo merito, Trudy. Volevo farla franca ma non mi è stato concesso. Almeno mi sono tolta un peso... E tra un paio d'ore verrà qui per sapere tutto" spiego rapidamente.
"Continuo a sentirmi in colpa, dopotutto sono stata io a consigliarti di uscirci e non dire nulla" ammette.
"Ho ventidue anni, cavoli, se prendo una decisione è perchè voglio, non perchè me lo dici tu!" ribatto, esausta a causa di tutte quelle chiacchiere.
"Certo, certo. Ehm... Quando torni a casa?" chiede poi, per cambiare argomento e provare a rendere l'atmosfera più leggera.
"Il ventitrè. Domani lavoro, così mi prendo lo stipendio, e poi torno a casa".
"Io domani! Sabato parto con Davide, andiamo a Gallipoli per dieci giorni".
Mi sforzo di sorridere, annuendo. "Sono felice per voi, dovevate per forza riconciliarvi. Voi insieme, io qui da sola che combino pasticci.E' tornato tutto normale" ironizzo amaramente, decidendomi a chiudere il barattolo perchè inizio a sentire una certa nausea a causa dell'alto potere calorico del suo contenuto.
"Non dire così! Lena...".
"Trudy, per favore, basta, ho bisogno di silenzio".
Quasi mordendosi la lingua, annuisce e lascia la stanza per preparare i bagagli, lasciandomi in compagnia solo dei miei pensieri e su ciò che dovrò dire al mio professore.
Prima delle otto, poi, esce per salutare le altre nostre amiche prima della partenza, così ho casa tutta per me.
Nervosa, con la voglia di prendere a calci il mondo, non so come trovo la voglia di rendermi presentabile indossando dei bermuda e una canotta verde, proprio mentre il cellulare squilla.
E' lui, è arrivato, mi chiede dove citofonare.
Apro il portone e gli dico il piano e nel giro di un minuto me lo ritrovo di fronte, evidentemente seccato e deluso, ancor più di oggi, se possibile.
"Ciao, entra" lo saluto, provando a rimanere calma, mentre chiudo la porta alle nostre spalle.
"Ciao" replica freddamente.
"A...Accomodati" aggiungo, indicando il divano del piccolo soggiorno. "Posso offrirti una birra?".
"No, grazie. Le tue birre mi piacevano quando pensavo fossi una semplice barista" replica, tagliente come non mai.
"Ok, mi odi, l'ho capito ma...".
"Non ho tempo da perdere, domani gli esami continuano. Dimmi tutto. Tutto".
Prendo un gran bel respiro e mi siedo di fronte a lui, torturandomi le mani più nervosa che mai. Anche lui mi guarda, e mi odio per essere la causa di quell'espressione dura e ferita.
"Tutto ciò che sai su di me è vero, non ho mai mentito" inizio. "Prima che tu ti avvicinassi a me al bar, ti avevo visto solo una volta, al bar dell'università, mentre parlavi con la professoressa d'inglese, e le mie amiche, tra cui Germana, mi dissero chi eri. Sì, conosco Germana" ammetto.
"Of course" commenta esasperato, passandosi una mano tra i capelli.
"Ma non abbiamo affatto un bel rapporto! Comunque... Quando ti sei avvicinato, quella sera, ero così sorpresa che tu, un uomo così bello e per giunta il mio professore, volessi conoscermi, che inizialmente ti ho respinto, ricordi? Ti ho respinto fino allo stremo, poi abbiamo parlato e... Ero così stanca, fusa a causa dell'ora e del sonno, che alla fine ti ho dato il mio numero. Non volevo risponderti, poi... Poi Germana venne a casa, dicendo quanto avrebbe voluto una storia con te, che mi sentii come una ragazzina che ha una bambola che l'altra non può permettersi. Così ti ho risposto, e ho deciso di non farmi vedere in aula... Ma, alla fine, Leo, mi sono trovata così bene con te che ero arrivata al punto di dimenticare quasi chi fossi tu!".
Indignato, mi lancia lo sguardo più brutto che qualcuno mi abbia mai rifilato in vita mia.
"Cos'ero, il giocattolo che tu e Germana vi condentevate?!" urla, pieno di ribrezzo, fissandomi come se fossi un insetto schifoso.
"Ma no! No, Leo! Lasciami spiegare! Quando sono partita per il tirocinio, una sera ho deciso di venire a dirti la verità, ho bussato alla tua porta e ho trovato Germana, così me ne sono scappata".
Spalanca gli occhi, incredulo. "Era... La sera in cui le chiesi di partire con me?".
Annuisco. "Io non sapevo nulla di voi finchè non l'ho vista da te. Volevo dirtelo allora, poi, vedendola, sono fuggita e non ci ho pensato più, troppo presa dal tirocinio con Dario".
Leo mi fa segno di fermarmi, come se avessi detto qualche cosa di vitale importanza. "Dario?".
"Sì, Dario" dico senza capire.
"Frequenta i corsi anche con Germana, giusto?".
"Sì, perchè?".
"That son of bitch!" dice semplicemente.
"Scusami?".
"E' andato a letto con Germana la sera di quella vostra festa di fine anno, me lo ha confessato lei il giorno dopo, non lo sai?".
"Che...?!" strillo, fissandolo come se fosse impazzito. "Ma che dici?".
Leo annuisce, con aria grave.
"Sì, Germana è andata al letto con questo Dario la sera della festa, e per questo, più altre cose, ho deciso di lasciarla perdere... Mi ha deluso" rivela.
"No, Leo, scusami, quello che dici è impossibile, o forse si tratta di un altro Dario, voglio dire...".
"Era all'esame, stamattina?" chiede.
Annuisco.
"Prima ha risposto all'appello, prima che arrivassi, poi se ne è andato" dice semplicemente.
"No, non può essere! Lui... Non mi parla da due mesi, dopo che gli ho parlato di te e...".
"Ah, a lui l'hai detto" nota amaramente. "Mi hai fatto lasciare l'Italy senza salutarmi!".
"Il nostro saluto era stato perfetto, Leo! Che senso aveva dirti tutto? Non saresti tornato, perchè farmi odiare...".
"Intanto il karma ti ha fregato" m'interrompe, soddisfatto.
"Leo, ti prego, devo chiedere a Dario se...".
"Ti accompagno. Voglio vederlo in faccia. Me lo devi" mi fa notare.
Senza capirci più nulla, presa dal disgusto e dall'incredulità, annuisco, prendendo al volo le chiavi di casa e la borsa, facendogli segno di seguire.



"Sono giù da te, scendi!".
Invio rapidamente l'sms ed esco dall'auto, mentre Leo rimane dentro. "Per favore,non uscire e non fare nulla, rimani un nostro professore" dico a malincuore.
Lui annuisce.
"Lena?" chiede poi.
Lo invito a parlare con uno sguardo.
"Sul serio pensi che io ti abbia... Salvato?".
"Sì! Leo, te lo giuro, eri l'unica persona con cui potevo essere me stessa, senza essere vista come l'ex di Matteo che è sfigata e non riesce a farsi una vita, e mi hai aiutato a dimenticarlo, ad essere più sicura di me... Lo sai, non ho mai avuto una storia come la nostra e...".
"Va bene, vai" concede, sorridendo per la prima volta dopo tanto tempo.
Sorrido a mia volta, per poi allontanarmi ed attraversare la strada, verso il condominio che ha fatto da testimone a tanti momenti tra me e Dario e che ora mi sembrano più distanti che mai.
Dopo qualche istante, lo vedo uscire dall'edificio, con una faccia non proprio allegra e coraggiosa.
"Damiano ti ha detto tutto, immagino" dice, riuscendo a stento a guardarmi in faccia.
"Damiano? No! Leo mi ha detto che sei andato a letto con Germana. E' vero?" chiedo a bruciapelo.
Vedendolo colpito come non mai, mi viene solo da ridere, generando una risata falsa, priva di effettiva allegria, che cela tristezza.
"Rispondi!" strillo, sentendo i nervi a pezzi.
"Sì" rivela infine, a malincuore.
"Bene. Almeno io dopo due mesi ti ho detto di Leo, sono passati due mesi e tacevi ancora! Potevi entrare nel regno delle puttane e dei gigolò con me, ti pare?" urlo, sentendo una strana forza negativa invadere ogni fibra del mio corpo.
Per due mesi, quel "puttana" mi è eccheggiato nelle orecchie, facendomi sentire in colpa, non facendomi dormire la notte, ed ora ecco che scopro che lui non è stato da meno.
"Almeno io non ho fatto sesso con una che ho sempre disprezzato! "Ma no, Lena, non mi piace andare con una così, lo sai". Idiota! Io sarò cambiata, ma tu non sei da meno!".
"Lena, è stato uno sbaglio, è successo per caso...".
"Certo, ti sei trovato Germana nuda fuori casa e non hai potuto dire di no, vero?".
"Lena...".
"Mi hai mentito per due mesi come io ho fatto con te, anzi, ti sono superiore perchè te l'ho detto, e poi, tra tante, cazzo, proprio lei?!".
"Ero sconvolto dalla nostra litigata e...".
"Oh, anche io sono sconvolta dalla nostra litigata, quindi ora farò sesso col primo che mi trovo davanti, che dici?" lo prendo in giro, sprezzante.
Chiude gli occhi per la frustrazione, scuotendo il capo. "No! No! Ho fatto un errore, cazzo, me ne pento da mesi!".
"Ti rendi conto che da maggio ti ho lasciato i tuoi spazi, sperando che tu mi perdonassi prima o poi, mentre mi maledicevo per aver combinato un casino con uno dei migliori ragazzi esistenti? E poi scopro che ho perso tempo a comportarmi bene e a pensare solo remotamente a una nostra riappacificazione! Mi hai fatto sentire una cretina ma non sei meglio di me! Non te lo perdonerò mai!" urlo e, senza riuscire a trattenermi, gli dò un sonoro schiaffo sulla guancia destra, lasciandolo allibito.
Indietreggio, colpita dal mio gesto, coprendomi una bocca con la mano.
"Io... Scusa, scusa, non volevo, non è da me!" dico, impaurita da ciò che ho fatto.
Deglutendo, si passa una mano sulla guancia dolorante e mi guarda, impassibile. "Vorrei prendermi a schiaffi io da solo, ormai. Scusami, non dovevo, ho sbagliato a chiamarti così ma...Ci tenevo a te e...".
"Dovevi essere onesto con me, saresti stato superiore e probabilmente l'avrei accettato" sussurro, sforzandomi di non piangere.
"Abbiamo combinato un casino" commenta, ancora con la mano sulla guancia.
Annuisco, non sapendo più cosa dire o fare.
"Io... Ci vorrà del tempo prima che io possa perdonarti" ammetto.
"Lo so. E una parte di me è ancora arrabbiata con te" aggiunge, amareggiato.
"Sì, ma pensa ad essere arrabbiato anche con te stesso! Devi trovare il coraggio di esporre la verità, prima o poi! Tutte le cose che ci riguardano o le ho sentite senza volerlo o me le hanno riferite gli altri".
"Va bene, basta Lena, buona estate" commenta, salutandomi con la mano e correndo nel suo condominio, senza dire altro, lasciandomi lì come una scema, amareggiata da tutti i recenti avvenimenti.


"Ehi, Dami! Da quel che ho capito volevi dirmi di Dario e Germana... Il professor Scott ti ha battuto sul tempo, senza volerlo. Grazie, sei un vero amico!".

"Di nulla, dovere. Dovevi saperlo, no? E, comunque, appena hai tempo mi racconti tutto per bene... Brava la nostra Lena che ha avuto una storia col prof!".
Sorridendo amaramente per l'ironia di Damiano, ripongo il cellulare in tasca e ringrazio il cielo per il fatto che stasera il bar non sia per nulla affollato.
Poi, mentre mi dedico alla pulizia di un bicchiere con eccessiva enfasi, presa dal ricordo degli ultimi avvenimenti, mi ritrovo davanti, di nuovo, Leo, che entra con passo elegante nel bar, che si dirige con decisione verso il mio bancone.
"Ho trovato il modo per perdonarti".
E' serio, ma non arrabbiato.
E' enigmatico, ma divertito, e non capisco cosa sia potuto succedere in un giorno solo per fargli assimilare così bene la notizia che la sottoscritta gli abbia mentito da quando lo conosce.
"Cosa? Leo, riflettici, se sei un vero essere umano dovresti essere arrabbiato con me" gli faccio notare.
"Infatti non ho detto che ti ho perdonato già" dice, facendo l'occhiolino.
Sospirando, chiedendomi quanto sia strano quest'uomo e che cosa gli passi mai per la testa.
"Sarebbe?" chiedo, arrendendomi alle sue particolarità e curiosa allo stesso tempo.
Mi porge due biglietti e li posa sul bancone con cura, come se fossero preziosissimi.
"Devo andare ad un convegno a Londra tra una settimana, e un mio amico mi ha dato buca. Parti con me".



*Ecco cosa scrisse la Woolf a suo marito prima di suicidarsi:
« Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n'è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi. V. »
  
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