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Autore: meridian_hope    27/05/2014    1 recensioni
Questa è la mia prima vera storia che per motivi vari e mille peripezie è stata cancellata. Spero che vi piaccia .... Comunque tutto iniziò proprio così:
Buio. Guardo il cielo, niente luna e stelle, solo un immenso buio. Corro, sento che è tardi, troppo tardi. Devo riuscire a salvarlo nonostante tutto, altrimenti non potrei farcela a sopportare un altro dolore. Inciampo, cado, vengo graffiata dai rami, ma nulla può fermare la mia corsa. In lontananza sento delle grida. È tardi. Troppo tardi.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buona serata a tutti !!!!! Da questo capitolo in poi inizia la mia parte preferita della storia , spero che piaccia anche a voi :)
Se volete recensite e ditemi che ne pensate
PS. Se vi è qualche errore di battitura chiedo umilmente scusa
Un bacio



Congedateci da Georg, usciamo dalla tenda. Il sole non splende più alto nel cielo. La landa, infatti, è inondata dagli ultimi raggi del tramonto che tramutano ogni cosa in oro zecchino.
Prima di partire ci viene offerto un pasto molto semplice, ma a me pare divino: è da quando abbiamo lasciato Lavie che non mangiamo qualcosa di decente. Come prima portata ci viene proposto una specie di risotto in salsa di zucca, davvero eccelso, come seconda portata una specie di granchio che loro chiamano Khep con carote e per dessert una mousse di bacche molto simili a dei meloni ma molto più piccole con sciroppo di fiori di pesco. A farci compagnia durante questa cena con piatti così particolari, ci sono gli abitanti di questa piccola valle. La tavolata si protrae all’infinito, da quanta gente c’è, eppure sembra che tutti siano una grande famiglia che si riunisce a festeggiare il Natale. Ogni singola persona ci tratta in modo cordiale e ci fa sentire a casa. Al termine della cena Cory, il cantastorie e musicista della valle, prende uno strumento simile a un misto tra una chitarra e un’arpa. La bellezza dello strumento è paragonabile solo al dolce suono che produce. Mirta, la moglie di Cory ci spiega che quello strumento si chiama Holèlè ed è fabbricato con il legno delle betulle azzurre che si trovano al confine tra Zefir e Ceylon. Mentre il marito suona Mirta ci narra una leggenda legata a questo strano strumento. Essa parla di una comunità di donne che abitava nella foresta delle Betulle. Esse erano delle sacerdotesse votate alla Luna e protette dallo spirito del Rio Blu, proprio per questo motivo non potevano provare alcun sentimento tranne l’assoluta devozione verso i propri Dei. Ogni sera esse cantavano e danzavano in loro onore. Questa cerimonia era sacra e chiunque la interrompeva per qualunque motivo era punito con la morte. Una sera mentre le sacerdotesse conducevano il rito, un soldato, che faceva parte di un’armata che si era accampata lì vicino e che a causa di una forte insonnia aveva deciso di fare una passeggiata nel bosco, rimase abbagliato dalla bellezza di queste donne e in particolare di una. Ella si chiamava Hol. La sua pelle era candida come la luna e i suoi capelli erano lunghi, biondi e splendenti come filamenti d’oro. Ammaliato dalla sua bellezza e dal canto delle donne, interruppe il rito. Era un oltraggio e per questo fu condannato a morire annegato nel Rio Blu, un piccolo fiumiciattolo la cui acqua era talmente ghiacciata e fredda che nessuno poteva sopravvivergli. Il caso volle che il soldato fosse affidato a Hol. Ella doveva accompagnarlo al fiume e ucciderlo. Durante il tragitto verso il fiume Hol e Lèlè scoprirono l’amore. Lei che non aveva mai provato nulla del genere, se non la devozione, rimase incantata dalla bellezza di quel sentimento magico che le riempiva il cuore di gioia. Una cosa così bella non poteva essere distrutta, così una volta arrivati al fiume, Hol si sentì incapace di adempiere il compito affidatele. Ma il Rio Blu reclamava sangue, sangue dell’uomo che era stato condannato e aveva deviato una sua adepta. Hol coscente del pericolo ma accecata dall’amore decise di ingannare il fiume. Uccise un cervo bianco e lo condannò alle sue acque gelide. Pensando di essere riuscita a scampare così alla vendetta del Rio e delle sue compagne, Hol e Lèlè giurarono di vedersi l’indomani una volta che Hol avesse terminato i suoi compiti e le danze. Per un’intera settimana si videro di nascosto consumando il loro immenso amore. La battaglia per cui l’armata di Lèlè si era preparata, era però vicina. Lèlè fu costretto a lasciare il bosco e a dire addio alla povera Hol promettendole che una volta vinta la battaglia, egli avrebbe lasciato le armi e insieme sarebbero fuggiti. Con questa promessa Lèlè andò in battaglia. La lotta durò giorni e giorni ma la voglia di tornare dalla propria amata spinse Lèlè a combattere come mai aveva fatto nella propria vita. Sfortunatamente però lo spirito del Rio Blu che già da qualche tempo aveva scoperto l’inganno di Hol, decise di riprendersi quel sangue che da giorni doveva appartenergli. Lèlè morì trafitto da una lama di ghiaccio. Hol che da giorni attendeva il suo amato, la sera della prematura morte di Lèlè, si trovava al cospetto del Rio Blu ripensando ai bei momenti passati con l’amato quando vide nelle limpide e terse acque del Rio l’immagine del proprio amante che con sguardo triste la salutava. Hol capì che il fiume si era preso ciò che lei non gli aveva dato. Capì che non avrebbe mai più rivisto Lèlè. Così iniziò a piangere e a piangere. Il suo dolore si tramutò in una dolce melodia che rimase imprigionata nella terra e negli alberi circostanti. Il suo sangue versato per ricongiungersi all’amato perduto fu assorbito dal Rio che bagna l’intera piana delle Betulle. Così la leggenda vuole che il canto di Hol rimanga legato al legno e che una volta costruito lo strumento, il suo canto sia liberato attraverso la musica.
Tra la musica e la storia raccontata non mi sorprende di avere il viso inzuppato di lacrime.
Congedateci dal banchetto e dai nostri nuovi amici andiamo a riposare pronti per affrontare Luneè, pronti per l’ignoto, pronti per cercare di sfuggire alla morte un’altra volta, pronti o forse no per salvare Vajra.
 
Uscire dalla vallata è stato più semplice di quanto avessi mai ritenuto possibile: un passaggio tra due grossi massi e via verso l’uscita. Ora stiamo camminando infondo o meglio sul fondo della valle nella quale ci siamo buttati. Guardando in alto mi vengono i brividi pensando a che rischio saremmo andati incontro se quello che aveva detto Joel non fosse stato vero.
 Le alte mura si estendono all’infinito, chiudendosi sopra di noi come in una gabbia. Non abbiamo la più pallida idea di dove andare, ma dopotutto è giusto così no? Georg ha detto che per trovare Luneè ci dobbiamo perdere. Non penso sia complesso, sono in un immenso dedalo di rocce giganti tutte uguali, perdersi non sarà difficile. È poi trovare la strada del ritorno quello che mi preoccupa. Joel è ancora là, ancora incosciente. Prima di andarcene siamo andati a vedere le sue condizioni. Il suo respiro è migliorato, così come la ferita ma non ha ancora aperto gli occhi e questo mi fa preoccupare. Guardo David davanti a me che cammina a passo spedito verso il nulla. È proprio testardo, non si arrende mai. Gli osservo il braccio, è completamente scritto con inchiostro nero, come il mio del resto. È stata una precauzione necessaria. Georg ha detto che potevamo perdere noi stessi. L’unica cosa che ci è venuta in mente è scrivere almeno i nostri nomi e cosa stiamo cercando. Speriamo che basti.
«David ? »
«Si? »
«Ieri, quando eravamo da Georg ecco, lui ha detto che solo gli elfi e i discendenti dei Guardiani sanno usare la magia»
Credo che sappia già dove voglio andare a parare perché il suo respiro non è più lento e regolare e anche i suoi passi si sono fatti più rapidi come se volesse scappare da me e dalla risposta, ma non m’interrompe, mi lascia continuare:
« Tu sai usare la magia perciò mi domandavo, quale delle due sei? »
Non mi risponde subito. Io attendo, sperando che per una volta sia sincero con me. Poi quando ormai sono certa che non mi dica nulla a fil di voce sussurra quasi impercettibilmente «Nessuno dei due».
Mi soffermo a pensare su quanto ha detto, quando sento il rumore dell’acqua che scorre. Quant’è bello il suo suono dolce e melodioso, ma soprattutto rilassante. Mentre vago mi lascio trasportare da questa musica. Il labirinto sembra finito e il fiume è a pochi passi da noi. Aspetta io e …Ma dove sono? Chi sono? E quel bel ragazzo che è con me chi è? Cerco di ricordare ma nulla. La mia mente è vuota, non so neanche come mi chiamo, che cosa sono. Magari lui lo sa. Proviamo a chiederglielo.
«Scusa, sai dove siamo? »
Quello mi guarda con sguardo sperduto. Ha proprio dei begli occhi, neri e profondi. Guardandolo bene mi sembra di conoscerlo ma non mi ricordo per quale motivo.
«Mi dispiace no. Mi sono trovato qui per caso. Tu chi sei? »
Sconfortata, gli rispondo «Non ne ho la più pallida idea, non mi ricordo nulla. E tu? »
«Zero»
Ci guardiamo attorno, io e lo sconosciuto, con evidente imbarazzo. Siamo soli e non sappiamo neanche perché.
Il tipo mi guarda e si avvicina. Che cosa vuole adesso?
«Ehi hai il braccio tutto scritto, cos’è un tatuaggio? Che cosa stupida! »
«Guarda saputello che per tua informazione anche tu hai il braccio scritto» gli dico metà tra lo spaventato e l’eccitato.
Che strano.
«Riesci a leggere? » chiedo porgendogli il braccio. La posizione del tatuaggio, come lo chiama lui non mi permette di leggere bene cosa ci sia scritto.
«Sì. C’è scritto Selene, che bello magari è il tuo nome». Appena lo legge sento che mi appartiene e ha ragione è proprio un bel nome « e poi c’è scritto “cercare città per trovare lacrima”, non so cosa significhi».
Ci penso un po’ su e poi gli rispondo « Forse per questo motivo siamo qui, trovare questa lacrima e la città. Ma sul tuo braccio che cosa c’è scritto? »
«Prova a leggere» dice porgendomi il suo braccio perfetto e muscoloso. «David, tornare indietro solo una volta trovata la lacrima per salvare il mondo. Credi che David sia il tuo nome? »
«Non lo so, sentendolo mi sa di familiare ma non proprio … va bè lascia stare, qualcosa mi dice che se ho scritto David mi chiamo così. Bene ora che sappiamo almeno chi siamo o meglio sappiamo i nostri nomi. Come troviamo questa lacrima così importante? »
Un po’ distratta gli rispondo « Magari dobbiamo trovare questa città e lì c’è la lacrima»
«Va bene cerchiamo questa città»
Ci avviciniamo al fiume, la sua acqua è oro liquido che scorre velocemente producendo un suono melodioso che mi ricorda qualcosa, anche se non so cosa. È una sensazione proprio snervante non sapere nulla e muoversi alla cieca.
La città che cerchiamo non è difficile da trovare. Dall’altra parte del fiume, infatti, tra una dolce bruma dorata si scorgono palazzi di topazio, oro e diamante.
«David dobbiamo attraversare il fiume? »
«Penso di si, ma qualcosa mi dice che è una brutta idea»
«Già anche a me sembra una cattiva idea, non so ho la sensazione »
«Che sia una trappola» mi completa David.
«Esatto. Perciò che facciamo? Secondo me anche andare con una zattera, è una brutta idea»
«Possiamo provare ad arginarlo, però non so quanto tempo ci vorrà»
«È la nostra unica possibilità. Facciamolo»
Così io e lo sconosciuto carino David, seguiamo il fiume sperando di trovare un modo per superarlo senza attraversarlo troppo da vicino.
Dopo parecchie ore, la fortuna gira dalla nostra parte. Un grosso ponte in topazio sovrasta il fiume a un’altezza davvero impressionante. Come se non bastasse il topazio, per renderlo così prezioso, esso è decorato con quattro colonne imponenti: due all’inizio e due alla fine. Le colonne anch’esse di topazio sono impreziosite da un rampicante completamente d’orato e da fiori di gemme di rubino. Alle sommità delle colonne si trova una sfera in diamante puro che risplende baciata dal sole. Incantati da tanta magnificenza e certi che nulla avrebbe mai potuto battere la spettacolarità del ponte, lo attraversiamo. Oh, ma quanto ci sbagliavamo. La città che sorge sull’altra sponda del fiume dorato è almeno un miliardo di volte, più bella e preziosa. Case, palazzi, ville e castelli brillano come diamanti toccate dai raggi morenti del sole. La loro costruzione è un misto tra bizantino, barocco e rococò. Passeggiando per la via principale si possono vedere case affrescate con dipinti d’oro, smeraldo, rubino, ville ricoperte da motivi floreali in rilievo anch’essi di pietre preziose e castelli d’oro zecchino e topazio con spettacolari fontane in cristallo che sputano l’acqua orata e tintinnante del fiume al cui centro sono poste statue di madre perla che ritraggono una donna dall’aspetto incantevole e raffinato e delle coppie di innamorati altrettanto affascinanti. Sbalorditi camminiamo senza meta con la bocca spalancata e il naso all’insù come due perfetti idioti.
Calata la sera, decidiamo di trovare un rifugio. Tutte le case sono completamente chiuse e disabitate così come le ville e i palazzi. L’unico posto che pare abbia un’entrata aperta è il posto meno bello di tutta la città, ma non per questo meno particolare. È una casetta diroccata, la cui forma ricorda vagamente un occhio con le estremità tagliate. È per metà composta di madre perla e per l’altra metà sembra fatta di carbone lucido. Entriamo, ormai fuori è completamente buio come la stanza in cui ci troviamo del resto, non avendo alcuna candela per illuminarla. Ci sdraiamo stanchi morti sul pavimento freddo sperando che la mattina arrivi il più presto possibile.
«Faccio prima io il turno di guardia» mi dice David.
«Grazie» gli rispondo e mi metto su un fianco cercando di prendere sonno. Mi è impossibile così mi alzo e mi avvicino a David.
«Se vuoi, la faccio io la guardia … non riesco a dormire»
«Neppure io se per questo, questo posto mi mette i brividi»
Sto per rispondergli che anch’io sono terrorizzata quando si sente un rumore. Qualcuno che piange. Un uomo. Okay, ora posso morire da quanto ho paura.
«Che … Che cos’è David? »
«Non lo so e non voglio scoprirlo»
Si sente ancora, solo più forte. Inconsciamente ci troviamo abbracciati. Rimaniamo così per tutta la notte, in attesa del nuovo mattino che non solo significherà la fine del buio ma anche la scoperta di cosa ha prodotto quei singhiozzi per tutta la nottata. Tra le sue braccia mi sento protetta, come se nulla mi possa scalfire. Sento di non essere sola in questo buio e in questa città morta, dove l’unico segno di vita è un pianto misterioso e terrificante. Forse per questo motivo, per sapere che c’è qualcuno di vivo, anche David si appoggia al mio petto. Per sentire i nostri cuori palpitanti che battono all’unisono nel silenzio dell’oscurità.
  
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