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Autore: Leo96    27/05/2014    4 recensioni
Esiste madre natura? C'è davvero qualcuno capace di dominare la natura? Forse. Ma se in realtà la natura fosse più forte dell'uomo? Siamo sicuri che sia la natura a farsi dominare e non il contrario? Gli uomini hanno parlato a lungo del rapporto con l'ambiente circostante e, sin dall'antichità, i filosofi hanno discusso a proposito di quello che rappresentano il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra. Perché parlarne? Beh, siamo sempre curiosi verso ciò che non si conosce, no? Ricordiamoci solo che la natura rimarrà sempre qualcosa da...temere.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce del sole filtrava dalle sottili fessure presenti nelle persiane e andava a colpire il letto, situato dalla parte opposta della camera. Gli occhi di Sarah si schiusero piano e gioirono all’idea di cominciare una nuova giornata. Sebbene fosse ancora assopita, allontanò il sottile lenzuolo, che in quei tre mesi d’estate era stato la sua unica coperta, appoggiò i piedi sul pavimento ghiacciato e, senza curarsi del fatto di essere scalza, si diresse direttamente in bagno.

Si fece una doccia il più velocemente possibile, in quanto aveva sempre detestato tutto ciò che fosse umido. Perse decisamente molto tempo davanti allo specchio, tentando di rendere la sua chioma meno selvaggia. Dopo vari tentativi riuscì finalmente nell’impresa, ottenendo una precisissima cascata di capelli neri come la pece. Non si truccò minimamente, preferendo rimanere naturale, mostrando la sua carnagione leggermente più scura della norma. Tornata nella sua stanza, mise a soqquadro l’armadio, nella speranza di trovare quella divisa scolastica, quasi dimenticata. Finita la ricerca, la indossò. Non era brutta come la maggior parte delle divise. Rimaneva sul bianco e blu e si componeva di una gonna per le ragazze e di un paio di pantaloni per i ragazzi. Per entrambi i sessi, poi, una giacca e un gilet accompagnavano completavano il completo.  Finalmente si considerò pronta. Pronta per il primo giorno di scuola del quarto anno di liceo. Da quando si era trasferita dall’Inghilterra in Italia, strano a dirsi, ma la sua carriera scolastica era migliorata. Non temeva i compiti e le interrogazioni e, grazie al cielo, sua madre non era stressante e non pretendeva chissà quali risultati. In compenso se c’era qualcuno di ambizioso era proprio la stessa Sarah. Prendeva tutto come una sfida, come una gara personale. Prima di scendere a fare colazione decise di rilassarsi due secondi, fumando una sigaretta vicino alla finestra. Prese il suo pacchetto di Marlboro Light e aprì l’anta della finestra. Una folata di vento entrò nella stanza. Il tempo non era dei migliori. Pioveva, pioveva forte. Fu grazie al fumo che la ragazza manteneva nei polmoni che Sarah non ebbe freddo e la sua espressione non divenne triste. Odiava con tutta se stessa i temporali. Quattro anni prima suo padre aveva fatto un incidente in autostrada ed era morto sul colpo. Tutti arrivarono alla conclusione che probabilmente l’uomo non vedesse bene a causa della pioggia fitta. Fu per questo motivo che Kristen, la moglie, aveva deciso di trasferirsi in Italia. Lì sarebbe riuscita a continuare meglio la sua vita, lontana dal paese che aveva visto morire il suo grande amore.

 

Arrivata al piano di sotto, Sarah si diresse in cucina per fare colazione. Non era più abituata ad alzarsi così presto e, per questo motivo, preferì prendere un semplice yogurt accompagnato da due caffè lunghi. Se c’era una cosa che non le mancava, questa era il caffè annacquato inglese. Non c’era niente di meglio dell’espresso italiano.

-Oh tesoro, già sveglia?- esordì la Kristen, mettendosi anche lei seduta al tavolo.

-Purtroppo…ho preferito svegliarmi ancor prima del necessario, perché, se riesco, vorrei poter arrivare a scuola un po’ prima. Lo sai che odio arrivare proprio puntuale.-.

-Ah si…capisco. Sei pronta per il nuovo anno?-.

-Non lo so, lo spero vivamente.- rispose la ragazza, mettendosi una mano davanti alla bocca per non rendere partecipe la donna davanti a lei del suo sbadiglio.

-Dai, stai tranquilla.- rispose la madre.- In fondo hai fatto tutto ciò che dovevi nell’estate! E poi siete ragazzi e sai come la penso…è inutile e controproducente sovraccaricarvi di lavoro.-.

-Già…ora che ci penso non ho nemmeno chiesto ad alcuni compagni di classe come siano andati loro gli esami di riparazione a settembre…-.

-Ma Sarah sono tuoi compagni!-.

-Lo so, ma me ne sono dimenticata! Mi farò perdonare facendoli copiare un poco…- rispose ovvia la ragazza, forte della propria convinzione.

-Sei incorreggibile…- disse sorridendo.

-A pranzo sono sola?-.

-Eh si amore, mi dispiace, ma devo lavorare all’ospedale anche in pausa pranzo per recuperare dei turni! Vuoi che ti lasci qualcosa già preparato che devi solo riscaldare?-.

-Tranquilla! Comunque si…mi faresti un favore, sai che io ed i fornelli facciamo a botte ogni volta.- confessò.

-Ok, non ti preoccupare, ci penso io. Adesso è meglio che tu vada se davvero vuoi arrivare in anticipo!-.

Sarah seguì il consiglio della madre e si accinse a prendere le tazzine sporche per metterle nell’acquaio.

-Tesoro, ci penso io! Vai pure. Due tazzine le so ancora lavare, eh!- la interruppe Kirsten.

La figlia sorrise e corse al piano di sopra a prendere la cartella ed un ombrello.

 

Appena uscita di casa si fermò sul pianerottolo, sperando in questo modo di essere riparata dalla pioggia, e estrasse dallo zaino le sue amate cuffiette. Amava rintanarsi nella musica e in quel mondo che quelle note musicali sapevano crearle intorno. Era uno dei suoi modi preferiti di rilassarsi…dopo una bella sigaretta, ovviamente. Tuttavia si vergognava un po’ dei suoi gusti musicali. Era consapevole dell’appiattimento culturale e sociale che vigeva in quell’epoca e, soprattutto, alla sua età. Ormai la musica commerciale era vista come una dea e tutto il resto veniva considerato insignificante. Sarah non disprezzava la musica pop, tuttavia non era questa ad essere capace di trasmetterle vere emozioni. Per questo motivo e per difendere il suo carattere forte, che altrimenti sarebbe stato messo in dubbio, si fingeva superficiale davanti alla maggior parte delle persone. 

La verità era che si struggeva al solo udire una sinfonia di Beethoven o un improvviso di Schubert. Qualunque cosa fosse musica classica le faceva infiammare l’animo. Tuttavia Sarah aveva trovato il metodo per esprimere questo suo lato, unendolo a quello competitivo. Praticava da anni ormai ginnastica ritmica e ciò le permetteva di esibirsi in gare in cui il sottofondo, normalmente, poteva essere deciso dalle partecipanti. Inutile dire su cosa ricadesse spesso la scelta. 

La strada per il liceo non era troppo lunga, ma Sarah era solita percorrerla in fretta, in quanto i suoi piedi si muovevano a tempo di musica. Sì, probabilmente se qualcuno l’avesse fissata mentre camminava l’avrebbe ritenuta schizofrenica per gli innumerevoli cambi di andatura. 

Mentre stava accelerando il passo per seguire il ritmo teneva con una mano l’ombrello e, intanto, si osservava i piedi e le scarpe, che si stavano lentamente inzuppando di acqua. Sbuffando imprecava, visto che le aveva comprate da poco tempo e, inoltre detestava arrivare a scuola, o in qualsiasi altro luogo, con i piedi bagnati. Era talmente occupata a pensare alle future ora che avrebbe dovuto passare seduta ad un banco con i piedi immersi in una piccola piscina, che non si accorse di dove stava andando e, inevitabilmente, andò a sbattere contro qualcuno.  Per fortuna nessuno dei due cascò per terra, anche perché sarebbe stato un guaio considerando le numerose pozzanghere.

-Scusa…- disse il ragazzo, imbarazzato per l’accaduto, mettendosi una mano dietro la testa, segno di nervosismo. 

-Ma non guardi dove vai?- sbuffò Sarah.- Rischiavi di farmi sporcare completamente!-.

-Hai ragione…non ero attento a dove andavo…davvero, mi dispiace.-

-Non fa niente, tanto di gente incapace e distratta ce n’è a volontà, no?- rispose scorbutica. -Ti saluto.-.

Dettò ciò Sarah riprese a camminare per la sua strada, senza aspettare nemmeno la replica del suo interlocutore.  Non avrebbe mai aspettato una risposta da una persona che non aveva nemmeno il coraggio di difendersi. Era palese che la colpa non fosse di quel ragazzo, ma sua. Eppure la sua voglia di affermazione e la sua tenacia avevano prevalso anche questa volta su un carattere più debole del suo. Però, al di là di tutto, Sarah non era riuscita a sorvolare sulla bellezza oggettiva di quel ragazzo. 

Alto abbastanza, con un viso marcato da lineamenti ben precisi, una barbetta un po’ incolta che rendeva il tutto più adulto e un paio di occhi capace di togliere il fiato ad un comune mortale. Come era possibile avere due gocce di oceano anziché due occhi? Si dice che questi siano la porta dell’anima, una finestra sul cuore. In questo caso no. Quello sguardo nascondeva un abisso ancora inesplorato e selvaggio, un mondo interiore da poter fare paura. 

Finalmente Sarah arrivò al suo liceo. Un grande edificio ottocentesco sviluppato su tre piani, il primo dei quali contornato da un porticato, delimitante il cortile, al centro del quale erano situate alcune panchine per permettere agli studenti di passare le ore di buco all’aria aperta. Sarah aveva scelto, a dir la verità, quella scuola semplicemente per l’estetica. Era inevitabile rimanere stupiti, visto che sembrava forse più un’università. Se avesse saputo fin da subito della severità dei professori, probabilmente non avrebbe mai presentato l’iscrizione. Ma ormai c’era dentro e non avrebbe mai ammesso una sconfitta. Le faceva fatica studiare, ma la voglia di sentirsi soddisfatta era tanta da darle la forza per essere una delle migliori della classe. La campanella suonò e tutti i ragazzi iniziarono a correre per poter entrare per primi e prendere i posti più vantaggiosi nelle aule. Sarah continuava a camminare al suo passo variabile, forte della convinzione di trovare più banchi liberi per lei, visto che spesso i suoi compagni facevano di tutto, pur di copiare da lei. Inevitabilmente si creò un ingorgo davanti alla porta. 

-Ma guarda chi c’è!- esclamò un ragazzo, rivolgendosi palesemente a Sarah.

Quest’ultima mosse a malapena la testa per rendersi conto di chi si trattasse, poi, quasi a fatica, rispose - Ciao Matteo.-.

-Non contenta di tornare a scuola, eh? Beh ti capisco, nessuno ne ha voglia…- domandò lui, convinto di poter veramente iniziare una conversazione.

-Oh no, non è questo.- affermò Sarah, con un tono che non mostrava particolare espressività. -Forse non ho semplicemente voglia di rivedere gente come te.- continuò, mettendosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e fulminando lentamente con lo sguardo Matteo.

-Ti trovo troppo scontrosa…altrimenti avrei fatto un pensierino su di te- affermò il ragazzo, utilizzando la sua posa conquistatrice, a detta sua infallibile.

-Pensa un po’…io ti trovo del tutto inopportuno.-.

-So che in fondo mi vuoi bene.- insistette lui, mentre ormai si dirigevano insieme verso la classe.

-Attento a non confonderti, potresti farti male.-.

-Ma se mi aiuti sempre durante i compiti!- esclamò Matteo, accorgendosi subito dopo di averle alzato una palla, che lei non avrebbe temuto di schiacciare.

-Vedi, lo sapevo…fai confusione. C’è differenza tra affetto e pietà, adesso lo sai!- troncò il discorso Sarah, entrando in classe, seguita dal suo accompagnatore, rimasto piuttosto male per la risposta ricevuta. Come previsto erano stati lasciati più posti liberi, ma Sarah non esitò nemmeno un secondo e si mise a sedere accanto alla sua migliore amica, Elena. Si conoscevano da anni ormai e avevano condiviso molte esperienze, che avevano contribuito alla loro crescita. Probabilmente Elena era l’unica persona alla quale Sarah teneva davvero, sebbene fossero due persone agli antipodi, non solo nel carattere, ma anche nel fisico. Ai colori scuri di Sarah si opponevano i capelli biondi e gli occhi verdi di Elena. Eppure quelle due sembravano davvero legate…solo con lei Sarah aveva abbandonato il suo comportamento acido e aggressivo.

La professoressa di italiano, la signora Bardi, entrò in classe. Non perse nemmeno tempo a salutare gli alunni o a fare loro domande su come fossero andate le vacanze estive. Era normale che non le importasse, cosa pretendere da una zitella che passa i propri giorni liberi a fare parole crociate? Da un lato bisognava capirla. Non era un fenomeno di magrezza ed era complicato definirla giovane. La pelle sottostante il mento aveva cominciato a cedere, eliminando così i lineamenti del collo. Sul naso erano perennemente situati un paio  d’occhiali da vista con le lenti rettangolari, fondamentali per rendere il tutto leggermente più severo. Quando la trovavi al supermercato era una donna alla mano, con la quale potevi facilmente scambiare due parole e, addirittura, fare qualche risata, mentre si dimostrava una vipera a scuola. Non voleva sentir messo in discussione il proprio metodo di insegnamento, che veniva imposto quasi come una tortura. 

-Sarah Anderson!- urlò la professoressa, alzando lo sguardo dal registro di classe, per poter individuare da dove sarebbe provenuta la risposta.

-Presente!- disse Sarah, colta alla sprovvista, perché troppo impegnata a parlare con la propria compagna di banco. 

Dopo aver finalmente concluso di fare l’appello ed essersi lamentata per la quantità di lavoro da svolgere durante quell’anno scolastico, la signora Bardi si alzò lentamente dalla cattedra ed estrasse dalla sua cartellina viola prugna una serie di fogli che iniziò a distribuire.

-Bene, ragazzi! Questa vuole essere una specie di prova d’ingresso per vedere se i vostri neuroni sono tornati dalle vacanze o se li avete persi per sempre.- dichiarò con quella sua voce stridula.

-Ma professoressa…- cercò di intervenire un ragazzo.

-Niente ma, ci siamo intesi?!- lo bloccò immediatamente l’isterica.

-E’ il primo giorno di scuola!- affermò sconcertato un altro allievo.

-Volete tutti un quattro sul registro per inaugurare l’anno?- domandò ironica, aspettandosi una risposta, che, ovviamente, non arrivò.

-Bene, vedo che avete capito. Se qualcuno di voi alza lo sguardo per cercare di copiare, lo butto fuori dall’aula.- continuò.

-Ma che abbiamo fatto di male?- sussurrò Elena. -Ma perché non si iscrive ad un sito di incontri su internet e la smette di sfogare la sua frustrazione su di noi?!-.

-Abbiamo scelto questa scuola e forse questa è la colpa peggiore.- rispose altrettanto sottovoce Sarah. -Ma l’hai vista? Chi la sopporterebbe mai in una relazione?-.

-Buon lavoro a tutti.-.

La voce della professoressa che annunciava l’inizio della verifica riportò in fretta il silenzio e tutti gli alunni impugnarono la loro penna per cominciare il tema.

Sarah girò il foglio situato sul suo banco e lesse quelle due righe scritte che dovevano essere il titolo.

 

“Il ruolo della natura nella vita dell’uomo attraverso i secoli.”

Per svolgere il tema attingi dalle tue conoscenze in ambito letterario e, eventualmente, anche a quelle di altre materie (personalmente consiglio filosofia).

 

Il volto di Sarah sbiancò in nemmeno due minuti. Odiava questi titoli generici, che non facevano altro che complicare le idee. Parlare della natura? Fare un tema su questo è assurdo! E’ uno di quegli argomenti di cui puoi scrivere un libro o anche semplicemente una frase. Inoltre Sarah non aveva particolare voglia di parlare di ciò, perché le montava la rabbia abbastanza facilmente. Cosa c’è da dire sulla natura nel mondo moderno? Che non esiste? L’uomo ormai vede il verde solo come un nemico da abbattere, un nemico che si oppone al dominio industriale. Le aree verdi sono diventate un fenomeno più unico che raro. Non dovremmo preservare le foreste, i cosiddetti polmoni della Terra? Ovviamente no. La cosa più importante è costruire palazzi su palazzi e ottenere tutta l’energia possibile, trascurando ampiamente i problemi ai quali il pianeta può andare incontro.

Così Sarah decise di seguire solo parzialmente le indicazione e trasformò quel tema in qualcosa di tremendamente attuale. Non le importava se avesse preso un brutto voto, visto che si trattava dell’inizio dell’anno, ma sentiva la necessità di esprimersi a proposito di questo problema, ormai snobbato da tutti, perché ritenuto futile. 

Mentre era intenta a scrivere il suo testo, presa da una rabbia e da un odio profondo contro il genere umano intero, e la sua penna si muoveva veloce su quelle pagine bianche che al passaggio della sua mano divenivano macchiate di inchiostro, il rumore della campanella attirò l’attenzione di tutti. Non era il fatto in sé per sé , quanto il numero di suoni. Erano tre. Questo era l’allarme di sicurezza, che indicava il dovere di uscire all’istante dall’edifico scolastico. Il primo pensiero di molti fu quello che si trattasse di una simulazione, ma il mancato avviso e le grida che si udivano nei corridoi bastarono a sfatare questa ipotesi. 

Sarah si guardò velocemente intorno per studiare bene l’attenzione e capire come comportarsi. I suoi compagni erano totalmente impauriti ed alcuni avevano già provveduto a scappare. 

-Ragazzi, svelti! Lasciate tutta la roba qui! Niente è più importante della vita!- gridò la professoressa in preda ad un attacco di panico. Eppure quella era la prima volta che Sarah concordava con lei. Tutti cominciarono ad uscire svelti, sebbene nessuno seguisse quelle istruzioni che venivano insegnate sin dalle elementari. Alcuni semplicemente camminavano veloci, altri correvano. Nell’incredibile flusso di gente, le mani di Sarah ed Elena si separarono. Dopo aver perso il contatto con la sua amica, Sarah si bloccò.

La folla le passava vicino, la spingeva di qua e di là, alcuni le gridavano di spostarsi, ma lei rimaneva ferma. D’un tratto prese una decisione inaspettata: si voltò e andò a cercare il luogo del presunto incidente. Non fu difficile individuarlo, in quanto vide uscire da una stanza del fumo nero, simbolo di un incendio. Quella era l’aula di chimica. Non fu dunque difficile capire cosa fosse accaduto. Sarah varcò la porta e, per la seconda volta, non fu più capace di muoversi. I suoi sensi si erano come risvegliati a quella vista. L’udito era pronto a catturare lo sfrigolio dei mobili bruciati, l’olfatto a percepire il tipico odore nauseante ed il gusto già assaporava l’adrenalina. Le fiamme divampavano feroci all’interno della stanza, ma lei non aveva paura. Il suo non era uno sguardo di terrore, le sue mani non tremavano per la paura, ma i suoi occhi ardevano di passione e i suor arti fremevano per l’eccitazione. Quello che si trovò davanti fu per lei sublime. Il fuoco, indomato dall’uomo, si trovava a pochi metri da lei, eppure lei era irrazionalmente affascinata. La spinta distruttiva di quelle lingue di fuoco aumentava sempre di più, ingoiando tutto ciò che ostacolasse il suo cammino. Ad un tratto però sentì un lamento provenire da poco lontano. Cerco di trovare chi avesse emesso quel gemito strozzato, fino a quando non individuò accovacciato per terra un ragazzo, vestito con quello che un tempo doveva assomigliare ad un camice bianco. 

Subito, senza nemmeno pensarci, Sarah tentò di avvicinarsi. Una provetta connettente qualche sostanza chimica scoppiò ed una vampata inghiottì il ragazzo. Sarah, spaventata, rimase impietrita, ma, dopo aver visto che il ragazzo era ancora vivo, il suo cuore riprese a battere normalmente. Quando finalmente si trovarono a pochi centimetri di distanza i due si riconobbero. Era quel ragazzo contro il quale Sarah era andata a sbattere quella mattina. 

-Ehi, stai bene?- domandò la ragazza, cercando di utilizzare un tono sbrigativo. Adesso voleva andarsene.

-Non riesco a muovermi…- confessò il ragazzo, in un lamento quasi soffocato.

-Non ci voleva, dove ti fa male?- chiede Sarah, appoggiandosi sulle ginocchia.

-Da nessuna parte…- rispose il ragazzo.

-Mi prendi in giro? Non mi sembra il caso, lo capisci vero?-.

-Ho paura, mi sento come immobilizzato.-.

A quelle parole il cuore di Sarah si sciolse, capendo la situazione. Del resto era normale avere paura. Quel ragazzo le fece improvvisamente tenerezza.

-Ehi, come ti chiami?-.

-Vuoi sapere il mio nome adesso?- disse stupito lui, guardandola con quegli occhi densi di sentimento.

-A quest’ora me lo avresti già detto… Preferisci che ti chiami “Colui che non guarda dove andare”?- domandò retorica Sarah, accennando un sorriso.

-Sono Marco…- dichiarò infine.

-Bene, piacere. Io sono Sarah. Ti prego fidati di me, dobbiamo andarcene in fretta se non vogliamo morire asfissiati.-.

-Hai ragione…-.

A quel punto Sarah si fece coraggio e prese la mano del ragazzo nella sua per infondergli sicurezza. Nel momento in cui si toccarono una scarica di repulsione attraversò il loro corpo, come se si trattasse di un polo negativo al contatto con uno positivo. Dopo essere riusciti ad uscire dal laboratorio di chimica iniziarono a correre. Mentre attraversavano i corridoi Sarah osservava attentamente Marco. Sembrava stesse recuperando la sicurezza e le forse, ma non era questo a catturare la sua attenzione. Sul corpo del ragazzo non era presente nessun segno di ustione o una qualche ferita. 

Quello però non era il momento di fare domande o di mettersi ad indagare su questioni mediche o scientifiche. Finalmente riuscirono ad arrivare alla porta d’ingresso. 

Nel cortile erano radunati tutti gli alunni della scuola, raggruppati a seconda della classe.

I pompieri erano già arrivati e si apprestavano ad entrare nell’edificio per mettere fine a questo incendio. 

I due ragazzi si separarono ed ognuno andò dai propri compagni. La professoressa Bardi aveva le lacrime agli occhi per lo spavento e, non appena vide Sarah, le si avvicinò. Dopo un breve rimprovero, fatto più per dovere che per piacere, si assicurò che la sua alunna stesse bene e le sorrise sinceramente. 

Sarah non fece in tempo nemmeno a rispondere che si trovò le braccia di Elena strette al collo, mentre la sua amica le piangeva sulla spalla.

-Stai bene?- domandò Elena, in preda alle lacrime.

-Oh…si, stai tranquilla!-.

-Mi hai fatto preoccupare… Quando ti ho persa tra la folla e non ti ho più vista arrivare ho temuto il peggio!-.

-Mi sono semplicemente fermata un po’ e poi sono andata a soccorrere un ragazzo?- spiegò Sarah, sebbene fosse ancora un po’ distratta.

-Chi?-.

-Quello che indossa ancora il camice da laboratorio bruciato!-.

-Santo cielo…è stato l’incendio a ridurre il camice così?- chiese l’amica, tirando su con il naso e cercando di arrestare il pianto, visto che ormai si era tranquillizzata.

-Già… fa effetto vero?-.

-Ma scusa…lui non ha neanche un segno?-.

-Non lo so… ci ho pensato anche io. Deve avere avuto veramente tanta fortuna, poteva andare decisamente peggio.- sibilò Sarah, mentre con lo sguardo scrutava da lontano Marco, cercando di individuare una minima bruciatura.

-Ragazzi, vorrei la vostra attenzione!- urlò il preside, in piedi al centro del cortile.

Tutti fecero silenzio e aspettarono che il dirigente scolastico parlasse.

-I pompieri sono riusciti a spegnere facilmente il fuoco, che, per fortuna, era circoscritto solo alla zona dei laboratori del primo piano. Mi hanno informato che si pensa che l’incendio sia stato causato da qualche esperimento riuscito male nell’aula di chimica, anche se non sono state trovate le cause effettive. Sono contento di sapere che non ci sono feriti e che state tutti bene. Purtroppo sono costretto a chiudere la scuola per una settimana per poter garantire nuovamente la sicurezza. Prendete questi giorni come una breve continuazione delle vacanze estive.-.

 

  
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