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Autore: Astrid Romanova    29/05/2014    2 recensioni
Sei su una strada dritta, l'asfalto è bagnato, i negozi e i bar lungo la via sono tutti uguali e non ti interessano. Non ti interessa nemmeno non sapere dove stai andando perché, ammettilo, non lo sai. Non sei uscito di casa per andare da qualche parte, sei uscito per perderti. Vuoi finire chissà dove, abbastanza disperso e abbastanza lontano da non sapere più come tornare indietro.
Tanto non sai nemmeno più se ce l'hai una casa.
Una volta le hai detto che era lei la tua casa. Non eravate sotto le stelle né, tanto meno, reduci da una notte particolarmente passionale.
Eravate su una panchina anonima, il cielo era grigio e persino l'erba sotto le vostre scarpe sembrava essere opaca. L'unica nota di colore era la sua maglietta larga – davvero troppo larga per lei – di un viola acceso, che faceva sembrare ancora più bianca la tua polo sgualcita. Vi eravate trovati lì per salutarvi perché tu saresti dovuto partire, quella sera, tornare a casa dai tuoi genitori per le vacanze di Natale. Come al solito eri in ritardo mentre lei ti aspettava, seduta, fumando una Chesterfield Blue.
Genere: Drammatico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   Sei su una strada dritta, l'asfalto è bagnato, i negozi e i bar lungo la via sono tutti uguali e non ti interessano. Non ti interessa nemmeno non sapere dove stai andando perché, ammettilo, non lo sai. Non sei uscito di casa per andare da qualche parte, sei uscito per perderti. Vuoi finire chissà dove, abbastanza disperso e abbastanza lontano da non sapere più come tornare indietro.
   Tanto non sai nemmeno più se ce l'hai una casa.
   Una volta le hai detto che era lei la tua casa. Non eravate sotto le stelle né, tanto meno, reduci da una notte particolarmente passionale.
   Eravate su una panchina anonima, il cielo era grigio e persino l'erba sotto le vostre scarpe sembrava essere opaca. L'unica nota di colore era la sua maglietta larga – davvero troppo larga per lei – di un viola acceso, che faceva sembrare ancora più bianca la tua polo sgualcita. Vi eravate trovati lì per salutarvi perché tu saresti dovuto partire, quella sera, tornare a casa dai tuoi genitori per le vacanze di Natale. Come al solito eri in ritardo mentre lei ti aspettava, seduta, fumando una Chesterfield Blue. Anche la prima volta che l'avevi vista ne aveva una tra le dita, seduta contro un albero di fronte alla sede principale della facoltà che, miracolosamente, frequentavate entrambi. Era il tuo primo giorno ed eri certo che sarebbe stato un'inferno, perché non conoscevi nessuno, perché eri in una città sconosciuta, perché eri il tipo di studente che stava sempre sul cazzo ai professori. Ma lei era lì e aveva quella sigaretta e ti sembrava così normale, così familiare, che capisti che ti serviva solo un po' di tempo per abituarti.
   Era stato bello ritrovarla in alcuni dei corsi che tu stesso frequentavi. Quel primo giorni notasti che era seduta molto lontano da te, in aula. Il giorno dopo ti avvicinasti di un posto. Il giorno dopo ancora di un altro posto, e così il giorno seguente. E ancora, una lezione dopo l'altra, finché non riuscisti a prendere posto accanto a lei. Dio, ci avevi messo più di un mese.
   Glielo raccontasti, mentre eravate seduti su quella panchina, mentre lei aspirava e buttava il fumo fuori dalla bocca senza alcuna regolarità. Gli dicesti che ti ci era voluto più di un mese per arrivarle di fianco e poterle parlare.
   Lei aveva riso, ma lo avevi visto dai suoi occhi che in realtà era lusingata. Poi ti aveva dato un bacio e aveva detto che aveva un regalo per te. Aveva spento la sigaretta e tirato fuori dalla borsa un pacchetto, dicendoti di non aprirlo prima del giorno di Natale. Era piccolo, delle dimensioni di un pacchetto di sigarette. Magari era proprio quello. Avevi sorriso al pensiero e lei ti aveva chiesto come mai. Avevi ignorato la domanda e le avevi detto che anche tu avevi qualcosa per lei. Lei era rimasta sinceramente stupita; era una delle cose che preferivi di lei: non si aspettava mai niente, non voleva mai niente, non ti chiedeva mai niente. Le bastava quello che condividevate.
   Ma tu avevi una cosa da darle. Le avresti dato tutto, in fondo. Dalla tasca dei jeans avevi estratto un mazzo di chiavi e gliele avevi sventolate davanti al viso, ma lei non le guardava; guardava te, perché aveva già capito di cosa si trattava. Ti aveva detto che non era necessario, ma tu avevi insistito. Volevi che avesse le chiavi del tuo appartamento perché potesse entrarci quando voleva. Volevi che lei considerasse quel luogo anche suo, che sapesse che ovunque foste stati lei avrebbe sempre potuto trovare rifugio da te. Glielo avevi detto. Gli avevi detto che un mazzo di chiavi non valevano niente, alla fine. Che nemmeno quell'appartamento valeva niente, che nemmeno la casa dov'era cresciuto valeva niente. Gli avevi detto che, ormai, era lei la tua casa.
   Ti aveva creduto. Ti aveva abbracciato, ti aveva detto “noi siamo la nostra casa”. E anche tu le avevi creduto.

   Poi sei partito.
   Contavi i giorni che ti separavano dal tornare indietro, da lei. Eri felice di rivedere la tua famiglia, ma eri giovane e, una volta passata la gioa del momento, lei ti mancava troppo. E poi tuo fratello che ti chiedeva di parlarti di lei, di dirgli se ci sapeva fare a letto, o la zia che voleva sapere da quanto tempo stavate insieme. Non avresti mai voluto raccontare loro della tua ragazza, ma dopo i primi due anni avevi deciso di dirlo ai tuoi genitori e, nel tempo di un secondo, l'avevano saputo tutti. Ora, dopo più di tre anni, qualcuno parlava addirittura di matrimonio, senza nemmeno averla mai conosciuta.
   Se te lo avessero chiesto, tu avresti risposto che avresti davvero passato tutta la tua vita con lei, ma non ti eri mai posto il problema del matrimonio. Era presto. Avevate tutto il tempo, avevate anni, anni e anni... a cosa serviva progettare il futuro? Non avevate mai progettato niente insieme, tu e lei, e forse per quello non vi eravate mai stancati l'uno dell'altra. Una cosa alla volta, un giorno alla volta. Avanzavate di un posto soltanto, una lezione dopo l'altra.
   Anche ora fai un passo alla volta, solo che questa volta è perché non sai se ce l'hai ancora, un futuro. Respiri, anche se ti senti soffocare, e il tuo cuore batte, anche se lo senti scoppiare. Sei vivo, ma non importa.
   Ti fermi nel bel mezzo della strada e prendi il pacchetto regalo, il suo pacchetto regalo, che non hai mai tolto da lì. Avevi deciso che te lo saresti tenuto vicino finché non lo avresti aperto. Era qualcosa di lei.
   Lo tieni in mano per diversi secondi, combattuto tra il volerlo aprire, il volerlo scagliare lontano, il volerlo lasciare lì così, chiuso e perfetto come le sue mani te lo avevano consegnato. Alla fine lo apri con rabbia, strappando la carta senza pietà, come se ogni squarcio fosse inflitto al tuo cuore. È uno strazio e non sai come affrontare, non lo puoi affrontare, ma credi che se riuscissi a strapparti il cuore dal petto prima che lo faccia il dolore almeno soffrirai di meno.
   Avevi ragione. È proprio un pacchetto di sigarette quello che ti ritrovi a stringere. Non è nemmeno pieno, lo senti dal peso, ma contiene qualcos'altro che non riesci a riconoscere. Inizi a ridere, tanto che ti senti scosso in ogni parte del corpo. E così inizi a tremare e capisci che il prossimo passo saranno le lacrime. Hai già la vista appannata quando apri il pacchetto e dentro vi trovi solo una decina di sigarette. Accanto ad esse c'è un accendino; lo tiri fuori e le tue dita intirizzite quasi lo fanno cadere. Sai che accendino è, te lo ricordi. Lo regalasti tu a lei, quasi quattro anni prima. Eravate appena fuori dall'università e lei stava cercando il proprio per accendersi la Chesterfield che già teneva fra le labbra. Tu le offristi il tuo, che in realtà avevi comprato giorni prima dal tabaccaio per avere una scusa con cui rivolgerti a lei. Tu nemmeno fumavi. Ti era andata male per diversi giorni, ma alla fine la tua occasione era arrivata. Le avevi detto che poteva tenerlo, lei ti aveva sorriso, ringraziato e tu, nell'aula, eri seduto ancora troppo lontano.
   Dio, l'aveva tenuto per tutti quegli anni? Provi ad accenderlo e scopri che non funziona, ma sai che è normale. Lei doveva averlo usato. Chissà quando si era scaricato; prima o dopo che vi conosceste? Prima o dopo che tu ti innamorassi di lei? Prima o dopo che lei si innamorasse di te? Prima o dopo il vostro primo bacio, o la vostra prima volta a letto insieme?
   Ognuno di quei momenti e di quelle sensazioni ti colpiscono con la violenza di un fulmine e provi, breve e intenso, il desiderio di lanciare quell'accendino, farlo infrangere contro una parete e gridare mentre la plastica rossa cade a terra in pezzi. Senti di non avere la forza per fare niente, senti che stai per essere schiacciato, ma sai che fa tutto così male che quel dolore potrebbe farti distruggere anche l'asfalto sotto i tuoi piedi. E ci provi, ti lasci scivolare in ginocchio e sbatti i pugni sulla strada finché le nocche non si screpolano e si insanguinano. Chiudi gli occhi ed ogni pugno è un'immagine, allora picchi più forte ma fa più male e le immagini diventano più vivide. Sai che ad ogni secondo sei più vicino ad esplodere e aspetti quel momento, vuoi che quel momento arrivi e ti svuoti del tutto. Non ce la fai, semplicemente non ce la fai, sei debole e non ti importa, vuoi solo che finisca. E tiri un'ultimo pugno, molto più forte dei precedenti. Ti accorgi chiaramente delle ossa che si rompono sotto la pelle martoriata e questo ti fa gridare. Per un attimo quel dolore supera l'altro. Ma è un attimo. Ti porti la mano al petto e dondoli sulle ginocchia, stremato. Non ti sei reso conto di non aver ancora riaperto gli occhi. Quando lo fai è tutto freddo e scuro come prima. Il mondo non è cambiato. Il mondo non cambierà.
   Raccogli il pacchetto di sigarette che hai lasciato cadere accanto a te e ne prendi una, ma quando lo fai noti qualcosa che prima ti era sfuggito. È una chiave. Una singola chiave, ma tu sai cosa apre, perché l'hai vista usare tante volte. È la chiave di casa sua, quella dove abitava da sola da quando sua madre, abbandonata dal compagno e da tutta a sua famiglia quando era rimasta incinta di lei a soli diciotto anni, era andata a vivere col nuovo marito.
   Noi siamo la nostra casa.
   Ti porti la Chesterfield Blue alle labbra e la accendi, abbandonandoti completamente alla strada. Ti stendi e aspiri, la chiave stretta nella mano rotta. Guardi in alto e aspiri. Chiudi gli occhi e aspiri. Piangi e aspiri.
   Perché ti hanno detto che quel crollo l'ha uccisa, perché qualcosa, tutto, è crollato anche dentro di te. E ti ha ucciso. Lei è morta e sei morto anche tu, ora, anche se respiri. Anche se aspiri. Anche se piangi e aspiri.
   Senti la sua voce, ti sta dicendo che è lì con te. Sono qui. Siamo qui. Sorridi. Ti sembra quasi di sentire il tuo tocco sulla mano rotta. Sono qui. È lei che ti prende le mani. Non vuoi aprire gli occhi perché sai che non la vedresti. Sono qui. La sua voce sembra così reale. Sono qui.
   Non ce la fai e apri gli occhi, ma non c'è nessuno. Non c'è niente. Non sei qui.
   Allora piangi e aspiri una Chesterfield Blue. 

 
   
 
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