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Autore: EsterElle    30/05/2014    2 recensioni
Nella terra di Cadmow tutto sta per cambiare. L’armonia che vi ha sempre regnato, l’equilibrio voluto da Dira, la perfetta partizione di un potere enorme: ogni cosa è destinata ad essere sconvolta. Sconvolta, per rinascere a nuova vita.
Ambizione, tradimento, menzogne e segreti; un velo cupo si stende sulla storia delle quattro Regioni. A districarsi tra le torbide acque del mare in tempesta sono due ragazzi, destinati ad essere nemici, entrambi simboli del cambiamento.
Come salvarsi dal crollo di una civiltà? Come sanare un mondo destinato alla rovina?
“Noi siamo Guardiani per volere di Dira e Dira ha fatto si che, per millenni, quattro Guardiani proteggessero il suo popolo. Questa è la Grande Magia, questa è la Sua volontà. Chi sei tu per sovvertire le leggi della natura?”
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PARTE SECONDA: LA FINE
 

 
Capitolo 8
Sotto le stelle


Una bolla.
Prima piccola, poi sempre più grande, sale lenta fino in superficie, gira e si rigira, prende la luce, cerca la luce, ne vuole riflettere i mille colori, tutti insieme.
E poi, si rompe.
Proprio quando è più bella, più grande, più luminosa che può, infrange la linea dell’acqua e muore.
Una piccola sacca d’aria che si sacrifica nell’immenso cielo azzurro della mattina.
Un’altra bolla. Lo stesso ciclo, la stessa tragica fine.
Un’altra ancora, e poi una quarta.
Dima adorava pensare quando era immerso nell’acqua, quando tutto in lui era leggero, e adorava circondarsi delle effimere bolle. Le lezioni di fratello Gahs erano un ricordo lontano, e ne rideva tra sé e sé. Da anni, ormai, aveva trovato dentro di sé quella fantastica sintonia con il suo elemento naturale.
I capelli chiari fluttuavano intorno ai suoi occhi e le braccia galleggiavano rigide davanti a lui. Nulla era più rilassante del lasciarsi andare, farsi trasportare, cullare, abbracciare dall’acqua. Era come un magia. Anzi, era davvero una magia!
Dima era sotto il grande lago da quasi un’ora. Un po’ per sfuggire alla sua lezione di teologia, un po’ per pensare.
Aveva molto a cui pensare.
Il giorno del suo diciassettesimo compleanno era arrivato e passato da un pezzo e con quello erano piombate addosso al ragazzo tutte le preoccupazioni che per anni aveva volontariamente tenuto lontano.
Mancavano poche settimane al compleanno di Elsa e, per allora, tutto si sarebbe compiuto, tutto sarebbe stato deciso, ultimato. Uno dei due non avrebbe più respirato sotto quel cielo limpido.
Dima scosse con forza la testa, stringendola tra le mani.
Erano pensieri orribili.
- Devo assolutamente parlare con Petar. Non possiamo continuare in questo modo, non possiamo fare finta di avere ancora degli anni davanti a noi- si disse.
Determinato, chiuse gli occhi e si concentrò sull’acqua intorno a lui. Percepì distintamente il suo corpo, le morbide curve del liquido che lo circondavano, sotto di lui, sopra di lui.
Con un piccolo sforzo ancora, iniziò a salire verso l’alto, come una bolla, immobile, guidato dalla sola forza della sua magia. Era un’ascensione lenta ma sicura; quando la sua testa infranse la superficie cristallina, prese il primo vero respiro da un’ora a quella parte.
Zuppo, arrancò verso la riva. Con un ultimo sforzo di concentrazione e un gesto secco della mano, allontanò l’acqua dai suoi vestiti, creando una pozza ai suoi piedi.
- Sarà meglio avvisare anche Elsa -
Da quando Dima aveva iniziato ad avere una padronanza migliore dei suoi poteri, avevano sperimentato un nuovo modo di comunicare; grazie agli insegnamenti di fratello Gahs, da anni ormai si scambiavano messaggi tramite piccoli rivoli d’acqua. Si infilavano sotto le porte, su per l’intelaiatura di una finestra, tra i monaci a mensa e tra i fiori delle aiuole: una volte arrivati a destinazione, prendevano la forma delle parole desiderate da Dima.
Nessuno li aveva mai scoperti fino a quel momento e entrambi erano immensamente orgogliosi della loro arguzia.
Dima si chinò sulla pozza davanti a lui e sussurrò il suo messaggio:
“Questa notte, al lago di Odundì. È importante!”
Un piccolo incoraggiamento, e un rigagnolo d’acqua prese a muoversi verso la Torre, come dotato di vita propria, un piccolo serpentello senza testa e senza occhi ma non per questo cieco. Riusciva sempre a trovare il suo destinatario.
Dima sorrise al pensiero di rivedere Elsa quella notte stesse. Furbo, scrisse un nuovo messaggio nell’acqua:
“Accorcia la gonna e sciogli i capelli: ci sarà anche Petar!”.
Ridacchiò tra sé e sé mentre osservava il rivolo d’acqua correre lontano. Elsa si sarebbe infuriata, ne era sicuro; da quando aveva scoperto l’infatuazione della ragazza per il bel Guardiano dell’Ovest non le aveva concesso un attimo di pace.
Soddisfatto, si avviò verso la Casa, canticchiando a mezza bocca una vecchia canzoncina del suo paese, le mani sprofondate nelle tasche e il cervello sgombro. Era una bella giornata e Dima non aveva nessuna voglia di chiudersi nella Sala delle Preghiere come sarebbe stato suo dovere.
Con circospezione si guardò intorno: nessun monaco in vista, la via era libera.
Con fare noncurante, allora, sistemò meglio la sua borsa carica di vecchie pergamene sulla spalla e svoltò a sinistra. Attraversò i giardini perennemente fioriti del Tempio e raggiunse indisturbato la cascata; si sdraiò su una panchina, preparandosi ad un lungo sonnellino all’aperto.
Non temeva più i monaci come un tempo; in un certo senso, più giorni passavano, più lui stesso acquistava forza e autorità. Raramente, ora, veniva punito come quando era bambino. E poi, era diventato amico di molti di loro; erano persone buone, in fondo, semplici. Si accontentavano di una vita tranquilla, spesa nella meditazione e nella preghiera, ma avevano tanto buon cuore da prendersi cura di un ragazzo scalmanato come lui per molti anni. Quanti grattacapi gli aveva dato, da ragazzino!
Dima sorrise a quel ricordo.
Adesso la situazione era leggermente diversa; stava diventando un uomo e nemmeno una testa calda come lui poteva ignorare tutti i doveri e le responsabilità che questo comportava.
Stava diventando un uomo e presto sarebbe stato Guardiano del Nord, uno dei quattro potenti di Cadmow. O meglio, così si augurava.
Voleva essere Guardiano, Dima, lo voleva davvero; rappresentava il riscatto da un’infanzia povera ed infelice, la possibilità di fare qualcosa di buono per chi si trovava ora nella sua stessa situazione, la bellezza del sentirsi parte integrante del mondo, della natura e di tutto ciò che vive.
Lo desiderava ardentemente.
Ma non a qualsiasi prezzo; non se il costo da pagare era la vita di Elsa.
Dima scosse la testa; erano giorni, ormai, che non riusciva a pensare ad altro. La sua mente si incagliava sempre in quel pensiero, in quel futuro incerto, fumoso, di sangue. Nemmeno Elsa era riuscita a tranquillizzarlo, non lei, la sua voce tranquilla, le sue carezze leggere, le sue visioni vaghe e mutevoli.
Era già tutto scritto? Tutto era stato deciso? Doveva passivamente rassegnarsi ad essere una pedina nelle mani di Dira e degli uomini?
Petar non l’avrebbe mai permesso. Quanta forza infondeva il Guardiano nei ragazzi, quanta speranza!
Non avrebbe permesso alla disperazione di farsi largo nei loro cuori, di questo Dima era sicuro. Non erano soli, per fortuna.
Su questo pensiero, finalmente, riuscì a rilassare la testa e i muscoli, addormentandosi come un bambino tra le braccia della madre.
Peccato, però, che il risveglio non fu altrettanto dolce.
“Mio signore, svegliatevi!” abbaiò una voce stizzita qualche ora dopo.
Dima aprì gli occhi e lentamente riuscì a mettere a fuoco la figura arancione di fratello Ashim.
-Oh, no! Non lui! – fu il suo primo pensiero, mentre alzava le mani sul volto per difendersi dalla luce accecante del sole di metà mattina.
“Vedo che siete incorreggibile come sempre. È vergognoso per un futuro Guardiano saltare le preghiere con così assidua costanza, sapete? Non siete per caso voi, l’intermediario scelto da Dira? È per bocca vostra che, un giorno, la Madre parlerà al suo popolo? Poveri noi, povera la nostra terra!” lo rimproverò, melodrammatico.
Nel frattempo Dima si era seduto sulla panca e, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani sulla faccia, cercava di ritrovare pensieri coerenti.
“Devi dirmi qualcosa di importante, fratello Ashim?” riuscì a chiedere infine, con la voce impastata di sonno.
“Ovviamente, mio Signore. Ho già detto qualcosa di importante; mi sono preso la pena di ricordarvi l’importanza della meditazione, al posto del buon fratello Portus, maestro di teologia. Ma non mi sarei mai scomodato solo con l’intendo di riportarvi sulla retta via; ho un messaggio del Sommo Sacerdote per voi” continuò.
“E sarebbe?”
 “Desidera vedervi nelle sue stanze private; sono giunte notizie dalla Regione del Nord” rispose fratello Ashim, visibilmente stizzito dalla noncuranza con cui il ragazzo riceveva i suoi riproveri.
“Adesso?”.
“Immediatamente. All’istante. Vi consiglierei di correre, come ormai è vostra abitudine fare in qualsiasi luogo di questo Tempio sacro”.
“Non è mica vietato” obbiettò Dima al tono irritato di fratello Ashim.
“Questo lo dite voi, nella vostra suprema ignoranza di ogni codice di comportamento”
“Sarà. Allora vado, giusto?” disse il ragazzo, alzandosi in piedi con ricercata lentezza.
Fratello Ashim restò a guardarlo, rosso di rabbia, sistemarsi con gesti misurati la tunica sulle spalle, controllare le pergamene nella borsa, sciacquarsi il viso con l’acqua della fontana e passarsi le dita umide tra i riccioli castani. Infine, con un ultima occhiata canzonatoria verso il monaco, il ragazzo alzò una mano in segno di saluto e si avviò verso la casa strascicando i piedi ad ogni passo.
Non appena Dima fu sicuro di essere fuori dalla visuale del monaco, scoppiò in una risatina liberatoria e, con un piccolo balzo, spiccò una corsa leggera.
Niente gli dava più soddisfazione del fare impazzire il ligio fratello Ashim, Maestro della Casa, odioso fin dal suo primo giorno ad Odundì.
In realtà Dima era piuttosto curioso rispetto a quello che il Sommo aveva da dirgli. Da molto tempo, ormai, la situazione nella Regione del Nord era assai complicata, e il ragazzo non vedeva l’ora dell’arrivo di una bella notizia.
Così, non appena ebbe raggiunto le sale private del Sommo Sacerdote, spalancò la doppia porta senza nemmeno bussare.
“La Muraglia è stata abbattuta, vero?” chiese, entrando come una furia, accaldato per la corsa e rosso in volto.
Nella stanza, i presenti rimasero a dir poco stupiti.
Il Sommo Sacerdote non era solo; un uomo girato di spalle stava parlando con lui, alto, imponente. Quando si girò verso il ragazzo, fu impossibile per Dima non riconoscere la barba grigio ferro e gli occhi scuri profondamente incavati di Orwen, Guardiano del Sud.
Nessuno riusciva a mettere in soggezione Dima come quell’uomo; si erano visti molte volte, in quegli anni trascorsi ad Odundì, e mai quella sensazione di essere osservato, analizzato, giudicato era svanita in presenza di quel preciso Guardiano.
Orwen era tutto il contrario di Petar; serio, posato, dalla voce profonda ma di poche parole, controllava regolarmente i progressi del ragazzo in tutti gli ambiti della sua formazione, dalla manipolazione, alla meditazione, alla politica.
Era come un severo preside, un padre duro e attento, implacabile e difficile al perdono. Se Petar era l’amico che aveva sempre voluto, spensierato, giocherellone, amante dell’avventura, Orwen era il tipo di Guardiano potente e impietoso che Dima non avrebbe mai voluto essere.
“Signore” disse, chinando leggermente il capo, come gli era stato insegnato di fare in presenza di altri suoi pari.
“Ragazzo, non credo che questo sia il modo appropriato di presentarti al tuo ospite, al padrone della casa che ti ha accolto per questi anni” lo redarguì l’uomo, puntando su di lui gli occhi scuri e profondi.
“Mi dispiace”
“Non è a me che devi chiedere scusa. Comportati come si conviene ad un futuro Guardiano”
“Ti porgo le mie scuse, Sommo Sacerdote di Odundì, giuda di tutti i fedeli, pastore della dottrina di Dira” mormorò Dima, completamente sottomesso da un’autorità tanto forte.
Orwen non aggiunse altro.
Con poche parole bisbigliate al monaco, si congedò, dirigendosi verso la porta. Quando arrivò all’altezza del ragazzo, si prese del tempo per osservarlo dalla testa ai piedi.
Dima pensò allo stato della sua tunica, spiegazzata e macchiata d’acqua, ai suoi capelli spettinati, al volto arrossato: come avrebbe voluto non aver dormito, non aver corso!
Il Guardiano fece un smorfia di disapprovazione e, senza un saluto, lasciò la stanza.
“È stato un piacere vederla, signore” mormorò Dima al vuoto, sforzandosi di mettere in pratica le sue poche conoscenze di buone maniere.
Infine, nella stanza non rimase altro che il Sommo Sacerdote, muto fino a quel momento.
“Vieni, Dima, accomodati” gli disse, indicando una sedia morbidamente foderata di velluto viola.
“Ovviamente non gioisco della tua pessima figura con il Guardiano del Sud; è un uomo giusto ed esigente e pretende esattamente che tu sia sempre memore del tuo ruolo e del tuo dovere. Probabilmente noi monaci ti concediamo troppe libertà” disse, mormorando l’ultima parte, quasi diretta a sé soltanto.
“Mi sono scusato come si conviene, credo” ribatté Dima, leggermente stufo di tutti quei rimproveri. In fondo, si era semplicemente dimenticato di bussare ad una porta dopo una bella corsa. Non aveva mica appiccato il fuoco all’intero Tempio!
“Si, Dimitar, ma non è sufficiente. La disciplina è ciò che di fondamentale devi imparare; devi apprendere come educare il corpo e i pensieri, per essere sempre in armonia con ciò che ti circonda”.
Dima si limitò ad annuire. Per lui quelle parole non avevano alcun senso; era come chiedere ad un leone di carezzare l’agnello invece di inghiottirlo in un sol boccone. Come avrebbe potuto modificare di tanto la sua natura?
“Ma non è questo il punto che mi preme discutere con te oggi” continuò il Sommo, sedendosi dietro il suo tavolo e massaggiandosi la fronte con una delle grandi mani.
Aveva un’aria stanca del tutto particolare, come se troppi pensieri si rincorressero dietro quella linea.
Da quando Dima aveva smesso di vedere e parlare con Elsa alla luce del sole, le cose con il Sommo erano andate per il verso giusto. Era stato un uomo di parola: si era mostrato tollerante per le molte mancanze di Dima, come un padre indulgente verso un figlio avventato. Se, però, fosse venuto a conoscenza di tutta la verità, Dima era certo che avrebbe sperimentato la sua rabbia e ogni terribile conseguenza per il suo già incerto futuro. Avrebbe protetto in tutti i modi il loro segreto, ma entrambi i ragazzi dovevano fare molta attenzione al Tempio.
Con il passare degli anni, i monaci, convinti che i due bambini non si fossero più visti né parlati da quei primi giorni, avevano persino smesso di pronunciare al’uno il nome dell’altra e viceversa.
Come se non fossero mai esistiti due Prescelti.
Come avrebbero reagito se fossero venuti a sapere che Dima ed Elsa non solo avevano contatti tra loro, ma erano legati l’un l’altra come fratelli?
Dima deglutì a vuoto, aspettando che il Sommo Sacerdote prendesse nuovamente la parola.
“Si tratta della Regione del Nord” continuò l’uomo, sempre ad occhi chiusi, dopo qualche minuto di silenzio.
“La Muraglia?”
“Si, Dimitar”
“Ma allora avevo ragione! Finalmente non è più necessaria!” esclamò il ragazzo, illuminandosi.
“Tieni a freno il tuo entusiasmo. Le tue sono informazioni fittizie, che la tua mente produce solo perché è quello che desidera sentire”.
“Casa intendi dire?”
“Nessuno ha mai detto che la Muraglia verrà presto abbattuta, ragazzo”
“Quindi non… non mi hai chiamato qui per questo?”
“Dimitar, rifletti! Non è per un miglioramento della situazione che se qui. Tutto sta andando per il verso sbagliato, al Nord” continuò il Supremo, guardando Dima fisso negli occhi.
“Quindi l’epidemia non è ancora stata sconfitta?” domandò il ragazzo, torcendo il volto.
“Non è così semplice, lo sai bene anche tu. Si diffonde tanto rapidamente, è quasi impossibile isolarne tutti i casi”.
“Impossibile?” ripeta Dima, leggermente accaldato.
“I medici stanno facendo quel che possono; è rischioso per tutti avvicinarsi ai malati, il contagio è veloce e noi non possiamo permetterci di perdere i nostri migliori Guaritori”
“Quindi mi stai dicendo che non è stato fatto tutto il possibile? Che i malati vengono abbandonati a loro stessi, senza cure, senza soccorsi?”
“No, Dimitar. La Regione del Nord formicola di aiuti, di volontari e medici. Sto dicendo che è impossibile per le altre Regioni inviare soccorsi” chiarì il Sommo, con voce dura.
“Sono cinque anni, signore, cinque anni. Come è possibile che un intera Regione sia afflitta da questa piaga da cinque anni?” chiese Dima, alzandosi in piedi, nervoso. Prese a camminare per la stanza, costeggiando il bel tappeto del Sommo.
“È stata fatta ogni cosa per evitare che il male si diffonda nel resto di Cadmow, per far si che resti dentro la Regione del Nord”.
“Si, avete costruito quella maledetta Muraglia!” esplose Dima, al quale la Muraglia non era mai piaciuta.
“Così che, adesso, tutto sembra morire, infetto, avvelenato, contagiato! Non abbiamo più legname, né ghiaccio da vendere, nessuno importa più le loro merci al Nord, e le persone muoiono come mosche!” continuò il ragazzo, memore dei precedenti incontri sul tema.
“Hai centrato il problema in pieno, Dimitar. La gente muore per la malattia, muore di fame, muore per il freddo. È un territorio ridotto allo stremo”.
“Ma allora buttiamo giù quel Muro! Facciamo si che i soccorsi accorrano numerosi, che tutti coloro che desiderano aiutare lo possano fare! Inviamo soldati, per impedire lo sciacallaggio e i furti, uomini per seppellire i morti dignitosamente, soccorritori che portino cibo e coperte, Guaritori, soprattutto, i migliori luminari del tempo. Aiutiamoli come possiamo! Ormai saranno rimasti pochi gli uomini al Nord in grado di soccorrere i malati”.
“E lasciare che l’epidemia si diffonda in tutta Cadmow, Dimitar? Davvero ti sembra una buona idea?”.
“Lasciare che un intero popolo muoia senza poter far niente, invece, è un’idea migliore?” ribatté prontamente il ragazzo.
Dima era accaldato, e il cuore gli batteva forte in petto. Le persone in difficoltà andavano soccorse, punto e basta. Era tanto semplice, per lui, questo ragionamento, tanto lineare. Non poteva dimenticare quando, da bambini, lui e Teppe guardavano verso la capitale, sperando di veder arrivare carri carichi di buon cibo, quello che sulle loro tavole mancava sempre.
“C’è una lezione che devi imparare, Dimitar” iniziò il Sommo Sacerdote, avvicinandosi a lui e posandogli le mani sulle spalle. Ormai il ragazzo era più alto dell’uomo e la situazione sembrava stranamente ribaltata.
“Spesso chi ha il potere di prendere decisioni, deve compiere delle scelte difficili; il Gran Consiglio ha messo il bene dell’intero regno davanti a quello dei singoli, sconosciuti, individui. È la cosa giusta da fare” continuò, battendo piano una mano ruvida sul petto del ragazzo.
“Non per loro, Sommo. Non per il popolo del Nord, che vede morire sotto i propri occhi figli e mariti e genitori. È talmente innaturale, tutto questo!” disse Dima, leggermente più ragionevole.
Il monaco diceva la verità; era giusto, forse, mettere a rischio la vita di tutti?
Ma cosa fare allora? Come aiutare senza ferire?
Dima si scervellava alla ricerca di una soluzione. Batteva nervoso una mano sul fianco, mordendosi il labbro inferiore. Infine, un’idea brillante illuminò quell’oscurità.
“Sommo, ti prego, permettimi di andare al Nord”.
“Come dici?”
“Permettimi di andare a Nord! Io sono il Guardiano, io sono l’essenza di quella Regione. Il Nord vive in me, in me vivono tutti i cittadini! Sono certo di poter fare qualcosa per loro; ormai sono bravo a gestire il mio potere. Posso risanare quella terra perché è la mia terra, la terra che Dira ha scelto di affidare a me! Col suo aiuto, qualcosa potrà essere fatto, vedrete!” spiegò Dima, accalorandosi nuovamente.
Un sorriso di gioia si dipinse sul suo volto; non sapeva bene cosa stava dicendo, ma sentiva che era la soluzione giusta.
Lui doveva andare a Nord!
Il Sommo, però, era di tutt’altro avviso:
“È fuori discussione, Dimitar!” esclamò secco, tornando a sedersi al suo posto, dietro il tavolo ingombro di fogli.
“Come? È a soluzione giusta, invece, fidati di me!”
“Affatto, ragazzo. Sei solo esaltato dai tuoi poteri e dal tuo ipotetico ruolo politico, ti stai sopravvalutando. Non puoi fare niente per la Regione del Nord”
“Ma perché? Chi meglio di me potrebbe aiutare quel popolo?”
“Forse hai dimenticato, Dimitar, in tutti questi anni, che non sei solo qui. Che ancora non c’è certezza; potresti anche non essere tu il futuro Guardiano del Nord” disse quello, serpentino, con voce stranamente animosa.
“Elsa” mormorò Dima, come a confermare le parole dell’uomo.
“Vedo che la tua memoria non fa difetto” replicò il Sommo. “Quindi, concorderai con me quando dico che nulla può essere fatto dal Guardiano del Nord fino al giorno della tua investitura. Si rivelerebbero inutili e rischiosi sforzi”.
Dima non ebbe il coraggio di pronunciare una sola parola.
“Bene, sono lieto di vederti  finalmente ragionevole. Era mio dovere aggiornarti sulla situazione e presto ti farò sapere se vi sono delle nuove. Per il momento è tutto, puoi andare” lo congedò, gelido.
Dima chinò la testa e uscì dalla Sala senza discutere ulteriormente.
Il Sommo aveva molti volti, lo sapevano tutti; era un uomo duro, adatto al comando, mutevole.
Dima non rimase sorpreso da tanta decisione, della gelida autorità con cui l’aveva trattato; il Sommo concedeva ai suoi sottoposti solo un impressione di libertà ed esercitava la sua legge con un pugno di ferro.
Scaltro, ma non abbastanza.
Dima era irritato; sapeva di aver trovato la soluzione giusta ai problemi di centinaia di uomini. Come poteva non essere messa in pratica a causa per la stupida legge che vedeva lui ed Elsa come nemici giurati?
Mentalmente, aggiunse un appunto alla lunga lista di problemi che avrebbe voluto discutere quella notte, con Petar. La situazione nella Regione del Nord stava andando troppo oltre; bisognava assolutamente intervenire, prima che la malattia decimasse del tutto i suoi abitanti.
- I miei cittadini- si corresse mentalmente.
Non era per niente facile riconoscersi come guida di qualcuno avendo passato quasi la metà della propria vita isolato in un Tempio sotto terra.
Dima era tanto nervoso da non badare a dove metteva i piedi; così si ritrovò ben presto ai margini dell’Orto. Definirlo orto era proprio un’esagerazione; in realtà si trattava di un piccolo appezzamento di terra congiunto al Prato della Meditazione, molto caro ai monaci. Fratello Tonse se ne occupava con cura e dovizia da decenni.
“Buonasera, mio Signore” salutò il monaco, chino su una pianticella patita di pomodori.
“Buonasera fratello” rispose Dima, distrattamente.
“Pregate per me, Signore. Fate che Dira aiuti queste povere pianticelle” lo supplicò il monaco, mogio.
“C’è qualcosa che non va? Il terreno non è abbastanza fertile?” si informò Dima, giusto per distrarsi.
“Oh, no, nulla è migliore del terreno di Odundì. Il problema, mio Signore, è l’acqua”
“L’acqua?”
“Non vi siete accorto che non piove da mesi, quaggiù? Le piante ne soffrono terribilmente; noi monaci siamo troppo vecchi per trasportare i secchi da una parte all’altra del Tempio” spiegò quello, mettendosi dritto in piedi con una smorfia e una mano sulla schiena.
“Ma, fratello, perché non me ne hai mai parlato? Io posso aiutarti!” ribatté Dima, allibito.
Gli sembrava tanto ovvio: lui aveva il potere di manipolare l’acqua, giusto?
“Mio Signore, non possiamo distogliervi dai vostri studi per contrattempi tanto banali. Voi siete destinato ad utilizzare il vostro dono per compiti ben più importanti”.
“Cosa c’è di meglio che donare la vita, con il mio potere? Permettimi di aiutarti fratello” disse Dima, più dolce.
Chiuse gli occhi e, aprendo il palmo della mano davanti a sé, iniziò a far sgorgare acqua dalla punta delle sue dita. Goccia dopo goccia, il campo fu presto ben irrigato: Dima aprì gli occhi e spianò le rughe di concentrazione, soddisfatto.
Manipolare l’acqua diventava ogni giorno più facile.
“Che te ne pare, Tonse?”
“È perfetto, mio Signore. Siete stato molto bravo a ricreare l’effetto della pioggia” lo lodò quello, sinceramente colpito.
“Si, la conosco bene, la pioggia” sorrise Dima, strizzando l’occhio al monaco.
“Ma, fratello, è sbagliato dover dipendere dalla carità di qualcuno. Se non fossi passato di qui avresti lasciato morire le tue piante?” continuò, cercando di essere davvero di aiuto al monaco.
“Signore, non avevo altra scelta: il lago è troppo lontano, e questi poveri ortaggi non possono vivere senza la pioggia” rispose quello, leggermente urtato.
“Vedi, Tonse? Dipendi dalla pioggia, dalla magia, dalla misericordia di Dira. Perché non prendi tu stesso in mano la situazione?”.
“Ma cosa state dicendo?”
“Hai mai sentito parlare di canali di irrigazione?” disse Dima, sorridendo.
A grandi gesti, il ragazzo riversò tutto il suo sapere sul povero monaco; Dima aveva assistito, ad Imbris, alla costruzione dell’unico canale della città. In fondo, in un paese ricco di pioggia come il suo, non ve ne era veramente bisogno.
Così, parla che parla, riuscì a convincere fratello Tonse a mettersi al lavoro e, insieme, diedero il via ai lavori di costruzione.
Non erano esperti e spesso dovettero tornare indietro, scavare a fondo, disegnare nuovi tracciati; il sole era alto in cielo e il lavoro faticoso. Sotto lo sguardo di disapprovazione del monaco, Dima fu presto a torso nudo, i capelli impiastrati di terra e la faccia sporca. Lavoravano in silenzio, seguendo le precise istruzioni che avevano concordato. Era un lavoro lungo, che avrebbe richiesto molti giorni per essere ultimato, ma il ragazzo era contento di aver suggerito quell’idea.
Dima si stupì di quanto il lavoro potesse fargli bene.
Il nervosismo, la preoccupazione, la paura, scivolavano giù lungo la pala, si disintegravano grazie ai duri colpi scagliati sul terreno morbido del Tempio. Niente era difficile e la monotonia del compito lo aiutava a non pensare, non pensare a nulla, se non al suo braccio, alla fronte sudata e solco che stava scavando.
Tutto era semplice, meravigliosamente semplice.
- Altro che Guardiano! Niente al mondo è bello e utile come il prendersi cura della propria terra- pensò, deciso, mentre strofinava le mani umide sui pantaloni.
Il sole calava lentamente e Dima lavorava.
Dentro e fuori di lui tutto taceva.
 

 
Dima alzò il cappuccio del mantello scuro sul volto: mai Petar avrebbe potuto donargli un oggetto più utile!
Cercando di fare il meno rumore possibile, sgattaiolò fuori dalla Casa, ed, una volta fuori, restò solo la luce della luna di Odundì a guidare i suoi passi.
Da quando aveva iniziato a fuggire di nascosto in superficie, Elsa aveva letto ogni manuale sul tunnel; così, Dima era venuto a conoscenza della data in cui era stato costruito, del materiale nel quale era stato scavato e, soprattutto, di ogni via e ogni cunicolo che lo componevano. Con decisione passò oltre l’imboccatura e, una volta dentro, si affrettò ad accendere la lanterna che aveva portato con sé.
Il chiarore giallo della candela rese davvero semplice la traversata; con la sicurezza di un esperto, prese il cunicolo che lo avrebbe portato in un posto sicuro, lontano dai posti di guardia di superficie.
Il lago era tanto grande da impedire la vista della sponda opposta; ma Dima sapeva bene che, dall’altro lato, lo attendevano i due monaci di ronda, armati e potenti.
L’aria fresca della notte gli scombinò i capelli.
Niente era bello come stare lassù, nel mondo vero, nel mondo che era suo, al quale si sentiva di appartenere anima e corpo. Dima ispirò a lungo il profumo dei fiori di campo e, infine, si concesse un’occhiata intorno.
Come aveva immaginato, Elsa era già arrivata, puntuale come sempre.
Stava tranquillamente sdraiata sul prato, poco lontana dall’imboccatura del tunnel dal quale erano usciti entrambi, le braccia piegate sopra la testa. Col viso rivolto al cielo, ne scrutava l’oscurità, rilassata. Piccola e delicata, non era cresciuta molto in altezza, in quei sette anni; vicino a lei, si aveva sempre la sensazione che sarebbe stata portata via dal primo soffio di vento.
Dima si avvicinò in silenzio, per poi crollare pesantemente a terra alla sua destra.
Elsa lanciò un gridolino, prontamente fermato dalla mano del ragazzo sulla sua bocca.
“Ma sei pazzo?” bisbigliò lei, una volta libera.
“È stato divertente” ridacchiò il ragazzo.
“Per te, forse” ribatté lei, sgranando i grandi occhi grigi.
“Non farlo mai più!”
“D’accordo, d’accordo” sghignazzò Dima, sdraiandosi accanto a lei e alzando lo sguardo verso il cielo.
“Cosa stavi facendo?”
“Indovina?”
“Guardavi le stelle?”
“Si. Nel Mondo di Sotto non sono così belle”
“Ma sono pur sempre stelle, no?”
“Non pensi mai che queste stesse stelle le guardano milioni di persone in questo momento? Siamo sotto lo stesso cielo di tutti i popoli di Cadmow, finalmente. Per una volta non ci escludono”
Dima rimase in silenzio. No, non ci aveva mai pensato.
“Come stai? Sono settimane che non ci vediamo” le chiese, per cambiare discorso.
“Abbastanza bene. I monaci non fanno altro che mettermi alla prova”
“In che senso?”.
Elsa sospirò “Lo vuoi proprio sapere?”.
“Certo” ribatté pronto Dima, che iniziava a preoccuparsi.
“Vogliono allenarmi perché io possa avere qualche probabilità di vincere contro di te, quando dovremmo affrontarci”.
“Che cosa?”
“Dai, Dima, non fare finta di non saperlo. Se non potremmo fare a meno di scontrarci, io non ho uno straccio di possibilità contro di te. E questo angoscia i miei istruttori” disse lei, leggermente irritata.
“Ma questo non è vero! Il tuo dono è talmente speciale, Elsa! Sei inarrivabile”.
“Io conosco il futuro, è vero. Quando capita, però. Non ho il minimo controllo sul mio potere, lo sai. Tutte le volte che ho una visione, divento inerme, come il più insignificante degli  insetti” ribatté lei, evitando di guardarlo, con voce tremula.
“Potrai schiacciarmi facilmente, se vorrai” aggiunse.
“Elsa, ma che diavolo stai dicendo? Tu sei più forte di così!” esclamò il ragazzo, mettendosi a sedere per guardarla negli occhi.
Elsa lo guardò di rimando, come alla ricerca. La luce della luna ne illuminava i lineamenti sottili, le ciglia folte e le labbra pallide; sembrava lottare con se stessa, nella speranza di ritrovarsi.
“Hai ragione, Dima. Mi sto lasciando condizionare troppo dai monaci. Noi troveremo una soluzione, costi quel che costi. Non ci scontreremo: siamo amici” disse infine con un fil di voce, spalancando gli occhi verso il cielo.
“Ecco, ora si che ti riconosco! Insieme siamo invincibili!” fece lui, a voce forse troppo alta, alzando un pugno al cielo.
“Non urlare, Dima!” disse lei, ridacchiando.
Elsa era più bella quando sorrideva.
Il ragazzo si sentì autorizzato a farle passare del tutto la tristezza.
Con un piccolo movimento delle dita, creò un sottile filo d’acqua e iniziò a farlo danzare, a farlo passare  tra i suoi capelli intrecciati, sotto il suo naso, fino a legarle insieme i piedi, le mani, la vita, fino a farle il solletico.
Risero, più leggeri.
“Va bene, va bene, il momento negatività è passato! Tra poco arriverà Petar non può trovarci a giocare come due bambini!” disse infine lei, ancora sorridendo, sistemandosi i capelli sfuggiti alla pettinatura durante il gioco.
“Oh, Petar” le fece il verso Dima, sbattendo più volte gli occhi.
“Che idiota che sei”
“Oh Petar, che bello che tu sia qui!” continuò il ragazzo, arricciandosi immaginarie ciocche di capelli sulle dita.
“Piantala, Dima”
“Ma guarda che sei tu che ti sciogli non appena lo vedi”
“Sono fatti miei!”
“Basta che non ti rendi ridicola”
“Io non sono ridicola!” si inalberò lei.
“Certe volte…”
“Dima, ti conviene stare zitto”
“Altrimenti?”
“Altrimenti ti… ti…”
“Si?”
“Oh, come sei irritante certe volte!” sbuffò lei, dandogli uno schiaffetto leggero sulla spalla.
Dima rise.
Aveva ragione lei; Elsa non faceva paura ad una mosca.
Eppure il suo potenziale era enorme, instabile, incontrollabile. Lei stessa era vittima del suo stesso potere.
Da sempre i Guardiani del Nord avevano avuto l’abilità di conoscere il futuro, di vedere attraverso gli anni. Fratello Agos gli aveva spiegato che era un’abilità legata all’acqua, ovviamente. Era un richiamo all’estrema chiarezza, purezza dell’elemento; così come si vede il letto del fiume attraverso le sue acque turbolente, così il Guardiano del Nord poteva guardare attraverso le oceani del tempo.
Una persona sola aveva sempre riunito in sé entrambe le abilità, la manipolazione e le visioni; ma la loro situazione era del tutto straordinaria e nulla poteva ripetersi come era sempre stato. Semplicemente, come il Guardiano si era sdoppiato, così si erano separati i suoi doni. Ad ognuno il suo.
“Nel frattempo che facciamo?” chiese Dima, stendendosi sul prato, testa a testa con Elsa.
“Non lo so. Se vuoi ti insegno a riconoscere le costellazioni” propose lei.
Quando Petar raggiunse il luogo dell’incontro dalla vicina Regione dell’Ovest, lì trovò così: stesi sul prato, le teste vicine, una castana l’altra bionda, le mani sollevate verso il cielo, a tracciare disegni nel vuoto.
Gonfiò il petto, prese un respiro profondo e si lasciò andare ad un’enorme sorriso, come se non potesse contenere la gioia che gli procurava quella visione. E, forse, era proprio così.
Non si avvicinò subito; invece, si inginocchiò e, a mani giunte, ringraziò silenziosamente Dira.
“Perdonami e continua a restarmi vicino, Madre mia” bisbigliò infine, alzandosi.
Quando raggiunse i ragazzi, quelli abbandonarono immediatamente la loro occupazione.
“Petar!” esclamò Elsa, imporporandosi immediatamente.
“Ragazzi” salutò lui, ammiccando.
Dima si alzò per battergli una pacca sulla schiena.
“Come stai, vecchio?”
“Vecchio, ragazzino? Sono ancora nel fiore degli anni!” rise l’uomo, ancora agile e prestante nonostante i quarant’anni compiuti.
“Come state voi, piuttosto?” disse ancora, allontanandosi una ciocca di capelli castani, ormai leggermente ingrigiti, dalla fronte.
“Più o meno bene, se non consideriamo il fatto che tra pochi giorni potremmo non essere più vivi” provò a scherzare Elsa, guadagnandosi uno sguardo severo da parte dell’uomo.
“E tu, ragazzo?”
“Le cose vanno sempre peggio, Petar. Non possiamo più stare ad aspettare con le mani in mano. Tra poche settimane ci metteranno l’uno di fronte all’altra” iniziò quello, caricandosi.
“Lo so bene, questo” affermò l’uomo, sedendosi sul prato.
“Hai qualcosa in mente? Cosa possiamo fare per salvarci?” chiese Elsa, arrossendo di nuovo.
- Quella ragazza deve controllarsi un po’ meglio- pensò Dima, irritato, mentre raggiungeva gli altri due sul prato.
“Ci penso da molti anni, e continuo a vedere un’unica soluzione; credo che la conosciate anche  voi” rispose Petar, senza troppi giri di parole.
“Forza, Petar, dillo ad alta voce”
“Dovete fuggire”
“Come? Ma se fuggiamo noi… saremmo come dei fuorilegge?” si preoccupò Elsa.
“Peggio”
“Saremmo ricercati in tutti gli angoli del regno” concluse Dima con foce funebre.
“Esatto. Ma ricordatevi una cosa: voi siete Guardiani, due delle persone più potenti in tutta Cadmow. Sarà molto difficile mettervi alle strette” aggiunse Petar.
“Ma cosa ne sarà delle nostre vite? Dovremmo nasconderci per sempre?”
“Non credo che avremmo altra scelta, Dima” rispose Elsa, logica.
“No ragazzi, io non la penso in questo modo. Voi non vivete più a Cadmow da sette anni, ormai, non sapete che aria tira quassù. E posso tranquillamente dirvi che non ci sono in serbo delle belle sorprese” parlò Petar, prendendo la mano sottile della ragazza, alla sua destra.
Le guance di Elsa si tinsero di rosso all’istante “Cioè?” chiese, lieve.
“State certi che, se fuggirete, il mondo che conoscete non esisterà più”
“Due Guardiani, Prescelti da Dira, in fuga. Di certo questa sarà un bella novità. Nessuno potrà fare finta di niente” rifletté Dima.
“Non solo. Ci sono grandi cambiamenti nell’aria. La Muraglia, per esempio…”
“Quell’odiosa Muraglia! Deve essere abbattuta immediatamente, Petar!” inveì all’istante Dima, memore dei discorsi di quella mattina.
“Piano, ragazzo. La Muraglia sta creando moltissimi problemi, ben più di quelli che voi potete immaginare. Provate a pensare: cosa succede alle altre Regioni del regno se dal Nord non entra o esce più niente e nessuno da più di sette anni?” li interrogò Petar, concitato.
“Non saprei…”
“Pensa, Dima!”
“L’economia! È un disastro economico quello che ci aspetta!” esclamò Elsa, intuitiva come sempre.
“Brava, piccola. Da anni è tutto bloccato; il Nord non compra più i cereali del Sud, né le erbe curative dell’Est o le sete e i tessuti della mia Regione. È un vero e proprio tracollo; per di più, la Regione del Sud soffre terribilmente la mancanza di ghiaccio. Io ho cercato di fare il possibile, ho mandato uomini e bestie fino alle cime più alte dei miei monti, ma non posso eguagliare le forniture del Nord” spiegò Petar.
“È molto peggio di quello che sembra” mormorò Dima, che non era stato sfiorato da pensieri di questo tipo, tanto era concentrato sulla malattia.
“Ma perché non buttano giù la Muraglia, allora?” chiese Elsa.
“Orwen vorrebbe. Ma ne io né Safnea lo appoggiamo e senza il nostro aiuto è un’impresa a dir poco titanica”.
“Cosa? Davvero Petar non vuoi mettere fine a questo sfacelo?” strepitò Dima.
“Taci, ragazzo, tu non sai niente” bisbigliò duramente Petar. “La Muraglia è l’unica cosa che ci ha permesso di conservare la pace in tutti questi anni”.
“Che vuoi dire?”
“Orwen è pronto. Ha un esercito armato fino ai denti che ad un suo minimo cenno andrà a Nord a prendersi ciò che gli spetta di diritto. Non si fida del Supremo, non accetta più di essere tenuto fuori da quei territori. La Muraglia è la migliore difesa per la vostra Regione, in questo momento. Ma non reggerà a lungo alla furia del Sud se Orwen deciderà di aprire il fuoco. I suoi soldati apriranno una breccia nel muro, e allora non ci sarà più un futuro per voi come Guardiani, né per l’intera Cadmow” sentenziò Petar, con voce glaciale.
Una guerra.
Dima rischiava la sua vita, quella di Elsa, la sua Regione era povera e malata ed ora il suo popolo correva il pericolo di perdere la libertà. C’era qualcos’altro che poteva ancora andare storto?
“Dobbiamo tornare a casa, al più presto”.
Il ragazzo cercò la mano di Elsa; intrecciarono le dita l’uno con l’altra e una preghiera volò all’unisono verso il cielo scuro trapunto di stelle.
 
 

 
Note
Eccoci alla seconda parte, finalmente! Non vedevo l’ora di pubblicare questo capitolo, lo ammetto! So che è moolto lungo, spero non sia un problema…
I toni iniziano a farsi più cupi e verranno al pettine parecchi nodi. Spero di riuscire a far proseguire la trama come ho immaginato all’inizio, ma ammetto che non è semplice scegliere cosa svelare e cosa no in ogni capitolo! Ho bisogno del vostro parere: secondo voi la trama fila abbastanza? E i personaggi? Subiscono cambiamenti o prendono decisioni troppo velocemente? Insomma, sono abbastanza credibili?
Sono qui, pronta a ricevere ogni tipo di parere!
Grazie a tutti, i lettori silenziosi, i visitatori, i recensori!
A presto,
EsterElle
  
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