Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Prinzesschen    31/05/2014    2 recensioni
Niente è mai come sembra ed Hannah Kane lo avrebbe imparato a sue spese. Tutto comincia con un curioso incontro sotto la pioggia, un cagnolone dal pelo nero ed arruffato sconvolgerà la vita della giovane avvocatessa colmando la solitudine di una casa sempre vuota e riscaldandole il cuore con un pizzico di inaspettata magia.
Un latitante, un evaso in cerca di redenzione per una colpa che non ha mai commesso e che gli brucia l'anima graffiando il suo cuore dall'interno e procurandogli ferite che solo una giovane ed insolita donna in carriera saprà curare.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
furry2modificato Furry Love 2

Furry Love

Image and video hosting by TinyPic

2- There's a million mouths to feed
And I've got everything I need
I'm breathing
And there's a hurting thing inside
But I've got everything to hide
I'm grieving

La mattina successiva la pioggia era cessata ma l’afa non aveva fatto altrettanto, era evidente, considerato il groviglio di lenzuola che mi trovai avvolto ai piedi e la posizione scomoda che avevo assunto, insofferente persino durante il sonno.
Mi sollevai a sedere a gambe incrociate e premetti le mani sugli occhi, massaggiandomi le palpebre.
Un guaito mi fece sussultare e mi ricordò del mio nuovo coinquilino che molto più sveglio e pimpante di me stava accanto ai piedi del letto, scodinzolando.
-Vuoi farmi venire un infarto, per caso?- lo rimproverai ridendo per poi gettarmi di nuovo con la schiena sul materasso con un sonoro sbuffo.
L’idea di chiudere gli occhi si dimostrò decisamente pessima. –Che schifo, Rain!
Il grosso cagnolone era balzato sul letto, silenzioso come un predatore, e mi aveva regalato una generosissima leccata sul viso, per poi accomodarsi accanto a me con estrema naturalezza, come se quel letto fosse sempre stato anche il suo.
-Avrei voluto farti il bagno prima ma.. fai pure, prego!
Certo, non era esattamente normale parlare con un cane ma ero sempre stata convinta che fossero capaci di capire e di provare sentimenti, come le persone e forse anche di più, e lo sguardo impertinente di Rain, mentre cominciava a rotolarsi sulla schiena torcendosi tutto, non fece che confermare la mia tesi.
-Forza.- decretai alzandomi ed infilando la maglietta extralarge che avevo abbandonato sulla poltrona accanto al letto.-Andiamo a spulciarci, balordo.
Mi seguì ubbidiente fino al bagno ed io indicai la vasca, con fare autoritario. –Lì! Salta dentro.
Si sedette, ostinato, e mi rivolse uno sguardo che avrei potuto tranquillamente definire contrariato.
-Non farei tanto la schizzinosa, se fossi al posto tuo.
Si allungò sulle zampe davanti nascondendovi in mezzo il muso per non guardarmi emettendo uno strano suono.
-Ti rispedisco in strada, brutto ruffiano presuntuoso!
Come se avesse compreso la mia minaccia si sollevò svogliatamente e con passo flemmatico e senza rivolgermi neanche uno sguardo entrò nella vasca, una zampa dopo l’altra.
-Guarda tu.- borbottai scuotendo il capo ed aprendo il getto d’acqua che lo colpì dritto al muso facendolo abbaiare, infastidito.
Quando ebbi finito di lavarlo e lui di schizzarmi più per dispetto che per asciugarsi, misi il resto delle lasagne precotte della sera prima in un piatto che posai sul pavimento per poi uscire a fare la spesa raccomandandogli di non demolire la casa durante la mia assenza, quasi rassicurata dal modo in cui aveva tirato indietro le orecchie.
Durante il tragitto verso il supermarket, rigorosamente a piedi, mi immersi nei miei pensieri e mi ritrovai a sorridere.
Rain era stato la novità che mi mancava per riprendere la mia proverbiale voglia di vivere: la routine mi stava uccidendo, la mia vita era un continuo correre da casa allo Studio e dallo Studio a casa che sembrava ogni giorno più vuota, più triste.
Avevo ventisei anni e la maggior parte delle mie amiche era ormai sposata o condivideva la propria vita con l’uomo giusto mentre il mio unico compagno di vita era il lavoro e la mia amante l’abitudine.
Ero un avvocato realizzato, lavoravo nel migliore studio di tutta Londra e se avessi voluto avrei potuto avere anche le mie due o tre storielle, di tanto in tanto.
Non ero quella che poteva considerarsi una bella donna, troppo minuta, da sempre, il mio naso non era all’insù come quello delle ragazze sulle copertine delle riviste e non avevo neanche la loro terza di reggiseno. L’unica cosa di cui ero sempre stata molto fiera erano i miei occhi azzurri che, tuttavia, sembravano scuri e freddi per il novanta per cento del tempo.
-Ops, scusami!
Lo strano nipote dei Dursley si sistemò gli occhiali sul naso e mi rivolse uno sguardo verdissimo e mortificato. –Andavo di fretta e..
-Non ti preoccupare.- lo rassicurai. Mi era arrivato addosso mentre procedeva di gran carriera nella direzione opposta alla mia. –Tutto bene?
-Sicuro!- mi rispose, poco convinto. –Devo portare questo ai miei zii.
La smorfia che si dipinse sul suo volto mentre mi mostrava una enorme busta della spesa mi fece sorridere. –Devono essere terrificanti se ti fanno correre così tanto.
Sgranò gli occhi, stupido ed evidentemente felice di non essere l’unico a pensarla a quel modo. –Non immagini neanche quanto! Allora io.. vado!
Sollevò timidamente una mano in segno di saluto e con un mezzo sorriso riprese a correre verso casa.
Tornai sui miei passi, diretta verso la meta della mia piccola passeggiata mattutina ma sembrava proprio che avessero tutti una gran fretta quel giorno, perché pochi istanti dopo uno strano uomo con un lungo cappotto di pelle e i capelli neri e lunghi quasi mi travolse, camminando a passo svelto.
Lo fissai, sbigottita, quando passò come un razzo ad un soffio da me come se non mi avesse neanche vista.
-Ma cosa è successo a tutti quanti, oggi?

La sera del grande evento cui il giovane avvocato Russell mi aveva gentilmente concesso di accompagnarlo a dimostrazione di quanto magnanimo fosse il suo spirito, arrivò prima del previsto e i vestiti nel mio armadio sembravano tutti profondamente inadeguati nonostante fossi ormai abituata a convegni e cene di lavoro di ogni tipo.
Erano le sei e mezza ed io stavo in accappatoio e con i capelli ancora umidi lasciati ricadere sulle spalle davanti alla fila di grucce guardandole con aria di sfida.
-Tu che dici,-mi rivolsi a Rain che sonnecchiava a pochi passi da me-questo o questo?
Sollevai alternativamente due vestiti, un semplice ma elegante tubino nero ed un altro decisamente più aggressivo e scollato che non avevo mai messo ma del tipo che ero abituata a vedere addosso alle mie platinate ed agguerrite colleghe che partecipavano a questi eventi solo per incontrare uomini d’affari ed entrare in giri proficui che spesso prevedevano una piccola tappa nel letto dei pezzi grossi.
-Eccessivo, non credi?- chiesi di nuovo, alludendo all’ultimo vestito.
Nascose il muso tra le zampe come aveva fatto la mattina precedente davanti all’idea di dover essere lavato e volli interpretare quel gesto come una conferma.
Posai le mani sui fianchi e continuai a fissare l’armadio per poi darmi un colpetto sulla fronte, entusiasta della mia trovata.
-E se mettessi quello verde?

Uscii di casa qualche minuto prima delle sette per non lasciare a Jason la soddisfazione di rimproverarmi per aver ritardato neanche un minuto che lui di certo avrebbe trasformato in cinque o dieci minuti abbondanti.
Era una serata molto umida e dovetti tirare temporaneamente su i capelli per evitare che il sudore li arricciasse ma proprio mentre vi avvolgevo intorno l'elastico un particolare insolito catturò la mia attenzione.
Harry Potter, così si chiamava il nipote di quegli esaltati dei vicini, era di nuovo di corsa e sembrava parecchio agitato allontanandosi dalla villetta con un enorme baule a carico e trascinando su di esso quella che sembrava una enorme gabbia.
Sembrava veramente sconvolto e continuava a guardarsi intorno con aria nervosa senza però accennare a rallentare minimamente; mi mossi di qualche passo verso la direzione che aveva imboccato quando una sfavillante decappottabile si accostò al marciapiede proprio davanti a me.
-Non sai che le donne come si deve si fanno sempre aspettare almeno un po’?
-Non sono una donna come si deve, Jason, dovresti averlo capito ormai.- risposi facendo il giro e salendo sulla vettura.
-Però hai classe, dolcezza. Quel vestito ti sta d’incanto.
-Risparmiami i convenevoli e parti altrimenti facciamo tardi e di certo non sarà colpa mia.

-Avvocato Kane, che piacere rivederla!
Marius Donovan era uno dei più ricchi notai di tutta l’Inghilterra e si stava avvicinando a me con la mano protesa verso la mia che non tardò a stringere.
Era un uomo panciuto sulla sessantina, un portamento elegante e l’aria socievole.
-Signor Donovan, il piacere è tutto mio, come sempre!- risposi, sorridente.
-Jason Russell! Che fine ha fatto tuo padre, ragazzone? E’ un po’ che non si fa vedere!- aveva spostato l’attenzione da me al mio accompagnatore che era decisamente più a suo agio della sottoscritta, in quel contesto.
Volteggiava su e giù per la sala salutando questo e quell’altro importante magistrato o politico esibendosi nella sua migliore performance di galanteria con impeccabili baciamano alle mogli con coliere di perle al collo.
-Si sta godendo un po’ di meritato riposo, adesso che dello Studio ci occupiamo noi e l’avvocato Mars.- spiegò posandomi con nonchalance una mano sulla schiena.
-Kate è fortunata a collaborare con due brillanti giovani come voi. A proposito, avvocato Kane, non è ancora passata in giudicato la sentenza di divisione della Woods inc.?
Cominciammo a parlare di lavoro e mi sentii molto più a mio agio: era proprio quella discrezione che rendeva Marius Donovan una piacevolissima compagnia. Non chiedeva mai della mia vita privata e mi stimava davvero per le mie doti professionali a differenza della maggior parte dei suoi colleghi che impiegavano prevalentemente il loro tempo spiando nella mia assolutamente deludente scollatura.
-Ma guarda un po’ chi si vede! Cornelius!
Cornelius Fudge si avvicinava a noi con il suo solito sorriso tirato. Era un grosso esponente della politica inglese, su questo non avevo dubbi, ma non mi ero mai interessata a lui tanto da approfondire le mie conoscenze riguardo il suo ruolo sociale.
Sembrava sempre molto teso ed ogni suo tentativo di dissimulare quella stessa tensione finiva per renderla ancora più evidente dandogli un’aria molto insicura.
Era più o meno coetaneo di Donovan e la cosa che più di ogni altra mi colpiva ogni volta che mi ritrovavo a conversare con lui era la sua voce che ricordava tremendamente il verso di un barbagianni del quale, tra l’altro, aveva tutto l’aspetto.
-Marius, carissimo! Avvocato Russell, avvocato Kane, che piacere!- salutò tutti con tono quanto più possibile gioviale e si unì a noi, portando le braccia dietro la schiena.
-Che succede, Cornelius? Ti vedo parecchio sulle spine..- chiese Donovan e dovetti trattenermi dall’aggiungere uno dei miei commenti acidi alla sua affermazione, cosa che Jason dovette notare perché mi rivolse uno sguardo ammonitore ma allo stesso tempo inevitabilmente divertito.
Se c’era una cosa certa era che Jason mi conosceva molto bene, dopo tutti quegli anni. I battibecchi erano il nostro pane quotidiano, adoravo smontare il suo atteggiamento da playboy ma in fin dei conti avevamo ormai imparato a volerci bene e rispettarci.
-Purtroppo si, Marius. Sono molto preoccupato, sai se John ha ricevuto il fax che gli ho inviato la settimana scorsa?
John Roy Major era il Primo ministro inglese in carica nonché grande amico sia del vecchio Donovan che di Fudge.
-Non ho sue notizie da un paio di settimane, a dirti la verità. Che succede?
-E’ ancora un’informazione riservata, i media non sono stati portati a conoscenza del fatto e per questa ragione devo chiedervi la maggiore discrezione possibile.- ci avvertì con tono grave prima di continuare.-un pluriomicida, molto pericoloso ed imprevedibile, è recentemente evaso e non abbiamo idea di dove si trovi adesso.
Aggrottai la fronte, confusa. Non sapevo che Fudge si occupasse del settore della Sicurezza Pubblica.
Dopo un attimo di silenzio prese a frugarsi nelle tasche mormorando parole incomprensibili per poi estrarne un foglio piegato in quattro e piuttosto malconcio che porse al signor Donovan.
-E’ lui, Cornelius? Sono sicuro che John si è già mobilitato per avviare le ricerche.
Non riuscivo a vedere la foto sul foglio ma notai che i due continuavano a scambiarsi sguardi preoccupati e sembrano volersi dire più di quanto non si fossero sbilanciati ad esprimere.
-Posso?- chiese Jason allungando la mano verso il foglio, senza fretta.
-Certo, giovanotto, certo.- rispose Donovan riscuotendosi dai suoi pensieri e porgendo la foto al mio collega che mi si avvicinò così che anch’io potessi vedere il volto del pericoloso latitante.
Il viso scarno e gli occhi infossati che mi fissavano attraverso la carta non mi erano nuovi e mi chiesi dove mai avessi potuto incrociare un criminale, pluriomicida, per altro: probabilmente doveva essere successo in occasione di qualche udienza penale, mi dissi. Vedevo continuamente passare file di delinquenti in manette, al tribunale, e probabilmente tra di loro c’era anche quello che dalla didascalia risultava chiamarsi Sirius Black.
Dopo qualche minuto i miei interlocutori cambiarono argomento riportando la conversazione su un piano meno spiacevole e gravoso ma il ricordo di quegli occhi continuava a rendermi inquieta per ragioni che neanche io sarei riuscita a spiegare.

Il tragitto fino a casa fu parecchio strano, sentivo la radio come se fosse estremamente lontana e avevo una gran voglia di ridere abbandonando qualsiasi ostentata resistenza all’umorismo indubbiamente efficace del mio improvvisato autista.
Ridevo forte eppure anche la mia risata risuonava lontana, insieme alla sua, e la città, fuori dal finestrino, si muoveva in modo innaturalmente veloce e confuso.
Non avevo mai retto granché l’alcol, soprattutto se si trattava di vino bianco pregiato e forte come quello che aveva più volte riempito il mio bicchiere, quella sera.
La macchina di Jason imboccò il vialetto di casa mia senza che potessi davvero realizzare quanto fosse durato il viaggio fino a lì ed io chiusi gli occhi, cercando di riprendere il controllo sul mio corpo.
-Allora vado. Grazie del passaggio.- dissi con voce insolitamente strascicata ma meno imbarazzante di quanto temessi mentre mi accingevo ad aprire lo sportello.
-Ti accompagno alla porta, non vorrei che cadessi rovinando irrimediabilmente il tuo bel faccino.
Sbuffai, contrariata, ma quando cercai di mettermi in piedi traballai pericolosamente sui tacchi e dovetti aggrapparmi a lui che aveva velocemente fatto il giro dell’auto venendo in mio soccorso.
-Sei velocissimo!
-No, sei tu che ti muovi a rallentatore, Kane. Possibile che ti ubriachi ancora come un’adolescente?- mi chiese, divertito, passandomi un braccio attorno ai fianchi e chiudendo la macchina.
-Zitto, Jason Russell. All’università eri tu il re delle sbornie, se ben ricordi.
-Beh diciamo che l’atmosfera e la compagnia spesso conciliavano l’ebbrezza alcolica.- ribatté con un sorriso malizioso dei suoi facendomi venir voglia di picchiarlo.
-Non sorridere in quel modo, lo sai che con me non attacca.- lo accusai una volta arrivati, poggiandomi contro la colonna del portico.
-Il solo fatto che tu lo abbia notato sembrerebbe significare l’esatto contrario.- mi redarguì, divertito, scostandomi una ciocca di capelli ribelli dal viso e portandola dietro l’orecchio.
-Accontentati del fatto che.. è stata una bella serata.
Alzò le sopracciglia sorpreso e colpito, posandosi una mano sul cuore. –Uh uh, Hannah Kane, la donna dal cuore di granito, ammette di aver trascorso una bella serata con il sottoscritto. Devi essere parecchio sbronza, tesoro.
Strinsi le labbra e lo fulminai prima di battere forte le mani e congedarmi.
-Probabilmente, quindi è meglio che vada dentro. Buonanotte, Russell.
Feci per voltarmi ed aprire la porta quando sentii la sua presa calda e ferma attorno al braccio che mi costrinse a voltarmi e un istante dopo le mie labbra erano incollate alle sue, inspiegabilmente.
In un primo momento sentii l’impulso di tirarmi indietro ma non potevo negare che, complici l’alcol e l’atmosfera, quel bacio si stava rivelando estremamente piacevole. Il tocco delle sue labbra era leggero e intrigante e quando schiusi le mie e le nostre lingue si incontrarono non potei fare a meno di portare la mano alla sua nuca mentre la sua stava saldamente posata sulla mia schiena, reggendomi e allo stesso tempo attirandomi a sé.
Aveva un profumo piacevole, probabilmente l’acqua di colonia più costosa sul mercato che in quel momento mi attraversava le narici stuzzicando la parte più istintiva di me; non mi concedevo un simile contatto maschile da troppo tempo, immersa anima e corpo nel lavoro e nella carriera che avevo sempre sognato, avevo evitato ogni fonte di distrazione nella convinzione che una donna indipendente non avesse bisogno di un uomo al suo fianco per sentirsi bene con se stessa.
Non ero di certo innamorata di Jason, neanche con il cervello intorpidito dall’alcol avrei potuto azzardare un simile pensiero, ma quel bacio mi stava facendo impazzire e mi sentivo una sciocca adolescente.
Quando ci separammo avevo il fiato corto e una assurda voglia di rituffarmi su quelle labbra sottili ed attraenti dalle quali non riuscivo a staccare gli occhi.
-Vuoi.. entrare?- gli chiesi in un improvviso moto di intraprendenza e lui in risposta mi baciò di nuovo, sorridendo contro le mie labbra.
-Spero sia una domanda retorica.- mormorò senza allontanarsi.
Frugai nella borsa alla ricerca delle chiavi e tra il mio equilibrio decisamente precario e le sue labbra che mi accarezzavano senza tregua il collo fu quasi un’impresa trovarle.
Aprii la porta e lui mi spinse piano dentro casa senza smettere di baciarmi.
Una volta chiusa la porta vi posai contro la schiena mentre lui premeva il suo corpo contro il mio e sentivo confusamente le sue mani ovunque senza poter trattenere dei piccoli sospiri che si mescolavano al suono dei suoi baci.
La casa era buia e se non avessi acceso la luce saremmo crollati a terra contro il primo mobile dato che la mia mente in quel momento non era assolutamente capace di ricomporre virtualmente la disposizione dell’arredamento, così con la mano raggiunsi l’interruttore, facendolo scattare.
Dopo qualche secondo lo sentii bloccarsi e riaprii gli occhi che avevo chiuso per godere al meglio di quelle sensazioni , rivolgendogli un’occhiata interrogativa.
-Il tuo cane ci sta fissando, Kane.
Feci scattare lo sguardo verso il pavimento e notai che Rain era comodamente seduto a pochi passi da noi e ci guardava, impertinente.
-Aspetta un attimo.. un cane? Da quando hai un cane?- mi chiese, sconvolto, aggrottando la fronte e allontanando un po’ il suo corpo dal mio.
Ancora qualche istante e mi sarei pentita di quel che stavo facendo, ne ero certa. Consapevole di questo strinsi il colletto della sua camicia chiara e lo attirai nuovamente verso di me.
-Da due giorni. Ora zitto e baciami.
Non se lo fece ripetere e cercando di ignorare lo sguardo insistente ed indagatore del mio nuovo e grosso cane nero tornò a baciarmi, anche se con meno convinzione.
Bau.
Quell’abbaio suonò tanto come un rimprovero e Jason si separò definitivamente da me, posando il capo contro la porta, accanto al mio.
-Non ce la faccio, così. Possiamo andare nella tua stanza?
No, in realtà. Non potevamo affatto perché in tutto quel trambusto il mio cervello si era mosso velocemente realizzando che stavo davvero per andare a letto con il più donnaiolo degli avvocati di Londra e che questo avrebbe di certo avuto non poche ripercussioni sul nostro lavoro.
-No, Jason, è.. meglio che tu vada.- dissi passandomi una mano sul viso e allontanandomi di qualche passo, sottraendomi alle sue mani.
-Cosa? Perché? –chiese sinceramente allibito.
-Perché stavamo per fare un grosso errore.
Fu il suo turno di sbuffare e sbatté senza alcuna delicatezza la testa sulla porta. –Ti preferivo ubriaca, Kane. Sei la solita guastafeste.
Incrociai le braccia, fermandomi, ancora non esattamente padrona delle mie gambe.
-E tu il solito gentiluomo, Russell. Credo davvero che sia il caso che tu vada. Ci vediamo lunedì allo Studio.
Capita l’antifona e non senza avermi rivolto un’occhiata velenosa riaprì la porta ed uscì. –Buonanotte, Hannah.
Era raro che mi chiamasse per nome ed ero consapevole che facendolo volesse davvero dirmi qualcosa di più ma non ero psicologicamente
abbastanza presente da rifletterci davvero.
-Che hai da guardare tu?- chiesi, arrabbiata, a Rain che aveva assistito al disastro più grande che la sua padrona avesse combinato negli ultimi mesi. Anni. Probabilmente decenni. Il peggiore dopo la scelta di non mettere l’apparecchio, ad occhio e croce.

Song: I saved the world today - Eurythmics 

Artwork: HilaryC


  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Prinzesschen