Furry Love
Changes are taking the pace
I'm going through
La
pioggia cadeva fitta fuori dalla grande finestra e probabilmente
non avrebbe neanche smesso troppo presto, a giudicare dai nuvoloni
densi e minacciosi che oscuravano il cielo pomeridiano di quel languido
ma tremendamente caldo Agosto.
-..e quindi se n’è andata, senza lasciare neanche un
biglietto e portando con sé i bambini.- concluse il mio cliente
lanciandomi uno sguardo supplichevole, le occhiaie accentuate almeno
quanto le profonde rughe d’espressione che sottolineavano lo
stato di forte stress in cui versava. Non era male come uomo,
obiettivamente parlando, ed era un vero peccato che tutte quelle grane
sciupassero i suoi tratti altrimenti delicati e allo stesso tempo
virili. Ma ero il suo avvocato, non la sua fidanzata né la sua
analista, dopotutto.
-Non si preoccupi, signor Grayson, innanzitutto mireremo ad addebitare
la separazione a sua moglie e tratteremo con il giudice delle
ragionevoli condizioni per l’affidamento condiviso. Purtroppo il
tradimento non la rende perseguibile penalmente e dunque non possiamo
neanche richiedere alcuna misura di protezione che comporti
l’affidamento esclusivo dei bambini a suo favore.
Annuì, placido e ben consapevole che nella pratica era sempre la
moglie ad ottenere un trattamento privilegiato e che ad ogni modo avrei
fatto il possibile per tutelarlo.
-Abbiamo gli elementi per darle qualche gatta da pelare, non ne dubiti.
Si alzò, scostando la sedia e mi porse educatamente la mano per poi stringerla con vigore.
-La ringrazio, avvocato Kane. Mi affido completamente a lei.
-Non se ne pentirà.
Lo accompagnai sorridente fino alla porta della mia stanza per poi
affidarlo alla segretaria dello Studio che lo scortò
all’uscita.
Studio Associato Kane, Mars e Russell. Avevo svolto il mio
praticantato in quello stesso studio, allora gestito da Russell
senior e dalla giovane Kate Mars e qualche anno vi ero rientrata come
avvocato a pieno titolo, a fianco di Jason Russell e della stessa Kate
Mars.
-E’ meraviglioso. Ma com’è che li trovi tutti tu, Hannah?
Scossi il capo, ancora scomodamente appoggiata allo stipite della porta
della mia stanza, mentre Joanne McDay tornava alla sua scrivania con le
braccia spalancate, sconcertata dalla mia- parole sue- fortuna
sfacciata.
-Sono una fottuta calamita, Jo, lo sai.
-Sempre elegante, mia adorata Kane.- commentò Jason facendo la
sua entrata trionfale, i capelli perfettamente pettinati e carichi di
gel, lo sguardo magnetico e ammiccante da seduttore incallito e le mani
affondate nelle tasche del completo gessato.
-Il tuo tempismo è impressionante, Jason. Mi sorge sempre il
dubbio che tu stia appostato dietro la mia porta pronto ad intervenire
ad ogni occasione.
Joanne trattenne il fiato, sentendomi rivolgere l’ennesima frecciatina al figlio del proprietario dello studio.
-A proposito di occasione, Kane, avrei una proposta molto allettante da farti. Vuoi sentirla?
Storsi le labbra in un sorriso forzato.-La farai comunque, sputa il rospo.
Conoscevo Jason dai tempi dell’università e quei
battibecchi erano sempre stati il nostro pane quotidiano; io lo
consideravo un borioso figlio di papà abituato ad avere tutto in
qualsiasi momento decidesse di volerlo e lui considerava la
sottoscritta una strana ragazza di periferia approdata a London City
con più ideali che cosmetici in borsetta e, per questo, come una
sorta di sfida.
Erano anni che mi svolazzava intorno come un’ape ostinata ed io
continuavo senza alcuna ritrosia a ridurre all’osso, ovvero al
semplice ambito professionale, qualsiasi rapporto.
-Dopodomani c’è un corso di aggiornamento al Palace e
organizzano anche una cena. Sono stato invitato a far le veci di mio
padre che purtroppo non potrà presenziare e mi piacerebbe se tu
volessi accompagnarmi .
La mia espressione doveva essere parecchio eloquente perché mi
si avvicinò, sbuffando, abbandonando la sua aria da sbruffone,
come spesso accadeva davanti alle mie reazioni per lui inusuali.
–Eddai, Kane, è un’occasione d’oro per te! Ci
saranno gli avvocati e i magistrati più in gamba
d’Inghilterra e..
-D’accordo.
-Come?- mi chiese immobilizzandosi e fissandomi con gli occhi scuri spalancati dalla sorpresa.
-Verrò con te.- ripetei con un sorriso impertinente, divertita dalla sua espressione scioccata.
Si illuminò per un attimo ma poi, schiarendosi la voce,
pensò bene di darsi un contegno e di riappropriarsi dei suoi
modi da uomo-che-non-deve-chiedere-mai.
-Ovviamente, saresti stata una sciocca a rifiutare. Ti passo a prendere
Venerdì alle sette, non un minuto più tardi, Kane!
Lanciai uno sguardo divertito e allo stesso tempo esasperato a Joanne,
mentre lui si allontanava, e lei ricambiò, sconvolta quanto il
mio collega.
-Sei impazzita?- scandì perché leggessi il labiale.
-E’ solo un incontro di lavoro, Jo. Solo un incontro di lavoro.
Quando uscii dallo studio la pioggia, come previsto, non era ancora
cessata e dovetti coprirmi il capo con la borsa per non inzupparmi nel
tragitto fino alla mia macchina.
Era una macchina abbastanza inusuale per una donna, a detta di molti,
una Jeep scura e meravigliosa che adoravo con tutta me stessa e che mi
ero regalata due anni prima per il mio venticinquesimo compleanno.
Osservai nello specchietto retrovisore i miei capelli biondi,
già tendenzialmente crespi, ridotti ad un groviglio informe ed
umido che sarebbe stato terribile districare e poi lo riposizionai ad
inquadrare il vetro posteriore, mettendo in moto diretta verso casa.
Quando finalmente scorsi le villette a schiera di Little Whinging attraverso la pioggia fitta mi sentii sollevata.
Svoltai nel mio vialetto e spensi il motore lanciando un’occhiata
alla casa, stranamente silenziosa, dei vicini: solitamente il vecchio
Dursley deliziava il vicinato con i suoi toni soavi mentre la magra
moglie lanciava occhiate preoccupate dalla finestra, temendo il
giudizio di noi vicini; giudizio che, per quel che mi riguardava, era
comunque pessimo. Mi era capitato più di una volta di difendere
quel delinquente del figlio, Dudley, per atti vandalici e risse che per
lo più consistevano nella sua abitudine di pestare i più
piccoli.
L’altro ragazzo, il nipote, era un tipo davvero strano. Lo
tenevano praticamente segregato in casa e mi era capitato raramente di
incrociarlo, seminascosto dietro dei grossi e tondi occhiali e con
l’aria decisamente infelice. Si diceva che l’avessero
spedito al Centro Di Massima Sicurezza San Bruto per Criminali
Irrecuperabili. Se quel posto esistesse davvero o no, per me, restava
un mistero.
Mi preparai a nuotare fino alla porta e mi tuffai fuori dall’auto, camminando a passo svelto fino al portico.
Sobbalzai notando una macchia scura accucciata sul mio tappetino e mi
feci indietro, improvvisamente incurante della pioggia, quando la
macchia scura prese a ringhiarmi contro, aggressiva.
-A cuccia, bello. Parliamone.
In linea di massima adoravo i cani ma quello sembrava proprio odiarmi e di tendergli la mano non ne avevo la minima intenzione.
Mi squadrò per qualche secondo e smise di ringhiare, inclinando il muso con aria curiosa.
Era davvero un cane strano, tutto nero ed arruffato e con degli
incredibili occhi grigi che sembravano scrutarmi attraverso la pelle.
Infine guaì piano e mi si avvicinò, leccandomi una mano.
-Non sei poi così feroce, in realtà. Vero, cucciolone?
Mi chinai sulle ginocchia e presi ad accarezzarlo, cauta.-Sei zuppo e hai fatto bagnare anche me, cattivone.
Mi sollevai e presi le chiavi nella borsa ormai fradicia mentre lui non
perdeva neanche un mio movimento, feci scattare la serratura ed entrai,
facendomi da parte e rivolgendomi all’animale.
-Su, entra pure. Non vorrai mica restare fuori ad inzupparti ancora?
Il cucciolone avanzò, diffidente, oltre la soglia senza smettere
di fissarmi ma una volta che ebbi chiuso la porta alle sue spalle notai
che la coda aveva iniziato timidamente a muoversi.
Gettai la borsa per terra e attraversai l’ingresso togliendomi le scarpe e saltellando da un piede all’altro.
Mi catapultai nella mia stanza più veloce possibile togliendomi
di dosso i vestiti bagnati per restare in biancheria intima e
così svestita e sotto lo sguardo vigile dell’enorme
batuffolo nero che mi aveva seguita come un’ombra, andai in bagno.
Scossi i lunghi capelli chiari e quando pochi istanti dopo sentii il
cane fare lo stesso con il suo pelo, poco oltre la soglia del bagno, mi
voltai rivolgendogli un’occhiata di rimprovero al quale quello
rispose con un guaito di scuse, zampettando sul posto e intenerendomi
definitivamente.
Mi frizionai per qualche minuto i capelli così da asciugarli un
po’ e poi con la stessa asciugamano presi a massaggiare il pelo
del cagnolone che sembrava godere da matti di quelle attenzioni a
giudicare dal modo in cui scodinzolava sbattendo la coda contro la
porta di legno.
Risi, divertita, e stringendo la lingua tra i denti passai ad
asciugargli il muso, stringendogli le orecchie pelose e il capoccione
scuro mentre lui odorava freneticamente l’asciugamano che
probabilmente profumava ancora del balsamo alla pesca dei miei capelli.
Quando mi sembrò finalmente un po’ più asciutto mi
tirai su, posando le mani sui fianchi e guardandolo, interdetta.
-Cosa ci faccio io, con te?
Fin da quand’ero bambina i cani erano sempre stati i miei animali
preferiti, di gran lunga più affettuosi e fedeli dei gatti,
infidi e calcolatori.
I miei vivevano in una casa in campagna che ospitava da sempre almeno
quattro esemplari di quella adorabile specie e quindi ero cresciuta,
per forza di cose, con quella forma mentis che, in quel momento, mi
imponeva di accogliere il pelosone in casa mia. Non potevo di certo
gettarlo di nuovo per strada, non aveva un collare e a giudicare dal
suo odore non faceva un bagnetto da un bel po’ di tempo, ragion
per cui non avevo elementi per ritenere che avesse un padrone, nel
quartiere, che lo potesse rivendicare.
Gli posai la mano sul capo e lo accarezzai, energica. –Stasera
sono troppo stanca ma domani ti tocca un bel bagnetto profumato.
Abbaiò, in risposta, facendomi sussultare ma in quel verso non
c’era più alcuna traccia della ferocia iniziale e con la
lingua penzoloni e la bocca spalancata sembrava invece l’immagine
della felicità.
Indossai una enorme t-shirt e mi stravaccai sul divano sul quale avevo
steso una vecchia e logora tovaglia da tavola sulla quale battei forte
la mano, guardando il mio nuovo amico che si era accomodato di fronte a
me e mi guardava, vispo.
-Salta su, Rain.
Il nome che gli avevo affibbiato sembrava piacergli molto e una volta
posizionatosi sul divano, al mio fianco, mi regalò una generosa
leccatina sul braccio e si raggomitolò su se stesso, soddisfatto
ed appagato.
Accesi la tv e la sintonizzai sul canale che mandava il mio programma
musicale preferito ma il mio sguardo continuava a cadere sul cane che
mi sonnecchiava accanto.
Mentre MTV trasmetteva un live di Changes di David Bowie nella mia
mente andava facendosi spazio un pensiero tanto inaspettato quanto
dolce: quella casa sembrava improvvisamente meno vuota e il senso di
solitudine che ogni sera mi pervadeva non aveva ancora fatto la sua
triste comparsa. Avevo sempre amato la pioggia estiva.