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Autore: Mave    01/06/2014    3 recensioni
"Se non si ha uno scopo non si ha nemmeno la forza di lottare, la voglia di farcela!" Può questo imperativo diventare il motto di ragazzi ai quali la vita volta le spalle all'improvviso? Può diventare l'input per spingerli a credere ancora, perché possano realizzare i propri sogni nonostante tutto?
(La storia presenta diversi what if)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Davide, Leo, Toni, Vale
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sfogliare quell'album, perdersi nei ricordi e nei rimpianti, era diventata quasi un'ossessione.

Era così che Leo passava tutti i suoi pomeriggi, ormai. Quel ragazzino fasciato in una maglietta troppo grande per lui con la zazzera scarmigliata dal vento e dal sorriso largo, con i denti a finestrella come conviene ad un bambino di otto anni, era diventato il suo unico compagno.

Sorrideva quel bambino, un piede su un pallone da calcio e una mano ad esibire, orgogliosa, una medaglia alla fotocamera che l'aveva immortalato. Forse quella foto era stata scattata in un polveroso campetto dell'oratorio, in un'afosa giornata d'estate nella quale ci si divertiva ad organizzare tornei amatoriali, di paese.

A nessuno importava chi avrebbe vinto perché quando si è bambini ci si diverte con poco. Si sogna e si sogna in grande immedesimandosi nei campioni più in voga e credendo di potere, un giorno, emulare le loro imprese sportive. E ci si convince pure di poterci riuscire mentre si corre, palla al piede, verso la porta difesa dal tuo amico che è più interessato a finire la sua merendina che la partita: quando si è bambini tutto sembra possibile, è facile sognare, tutto è speciale.

Questo ricordava a Leo quel bambino che gli sorrideva da un altro tempo. Dalla sua infanzia indimenticabile.

Leo aveva perseverato perché lui era uno che non si fermava davanti a niente: non lo abbatteva un rifiuto, non lo scalfivano le critiche, non lo illudevano le facili promesse. Voleva giocare a pallone, giocare sul serio e aveva passato ore, pomeriggi interi a fare della sua passione una vocazione finché la fortuna sembrava arridergli.

Alcuni osservatori di una squadra di serie B lo avevano visto giocare e gli avevano proposto di fare un provino. Certo non era una squadra dal nome altisonante o dal blasone affascinante ma sarebbe stato un buon trampolino di lancio.

La grande occasione, quella che capita una volta sola nella vita, l'occasione giusta per sfondare, era finalmente arrivata.

Ma si sa, la vita è infida e affonda i colpi peggiori proprio quando sembra che tutto andrà bene, che la strada sarà spianata.

Per Leo il colpo a tradimento il destino lo aveva sfoderato proprio nel momento più importante: quando il club aveva deciso di tesserarlo, di farlo crescere sportivamente nelle sue file, sua madre si era ammalata.

Allora era stato sul punto di rinunciare pur di stare accanto alla sua mamma. Era stata proprio la donna a non farlo demordere, ad invogliarlo a giocare, a migliorare e a vincere anche per lei.

E Leo si era impegnato, aveva lavorato in sordina, a testa bassa, purché la mamma fosse orgogliosa di lui. A lei aveva dedicato ogni gol segnato con la "Primavera", con i più giovani.

Ma non sempre le storie commoventi hanno un lieto fine e la storia di Leo presto si era trasformata in una tragedia nella tragedia.

Ricordava ogni minuto, ogni emozione di quel giorno: l'allenatore l'aveva convocato per aggregarsi alla squadra maggiore. Avrebbe potuto esordire in una partita vera, in un campionato vero, con tifosi veri. Se avesse giocato bene, magari, il suo nome sarebbe stato sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori l'indomani.... Era stato un attimo: un piede messo storto durante la seduta di rifinitura. Il medico sociale della squadra lo aveva portato in ospedale per una radiografia rassicurandolo lungo il tragitto: a tutti i professionisti capitavano infortuni come quelli.

Professionista! Leo era stato orgoglioso di sentirsi definire così. Probabilmente tutto si sarebbe risolto con una distorsione, un po' di gonfiore e la borsa del ghiaccio e il suo esordio in campionato sarebbe stato solo rimandato.

Se ne era convinto Leo quando il radiologo aveva detto che non c'era niente di rotto. Eppure avevano voluto sottoporlo, ugualmente, ad altri esami.

Leo non avrebbe mai dimenticato gli sguardi d'intesa tra i medici, l'espressione greve ed empatica della dottoressa che gli aveva dato la notizia.

La gamba non era rotta ma sarebbe stata una diagnosi dieci, cento, mille volte migliore di quella che lo avrebbe gelato, cambiato per sempre, da li a poco.

Tumore. Tumore alla tibia.

Cosa può esserci di peggio per un atleta, per un ragazzino che vuole solo continuare a sognare?

Per assurdo la prima cosa alla quale Leo aveva pensato era stata la regola del fuorigioco.

Il calciatore che si trova fuori posizione, che non può prendere parte al gioco, altrimenti la squadra avversaria riceverà un calcio di punizione a favore. Lui in quel momento era il giocatore tagliato fuori, messo k.o. non da un avversario sul campo ma da una subdola, terribile malattia.

E in quel momento, quando tutto il mondo gli era crollato addosso, sua madre, la donna che stava combattendo una battaglia analoga alla sua era diventato il suo fragile sostegno.

Quella battaglia parallela era troppo da gestire per Asia e per il loro papà e quando i medici avevano consigliato alla mamma di partire per tentare una nuova cura all'estero Leo ne era stato quasi sollevato e aveva insistito perché fosse il padre a partire con lei. Avere Asia era sufficiente per lui.

Così la famiglia si era smembrata: la mamma a combattere la sua battaglia lontano e Asia a crescere in fretta per sostituire quell'importante figura.

Leo chiuse con un tonfo l'album che raccontava di trionfi che aveva solo assaporato e mai vissuto. Fu un'ombra a distrarlo e quella dottoressa, la stessa che tempo prima gli aveva destinato quello sguardo empatico nel condannarlo, ora gli sorrideva.

"Su Leo me lo fai un sorriso? Le tue giornate da lupo solitario sono finite! Da domani avrai un compagno di stanza!"

Leo rispose con una smorfia infastidita. Non voleva scocciatori intorno.

   
 
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