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Autore: TsubasaShibahime    01/06/2014    2 recensioni
" Non voleva lasciarlo andare. Per più di un anno Junhong era stato la sua libertà, il suo modo di uscire dalla triste monotonia della realtà. Era stata la ragione di ogni sua scelta. E adesso non ci sarebbe stato più niente del genere fino a chissà quando. Sentì la voce di sua madre e sua sorella chiamare il suo nome in lontananza, non poteva lasciare che scoprissero il suo piccolo principe. Lo accompagnò allora ai cespuglietti, lasciandogli la sua giacca e avvolgendolo in essa come un fagottino.
- Lo hyung tornerà e giocheremo ancora insieme. Cresci e diventa forte e tanto, tanto felice Junhongie. -
- Hyung, non... -
Non voleva che lo supplicasse di non andare, non voleva sentire quelle parole perchè avrebbero squarciato maggiormente il suo cuore. Portò un dito davanti alla bocca minuta del bimbo, zittendolo, poi sorrise e gli diede le spalle, correndo via, verso un futuro degradante, senza di lui.
Junhong lasciò cadere il Tigro per terra, in una pozzanghera e allungò le manine bianche verso quella che era ormai la sua ombra immersa nella pioggia fitta. Proprio come la prima volta tendeva le braccine verso la sua sagoma che si allontanava.
- Non lasciarmi solo hyung.. - "
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Yongguk, Zelo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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​"Lusso" era un termine che disconosceva e in realtà non se ne rammaricava affatto. Era un uomo attaccato ai beni morali, piuttosto che materiali. Non poteva che provare disgusto per tutti coloro che, vili e inumani a suo dire, erano così morbosamente attaccati ad una macchina, ad un capo di marca, ad una casa tanto grande da contenere una dozzina di ospiti.
Se per la prima volta stava mettendo piede in quel mondo era perchè, dietro quel sorriso meraviglioso e mielato, celava tutte le peggiori intenzioni.

Seoul, caotica e luminosa, scorreva sotto i suoi occhi pochi minuti dopo il tramonto. Città senza tempo, città pretenziosa, corrotta e patria dei suoi ricordi migliori, Seoul lo abbracciava con l'estro di una cabarettista ubriaca, una delle tante viste a Las Vegas quelle volte in cui andava a trovare sua sorella. Come con quelle cabarettiste ubriache, sbuffava, la snobbava e la allontanava dai propri pensieri e dal proprio cuore.
Perdersi a Seoul era perdersi nei ricordi ancora una volta. Era soffrire del dolore lancinante delle memorie che voleva lasciare seppellite sotto strati di materia vivente.
Il maggiordomo fu allora l'unico modo per restare appigliato alla realtà. Iniziò a chiedergli da dove provenisse, dove fosse nato, perchè avesse deciso di tornare per un lavoro non tanto prestigioso nonostante il calibro del datore. Forse pettegolo o forse particolarmente cauto, cosa più probabile dato che le rughe del suo viso ne tradivano l'esperienza. Sorriso sulle labbra e risposta pronta, Yongguk non si sarebbe lasciato raggirare.

Fu in un attimo di tregua da quella conversazione fondamentalmente noiosa che i suoi occhi si posarono sul finestrino. L'auto frenò in vista del semaforo rosso e una grande folla sul marciapiede passò di fronte all'auto, sulle strisce pedonali calpestate ogni santo giorno ripetute volte. Fu in quella massa che per un ennesimo bizarro caso del destino, gli sembrò di notare qualcosa di strano. O per meglio dire, fu strano per lui rendersi conto di aver notato una cosa in particolare. Uno sguardo, due occhi scuri, profondi, ma estremamente timidi. Il suo cuore iniziò a battere come un tamburo e in un attimo di impulsività allungò la mano verso la maniglia dello sportello, deciso ad uscire, ad inseguire quello sguardo, ad assicurarsi che non fosse lui perchè altrimenti... altrimenti quell'immagine l'avrebbe tormentato tutto il maledetto tempo.
- Si sente bene? - chiese il maggiordomo che aveva già puntato lo sguardo inquisitore sulla sua mano intenzionata a spalancare lo sportello. Solo allora Yongguk tornò in sè. Deglutì, sorrise e scosse il capo. Poco importava che fosse un sorriso forzato, aveva bisogno di qualche attimo in più per rilassarsi.
Quando l'auto ripartì, Yongguk aveva ripreso a respirare regolarmente. Era passato troppo tempo da quella notizia, ma aveva ancora stampato in mente quell'articolo di giornale e l'incubo che gli era sembrato di vivere.
-

- Si, si papà. Dirò alla mamma di chiamarti appena torna. Non lo dimentico, tranquillo. Salutami Yongnam! ...Mh, ciao. -
Yongnam era di nuovo fuori casa per qualche ragione. Sapeva che aveva tanti amici, ma non credeva fossero poi talmente tanti da tenerlo occupato tutto il tempo senza dargli la possibilità di parlare un attimo con suo fratello gemello alla quale poi mancava particolarmente.
Erano passati otto mesi da quando si erano trasferiti a Brooklyn, a casa del nonno. All'inizio era stato un vero e proprio dramma, non conoscendo la lingua, non essendo ben disposto verso quella nuova vita e così via. Ultimamente sembrava le cose si fossero stabilizzate, ma nonostante questo Yongguk sentiva un vuoto nel suo cuore, un vuoto che sapeva un borough come Brooklyn non sarebbe riuscito a colmare.
In compenso, quel giorno aveva ricevuto una notizia positiva. Papà aveva detto che sarebbero potuti tornare a Seoul tra più o meno un mese, perchè le cose si erano sistemate. Non poteva esserci notizia migliore, e non solo perchè aveva voglia di rivedere la parte mancante della sua famiglia, ma anche perchè prima di partire aveva fatto una promessa e in quella città, dietro alti cespugli ben curati aveva lasciato un pezzetto del suo cuore.

In quegli ultimi tempi la casa era piena di quotidiani e giornali d'informazione. Non capiva perchè, per quanto capisse un quarto di ciò che c'era scritto, sua madre si ostinasse a comprarne così tanti, era come se cercasse disperatamente qualcosa, una notizia che era sempre sollevata di non ricevere. Yongguk non prestava troppa attenzione a quelle cose, si limitava a spostare quelle torri di carta quando doveva mettersi accovacciato sul divano a guardare i cartoni.
Una sera tuttavia, uno di quei giornali lo attrasse particolarmente. Ricordò che a pranzo sua madre aveva detto di aver trovato un negozietto che vendeva articoli da edicola internazionali e tra quelli anche qualche quotidiano proveniente direttamente da Seoul. Aveva anche detto con la solita aria sollevata di non aver trovato niente di interessante, che in Corea del Sud succedevano sempre le stesse cose, che sicuramente si sarebbero trovati meglio in America e così via.
Sistematosi sul divano come al suo solito, si ritrovò quel giornale sulle cosce. Davvero non aveva idea del perchè avesse appena iniziato a sfogliarlo, forse per assicurarsi di saper ancora leggere l'hangul come si deve, fatto sta che ad un certo punto il suo corpo si pietrificò.
Una foto. Un bambino dai capelli neri, la frangetta liscia sulla fronte, gli occhi intimiditi e le guance rosse. Le mani iniziarono a tremare e quello stesso tremolio corse poi per tutto il corpo, respirò affannosamente, iniziò a piangere, poi ad urlare. La madre lo ritrovò lì in preda al panico, in lacrime, strepitante. Era tutto falso, era tutto falso. Junhong, il suo piccolo Junhong.
" E' stato ritrovato questa mattina un cadavere sulle sponde del fiume Han. Il corpo apparteneva ad un bambino di soli sei anni di nome Choi Junhong, riconosciuto dalla suora proprietaria dell'orfanotrofio in cui viveva. I risultati dell'autopsia riportano che la morte è stata causata da annegamento. "
Quelle parole rimbombavano nella sua testa. Lo facevano quel giorno, lo fecero nei giorni successivi, nei mesi, negli anni che vennero subito dopo.

Rimbombavano nella sua mente anche mentre afferrata la valigia laccata di nero scendeva dall'auto lussuosa e ringraziava l'autista cordialmente, al fronte di quella sua nuova vita, se così la si poteva chiamare.
Il suo pezzetto di cuore se n'era andato, era annegato ormai dieci anni prima nelle fredde acque del fiume Han.

-

Erano le nove di sera. Il maggiordomo spiegò rapidamente che in quella casa la cena veniva servita alle ore otto in punto e che generalmente entro mezz'ora i padroni avevano già finito di cenare e sgattaiolavano in altre stanze, spazi comuni o camere private in cui naturalmente un tutor ospite della residenza non poteva entrare.
Yongguk era forse troppo rapito da tutto quel maledetto lusso per prestare attenzione alle sue parole.
La casa era incredibilmente grande, curata nei minimi dettagli, dotata di stanze estremamente ampie con soffitti incredibilmente alti. Forse era stata costruita per contenere dei giganti, perchè se non era così Yongguk davvero non sarebbe stato capace di spiegarselo.
Nonostante il lusso però sembrava vuota. Vuota e silenziosa.
Ebbe modo di dare uno sguardo rapido a delle cornici d'argento passando per il salotto, contenevano delle belle foto di famiglia, ma non ebbe abbastanza tempo per soffermarsi sui loro volti che dovette iniziare a salire gli scalini in marmo verso il secondo piano dove, a quanto pare, si trovava la sua camera da letto.
Una volta spalancato l'uscio si trovò davanti ad una camera da letto abbastanza ampia. Non aveva mai dormito in un luogo tanto spazioso. Le pareti erano di un lilla tenue. Sulla parete sinistra poggiava un armadio a tre ante, in legno bianco, con i pomelli in porcellana. Sulla sinistra invece si trovava un letto a due piazze, dotato di voluminoso piumone bianco e tanti bei cuscini sparsi sul materasso sulle tonalità del viola e del glicine. Due comodini, il calorifero e un'ampia finestra che dava su un balconcino che si affacciava ad un giardino immenso.
- Le piace signore? -
Yongguk annuì lasciando la valigia in un angolo.
- La sua camera si affaccia direttamente sul giardino di rose. E' il preferito della signora. -
- E' un giardino di rose? -
- Certo che si. La mia signora ci tiene davvero molto. E' una donna molto ospitale e cortese, per questo ha voluto che le camere degli ospiti volgessero al giardino, crede non ci sia modo migliore di accogliere qualcuno se non con un panorama simile. Vedrà domattina, vedrà e poi mi dirà se non ha assolutamente ragione! -
Più che un maggiordomo adesso sembrava un padre fiero della propria figliola. Beh, adesso era troppo stanco per mettersi a guardare un giardino. E poi... odiava i giardini. E odiava le rose.
- Quante persone abitano qui? - domandò allora, mettendosi a sedere sul letto. Il damerino invece se ne stava lì davanti all'uscio senza permettersi di muoversi troppo in un'area che adesso apparteneva unicamente all'ospite.
- Io, due domestiche e la famiglia Jung che comprende il signor Jung, la signora e loro figlio, che già domani potrete conoscere, immagino. -
- Quindi sei persone. -
- Sei persone, si. E tre di quelle sei persone domattina alle ore otto e trenta faranno colazione nella veranda estiva sul retro della casa, ciò vuol dire che può scegliere di fare colazione alle sette o alle nove e trenta. L'importante è che i ritmi del signor Jung non vengano scombussolati, dunque non pretenda di trovare la colazione ad un orario poco consono e soprattutto non disturbi in alcun modo i momenti di riunione della famiglia. Oh, può accedere solo al bagno che si trova qui accanto alla sua camera, se le scappa al piano di sotto dovrà necessariamente correre qui, perchè gli altri tre bagni sono riservati ai membri della famiglia. Detto questo, domani avrà modo di fare un giro della residenza... naturalmente con discrezione. -
Yongguk avrebbe voluto tapparsi le orecchie. Tutta quella precisione gli stava dando la nausea.
- Ricevuto. Ah- quando potrò incontrare il ragazzo? -
- Il signorino la riceverà domani pomeriggio alle ore 16. -
Yongguk annuì, l'altro si congedò con un inchino, lui lo ricambiò e quando finalmente la porta fu chiusa sospirò pesantemente e si lasciò cadere con la schiena sul letto. Era un posticino profumato e niente male, quantomeno avrebbe trascorso un periodo di tempo apparentemente tranquillo.
Sollevò la valigia, la mise sul letto e tirò fuori tutti i vestiti e i suoi effetti personali, li sistemò nell'armadio, sui comodini e in bagno, poi tornò in camera e indossò una tuta grigia, comoda e una maglietta a maniche corte color blu notte.
E adesso? Cosa doveva fare? Mettersi a dormire? Aish. Aveva ancora così tanta adrenalina in corpo.
Guardò l'ora: le 22:08. Forse il maggiordomo era andato già a letto e magari se avesse fatto un giretto per la casa non ci sarebbero stati troppi problemi. Eventualmente avrebbe tirato fuori la storia del " avevo bisogno di un bicchiere d'acqua " e via.
Infilatosi le ciabatte uscì dalla camera e tornò verso le scale, le scese più silenziosamente che poteva e si guardò attorno. Sembrava che le stanze fossero così distanti le une dalle altre che accendere la luce non fosse un problema. E così fece. Una volta in salotto tornò ad avvicinarsi a quelle cornici avvistate da lontano. Osservò il viso del signor Jung, quello della signora e poi si soffermò particolarmente sul viso di colui che sarebbe stato suo alunno per quel periodo. Aveva un viso simpatico e, impossibile non notarlo, incredibilmente bello. A primo impatto gli fece un'ottima impressione... per quanto avere a che fare con una bella persona potesse essergli di una qualche utilità. Meglio lasciar perdere le foto e non pensarci. Forse sentiva davvero il bisogno di un bicchiere d'acqua a quel punto.
Quella casa era un vero labirinto, ma in un modo o nell'altro riuscì a raggiungere la cucina. Mise un piede all'interno e si pietrificò. Non aveva ancora acceso la luce, quindi trovò il modo di sfuggire alla persona che era appena entrata da una porta che dava sull'esterno. Era l'ombra di un ragazzo che evidentemente stringeva qualcosa tra le braccia. Se era il signorino di quella casa non era il caso di spaventarlo, avrebbe dovuto semplicemente aspettare che accendesse la luce e presentarsi per poi spiegare che si trovava lì solo per prendere un bicchiere d'acqua.
Fu quando qualcun altro entrò in fretta e furia da quella medesima porta che Yongguk sgranò gli occhi e pensò fosse meglio uscire e nascondersi dietro la parete direttamente accanto alla porta.
- Sei pazzo?! Vuoi che succeda una catastrofe?! Eh?! Dimmelo! - una donna esagitata iniziò a parlare, teneva il tono di voce basso, ma non riusciva a contenere un granchè la rabbia. - Facciamo di tutto per proteggerti e tu ci ripaghi così, tentando di scappare da questa casa almeno una volta a settimana! Complimenti! -
A quanto pare il ragazzino dal viso simpatico di quella casa era un piccolo ribelle, magari voleva fuggire dall'eccessiva precisione e puntualità di quel posto. Si rischiava di diventare matti così, lo capiva eccome.
- Sa-sai che devo fare una cosa... - rispose il ragazzo, venendo aggredito subito dopo dalla voce della donna.
- Non dire stupidaggini! Sei forse impazzito? Se vuoi fare arrabbiare tuo padre hai trovato il metodo giusto! Non dire che non te l'ho detto, fallo ancora una volta e ne pagherai le conseguenze sul serio. -
La donna non ottenne risposta, poi si sentì il suo sbuffo e continuò.
- Ti voglio bene, mh? Adesso torna in camera tua e cerca di riflettere un po' di più sulle tue azioni. In questo modo fai del male anche agli altri, non solo a te stesso. Non farci più preoccupare, ok? Verrò a chiudere a chiave la tua port-.. -
- Ma io- .. Non puoi farlo! Soffocherò lì dentro! -
- Smettila, sai di meritare una punizione ed è meglio che te la dia io piuttosto che tuo padre, non credi? -
La donna era spazientita ed evidentemente il ragazzino si sentì intimorito. A quanto pare a bocca chiusa uscì di nuovo dalla porta dalla quale era entrato e Yongguk si affrettò a raggiungere la propria camera, dimenticandosi completamente del tour che voleva fare e del bicchiere d'acqua che voleva prendere.

-

Non servirà a niente correre fino a perdere il fiato. Ciò che è andato perso è irrecuperabile. Non si tratta di un oggetto, non si può comprare, nè barattare, non si può costruire. Si tratta di un'anima, di essenza. Si tratta di un corpo umano, di carne, di ossigeno, di battiti andati sprecati, di pelle fredda come il ghiaccio.
Quanti di questi beni umani hai già perso? Uno, due, tre. Sono volati via troppo lontano senza che potessi dir loro un ultimo addio. Hai infranto tutte le promesse, tutti i " tornerò " hanno dato vita a speranze appassite con i loro corpi.
Non puoi comprarli, barattarli, nè costruirli.
Non puoi fare niente per loro, ma per te stesso... cerca vendetta.

Aprì gli occhi di scatto, ma fu costretto a chiuderli un attimo dopo.
Era quello il bello di avere un balconcino elegante che dava su un ampio giardino? Un raggio di sole micidiale dritto in viso non appena aperti gli occhi? Aveva bisogno di tende più spesse.
Yongguk sollevò il busto dal letto, si voltò verso sinistra e vide la propria immagine riflessa sullo specchiò del comò, contornato da un'ampia cornice in argento che riportava le forme sinuose di foglie e due cornucopie un po' eccessive alla base. Perchè era tutto così sfarzoso lì dentro? Anche il suo viso sembrava essere la cosa più brutta del mondo se incorniciato da quella robaccia in argento. Aish. Era anche pallido. Quel genere di incubi lo facevano agitare parecchio durante il sonno. Era così da tanti, tanti anni ormai.
Scese dal letto, sistemò lenzuola e coperte e si infilò nel suo bagno privato. Una doccia veloce, deodorante e si vestì, indossando qualcosa di fresco, ma non troppo casual, d'altronde stava per incontrare il signorino di quella casa e voleva fare una buona impressione.
Guardò l'orario: erano le nove. Certo, quell'attempato di un maggiordomo aveva detto che poteva fare colazione alle nove e mezza, ma non credeva fosse un reato lasciare la propria camera mezz'ora prima. Così si decise a scendere le scale.

Si guardava ancora intorno, curioso e convinto che di tesori in quel posto ce ne fossero tanti, e non parlava di tesori materiali, quanto di storie, di curiosità tutte da scoprire. Forse più grande era la casa, più cose vi si potevano nascondere senza temere che venissero scoperte.
In compenso quella mattina la residenza non gli sembrò poi così vuota e triste come la sera precedente. Forse il sole brillante faceva la sua parte, illuminando l'atrio, i pavimenti, le vetrate e ovviamente il verde vivido dell'erba del giardino che riusciva a scorgere anche da lì, se guardava giusto oltre le finestre. La sua intenzione era quella di seguire il tragitto della sera precedente e raggiungere alla svelta la cucina, magari evitando di incontrare il vecchio babbione del maggiordomo. Tuttavia, mentre attraversava l'atrio sentì un rumore proveniente da destra... o forse da sinistra. Il classico rumore che generalmente non si vorrebbe sentire in una casa piena di oggetti tanto costosi: rumore di porcellane che sbattono. Forse era riuscito a sentire anche una piccola imprecazione. Si voltò, fece qualche passo ed ecco un'ombra che fuggiva più veloce della luce. Non ebbe neanche tempo di aprir bocca che era svanita, tanto da farlo dubitare e chiedersi se non si fosse immaginato tutto.
Ancora con un'aria stranita addosso raggiunse la cucina. Notò subito che, nonostante il maggiordomo fosse stato chiaro riguardo gli orari, sull'isola ampia era stata imbandita una colazione che non poteva che essere per il personale. Si guardava attorno e la pancia brontolava. E lì non arrivava nessuno a dargli il permesso di mangiare qualcosa. Aspettò allora che si facessero le 9:15 e allungò la mano verso un morbido croissant con marmellata d'albicocca. Forse era la colazione più gustosa che avesse mai fatto, che soddisfazione. Con aria beata si poggiò al bancone e fissò l'infinito soffermandosi con i sensi sulla bontà di quella colazione, quando la porta della cucina si aprì e lo fece sobbalzare. Neanche avesse rubato le caramelle a un bambino mise via il tovagliolino con la quale aveva retto il croissant prima che svanisse magicamente tra le sue labbra e posò gli occhi sulla nuova figura che si era parata di fronte a lui. In realtà il suo viso non gli era per niente nuovo, l'aveva visto la sera prima durante il suo girovagare sconclusionato, dentro una di quelle cornici in salotto.
Era più basso di lui, con le spalle strette, snello e come constatato anche in foto, con un bellissimo viso. Labbra carnose, sguardo profondo, capelli castano chiaro e soprattutto un adorabile neo sotto l'occhio sinistro.
- Yah, stai mangiando i miei croissants.. ? - chiese il ragazzo, additando Yongguk sconvolto, alla quale andò immediatamente qualcosa di traverso, costringendolo a cominciare a tossire.
- P-Pensavo- .. non sapevo .. -
- Chi sei? - nonostante la sua precedente espressione, si era appena sistemato di fronte a lui a braccia conserte con un sorriso ampio e quasi amichevole.
- Il nuovo tutor d'inglese. - ok, si era un attimo ripreso, ritrovando la propria compostezza e il proprio rassicurante sorriso.
- Oh, le tue gengive sono davvero scure! - e si avvicinò a Yongguk con quel dito puntato una seconda volta contro il suo viso.
- ...Immagino lo siano. -
- Certo che lo sono, hyung. O dovrei chiamarti "professore"? Mh, io credo sia meglio hyung. Sarebbe meglio mettere a proprio agio gli studenti, innanzitutto, o sbaglio? -
Yongguk non era preparato su quel campo, così un po' confuso si limitò a scrollare le spalle. - Se preferisci, hyung va bene. -
Il ragazzo ampliò il sorriso scoprendo i denti brillanti e lo superò, raggiungendo un angolino del salotto alla svelta. Prese uno zaino, se lo mise in spalla e poi tornò da Yongguk.
- Allora andiamo a studiare. -
- Adesso... ? Mi è stato detto che la lezione era alle 16. -
- Oh si, era alle 16, ma dato che il nuovo tutor d'inglese ha divorato uno dei miei croissants senza pietà, lo farò lavorare tantissimo, quindi andiamo. -
Continuava a sorridere e aveva un'aria da bravo ragazzo, tanto che Yongguk pensò non volesse sul serio farlo lavorare di più, ma semplicemente trascorrere la mattinata con qualcuno. Prima che il maggiore potesse dargli una risposta, aspettandosi che lo seguisse, era uscito dalla porta della cucina che dava sulla veranda estiva.
- Facciamo lezione fuori?! Yah-... -
Yongguk dovette prendere alla svelta le proprie cose e rincorrerlo.
Non appena uscì dalla porta della cucina un'ondata di sole lo travolse. Ah, quanto lo trovava odioso. Dato che a Brooklyn viveva più di notte che di giorno si era quasi disabituato a tutta quella luce. Che fosse diventato fotosensibile? Probabile. I suoi occhi impiegarono un po' ad abituarsi all'ambiente luminoso, ma poi finalmente riuscì a raggiungere la figura del minore che pestava l'erba alla quale era evidentemente abituato, girando attorno alla casa, diretto ad una zona un po' più distante. L'altro si fermò come un soldatino solo di fronte ad una veranda di mattonelle in terracotta, tutte rossicce e disposte simmetricamente fino a formare un grande rettangolo recintato da una ringhiera in ferro battuto nera, con qualche decorazione dorata. Seduti ad un tavolo ampio con la superficie in ceramica sui toni del bianco e del verde smeraldo, i padroni di casa si godevano la colazione. Lui, dalle spalle ampie, la mascella ben definita e gli occhi grandi, leggeva il giornale e sorseggiava un tè nero, lei invece, avvolta in un abito bianco di lino, aveva appena spostato gli occhi sul figlio che aveva semplicemente l'intenzione di informarla su cosa stesse andando a fare. Yongguk la fissò a lungo. Non importava da che lato la si guardasse, sembrava comunque cadaverica, con la pelle pallida, il collo lungo e sottile, le clavicole bene in vista. Solo il rossetto rosso sembrava dar vita a quel visto smorto.
- Umma, appa, vado a studiare sotto il mio albero. Grazie per avermi comprato questo nuovo hyung! - E tutto contento procedette verso l'albero di cui aveva appena parlato. Yongguk era stranito, parlava di una persona come se fosse un oggetto, ma non poteva neanche dargli troppo peso, era un signorino di buona famiglia, probabilmente anche qualora avesse detto di aver visto un elefante volare le sue parole sarebbero state prese come oro colato. Si inchinò profondamente di fronte ai padroni di casa e loro ricambiarono con un sorriso e un cenno del capo.

Il signorino raggiunse il famigerato albero, era davvero enorme, con una chioma ampia e fitta, e creava una piacevole ombra sull'erbetta fresca. Anche se avrebbe preferito studiare dentro, su una sedia magari, così da non correre il rischio di dolorosi mal di schiena, doveva ammettere che stare lì era davvero gradevole.
- Allora, signor Jung... -
- Signor Jung? Addirittura? -
- Nel contratto c'era scritto che devo darle del lei... come dovrei chiamarla? -
- Aish, gli stupidi contratti di mio padre. Potresti chiamarmi 'saeng, non credi? Mi metterebbe molto più a mio agio. -
- Ah, ma non metterebbe a mio agio me. Il nostro rapporto sarà comunque quello tra un insegnante e uno studente. -
- Hyung non vuole essere mio amico. - Cercò di tenere una sorta di broncio, poi scoppiò a ridere e prima che Yongguk potesse rispondere freddamente tirò fuori tutti i libri così da iniziare la lezione.
Nonostante quella sua aria sbarazzina sembrava proprio un ragazzo intelligente, coglieva i concetti all'istante e probabilmente se aveva delle lacune nella lingua inglese era semplicemente perchè non aveva ricevuto un insegnamento adeguato in passato.
- Ecco, adesso fai questo esercizio. -
- Ma è così lungo... -
- Signor Jung. -
E l'altro annuì intimorito, iniziando a fare l'esercizio.
Amava particolarmente dargli esercizi da fare, l'aveva appena scoperto. Mentre lui li faceva poteva tranquillamente sbadigliare, guardarsi attorno, fantasticare e delle volte anche chiudere gli occhi e godersi il vento delicato e bollente sulla pelle. C'era un'afa paurosa, ma quell'angolino d'ombra era una benedizione.
In quel momento fece vagare lo sguardo per il luogo in cui si trovavano e il cuore entrò rapidamente in tachicardia.
Quel grande albero con la chioma ampia, un giardino sconfinato. Un giardino di rose. Rose e primule. Battè le palpebre un paio di volte. Doveva essere in uno dei suoi stupidi incubi. Niente. Quando li riaprì inquadrò persino una statua, la statua di una sirena dai capelli voluminosi che se ne stava lì in mezzo a una fontana, bagnata dai suoi giochi d'acqua.
Era vittima di un orribile dejavù.
Ansioso più che mai allora portò lo sguardo sul ragazzo di fronte a sè, ancora a pancia in giù sull'erba mentre compilava le schede di esercizi. Yongguk doveva calmarsi, non voleva che il suo atteggiamento sembrasse sospetto, era ancora all'inizio, non poteva rimetterci il posto di lavoro.
- Mi scusi, posso chiederle da quanto tempo abita in questa casa? -
- La smetti di essere così formale hyung? -
- Può rispondermi? -
- ...Pff. Da sempre. Da che ho memoria, ho sempre vissuto qui. -
- Anche da bambino quindi... -
- Certo che si. Sono nato in questa casa, sono sempre vissuto qui. -
Il cuore di Yongguk andava a mille.
- Ah... capisco. Beh, comunque... non le ho chiesto ancora il suo nome... -
- Uhm, hyung! Se te lo dico poi mi chiamerai per nome? -
- ...Immagino si possa fare. -
Yongguk tratteneva il fiato, quasi sicuro di quale nome avrebbe sentito uscire dalle sue labbra.
- Daehyun. -
E fu come se nella sua testa una serie di neon si fossero appena fulminati.
- Daehyun? -
- Forse ti sembra strano perchè hai vissuto in America così tanto tempo, ma si hyung, Daehyun. E' un nome molto diffuso. Mi chiedo come mai i miei mi abbiano dato un nome tanto usuale... -
Yongguk sorrise flebilmente, poco convinto, ma a quanto pare l'altro non vi diede per niente peso.
Era il posto. Era chiaramente quell'esatto posto, ma quello non era il bambino che ricordava, non era quello con cui aveva giocato tutti i giorni per più di un anno della sua infanzia.
Maledizione. Qualcosa non quadrava.
Se il posto era quello, il giardino di rose era quello, l'albero era quello sotto la quale giocavano ogni giorno, se il piccolo Junhong non aveva fratelli, nè sorelle, se quel Daehyun aveva sempre vissuto in quella casa... ah, nulla aveva più senso. Era un puzzle impossibile da ricomporre, mancavano elementi da ogni parte, in qualunque modo cercasse di capirci qualcosa falliva ugualmente. Eppure il suo cuore aveva ripreso a battere come non faceva da tempo. Era come se si fosse preso uno spavento bello e buono e non riuscisse più a calmarsi.
Il destino era così frustrante, si prendeva gioco di lui ogni attimo di più.
   
 
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