Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Hika86    03/06/2014    4 recensioni
"Allora Aragorn fu turbato perchè vide la luce elfica sfavillare nei suoi occhi insieme con la saggezza di molti anni; e da quel momento egli amò Arwen Undómiel figlia di Elrond" [...] "E sul colle di Cerin Amroth, quando abbandonammo sia l'Ombra che il Crepuscolo, accettammo il nostro destino." ["Il Signore degli Anelli", Appendice A]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Arwen, Elladan, Elrohir, Elrond
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

PLAYLIST PER LA LETTURA DEL CAPITOLO

Un attimo prima andava tutto bene. Era stanco, era nervoso, ma non c’era nulla che non andasse. Poi aveva abbassato la guardia per pochissimi istanti e il suo avversario era riuscito ad assestargli un colpo.
«Tutto bene ragazzo?» chiese questi vedendogli sanguinare la fronte
«Sì, sì» si limitò a rispondere Aragorn. Era tutto ciò che gli veniva in mente in quel momento: aveva delle striature bianche nel suo campo visivo, gli fischiava l’orecchio sinistro ed era intontito.
L'uomo era un viaggiatore di cui non sapeva molto. Da Imladris andavano e venivano alcuni Nani, pochissimi, alcune figure misteriose che non conosceva e che avevano affari principalmente con Elrond, poi Uomini girovaghi o messaggeri e alcuni Elfi. Il suo avversario era uno dei tanti, ma gli era sembrato un tipo interessante il giorno prima, a cena: era allegro e chiacchierone, ma sempre attento alle proprie maniere e alle parole da usare. Prima di entrare nella Sala del Fuoco, Aragorn l’aveva avvicinato e gli aveva chiesto di aiutarlo nel suo allenamento il mattino dopo.
«Vado a metterci qualcosa sopra e andrà a posto» riuscì finalmente ad aggiungere. Strinse tra loro le labbra, cercando di nascondere il proprio disappunto per quella brusca conclusione e per ciò che rischiava di seguire.
«Mi spiace, non pensavo di colpirti, era una mossa così facile da prevedere...» cercò di scusarsi
«E' colpa mia» annuì Aragorn interrompendolo. «Ho perso la concentrazione, sono un po' stanco»
«E' vero, sono parecchie ore che andiamo avanti. Sei un ragazzino che si tiene allenato, vero? Ma è meglio se ci fermiamo» annuì l'uomo con un sorriso, mettendogli una mano sulla testa. «Sicuro di stare bene? Vuoi che chiami qualcuno?»
«No, so dove andare. Grazie per oggi» il bambino fece un inchino, quindi mise la spada di legno nella cintura e si allontanò rapidamente, prima che l’uomo pensasse di chiedere sul serio a qualche Elfo: nessuno avrebbe dovuto vederlo o sapere di quella ferita, nessuno.
Una volta allontanatosi a sufficienza, sbuffò storcendo il naso: poteva dare la colpa solo a se stesso per quell’errore e lo detestava, perché si era creato con le sue mani un problema che altrimenti non ci sarebbe mai stato. Peggio! I problemi erano due. Prima di tutto, gli Elfi di Imladris trovavano da soli le occasioni per prenderlo in giro, quindi non avevano bisogno di altri incentivi per ridere alle sue spalle, cosa che invece lui aveva appena fatto: se l’avessero scoperto, avrebbero poi chiesto al suo avversario di raccontare l’accaduto e avrebbero capito subito la verità, ossia che gli era parso di vedere una figura che poteva essere Arwen avvicinarsi dai camminamenti che portavano allo spiazzo erboso degli allenamenti, così aveva spostato lo sguardo per accertarsene e non solo non era lei, ma si era anche preso una bella botta alla fronte. Aver almeno evitato di fare quella pessima figura davanti alla fanciulla era una ben magra consolazione. Il secondo problema, invece, era che quel giorno avrebbe avuto tutto il pomeriggio libero e aveva i suoi progetti per occuparlo, ma se avessero scoperto la ferita si sarebbero tutti preoccupati e il suo prezioso tempo libero sarebbe stato speso in modo diverso.
Girato un angolo, finalmente riuscì a pensare con più chiarezza e cominciò a ragionare su come evitare l’uno e l’altro di quei problemi. Prima di tutto prese un fazzoletto dalla tasca con la mano che si era già sporcata di sangue, di modo da avere almeno la sinistra ancora pulita. Se lo premette sulla tempia e sull'occhio, chiuso per via del sangue denso che gli era sceso sulla palpebra. Fermandosi per un momento, si tolse il laccio dai passanti di una scarpa, se lo passò intorno alla testa e fece un nodo ben stretto per assicurare il fazzoletto contro la ferita, quindi prese un camminamento secondario per andare verso la biblioteca avendo finalmente entrambe le mani libere. Entrò di soppiatto, controllando che non ci fosse nessuno, mentre si puliva la mano sui vestiti. Arrivato allo scaffale che gli interessava, prese uno sgabello, ci salì e afferrò un libro sui ripiani più alti avendo cura di toccarlo solo con la sinistra, ma fece appena in tempo a tirarlo via dal ripiano che sentì delle voci.
«Nâ glin bein» dicevano. «Non gelir e linnar». Era Lindir.
Aragorn saltò subito giù dallo sgabello e si accucciò a terra: non avrebbe dovuto esserci nessuno a quell'ora! Era sicuramente già pronta la tavola per gli ospiti arrivati il giorno prima e gli Elfi avrebbero dovuto essere a mangiare con loro o almeno a tener loro compagnia. Arricciò il naso e trattenne uno sbuffo scocciato. Il numero di libri che riempiva fittamente gli scaffali lo nascondeva all'ingresso, ma non gli permetteva nemmeno di vedere quanti fossero i disertori del pranzo, così chiuse gli occhi. Nel buio dietro le palpebre, la sua attenzione si concentrò sull’udito, ed in pochi secondi ogni più piccolo rumore venne chiaramente percepito dalla sua mente. Escluse così ogni cosa che non fossero le voci dei guastafeste nella biblioteca: frusciare di alberi, rombo di cascata, gorgogliare di ruscello, scricchiolio di legno, ronzio d’insetti, cinguettio, cigolare di porta; ed infine le voci degli Elfi divennero chiare. Erano in tre, più Lindir, ed erano ancora vicini all’ingresso.
Riaprì gli occhi, controllò di non aver lasciato tracce rosse in giro e si tolse le scarpe: non aveva tempo di legarle tra loro con il laccio rimasto e appendersele al collo, quindi le nascose mettendole al posto del libro che aveva tolto, di modo che gli altri volumi non pendessero di lato, nella speranza che nessuno notasse la mancanza. Rimanendo chinato, nonostante non fosse cresciuto ancora tantissimo, si diresse alla finestra sul lato opposto della sala rispetto agli Elfi, ci si arrampicò con i gomiti e la scavalcò evitando di appoggiare la mano sporca da qualsiasi parte. Una volta fuori rimase sotto il davanzale aspettando di sentire l'esclamazione di qualcuno che l'avesse visto fuggire, ma non accadde. In punta di piedi raggiunse la fine del camminamento laterale alla biblioteca, scese gli scalini e infine si mise a correre tenendo il libro sotto il braccio, saldo tra le dita pulite: gli Elfi non l'avevano sentito! Ce l'aveva fatta!
La sua meta era Bar-en-Neledhlas, la Casa del Trifoglio, chiamata così perché la forma dell’edificio ricordava quella pianta. Era uno degli ambienti più importanti della casa di Elrond, anche se era conosciuto a pochi: le abilità curative dell’Elfo erano frutto di capacità elfiche, ma anche di una profonda conoscenza delle erbe e dei loro utilizzi e quello era il luogo dove le piante usate per scopi medici venivano raccolte e trattate. Un’unica scala tortuosa tra le rocce portava all’ingresso: il pavimento era in marmo opaco bianco e aveva intarsi in pietra verde lucente a disegnare un rigoglioso fogliame, le sottili colonne chiare erano intagliate a ricordare le figure di alberi, diversi l’uno dall’altro. Tutto intorno c'erano solo rocce, che nascondevano il posto a molti degli altri ambienti della Casa, e pochi alberi sempreverdi che faticosamente sputavano dalla fredda pietra.
Ognuna delle tre sale circolari aveva uno stile e un uso differente. La prima aveva una cupola in vetro opaco e dal soffitto pendevano vasi di pianticelle dalle diverse forme e sfumature, alle pareti stavano altre piante ancora, posate su mobili di ferro battuto intrecciato e colorato di bianco a forma di scalinata: ogni gradino era occupato da numerosi vasi profumati. Lì erano conservate tutte le piante medicamentose che venivano curate appositamente in un luogo diverso dalla grande serra di Imladris.
La seconda sala conteneva un focolare di pietra al centro e una lunga catena pendeva dal soffitto a sorreggere un largo cerchio in ferro: lì erano appesi numerosi ganci tramite i quali poter mettere sul fuoco altrettanti pentolini, calderoni e paioli per preparare infusi e decotti. Lungo le pareti c'erano dispense con tutti gli utensili per la cottura, piatti, pestelli, ciotole, coltelli, cucchiai e gli strumenti per la coltura delle piante e la cura del fuoco, oltre ad una catasta di legna sempre pronta all'uso.
La terza stanza era quella che dava verso il resto di Imladris: più che una veduta della casa però, da lì era possibile ammirare la gola da un’altezza superiore, intuendo nell’insieme la sua forma, come una grossa spaccatura tra le rocce. C'erano due letti dalle lenzuola fresche e cuscini morbidi, alcune seggiole e un mobile che conteneva la biancheria e tutto il necessario per la prima cura di una ferita: bende, garze, ago, filo e altro. Un piccolo e tenace pino di montagna vi cresceva di fianco e grazie ad esso si percepiva sempre odore di resina in quella camera.
Aragorn arrivò con il fiato corto nella quarta stanza, che era quella a cui portava la scala d'accesso. Nessuna delle altre tre aveva porte, ma davano tutte su quella parte centrale, spoglia come fosse solo un luogo di passaggio, ma che nascondeva un segreto prezioso. Il bambino aprì dei cassetti e prese delle garze e un panno con la mano pulita, quindi si avviò al tavolo della sala centrale. Era sorretto da massicce gambe di pietra intagliata in maniera del tutto differente dal resto dell'ambiente: infatti sapeva che quel supporto era stato un dono dei Nani, ricevuto moltissimi anni fa, e mostrava quindi la foggia tipica dei loro lavori: squadrata, precisa, solida e massiccia. La struttura celava il fatto che il pavimento sotto il tavolo fosse del tutto mancante.
Il ragazzo posò le garze poi prese il panno e si stese in terra allungando la mano nello spazio vuoto e scuro. Lui era ancora piccolo e doveva far passare tutto il braccio oltre il bordo, ma la pozza non si trovava poi molto sotto il livello del pavimento. L'acqua arrivava da uno dei picchi più alti della gola, il suo percorso doveva essere tutto sotterraneo perché anche se la fonte della pozza gocciolava, invece di zampillare, essa non si esauriva mai, nemmeno nel cuore dell'inverno quando ogni altra cosa ghiacciava: le dure rocce di montagna la proteggevano ed essa scorreva purissima tra le loro crepe. Scendendo verso il basso, arrivava a quella pozza che era l'unico punto di raccolta scoperto, e sotto di esso altre rocce lasciavano filtrare il liquido goccia per goccia; quindi a meno che non si sapesse già dell'esistenza della fonte, non c'erano ruscelli o cascate a rivelarne l’esistenza e il tavolo massiccio la copriva.
Aragorn rabbrividì al contatto, lasciò che il panno si bagnasse e ritrasse il braccio: il liquido era talmente gelato che faceva quasi male quando bagnava la pelle sana, ma se lo si usava per le ferite allora era miracoloso. Quando il bambino posò la stoffa imbevuta sulla fronte, gli diede sollievo immediato dal bruciore e dal dolore. In quel momento sentì i suoi pensieri schiarirsi del tutto, come un cielo le cui nuvole vengano spazzate via improvvisamente. A quel punto, si rese conto che nonostante quel piccolo inconveniente della ferita, era andato tutto bene e aveva risolto entrambi i suoi problemi: era arrivato lì senza essere visto -si sarebbe preparato un impacco e la ferita sarebbe guarita lasciando poche tracce che avrebbe nascosto arruffando i capelli nei giorni seguenti- e si sarebbe dedicato al suo progetto pomeridiano, ossia la lettura del libro. Certo, sarebbe stato su uno di quei letti invece che in camera propria, ma anche lì non lo avrebbero facilmente disturbato e vi si sarebbe potuto dedicare in santa pace.
«Estel» si sentì improvvisamente richiamare. Il bambino rimase seduto immobile sul pavimento e trattenne il fiato. Fortunatamente si trovava dalla parte opposta del tavolo rispetto alle scale, ma le garze e il volume che vi aveva posato sopra lo avrebbero comunque tradito. «Iston nâch si» alla frase seguì un sospiro. «E' successo qualcosa? Non dirò niente a nessuno, quindi lascia che ti dia una mano»
«Non è grave» rispose mettendosi in piedi e guardando vero l'entrata. Arwen indossava un vestito estivo di seta color porpora, cucito all'altezza dello sterno a del lino rosa pesca con piccoli ricami di gardenie gialle e oro. Quella seconda stoffa dal colore più chiaro le copriva spalle e braccia, dandole più luminosità al viso.
Aragorn afferrò il bordo del tavolo con le dita e la fissò pensieroso. Sì, lei poteva sapere di quella ferita. Lei non aveva mai riso.
A quel punto la fanciulla alzò un braccio, sventolando gli scarponcini del bambino. «Guarda cosa ha trovato Glorfindel in biblioteca» ridacchiò divertita
«Pensavo fossero ben nascosti» spiegò sgranando gli occhi
«Per te, forse. Non hai pensato che l’altezza che tu raggiungi con uno sgabello, per lui è dritta davanti a sè». Estel seguì i suoi movimenti con gli occhi, rimanendo dietro al tavolo, senza dire nulla. Lei lasciò le scarpe vicine all'arcata d'ingresso e gli si avvicinò. «Posso dare un'occhiata?» chiese accennando con lo sguardo al taglio sulla fronte.
Il bambino continuò a fissarla, mordicchiandosi le nocche delle dita. Vedendo il risultato della sua sbadataggine lo avrebbe consolato oppure lo avrebbe sgridato? Alla fine annuì: tanto Arwen non si arrabbiava mai. A quel cenno, la fanciulla fece il giro del tavolo, lo prese in braccio e lo sollevò per metterlo a sedere sul bordo, di modo da potergli guardare bene la ferita. «Sai quanto era preoccupato?» gli chiese
«Per il libro?» domandò Estel alzando la testa per mostrarle la ferita
«Ma cosa dici, sciocchino? Per te» gli rispose schiacciandogli il naso con l'indice. «Ti era colato del sangue sulle scarpe e ha pensato... ah, avevi ragione, non è grave»
«Visto? Posso occuparmene da solo. Mi passi dell'athelas?» chiese il bambino indicando la sala dei vasi
«Impari in fretta, vero?» sorrise lei, quindi si girò e prese gli strumenti per recidere qualche foglia della pianta. «Mio Padre dice che ogni tanto l'hai aiutato, ma non pensavo sapessi anche i nomi delle piante»
«Non me l'ha insegnato lui, l'ho letto in un libro» spiegò arrossendo: i complimenti di Arwen erano sempre ben accetti come quelli di Elrond, però i suoi lo imbarazzavano. «E' un'erba con moltissime proprietà anche se ha un aspetto molto comune. Può curare ferite semplici, ma è anche un portento in casi seriamente gravi» le disse, ricordando le parole del libro
«Io ti cerco disperato per tutta Imladris e tu sei qui a fare lezioni di botanica?» chiese Glorfindel arrivando in quel momento in cima alle scale.
Estel però dava le spalle all’entrata e per un attimo ebbe di nuovo paura che un Elfo qualsiasi lo avesse scoperto proprio quando pensava di aver scampato il pericolo. Oltre al danno la beffa! Pensò che sarebbe stato preso in giro -di nuovo- ma quando si fu girato ed ebbe visto il biondo, tirò un sospiro di sollievo e si rilassò visibilmente: nemmeno Glorfindel aveva mai riso di lui.
«Scusami per lo spavento» fece il bambino chinando il capo e mettendo una mano sul libro. «Ho fatto attenzione a non sporcarlo però»
«Bene, non è grave» rispose l'Elfo incrociando le braccia con un gran sorriso sul viso
«Come fai a dirlo? Non hai nemmeno visto il taglio» ribatté Arwen allungando infine le foglie ad Estel
«Se la sua prima preoccupazione è lasciare intatto un libro, direi che sta benissimo» spiegò quello, facendo spallucce. «Ah, athelas?» domandò respirando a pieni polmoni il profumo leggero e rilassante che rilasciò la pianta quando il bambino la stropicciò tra le dita.
«Volevo curarmi e leggere qui nel frattempo: sono d'accordo con uno dei Nani nostri ospiti che mi farà da avversario per l'allenamento del tramonto, quindi volevo sbrigarmi» spiegò mettendo le foglie in bocca e cominciando a masticarle
«Cosa volevi leggere tanto da rischiare di venire scoperto?» domandò Arwen incuriosita
«"Quenta Tuoro ar Atalante Ondolindeo"» rispose Glorfindel, sapeva quale fosse il volume rimpiazzato dalle scarpe anche senza averlo guardato. «Di nuovo» aggiunse
«Mi piace» si scusò Estel raccogliendo tra le dita la pianta masticata
«Mettile nella garza, ci penso io a farle aderire alla ferita: tu nemmeno la vedi» spiegò la fanciulla coprendo la mano con il tessuto pulito. «Perché non ti fai raccontare la storia da Glorfindel? La sa meglio di tutti: lui c'era!» gli chiese, mentre il bambino faceva come gli era stato detto. «Hai tempo?»
«Dipende da quale storia vuole sentire» rispose l'Elfo chinando il capo in segno di assenso.
Il viso del piccolo seduto sul tavolo improvvisamente si illuminò di un'idea nuova. «C’è un secondo volume, ma quel tomo è ancora troppo pesante per me: prenderlo da uno scaffale così alto è impossibile, così so solo fino a quando Tuor e Idril hanno un figlio» spiegò Estel alzando la testa quando Arwen gli mise un dito sotto il mento per alzargli il capo e vedere bene la ferita. «Se c'eri, puoi raccontarmelo e non hai bisogno del libro».
Il principe Elfico non rispose immediatamente. Raccolse in silenzio le scarpe lasciate vicine all'ingresso e le portò sul tavolo per rimettere il laccio che era stato tolto. «Quella è una storia lunga, Estel» disse prendendo il panno ancora umido e passandolo sugli scarponcini per togliere le macchie di sangue. «Non hai pensato che se non riesci a sollevare quel libro è anche perché potrebbe non essere una lettura adatta a te? Non ancora, per lo meno».
Estel aspettò che Arwen finisse di medicarlo, intanto si concesse un’attenta riflessione su quelle parole. Conosceva molte storie sul figlio dell’Uomo e della fanciulla, principessa di Gondolin, ma di loro due in quelle storie quasi non si accennava. Che fine avevano fatto? E nessuna era ambientata in quella città. Il titolo gli permetteva di presumere cosa fosse accaduto, ma come? Senza il secondo volume non avrebbe saputo quale fosse la verità. Inoltre, chiunque avesse raccontato storie collegate, sembrava aver evitato appositamente qualsiasi accenno che lo incuriosisse ulteriormente su quella lettura. Era voluto?
«Tu sai quando potrò leggerlo?» chiese a medicazione completata
«Lo saprai prima di me penso» gli rispose Glorfindel sorridendo. «Dovrai solo provare e ci riuscirai»
«Va bene» annuì accettando quel rifiuto. «Allora intanto, mi spiace, ma puoi tenerti le mie scarpe: io leggerò quello che posso» spiegò arricciando il labbro inferiore e saltando giù dal tavolo. Si avviò alla terza stanza, ma prima di salire su uno dei letti puliti si girò. «Leggi con me?» chiese spostando gli occhi grigi in quelli di Arwen
«Vuoi che stia con te?» gli chiese lei con un sorriso quasi divertito
«Sì, voglio leggere con te la storia di Tuor e Idril» annuì arrossendo. Nonostante tutto era andato meglio di quanto previsto!

Le stagioni si succedevano e Aragorn cresceva a vista d’occhio. Ma solo a lui sembrava che essere bambini stesse durando troppo. Per tutti quegli anni aveva osservato gli Elfi della Casa di Elrond partire un mese e tornare un altro: Elladan, Elrohir, Glorfindel e tanti altri; mentre lui continuava ad essere un bambino e ad essere lasciato indietro. Al massimo gli era stato concesso di stare via per quattro giorni e tre notti con i gemelli, ma erano sempre rimasti all’interno della gola; così guardava quei valorosi guerrieri partire e si chiedeva quando sarebbe arrivato il suo momento oppure si chiedeva perché non crescesse più velocemente. Un giorno di Marzo si era allontanato da tutti e si era portato una mantella, deciso a stare via anche se si fosse messo a piovere, com’era infatti successo. Si era sistemato sotto un grosso tiglio; l’albero cresceva sulla cima di una salita oltre la quale la discesa era una parete di roccia alta circa 3 metri. Sotto passava l’unico sentiero che serpeggiava sulla parete della gola di Imladris e che portava all’ingresso della casa. Già altre volte aveva fissato le partenze da lassù, perché si trovava più in alto di un adulto a cavallo di almeno un metro e se rimaneva fermo e silenzioso, nessuno si accorgeva della sua presenza e del suo malinconico sbirciare; inoltre era fuori dalla Casa, quindi difficilmente qualcuno lo disturbava. Quel giorno partiva una grossa compagnia di Elfi, diretti ai Porti Grigi. Avrebbero lasciato Imladris poco prima del tramonto, ma per Aragorn quello era un giorno orribile, quindi si era messo sotto il tiglio dopo aver fatto la colazione e non intendeva tornare indietro fino a sera.
Fermo sotto la pioggerellina della mattina, aveva finito con il prendere sonno e passare il tempo con la testa ciondolante sul petto, poi il tepore del sole alla fine del brutto tempo gli aveva conciliato ancora di più il sonno e si era definitivamente addormentato. Si svegliò a metà pomeriggio, quando la sua mente capì di aver sentito un rumore di zoccoli avvicinarsi e poi fermarsi poco distanti da lui. La luce dietro le palpebre gli diceva che non era il tramonto, quindi non poteva essere la compagnia che aspettava e quando emerse dal sonno non seppe dire con quanto ritardo avesse preso coscienza dei rumori rispetto a quando questi fossero realmente avvenuti. Si piegò in avanti per guardare in basso, sul sentiero, dopo che il sonno lo aveva sbilanciato all’indietro contro il tronco del tiglio. Una figura dagli abiti dismessi e grigi lo fissava tenendo lo sguardo alzato verso di lui. Era troppo in alto per rientrare nel campo visivo di qualcuno a cavallo, e fino a poco prima Aragorn stava dormendo, immobile, quindi come aveva fatto lo sconosciuto ad accorgersi della sua presenza?
«Benvenuto» gli disse senza riuscire a trovare parole migliori per via dello stupore
«Oh sì, lo sono sempre» rispose subito quello, quindi diede un colpo con i talloni al cavallo e continuò per la sua strada. Aragorn si stropicciò gli occhi sbadigliando e fissò lo sconosciuto allontanarsi: doveva essere uno degli ospiti strani di Elrond.
Si alzò in piedi per sgranchire le gambe e diete una scrollata alla mantella per togliere la pioggia, ma se la rimise subito sulle spalle: la primavera non era ancora arrivata a giudicare dal fresco che sentiva nonostante il sole. Fatto questo alzò le braccia verso l’alto e respirò profondamente per allungare bene il corpo prima di rimettersi seduto: avrebbe aspettato, come aveva già deciso, perché non aveva voglia di allenarsi, né di leggere, anzi, in realtà non voleva rischiare di avere a che fare con nessuno quel giorno. Era proprio di pessimo umore.
Le ore passarono, il gruppo di Elfi che partiva quel giorno lasciò Imladris poco prima del tramonto e lui li guardò sfilare sotto di sé, rimanendo il silenzio. Avevano pochi fagotti e delle lanterne accese dal fuoco della Casa che avrebbero portato con sé fino ai Porti Grigi. Li osservò con tristezza, sapendo che stavano partendo per non tornare, al contrario degli esploratori che aveva spiato altre volte. Desiderava tanto andare via con loro, avrebbe significato essere diventato grande! Guardando però quella compagnia silenziosa, si rese conto che non riusciva a pensare di non rivedere più sua madre, Elrond e Arwen: se lasciava da parte i sogni di gloria e di viaggi in luoghi sconosciuti, gli rimaneva solo il pensiero di ciò che invece si lasciava alle spalle; e l’idea della separazione gli faceva bruciare gli occhi.
Si sfregò le palpebre con il dorso della mano e cercò freneticamente qualche altro pensiero a cui dedicarsi, perché il corso che stavano prendendo le sue emozioni non gli piaceva: lo faceva reagire proprio come un bambino!
«Sei ancora qui?» domandò una voce. Il sole era scomparso dietro le montagne e il cielo dietro i picchi sembrava riflettere la luce di un incendio. Aragorn si girò percependo come chiunque stesse parlando non fosse sul sentiero, ma sulla salita erbosa che portava all’altura del tiglio. Riconobbe la sagoma nel buio della salita: aveva lo stesso incedere di una di quelle personalità misteriose che passavano da Imladris e di cui lui non sapeva niente perché queste parlavano e incontravano solo Elrond e pochi altri, ma appena arrivò sull’altura e venne illuminato dalle ultime luci del tramonto, Aragorn capì che era stesso individuo salutato quel pomeriggio. In quel momento le due immagini si fusero in una sola e lui ebbe un’idea complessiva di quella persona che fino al giorno prima era stata solo un’ombra nello studio del padrone di Imladris.
«Sai che ti stanno cercando?» domandò questi raggiungendo infine le radici dell’albero.
Era la prima volta che vedeva chiaramente le fattezze di quel visitatore misterioso. Era un vecchio dalla barba grigia, stesso colore degli abiti logori e del mantello, si appoggiava ad un bastone nodoso, ma nonostante l’aria anziana e la schiena un po’ curva, non sembrava aver realmente bisogno di un sostegno per camminare: non aveva nemmeno il fiatone dopo quella salita.
«Non importa, tanto non vado da nessuna parte. Lo sanno bene» rispose chinando il capo in un cenno di saluto.
Il vecchio sospirò profondamente, quindi fece schioccare la lingua contro il palato. «Senti, ti spiace se siedo un po’ qui con te? Ho voglia di fumare, ma gli Elfi non sono una gran compagnia in questo genere di attività».
Aragorn si limitò a farsi da parte, come cenno per far capire che poteva accomodarsi. Si strinse sotto il mantello, sentendo il fresco della sera cominciare a farsi più pungente, e osservò i movimenti del vecchio che si sistemava tra le radici al suo fianco. Fissò le mani rugose che aprivano dei pacchettini e preparavano una lunga pipa in legno intagliato e decorato molto semplicemente, e non poté trattenere un’esclamazione di stupore quando gli sembrò di vedere una fiammellina comparire dal nulla dalle dita dello sconosciuto. L’erba secca messa dentro l’oggetto si accese, mentre questi ridacchiò e se lo portò alle labbra.
«Non hai mai visto una pipa, ragazzo?» chiese questi
«Sì, ma nessuno fa come avete fatto voi» rispose con gli occhi spalancati
«Non ce ne sono tanti come me e non passano dalla casa di Elrond, forse è per questo» continuò a ridacchiare sommessamente, poi inspirò profondamente e cominciò a rilasciare il fumo nell’aria, sotto forma di piccoli cerchi bianchi. «Mi hanno detto che è il tuo compleanno oggi, di solito i bambini non festeggiano in maniera più allegra?»
«Oh sì, ma tanto potrò festeggiare come un bambino anche l’anno prossimo» rispose con una punta d’amarezza nella voce. Si strinse nelle spalle e tornò a guardare le montagne in lontananza. Lo sconosciuto aveva toccato il tasto dolente di quella giornata, il motivo per cui era arrabbiato e per cui non voleva incontrare nessuno: era il suo compleanno.
«Non sei contento di fare gli anni?» chiese il vecchio prendendo un’altra boccata dalla pipa
«A cosa serve festeggiare se non cambierà nulla? Oggi ho otto anni, ma tutto sarà uguale a ieri, quando ne avevo sette» spiegò arricciando il labbro, con rabbia e disappunto.
«Non ti piace essere piccolo, eh?» osservò l’anziano
«Per niente» rispose Aragorn, lapidario.
La verità era che quel nervosismo era dovuto ad un malinteso che durava da molti anni: gli Elfi ridevano, o sorridevano di lui, ma quello che lui pensava fosse il motivo era ben diverso da quello reale.
In generale, avvertiva che ci fosse una differenza tra Elfi e Uomini, ma rifletterci attentamente non rientrava nelle sue priorità e quindi fin dal primo momento non gli era sembrato sbagliato o strano provare qualcosa per Arwen. Quando si era reso conto che gli abitanti di Imladris trovavano buffo che lui fosse innamorato, pensò quindi che fosse perché era solo un bambino. Alcuni si erano limitati a sorridere divertiti, mentre qualche giovane fanciulla aveva ridacchiato con maggiore evidenza e questo lo aveva demoralizzato: perché dovevano farlo sentire ancora più in imbarazzo, quando un qualsiasi gesto carino verso di lei gli costava già moltissimo? Magari passava i giorni a domandarsi se raccogliere quei fiori, se portarle qualcosa in regalo dalla sua spedizione successiva, se intagliare e regalarle un oggetto o anche se era il caso di dirle questo o quel complimento. Quando si convinceva spendeva le notti a pianificare come fare e cosa fare esattamente, ed infine gli toccava fare degli enormi sforzi per tirare fuori tutto il coraggio possibile per completare ognuna di queste sue piccole missioni. Quelle risate lo avvilivano perché sembravano sminuire i suoi gesti: era consapevole di essere ancora un bambino, ma non vedeva perché quello che provava avrebbe dovuto valere di meno solo per quello.
La verità però era ben diversa. Agli Elfi era stato subito chiaro quello che Estel provava, e non perché lo avesse manifestato in modo particolarmente sfacciato. Semplicemente, non dandosi pena della reale differenza tra sé ed Arwen -l’essere Uomo ed Elfo- Aragorn non aveva mai pensato di dover fare attenzione al proprio comportamento: spesso il bambino le aveva portato qualche regalo –un fiore, delle coroncine di erbe profumate intrecciate, degli oggettini semplici di legno intagliato grossolanamente- e non si era curato di consegnarglieli in privato. Il suo atteggiamento era privo di malizia e nello stesso modo adorante con cui aveva cercato Elrond in quegli anni, ora cercava anche sua figlia. Proprio per quella specie di purezza, gli Elfi di Imladris erano rimasti estasiati da quella situazione: il piccolo Estel con una cotta per la bella immortale Arwen Undómiel era una delle cose più tenere che avessero mai visto! Siccome nessuno lo prendeva sul serio, si divertivano a prenderlo bonariamente in giro, giusto per vederlo arrossire, arrabbiarsi e mettere il broncio.
Così era nato il malinteso: loro prendevano con leggerezza la situazione, consapevoli della differenza abissale che rendeva impossibile quell’unione, mentre Aragorn era serio, pur con la serietà di un bambino, e pensava che il problema fosse solo l’età. E lo sarebbe stato ad otto anni come a sette.
«Ci sono tanti bambini come te, lo sai? Anche a loro non piace essere piccoli, vogliono crescere in fretta» disse lo sconosciuto quando l’erba ebbe finito di bruciare nella pipa. «Quando diventano ragazzi hanno fretta di essere adulti, senza credere possibile che gli adulti vorrebbero tornare ragazzi e rimpiangano l’età dell’infanzia. Ma è così: il piccolo vuole essere grande e il grande vuole tornare piccolo. Poi diventi vecchio e ti rendi conto dell’assurdità di tutto questo» scosse leggermente il capo. «Essere bambini ha anche i suoi vantaggi, vero?» chiese, ed Aragorn annuì. «Ma si pensa solo agli svantaggi. Lo stesso è per gli adulti: una volta diventati tali, si possono fare molte cose che prima non si potevano fare e altre che dopo non saranno possibili, ma si passa il tempo a pensare a quanto sarebbe bello tornare indietro. Solo una volta vecchi si capisce quanto siano vane tutte queste speranze e di come esse abbiano portato solo a non godere di nulla di ciò che in quel momento si poteva avere e che ormai non tornerà» sospirò e mise via la pipa lentamente.
Ormai si era fatto buio e si vedeva poco nell’oscurità, così Aragorn percepì più forte del normale il profumo del tabacco appena bruciato e di quello ancora fresco nella sacchetta alla cintura dello sconosciuto. Il vento gelido invernale si infilò tra le pieghe del mantello e lo fece rabbrividire. Avrebbe voluto un abbraccio e realizzò che gli sarebbe bastato chiedere per averlo, ma un giorno non sarebbe più stato così. Ripensò all’idea triste di partire e abbandonare delle persone care e capì la verità di quelle parole: il bambino che voleva crescere, vedeva il bello dell’avventura e la speranza di essere adulto per poter essere considerato di più da Arwen e dagli altri Elfi, ma rischiava di perdersi tutto quello che invece Arwen poteva dargli in quel momento, proprio perché era piccolo.
«Cercherò di vivere di più come un bambino» riuscì solo a dire abbassando lo sguardo. «Mi chiamo Estel»
«Io sono Gandalf il Grigio, un amico di Elrond. Ci siamo visti ogni tanto in questi anni, ma non siamo mai stati presentati, Estel» il vecchio sorrise nell’oscurità
«So chi siete: uno stregone!» esclamò all’improvviso. Conosceva quel nome, anche se fino a poco prima non sapeva che fosse quell’uomo a portarlo.
«Bene, la mia fama mi precede. È sempre una soddisfazione» ridacchiò sommessamente
«Se domani facessi una festa» disse il piccolo lasciando in sospeso la frase, con un'inflessione di speranza e supplica nella voce
«Sarei ben felice di esserci» rispose Gandalf con voce morbida.

L’autunno dei nove anni di Aragorn si preannunciava più freddo di altri. Un giorno venne annunciato che i gemelli sarebbero partiti per un periodo molto lungo: più di un anno. Da quando Aragorn era arrivato ad Imladris non erano mai stati via per così tanto tempo e la tristezza del bambino sembrava un abisso profondo e sconfinato. Non riusciva a darsi pace all’idea di non vedere Elladan ad Elrohir per quasi sedici mesi. Il giorno stabilito per la partenza il bambino era andato alle stalle per salutarli, ma lo aveva fatto con il cuore pesante: non gli sembrava che ci potesse essere nulla che lo consolasse da quella separazione.
«Prendete la via sud, è più sicura» diceva Elrond, mentre i figli sistemavano gli ultimi bagagli sulle cavalcature all’interno delle stalle di Imladris. Estel era fermo sulla soglia delle stalle, con Arwen che lo teneva per mano. «Non arrivano molte notizie dal nord delle Montagne, meglio starne lontani» continuava a raccomandare il padre
«Forse dovremmo passarci proprio per questo» propose Elrohir. «E’ ora di sapere qualcosa».
Gli Elfi erano difficili da decifrare, ma erano tanti anni che viveva con loro: Elrond, Elladan ed Elrohir lo avevano visto crescere, ma anche lui li aveva osservati. Grazie a quello gli era meno difficile leggere le loro espressioni, così gli fu subito chiaro che quella partenza non era uguale alle altre. C’era apprensione nei loro occhi, molti pensieri dovevano aver portato a quella decisione, eppure non li vedeva tristi. Qualcosa si stava muovendo, ma cosa?
«No» si oppose il padre. «Non servirebbe. Sarete di ritorno tra due primavere, non ha senso. Ma anche se doveste tornare prima, non sarebbero comunque notizie fresche. Inutile rischiare»
«Ma...» fece per ribattere l’altro ed Elladan gli mise una mano sulla spalla, stringendogliela leggermente.
«Ci mancherai Estel» disse questi per cambiare discorso, tirando le redini del cavallo ed avviandosi verso l’uscita dove stava il bambino. «Prometti di continuare ad allenarti? Magari quando torneremo, infine, ripartiremo con te al nostro fianco»
«Lo farò. Quando ci rivedremo sarò tanto cresciuto e tanto bravo che non mi riconoscerete più» annuì lui stringendo tra loro le labbra per trattenere le lacrime. Sapeva che quel viaggio li avrebbe portati a nord a cercare quel che rimaneva di quelli come lui: i Raminghi come suo padre. Non sapeva bene perché lo facessero, né sentiva particolare affetto per quelle persone, se ancora esistevano; non aveva ricordo di loro e per lui Elladan ed Elrohir avevano più importanza di qualsiasi altro popolo della Terra di Mezzo perché erano i suoi fratelli maggiori ed i suoi insegnanti, parte della sua famiglia, l’unica che ricordasse di aver avuto.
«Ci conto, sai?» ridacchiò Elladan scompigliandogli i capelli castani
«Arwen, accompagna Estel in biblioteca, oggi starò con lui» spiegò Elrond con voce affettuosa. «Ma non prima di aver salutato i miei figli come si deve: io e Gilraen li scorteremo al ponte» aggiunse guardando verso la donna rimasta in disparte. Estel guardò la fanciulla con lui annuire e salutare i fratelli dando a ciascuno un bacio sulla guancia, augurando loro buona fortuna, quindi, anche se con reticenza, la seguì e si allontanarono insieme.
«Avviamoci per non destare sospetti, ma non troppo in fretta: ci sono alcune cose da dirci prima della partenza che è bene che nessun altro ascolti» consigliò Elrond accennando al sentiero.
Quando il figlio scomparve dietro un angolo, Gilraen si mise al fianco del Signore di Imladris, raddrizzando la schiena e guardando i due Elfi pronti a partire. Generalmente era una donna dall’aria pacifica e molto semplice, mantenendosi fedele al copione di segretezza scelto anni prima, ma in quel momento erano presenti le uniche persone che sapessero dell’esistenza dell’ultimo Erede di Isildur e inconsciamente rivelava la sua vera natura e la forza di spirito che possedeva: la limpidezza del suo sguardo era quella della madre di un Re, di una discendente degli antichi abitanti di Numenor.
«State partendo con una missione ben precisa, per quello vi ho detto di non passare a Nord: i passi delle Montagne Nebbiose possono aspettare» spiegò l’Elfo avviandosi
«Prima di tutto, trovate la mia gente» sussurrò Gilraen. Il gruppo uscì dalle stalle e imboccò il sentiero di terra ed erba che portava al piazzale in pietra dell’ingresso, in mezzo a giovani querce colorate d’autunno. «Sono almeno due anni che non abbiamo notizie da parte di nessun Ramingo»
«Ed è arrivato il momento di cominciare a tastare il terreno, capire quanti guerrieri sono rimasti e cosa si sa dell’Erede: se c’è speranza, se sono convinti veramente che sia morto e cosa succederebbe se tornasse. Non è forse vero, padre?» domandò Elrohir. «Pensi che il momento per Aragorn di uscire da Imladris si stia avvicinando?»
«Estel» lo corresse Gilraen. «Sarà Estel ad uscire da questa casa, così come spero che sia ancora Estel a tornare»
«Non gli direte nulla?» chiesero i gemelli, stupiti. Il suono dei ruscelletti e delle cascatelle vicine al sentiero si era fatto più lieve: lì poteva essere cominciato da poco l’autunno, ma sui picchi delle Montagne Nebbiose l’inverno congelava ogni cosa man mano che il tempo passava. La partenza dei gemelli avveniva prima che i passaggi venissero chiusi del tutto dalla neve frettolosa di quell’anno.
«Una cosa alla volta» fece Elrond, allargando le braccia. «Prima di tutto parliamo di questo “tastare il terreno”. Sì, fatelo, ma con prudenza. Indagate quanta forza sia rimasta nei Raminghi, come siano organizzati ora, cosa stiano facendo e state con loro in questi mesi, dandogli tutto l’aiuto possibile. Dategli speranza, se non ne hanno, ma non fate mai ipotesi sull’Erede di Númenor: dovranno continuare a pensare che non vi sia più nessuno di quella stirpe ancora per lungo tempo» spiegò mentre la strada piegava in una discesa, sotto un arco di pietra. «E qui arriviamo alla vostra seconda domanda: no, non gli diremo nulla, o almeno non ancora. Ne abbiamo discusso a lungo in questi ultimi mesi» spiegò accennando con il capo alla donna con loro. «E abbiamo concluso che non è nostra intenzione dirgli la verità finché non sarà maturo abbastanza per accettarla. Non mentiremo per sempre all’Erede sulla sua vera natura, non è in nostro potere e non penso che il suo sia un destino di ignoranza, ma la nostra intenzione è di metterlo al corrente di ogni cosa solo quando sarà pronto e degno di portare il nome che gli è stato dato alla nascita» concluse quando gli zoccoli dei due cavalli cominciarono a fare rumore contro la roccia del piazzale
«Lo farete ancora vivere come un bambino qualsiasi nonostante sia un Re?» domandò Elladan infastidito
«Non è un Re» lo interruppe Elrohir. «Non ancora. E comunque potrebbe non esserlo mai»
«Lo sarà invece, e noi saremo con lui quando avverrà» ribatté il fratello
«Sono felice di sapere che quando sarà grande avrà al suo fianco degli amici fedeli come voi» sorrise Gilraen. «Ma dite bene, potrebbe non diventare mai Re. E a prescindere da questo, un buon Re deve sapere essere umile e deve comprendere i suoi sudditi: se vivesse viziato, con l’idea di avere un giorno un regno da comandare a suo piacimento, allora tanto varrebbe non fargli mai sapere della sua discendenza»
«Ad ogni modo, non sta vivendo come un bambino qualsiasi» li corresse Elrond, facendo loro segno di salire in sella. «E’ stato e sarà ancora istruito dagli Elfi perché sia un Uomo saggio e sapiente in futuro, perché sappia giudicare cosa è giusto e cosa è sbagliato in base ad una propria salda morale. Nessun bambino degli Uomini ha questo privilegio».
I gemelli montarono sui cavalli che cominciarono a camminare in tondo nello spiazzo, quindi annuirono chinando il capo davanti ai giudizi del padre e della donna.
«Fate buon viaggio» salutò Gilraen
«Conto su di voi» aggiunse l’Elfo. «E attenderò il vostro ritorno» aggiunse mentre un lieve sorriso emerse dalle pieghe severe e preoccupate della sua espressione. Elladan ed Elrohir salutarono a loro volta, facendo risuonare le loro voci limpide sulle pareti di roccia vicine all’ingresso di Imladris, quindi oltrepassarono le statue dei due guerrieri e, raggiunto il solido sentiero di montagna, si avviarono al galoppo.
Elrond e Gilraen li fissarono mentre scendevano rapidi verso il fondo della gola, poi la donna si strinse nelle spalle ad un soffio del vento e l’Elfo le mise le mani sulle braccia. «Vedrai che li troveranno» sussurrò senza staccare gli occhi dai figli sempre più lontani.
La donna non disse nulla, poi, dopo un minuto di silenzio, annuì. «Saprà il suo vero nome» pronunciò infine. «Lo saprà quando quello che abbiamo usato in questi anni si sarà rivelato realtà: se potrà essere la nostra Speranza, allora non avremo più bisogno di continuare ad invocarla ogni volta che lo vediamo, perché essa avrà infine risposto».

Frasi dall'elfico e altre note al testo
«E' un bel canto. Sono felice che lo cantino»
«Estel, so che sei qui»
"Il Racconto di Tuor e la Caduta di Gondolin" (Quenya)
• La Casa del Trifoglio e l'esistenza di quel libro sono una mia invenzione (la caduta è contenuta nel secondo volume, chiaramente Aragorn sa cosa succede, ma solo a grandi linee)


Finalmente posso postare! Chiedo scusa per l'immenso ritardo. La vita che sto facendo da questa parte del globo mi impegna in maniera estenuante e se voglio scrivere devo prendermi con la forza il tempo necessario.
Questo capitolo non è stato facile da scrivere, perchè in un primo momento iniziava in maniera totalmente differente (Elrond cercava di farsi avanti a gomitate) ed era previsto un salto temporale; poi però mi sono resa conto che questa cosa non mi piaceva. Ovviamente non voglio stare ferma troppi capitoli sull'infanzia di Aragorn: anche se è tenerissimo, penso siamo tutte/i ansiose/i di vederlo crescere; ma non mi piaceva lasciare un gap terrificante tra lo scorso capitolo, con l'incontro, e questo, in cui sarebbe finito con l'avere già 11 anni! Un capitolo per scandire gli anni che passano e raccontare il rapporto durante l'infanzia posso concedermelo direi.
Per chi attende Gilraen: fidatevi, qui è ricomparsa un attimo, ma nei prossimi tornerà. Non la abbandono!!

Devo assolutamente cominciare con il ringraziare tyelemmaiwe e melianar per il supporto elfico che mi hanno dato. Tutte le frasi e le parole in elfico che trovate sono frutto del loro preziosissimo lavoro, quindi se sono carinissime e suonano bene con la storia, è a loro che dovete fare i complimenti!
Ringrazio anche Venice93, Magali_1982, fiamma di anor, Kikyou e Cinthia988 (ovviamente anche tyelemmaiwe e melianar) per le gentili recensioni allo scorso capitolo: grazie per aver speso qualche minuto del vostro tempo per farmi sapere come lo avete trovato, lo apprezzo veramente moltissimo e in parte mi fa sentire che i miei sforzi per trovare tempo di scrivere non siano fini a se stessi. Grazie ancora!!

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Hika86