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Autore: sarahrose    03/06/2014    1 recensioni
William Bruce Bailey, 17 anni.
Intelligente, sensibile e dotato.
Cresciuto a torte di mele, Sacre Scritture e cinghiate nei denti.
Figlio di Stephen L. Bailey, Pastore Pentecostale, Ministro del Culto della Lafayette Holy Roller Country Church, e di Sharon Bailey, casalinga frustrata e dedita agli antidepressivi.
Vittima di abusi dal padre-padrone e dell'indifferenza della madre.
Un unico amico su cui contare: Jeff Isbell.
E la Musica. Quella del Diavolo.
Il rock. Quello vero. Brutto, sporco e cattivo. E terribilmente proibito.
Questa è la storia di un mito. Di una leggenda.
William Bruce Bailey. Da Lafayette, Indiana, a Los Angeles in autostop.
Per diventare W. Axl Rose.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axl Rose
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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WARNING: PURTROPPO I PRIMI SETTE CAPITOLI SONO ANDATI PERSI. WRECKLESS E' SBARCATO IN AMERICA IN LINGUA INGLESE E QUESTO, ALLA SOTTOSCRITTA, PASTICCIONA COM'E', HA CREATO NON POCHI CASINI. PER QUESTO, CHI HA GIA' LETTO LA STORIA, SI ACCORGERA' CHE QUESTO EPISODIO E' STATO RISCRITTO DI PESO. SORRY!!! TUTTA COLPA DEL PC!!! (E, GIA' CHE CI SIETE, SCUSATE EVENTUALI DISASTRI DI COPIA/INCOLLA) STATE TRANQUILLE: IL PROBLEMA RIGUARDA SOLO I PRIMI CAPITOLI. DALL'8 IN POI C'E' TUTTO! (E SARA' POSTATO TALE E QUALE!) WRECKLESS KISSES VI ADORO TUTTE (SOPRATTUTTO ANGIE MARS! E LAILA!) SARAH ROSSA MALPELA ROSE
Capitolo 5
 
 
 
GRANNY KATE
I’d better keep my mouth shut
Io non lo so. Non ho parole. E del resto, ditemi voi. Che cosa dovrei fare?
Scusate lo sfogo. E già che ci siete, perdonate la mia maleducazione. Non mi sono nemmeno presentata!
Sono la nonna di Billy.
Sharon, sua madre, è mia figlia.
Sono fuori di me dalla rabbia e non posso fare altro che mangiarmi il fegato mentre quel figlio di buona donna riesce sempre a farla franca. 
Signore, ti prego! Se ci sei, vedi di tenermi la bocca sigillata. E già che ci sei, se non ti rode, scaglia un fulmine fatto bene su chi dico io! (Se no’ giuro che faccio uno sproposito!)
Quel farabutto ne ha fatta un’altra delle sue. E con chi è che se l’è presa, tanto per cambiare? Col ragazzo. Billy.
Stamattina, verso mezzogiorno, si è presentato da me con una sacca sulla spalla.
No, dico. Quando l’ho visto, ho preso paura.
Era bianco come un lenzuolo candeggiato con Ace.
Il visino aggraziato, quasi da femmina, costellato di lividi e graffi. Il naso che sanguinava. Le labbra ridotte a una fessura.
Benedetto ragazzo! Mi ha lasciato la scia sulla porta come Pollicino!
Quel pezzo di roba che puzza di suo padre l’ha picchiato di nuovo. E stavolta mi sa che ci ha dato giù di brutto. L’ho capito appena l’ho visto. Non c’era neanche bisogno che aprisse bocca. Tanto, io sapevo già tutto.
Niente di nuovo sotto il sole.
Quel figlio di un cane predica miele-razzola merda ha la mano pesante. Infatti, guarda caso, mia figlia porta sempre gli occhiali da sole anche di giorno. In casa o fuori, non fa differenza. Praticamente ci va anche a letto. Non se li toglie mai.
E i lividi sugli zigomi?
Ha sempre la scusa pronta. E’ inciampata. Ha sbattuto contro un mobile. E’ scivolata. E’ caduta per le scale. E che più ne ha più ne metta.
Seeee, come no! Non sono mica nata ieri, io! Non ho mica cinquantatrè anni per niente!
O no? Voi cosa dite?
Uomini! Tutti farabutti. Uno peggio dell’altro. E quello lì, se volete saperlo, è il peggiore  di tutti.
Povero Billy. Che sfiga!
Ha tutta la mia solidarietà.
Ad ogni modo, quando ho aperto la porta e mi son vista davanti il ragazzo in quello stato, m’è preso un coccolone.
Lui se ne stava lì immobile, e si vedeva bene che era in imbarazzo. Muto come un pesce, gli occhi fissi sullo zerbino con su scritto
WELCOME
 a mangiucchiarsi le unghie.
Non appena m’è tornata la favella, per toglierlo dall’imbarazzo, ho notato le occhiaie. Nere. Profonde.
“Tesoro!” Gli ho detto, cadendo dal pero. “Niente scuola? Come mai? Cos’è successo?”
Lui ha sollevato lo sguardo e io, che sono sua nonna e lo conosco da quand’è nato- per non dire che, praticamente, l’ho tirato su io- ho sentito puzza di guai.
I suoi occhi verde acqua avevano uno scintillio febbrile. Erano liquidi. Enormi. Come quelli di un cerbiatto spaventato.
La pelle era livida. Quasi traslucida. Avrei giurato che, oltre alle botte, c’era di più.
“Forza!” gli ho detto, scompigliandogli affettuosamente i lunghi capelli. “Vieni dentro.”
Lui ha sbattuto per terra lo zaino e si è buttato sul divano a singhiozzare disperatamente come un bambino piccolo.
Con la scusa di andare a prendere la cassetta del pronto soccorso, l’ho lasciato sfogare un po’ da solo. Non appena s’è un po’ calmato, sono scivolata sul divano accanto a lui e me lo sono preso in grembo come quand’era piccino.
“Cosa c’è, Carotina!”
Lui mi ha guardato tirando su col naso, ancora scosso dai singhiozzi.
“Cosa succede? Dillo alla tua nonna!”
Ragazzi!
Fermare l’emorragia non è stato facile. Giuro. E’ stata una bella gatta da pelare! Ad ogni modo, l’ho sistemato sul divano con una montagna di cuscini dietro la testa e l’ho coperto con una coperta fatta all’uncinetto. Lui mi ha ringraziato con gli occhi pieni di gratitudine.
Mentre lo medicavo nell’anima e nel corpo, avevo un groppo in gola.
Povero micetto che paga le colpe dei grandi!
(Ti capisco, bambino. Credimi. Tu non sai quanto.)
 “Nonnina!” mi ha sussurrato, lavato e pulito “sei sicura che non ti disturbo?”
“Ma tesoro mio! Ma no, che non mi disturbi! Cosa ti viene in mente? Lo sai che qui da me sei sempre il benvenuto!”
“Oh, nonnina…!”
Inutile dire che mi è saltato al collo. Io me lo sono strapazzato un po’, poi gli ho rimboccato la coperta e gli ho dato in mano il telecomando della TV.
“Adesso rilassati un po’, ok? Mettiti lì tranquillo e guardati quello che vuoi. Tra mezz’oretta si mangia. Va bene?”
“No!”
Scrollando i capelli con rabbia.
Mi sono inginocchiata sul tappeto persiano di fronte a lui, gli ho preso il musetto tra le mani e l’ho guardato negli occhi.
 “Non hai fame?”
“Per niente.”
“Tesoro, ma cos’hai? Non stai bene?”
Il ragazzo si è passato le mani tra i capelli, a disagio, torturando una lunga ciocca rosso carota.
“Sto di schifo, nonna.”
Esaminandolo meglio, ho notato che- lividi a parte- aveva una brutta cera. Poi mi è scappato l’occhio sulla felpa. La sua preferita. Quella con su quel brutto ceffo coi capelli lunghi e i baffi a galleria che mi guarda storto e mi fa il dito medio. Carino.
Come se il soggetto non bastasse, la felpa era tutta sporca e sdrucita. Per non parlare dell’odore. Puzzava. Sapeva di sudore. Di sonno. E di vomito.
“Billy!” gli ho chiesto, posandogli una mano sulla fronte sudaticcia “che cos’hai? Vuoi che chiami il dottore?”
“Non serve”
“Come, non serve?”
“Ho l’influenza” ha risposto il ragazzo, rosicchiandosi le unghie. “Metà classe è sotto le pezze. Ma te lo immagini? Che sfiga, nonna! Proprio di domenica! Praticamente ho fatto tutta notte a vomitare.”
Carotina… mi spiace!”
“Sapessi a me! Inutile dire che stamattina ero uno straccio da lavare in terra e… onestamente, nonna, non me la sentivo proprio di cantare in chiesa!”
“Lo credo bene! E lui?”
“Lui… lui niente. Lo sai anche tu com’è fatto quando si fissa. Ci ho provato a spiegarglielo. Gli ho detto che stavo male e pensavo di avere l’influenza, ma quel pezzente che non è altro mi ha riso in faccia! Mi ha cacciato in gola la colazione con l’imbuto- per non dire con la cinghia. Cioè. Mi ha messo davanti ad una scelta obbligata. L’ha fatto apposta per umiliarmi davanti a tutti. E io…”
“Tu?”
“Indovina. Tu mi conosci, nonna. Lui mi aveva ferito nell’orgoglio e io… ho dovuto farlo. Voglio dire. Per mangiare ho mangiato. Però… te l’ho detto, stavo di merda. Ops! scusa. Non ce l’ho proprio fatta a trattenermi e… insomma. Io non volevo, giuro! Mi sarei scavato la fossa da solo, ma non ho potuto farci niente. No, dico. Immaginati la scena. Non ridere. Eravamo a tavola e io… merda. Ho vomitato davanti a tutti. E ho fatto la figura del coglione.”
“Ma tesoro! Ma fregatene. Non te la prendere. Non è successo niente.”
Billy si è agitato.
“Sì, invece. Ho perso la faccia. Davanti a Amy e a Stu. Che figura di merda, nonna! Mio padre è una bestia. E’ malato. Giuro. Io non lo so. Non ci capisco dentro niente. So solo che non gliene frega un cazzo di suo figlio, a quello stronzo! L’unica cosa che gli frega di me è la mia voce. Punto e basta. Per il resto potrei anche crepare. Lo vuoi sapere cosa m’ha risposto quando gli ho detto che non mi sentivo bene? Ha detto che…”
Il ragazzo ha un accesso di tosse.
Gli porto un bicchiere d’acqua e lui lo inghiotte tutto d’un fiato.
“Che?”
“Indovina. Sbizzarrisciti pure.  Che sono un tossico. Un alcolizzato. Un senza Dio. Quel vecchio scemo dice che io non ho l’influenza. Nossignore. Ho i postumi di una sbronza!”
Mi scappa una parolaccia.
“Holy Shit!”
Esclamo, mentre il ragazzo scoppia in una risatina liberatoria che gl’illumina per un attimo il visetto sofferente.
“Ma quello lì è andato completamente!”
Billy sorride mentre a me, sinceramente, viene da piangere.
Non devo cedere, penso, inghiottendo le lacrime. Non devo dargliela vinta, a quel figlio di buona donna!
So per esperienza che il ragazzo, quando sta male, ha più bisogno di aceto che di miele. Se non faccio così, rischio che rimanga un bambino per sempre. Proprio perché è sensibile ed emotivo. Deve farsi la scorza. La corazza.
E’ caduto? Benissimo. Capita a tutti, prima o poi, di cadere.
Lui però deve imparare a farlo in piedi. O, alle brutte, a rialzarsi.
La vita è una puttana. Non bisogna farsi fregare.
Lo dico soprattutto per voi, che siete giovani.
Io sono vecchia. E credetemi quando vi dico che l’ho dovuto imparare sulla mia pelle come si fa a stare al mondo!
Poverino, deve stare davvero malissimo. Glielo leggo in faccia.
“Vuoi che ti faccia un po’ di brodino? Ti farebbe bene.”
Lui s’illumina tutto.
“Sì, grazie!”
E mentre rovistavo nella credenza alla ricerca di un pentolino adatto allo scopo e di un coperchio delle dimensioni giuste, dal soggiorno mi è giunto un grido eccitato.
“Che culo, nonna! Che culo! Non ci posso credere: AMITYVILLE HORROR! Che figata!!!”
Ha alzato il volume della TV. Voci concitate. Musica ossessiva. Urla. Grida. Colpi.
“Gustatelo tutto!”
Gli ho gridato di rimando, cercando di coprire il sonoro incalzante del film.
“Nessuno te lo porta via!”
Cinque minuti dopo, eccomi di ritorno con una bella scodella fumante.
“Ecco, Carotina. Mangia quel che ti senti. Capito? Non sei obbligato a finirlo tutto. Ma, mi raccomando! Attento, eh? Che scotta.”
“Grazie.”
Lui si è tirato su a sedere a gambe incrociate, ha preso il cucchiaio e si è messo a mangiucchiare, ma, dalle smorfie eloquenti che faceva, si vedeva che lo faceva per me, che proprio non gli andava giù.
Era tutto sudato. Tremava.
Ad un certo punto ha deposto il cucchiaio.
“Mi spiace, nonnina. Non ce la faccio più. Mi viene da vomitare.”
“Non importa, tesoro”
Gli ho sfiorato la fronte con le mani.
“Ma tu scotti! Hai la febbre!”
“Lo so. Ma vaglielo a dire, a quello là!”
Pensavo a tutto questo preparandogli il letto nella cameretta che, un tempo, era stata di sua madre. Fissando quelle pareti rosa antico tappezzate di poster ormai sbiaditi in cerca di risposte che, sapevo bene, non avrebbero mai potuto darmi.
Rivedevo lui piccino. Scappato di casa coi suoi giornaletti e con il cane. Con la pancia vuota e il culo pieno di cinghiate. Gli occhi gonfi di pianto.
Bussava alla mia porta in cerca di un posto dove stare 
pregando che il tuono e la pioggia non gli facessero del male.
 Parole sue. Ci ha scritto su persino una canzone, SWEET CHILD O’MINE, credo si chiami.
Ve l’ho detto che quel ragazzo farà strada!
Mi sono affacciata in soggiorno. Il film era finito. Scorrevano i titoli di coda.
“Il tuo letto è pront- OMMIODDIO!”
Il ragazzo stava piangendo. La testa tra le braccia. I capelli sfatti sciolti sulle spalle.
“Tesoro! Va tutto bene?”
Lui ha scrollato la testa.
“No che non va bene! Non c’è niente che va bene! Lui… lui… è pazzo! vuoi sapere cos’ha detto? Che sono…”
Accidenti.
Pallido lo era già, il mio Billy, ma tutt’ad un tratto è diventato proprio verde.
“…posseduto”
Ha inghiottito a vuoto, cercando di trattenere l’impossibile.
“Dal Diav-v-
Si è coperto la bocca con le dita crivellate di anelli coi teschi e le croci.
Ommadonna santissima!
(Il mio tappeto Persiano! Pietà! L’ho appena fatto lavare! L’hanno riportato ieri dalla tintoria.)
Sono schizzata in cucina a prendere il bidone della spazzatura e dei fazzoletti di carta.
Appena in tempo.
E siccome non ho avuto il tempo di trovargli un elastico, io purtroppo non ho potuto far altro che tenergli indietro i capelli mentre vomitava.
Povera la mia Carotina.
Ha tirato su anche l’anima.
(Inutile dire che stavolta la mia pozione magica ha proprio fatto fiasco.)
Doposbronza un cazzo!
(Scusate il termine volgare.)
Il ragazzo sta male davvero. Ha l’influenza. Un virus. Insomma! Guardatelo! Lo capirebbe uno scemo! Anche se, in fondo, quello messo peggio è suo padre.
Voi cosa dite?
(Pezzo di cretino!)
Basta. Meglio che sto zitta, se no’ non ho idea di quel che potrebbe uscirmi di bocca.
Alla fine, lui si è ripulito alla bell’e meglio.
(E indovinate dove?)
Nella manica disastrata della felpa.
“Bello questo tappeto! Per poco non te lo ridipingevo- ”
Abbassando gli occhi, purtroppo, ho visto la verità. Un paio di schizzi vagabondi avevano, per  così dire, bypassato il bidone.
Inutile dire che il povero ragazzo era mortificato.
“La prossima volta, se riesci, vedi di prendere meglio la mira!”
Ho detto io, per sdrammatizzare, fiondandomi con discrezione alla ricerca di secchio e straccio per i pavimenti.
Billy era distrutto. Ansimava. Parlava a ritmo frenetico. Tossiva. Ogni tanto rituffava la testa nel bidone della spazzatura e ne emergeva come in un incubo, in preda ad una violenta tempesta emotiva.
“Io non sono come dice lui, nonna! E’ pazzo. Mi odia. Quell’uomo mi fa paura. Giuro. E’ uno psicopatico del cazzo! Non è vero che sono posseduto dal Diavolo!”
Ed è scoppiato in lacrime.
Io l’ho lasciato sfogare per bene lasciandogli un po’ di tranquillità per dargli modo di riprendersi da solo.
“Piangi pure, bambino”
Gli ho sussurrato lisciandogli i capelli e legandoli con un pezzo di spago da cucina in una lenta coda di cavallo della serie PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE per far fronte ad ogni evenienza.
“Butta fuori tutto, che dopo ti senti meglio! E ricordati che la tua vecchia nonna sta sempre dalla tua parte!”
“Di-dice che so… sono Lucifero in perso… in persona!”
Ha aggiunto asciugandosi il viso con la solita manica, che ormai, per dirla tutta, era messa persino peggio persino di lui.
Povero piccolo.
Per quanto lottasse, non riusciva a smettere di piangere.
“Ma non è vero, nonna! Credimi, ti prego! Ti scongiuro! Non sono io il diavolo-”
Suda. Singhiozza. Tossisce. Vomita.
(Caspita, gente! Detto tra noi, non ho mai visto niente di simile. Non ho parole. Sembra una scena de L’ESORCISTA!)
“E’ LUI!”
“Ma… stellina!”
Mi è salito in gola un groppo grosso come una casa.
“Vieni qui…”
Commossa e piena di rabbia me lo sono strizzato al seno. E il tempo è schizzato indietro di dieci anni. E mentre lui mi allagava il davanti della camicetta, io lo cullavo sussurrandogli la Cantilena Magica, quella che, quand’era solo un lattante, riusciva a calmare i suoi strilli e a farlo finalmente addormentare.
“Sssshhhhh!”
Canticchiavo, lisciando gli splendidi capelli ramati che farebbero invidia a un casino di ragazze.
 “Respira, Billy. Respira. Va-tutto-bene- piccolino-mio! Tutto- bene-non-aver-paura-ci-sono- qua- io-nessuno-ti-far-mai-più-del- male, Billy-te- lo- giuro-nessuno…”
Come per magia, lui ha smesso di piangere e si è acciambellato tra le mie braccia, il corpo che ancora tremava e sussultava. A farsi asciugare gli occhietti col fazzoletto e a prendere le coccole con le testa abbandonata sul mio petto come faceva da bambino. Allora come adesso, quando quel porco di mio genero aveva passato il segno e lui ne aveva prese troppe, veniva da me a farsi consolare.
SUO PADRE… sì, insomma. Più o meno.
Quel fanatico integralista da due soldi che quell’altra demente di mia figlia ha sposato- Dio solo sa perché- ama alzare il gomito. Sissignori! E lo fa spesso e volentieri. Il guaio è che il coglione, qui, non lo regge. E si sfoga sulla moglie e sui bambini.
Avete capito che uomo?
Il Reverendo è manesco. Collerico. Iracondo. E sapete cosa vi dico? E’ pure PUTTANIERE.
E questi sono solo i PREGI, credetemi.
Perché se invece vogliamo concentrarci sui difetti, allora poveri noi! (Ho paura che non mi basti la vita che mi resta!)
Sono sua suocera, maledetta me. E purtroppo lo conosco meglio di quanto non vorrei. Quello è più marcio di un dente cariato. Anche se devo ammettere che il suo mestiere lo sa fare e come!
Visto che non sono una beghina, le volte che sono andata a sentirlo si contano sulle dita di una mano, però l’ho trovato incisivo. Magnetico. Carismatico. E questo sui bambini fa colpo. Soprattutto su Billy, che è di gran lunga il più sensibile e- lasciatemelo dire- il più intelligente dei tre.
Il Reverendo è un trascinatore di folle. Un leader. Uno che, nel bene e nel male, scatena l’emulazione. E lui è su questo che gioca. Non gliene frega un beato accidente di niente di rovinare i bambini. Lui va dritto allo scopo. Il fine giustifica i mezzi e via dicendo, se capite cosa intendo.
(Ma credo proprio di sì)
Quanto a mia figlia, idem con patate. Caliamo un velo pietoso, va’, che è meglio. Vi spiace?
(Eh, Sharon! Se tu mi avessi dato retta, invece di comprometterti così giovane! Che bisogno c’era? Me lo spieghi? C’ero già passata io. L’avevo testata sulla mia pelle, la ricetta. E credimi, bambina. E’ veleno puro. Mandavo giù col whisky il gusto amaro del fallimento. Il senso di morte. La stretta alla gola. Però io ce l’ho fatta, alla fine. Ho spezzato le mie catene. Ci ho cagato sopra, con licenza parlando. Non c’era proprio bisogno che ci sbattessi il naso anche tu, ma tu eri cieca. Eri sorda. Eri scema. E adesso te la ciucci. Come volevasi dimostrare. L’esperienza è un bene di lusso che nessuno vuole comprare, diceva sempre mia nonna. E così, la storia si è ripetuta. Solo che io sono stata un po’ più furba della mia bambina. Io, la catena che avevo al collo, l’ho spezzata a morsi. Anche se, nel farlo, mi sono rotta i denti. Lei, invece, ne ha fatto una bandiera. Un compromesso per il quieto vivere.)
Una vita buttata alle ortiche. E non perché fosse stupida. Tutt’altro. Forse proprio perché non lo era per niente. E questo, per gli uomini come il suo- che poi altro non era che la fotocopia a colori di quell’altro stinco di santo di suo padre-Dio l’abbia in gloria, povero coglione- è una macchia. Un difetto. Una tara.
E Sharon, poveraccia, come del resto la sottoscritta- visto e considerato che il sangue, dopotutto, non è acqua- in fatto di uomini, non ha mai capito un tubo.
Così ha preso una- anzi, DUE- cantonate paurose.
Ma lasciamo perdere, va’, che ho già detto MOLTO più di quel che volevo dire, maledetta la mia boccaccia!
E voi cosa ridete?
Tanto poi sono io che ci finisco, nei guai.
Mica voi!
Ad ogni modo, William mi preoccupa.
Il mio Billy, che ho tirato grande a gelati al seltz e fumetti dell’Uomo Ragno. Il mio ometto dai capelli rossi! Che a cinque- sei anni vinceva tutte quelle medaglie recitando i Salmi a memoria e sapeva leggere e scrivere come un adulto. Poi mi ricordo che aveva il pallino delle mani magiche. E, credetemi! Lo erano davvero, parola mia. Quasi quanto la sua voce. Suonava il piano. Era un mostro di bravura. E non lo dico perché sono sua nonna. Era davvero qualche cosa.  Quando veniva a trovarmi, aggiustava tutte le piccole cose che trovava rotte o fuori posto. A modo suo, naturalmente. Della serie quello che conta è il pensiero. Cambiava la pila alla sveglia. La smontava tutta e poi non era più capace di metterla insieme. Come tuttofare… beh, ragazzi. Cosa devo dire? Era negato. Un disastro. Una piaga. Però ci metteva il cuore. Lui voleva aiutarmi in tutti i modi possibili. Fare l’omino di casa. E tuttavia aveva il suo bel caratterino. Era una testa rossa. Una piccola peste bubbonica, quando ci si metteva. Capriccioso. Testardo come un mulo. Però era un genio. Disponibile e generoso. E non m’importava un fico secco se non era premiato dai risultati. Lui invece ci soffriva. Era terribilmente emotivo. Impressionabile. Tanto era dotato dal punto di vista intellettivo, quanto era immaturo da quello emotivo.
Credetemi.
Bisognava sempre prenderlo con le pinze. Contare le parole. E, il più delle volte, le sue reazioni erano spropositate. Eccessive.
Stava male FISICAMENTE per un nonnulla.
 Una volta ha pianto fino a vomitare per essersi versato addosso un po’ di succo d’arancia. Un’altra si è fatto venire una crisi d’ansia spaventosa per un dentino da latte che ballava. Sua madre ha dovuto sedarlo.
E’un ragazzino socievole solo in apparenza. In realtà è chiuso e introverso. So che di recente ha legato parecchio col figlio degli Isbell, e sinceramente, a dispetto delle solite stronzate del Reverendo, non può che farmi piacere.
Un vero amico è una benedizione del Signore.
Un padre sbagliato, una spina nel sedere- per non dire di peggio.
Meno male che non ho il porto d’armi. Se no giuro che sarei capacissima di farlo secco con una pallottola in mezzo agli occhi, quel gran figlio di buona donna troglodita! Ci ha rovinati tutti. Anche se, per fortuna, Amy e Stu sono ancora troppo acerbi, diciamo così, per capire fino in fondo che razza di pezzo di roba è il loro paparino.
Lui però non li tratta come tratta William. Nossignori!
Due pesi, due misure.
Billy è diventato il suo capro espiatorio buono per tutte le occasioni.
I due piccoli, invece, sono ROBA SUA. E non aggiungo altro.
Il ragazzo, ovviamente non lo sa. E visto che le bugie hanno le gambe corte, come diceva sempre mia madre, prima o poi la verità salterà fuori. E io, per allora, se non vi spiace, gradirei trovarmi dall’altra parte del mondo. Anzi. Meglio. Del sistema solare. Perché quando il castello di panzane che gli hanno costruito intorno salterà in aria, sarà peggio di Hiroshima e Nagasaki.
Avete presente?
(Sarà visibile fin dalla caspita di Luna!)
E con questo, ancora una volta, l’ho sparata grossa.
(anche se, dopotutto, ho detto solo la pura e sacrosanta verità)
William è malvisto da quando… niente. E’malvisto punto e basta. Meglio non dire altro. E accettare quello che, purtroppo, non si può cambiare. Non al momento, almeno. Perché spero molto in Billy, sapete. E prego Dio che, non appena sarà abbastanza grande da reggersi sulle sue gambe, se ne scappi in capo al mondo.
Avete presente LO ZOO DI VETRO di Tennessee Williams?
(Tra parentesi, io una volta recitavo. Lo sapevate? Non ve l’avevo detto, eh? In teatro. Ed ero pure brava. Almeno finché non ho avuto Sharon. Suo padre ha messo la parola fine. Sipario. Ed eccomi qui.)
Il protagonista, Tom Wingfield. Un poeta. Un sognatore. Un puro. Costretto a fare il commesso per sbarcare il lunario. La vita fa schifo e lui non la regge. E alla fine scappa via per dare corpo ai suoi sogni. 
Ecco. Io lo vedo così, Billy, tra un paio d’anni. Fuggirà. Andrà lontano. Ne sono più che certa. Ci vedo mezza America, tra lui e questa città di Morti In Piedi.
La mia carriera di attrice è finita prima ancora di cominciare, ma Billy… lui è diverso.
Lui ha davvero talento.
E spero che un giorno trovi la forza di voltare pagina e lasciarsi tutto alle spalle come Tom Wingfield. Glielo auguro con tutto il cuore. Si sentirà molto meglio quando si sarà scrollato di dosso per sempre suo padre e la sua congrega di invertiti. E se proprio deve tornare, che lo faccia in gloria.
Voglio rubare a Dio il suo potere
Ha scritto una volta, sul suo diario di scuola.
Salire in alto, più in alto di Lui.
Voglio pisciare sul mondo!
Il che, dico, crea un’immagine.
Questa è l’ottica giusta! E’ così che voglio vederlo, non a strisciare ai piedi di quel verme di suo padre- insomma, di QUELL’ESSERE IMMONDO.
(Forza, ragazzino! Stringi i denti e farai il botto- come dici sempre tu!)
 I numeri per sfondare ce li ha tutti. E come, se ce li ha!
Ve lo dico io, che sono la sua nonna.
(Sono vecchia, ma non sono mica cieca!)
 
Tornando a Billy, ho fatto bene a legargli i capelli. Molto bene.
(Finora è l’unica cosa che ha funzionato!)
Povero pulcino.
(Alla faccia del Maalox!)
Gliene ho dati tre. Uno in fila all’altro.
Risultato?
Sempre a capofitto nel bidone della spazzatura.
Come se bastasse vomitare per tirare su tutto il marciume che gli hanno ficcato dentro.
Mai visto niente di simile. Un disastro. Bere un sorso d’acqua era un’impresa impossibile.  Non riusciva a tenere giù niente.  Neanche la sua stessa saliva.
(Doposbronza! Sì. Come no. Mia nonna!)
Io mi torturavo il cervello. Darci troppo peso mi pareva sbagliato. E allo stesso tempo, non volevo prendere la cosa sottogamba.
Però ero sicura che l’influenza c’entrava solo in parte col suo malessere. Lui tendeva a somatizzare il dolore. Si autopuniva, diciamo. E- mal di stomaco a parte- questo non aiutava.
Lui, poverino, cercava di distrarsi guardando la TV e leggendo. L’ultima volta che sono andata di là a domandare se aveva bisogno qualcosa, aveva in mano una specie di fumetto dell’orrore. Quella  roba splatter, come la chiamano. Che, francamente, mi fa accapponare la pelle. FANGORIA, si chiama, il giornaletto. (Scommetto che lo conoscete.)
 “Toglitela, che la sbatto in lavatrice”.
La felpa, dico, alludendo con garbo al polsino intriso di vomito.
Lui ha obbedito in silenzio, a capo chino. I lunghi capelli spioventi, scappati alla coda ormai sfatta, gli mangiavano il faccino.
E io, per la prima volta da molti mesi, l’ho visto a torso nudo.
OMMADONNA SANTISSIMA!
Graffi. Lividi viola. Bruciature di sigarette. Scarabocchi.
Costole sporgenti da affamato.
Lo stomaco infossato crivellato di scritte assurde.  
Citazioni bibliche alternate a graffiti osceni.
Ho visto i  TAGLI.
Netti. Profondi.
I tanti tentativi andati a vuoto.
(Non è stato un pennarello! Nossignore! )
L’ombelico era un pozzo senza fondo di dolore incrostato di sangue rappreso.
(Merda. Confesso che, quando l’ho visto, stavo per sentirmi male.)
Il ragazzo si ferisce. Si taglia.
(Una lametta. Bontà divina! Una schifa di lametta da barba.)
OMMIODDIO.
Roba da prendere il tetano.
Il suo petto era una via crucis. La sua pancia uno scempio.
No, dico. Voi al mio posto cos’avreste fatto?
(Un bel Cristo di niente. Esattamente quel che ho fatto io)
Facendo finta di niente, per non turbarlo, gli ho tolto di mano la felpa.
“Grazie, nonnina! Mi dispiace, non volevo. E’ stato un incidente! Non l’ho fatto apposta, giuro!”
Nonostante il calorifero acceso, gli battevano i denti.
Rabbrividendo, ha incrociando le braccia sul petto in un gesto estremo di autocensura.
“Però è successo. E LUI… LUI…”
“Lui?”
“Mi ha picchiato.”
(Figlio di buona donna!)
Gli ho messo bruscamente la felpa sotto il naso per costringerlo a rispondere.
“Ti ha picchiato… per QUESTO?”
Lui ha annuito senza parlare.
Poi, ancora una volta, è scoppiato in un pianto dirotto e si è sentito male. Lo rivedo piegato in due, ansimante, in preda a conati di vomito.
“Brutto pezzo di m-Madonna! Tienimi ferme le mani o giuro che prima o poi, io, quel porco, l’ammazzo!”
“Io non ci torno più in quella gabbia di matti!”
Singhiozzava, soffiandosi il naso.
“Mai più! Mai più! Mai più, cazzo. Giuro. Dovessi morire-”
“Basta piangere, su! Forza! Calmati, adesso. Dài. Respira. Coraggio, su! Se hai voglia di sfogarti un po’, a questo servono le nonne. Io sono qui. Non farti problemi. Sono adulta e vaccinata.”
Lui annuisce vigorosamente.
“Nonnina” mi chiede asciugandosi gli occhi e cercando di darsi un contegno da duro che non inganna nessuno “sei sicura che mi vuoi davvero? Cioè. Posso stare qui da te fino al diploma?”
“Ma tesoro mio!” gli rispondo commossa, affogando in quegli occhi chiari e limpidi come acqua di sorgente “certo che ti voglio qui con me! E ti dirò di più. Puoi stare da me finché non sentirai che, per te,  è giunto il momento di lasciare il nido per spiccare il volo. Ma fino a quel giorno…”
Il viso tirato e sofferente del ragazzo si schiude in un sorriso che va da un orecchio all’altro.
Gli splendidi occhioni da gatto si dilatano per la gioia.
“Staremo bene insieme, io e te!”
Credete a me, che in queste cose ci vedo lontano. Un giorno questo ragazzo diventerà un sex-symbol come Paul Newman. E sono certa che, bello com’è, farà strage di cuori.
(E qualcuno che conosco io si roderà il fegato! Vedrete un po’ se mi sbaglio! Ve lo dico io, che sono vecchia e ci so stare, al mondo!)
Intanto, però, il tempo passava e il ragazzo non stava meglio. Per niente, per usare un eufemismo.
Se almeno avesse potuto dormire un po’! Invece nisba.
Ogni volta che ci provava o gli scappava la pipì o gli veniva da star male. E quindi, tutto quel che poteva fare era rassegnarsi e studiare il modo di passarsela, per così dire, meno peggio possibile.
Rovistando nella cassetta del pronto soccorso ho pescato il termometro e gliel’ho cacciato sotto l’ascella.
Come sospettavo. 104°F. 38°C.
Tachipirina. Tetraciclina. Acqua.
 Sì, certo. E’una parola.
Tutto quello che volete, ma non per bocca.
E l’alternativa, giuro che mi piace ancora meno.
Escluso.
(Una supposta? Scordatevela. Io lo conosco, il mio Billy. E poi, lasciatemelo dire! C’è un limite a tutto! Si sarebbe consegnato VIVO al Reverendo per un ESORCISMO LAMPO prima di infilarsi qualcosa su per il… sì, insomma. Ci siamo capiti.)
Con discrezione, per non allarmarlo inutilmente, ho sentito la guardia medica.
(“Lo tenga al caldo” mi ha consigliato l’operatore. E soprattutto, non insista a farlo bere. Peggiorerebbe la situazione. Gli dia un po’ di tè a cucchiaini, poco per volta. E non si preoccupi” ha aggiunto, in tono rassicurante. “E’ un virus che c’è in giro. Deve solo fare il suo corso. Stia serena. Di solito non è letale. Ad ogni modo, se non passa in 24 ore, siamo qui.”)
Verso l’ora di cena, per fortuna, si è aperto un piccolo spiraglio.
La tachipirina, alla fine, ha fatto effetto. Il Maalox, invece, un po’ meno. Ad ogni modo, sapete come ho fatto?
Colpo di genio. Sotto la lingua. Tritata col pesta carne.
Scesa la febbre, l’ho spedito di sopra a darsi una bella strigliata, certa che la doccia calda, unita ai farmaci, avrebbe restituito al mio Billy un aspetto dignitoso.
Inutile dire che, al suo ritorno, era un altro.
“Billy! Tesoro mio! Ma sei uno schianto!”
E’ sceso in pigiama, scalzo. Sorridente. Riprendendo il suo posto sul divano, accanto a me, mi ha gettato la testa in grembo.
“Senti, nonna. Tocca i miei capelli! Sono da urlo!”
(I suoi capelli! La sua ossessione. Benone. Buon segno. Voleva dire che stava un po’ meglio.)
Aveva ragione. Erano splendidi. Folti. Leggeri. Fluenti. E, soprattutto, profumati. Le mie dita scorrevano tra soffici fili di seta pura.
Lo shampoo all’albicocca aveva fatto il suo. L’odore pungente dell’influenza non c’era più. E l’acqua calda aveva finalmente reso alle sue guance un po’ di colore. Insomma, il peggio sembrava finalmente passato.
“Come va la tua pancia? Hai ancora la nausea?”
“Un po’” ammette con un sorrisetto, massaggiandosi lo stomaco. “Ma sto bene.”
“E allora cosa aspetti? Raccontami la scena della colazione, che ci facciamo due risate alla faccia del Reverendo! Avanti! Spara!”
Al di là della curiosità e dei pettegolezzi, quel che m’interessa è fare chiarezza.
La mia parte razionale, per quanto elastica, rifiuta fermamente di credere che quel mentecatto possa avere picchiato il ragazzo soltanto perché è stato male e ha sporcato dappertutto. Anzi. Diciamo che non voglio crederci. Ok? Quindi. Vediamo se riesco a farmelo dire. Per come la vedo io non esiste un motivo valido per menar le mani. Nossignore! E meno che mai per prendere qualcuno a cinghiate. Soprattutto se quel qualcuno è tuo figlio e la sua unica colpa è quella di essersi sentito male nel giorno sbagliato. E di non poter cantare alla tua caspita di funzione.
No, dico. Non ho parole.
(Maledetto! Prima o poi le paghi tutte, credi a me!)
Suo figlio.
Ve l’ho detto. E’una storia lunga.
Quando ha capito che poteva fargli comodo, il Porco  se l’è tirato su come se lo fosse.
(Acqua in bocca, chiaro? Se vi scappa una parola col ragazzo, giuro che ve ne faccio pentire!)
Se non mi tappo ‘sta ciabatta di bocca qui va a finire che salta fuori tutto l’inghippo! Dio ce ne scampi e liberi!
Mah. Speriamo bene. Io devo tacere. Sono sua nonna, non sua madre. Io al bambino gli avrei spiattellato tutto ventimila volte, lo sapete anche voi. Però so anche stare al mio posto e so che non devo interferire con la sua educazione (per quanto discutibile sia.)
(Basta che non succedano disastri.)
“Che ne dici, tesoro? Ti va’ una bella tazza di tè?”
“Perché no?” Mi fa, spegnendo la TV. “E magari anche due biscotti.”
Non c’è dubbio, ho pensato, sollevata. Sta decisamente meglio.
Niente ospedale per Billy!
 (Confesso che ero così felice che mi sarei messa a ballare!)
Sparisco ai fornelli e torno poco dopo con una tazza fumante.
E già che ci sono, gli butto sulle spalle un vecchio golfone di lana di suo zio Ritchie- il mio primo figlio. Attualmente in India per ESPANDERE I SUOI ORIZZONTI SPIRITUALI. Parole sue. Sì. Come no!
(Altro buono anche lui!)
Gli tendo un’altra compressa di Tachipirina. Il ragazzo l’inghiotte col tè e si stringe addosso il maglione nero fatto a mano. Le grosse trecce ornamentali, lavorate ai ferri da mia madre- Dio la santifichi in eterno- lo fanno sembrare una bambolina di porcellana.
Povero ragazzo.
Così agghindato- pigiama e maglione di lana sformato- sembra ancora soltanto un bambino.
Che pena mi fa!
Giuro. Mi si spezza il cuore.
Lui finisce il tè, si sistema la coperta addosso e mi si sdraia con la testa in grembo.
“Sono belli i miei capelli, vero, nonna?”
   
 
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