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Autore: Vella    04/06/2014    5 recensioni
Una famiglia. Una contea. Una residenza.
Jenkins. Buckinghamshire. Winslow Hall. Anno 1896.
Tre storie apparentemente scollegate fra loro. Tre mondi. Tre amori. Tre, il numero perfetto.
Daniel Shaw è un poeta profondamente enigmatico, strano, seducente, romantico. Cerca la sua musa ispiratrice, trovandola d'improvviso in Wendy, una ragazza benestante e solare, con un segreto. Così nasce un amore sconfinato, senza vie, dal sapore della proibizione e dello sbagliato. Un amore fatto di sguardi e di intensi contatti umani.
Viktor Mitchell, uomo di ventotto anni, rude, agognato, senza alcuna forma di desiderio. Veterano di guerra. Ed ora divenuto professore per l'istruzione di famiglie d'alto rango. Un uomo davvero, forse troppo, sbagliato e pieno di peccati. S'innamora perdutamente di Katherine, una ragazza di diciassette anni, giovane, ribelle, forte, eppure la sua unica alunna.
E infine Gerard Collins, ventiduenne, senza tetto, soldi o famiglia. Un gigolò in cerca di amore tra persone che non lo completano. Per questo quando incontra Henry il tumulto di sentimenti che si forma nel suo cuore, lo confonde.
Henry, Wendy e Katherine sono fratelli. Sono la famiglia Jenkins. Sono sbagliati perché non seguono le convenzionali etichette ma lo struggente filo conduttore dell'amore più remoto.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, L'Ottocento
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La Notte

La notte benevole, la notte maligna. La notte succube del buio. La notte prima del ballo. La notte della fame e dell'incertezza. La notte e tutte le sue cause.
Winslow Hall era illuminata parzialmente dall'elettricità nella parte est, mentre la parte ovest era completamente immersa nella fioca luce delle candele. Winslow Hall, anche se si prospettavano giorni di fuoco e il via vai cominciava ad essere incessante, non era mai stata tanto silenziosa.
A questo Henry piaceva; indossava i suoi soliti pantaloni in velluto blu ed un perfetto panciotto in tinta. Aveva le mani nelle tasche, la testa ciondolante e un viso leggermente reso ispido dalla barba; camminava con passo certo anche se le scale risultavano del tutto oscurate.
Quei passi vennero uditi ma ciò Henry non poteva immaginarlo.
C'era una grossa porta scorrevole fatta in legno e in vetro che rendeva il terzo piano quasi proibito. Di certo, pensava Henry, se al Ballo Nevoso due coniugi si fossero trovati nella stessa stanza di quel piano, si sarebbe scatenato il putiferio. E la cosa lo divertiva. Un sacco. Forse troppo. Strofinò i palmi sulle maniglie fredde ed aprì la porta; s'intrufolò all'interno e se la richiuse alle spalle. Avanzò di qualche passo, guardò le targhette al di fuori di ogni stanza fino ad arrivare a quella prediletta. Se prediletta era il termine giusto. S'infilò una mano nella tasca e si ritrovò nuovamente quel foglio giallognolo in mano. Il padre l'aveva affidato ad un servo che, per convenienza, era stato acciuffato da lui in persona ed ora... ora voleva leggervi all'interno. Cosa c'era di tanto urgente da lasciar per iscritto alla Milady Francese? Non gli aveva detto che non era intenzionato ad incontrarla per le ovvie ragioni che sottolineavano l'etichetta? Il problema, quello di base, era che la curiosità non era poi tanto forte. Aveva meditato a lungo guardando quel pezzo di carta, avrebbe potuto rompere il sigillo rosso e lasciar che la mente assorbisse il significato di quelle poche righe ma..., e si malediceva, aveva un presentimento. Come se quell'insignificante inchiostro doveva essere recapitato alla milady e non avrebbe dovuto ficcare il naso in quelle vicende; per questo si era recato al terzo piano, quasi convinto ad infilarglielo sotto la porta come era stato ordinato al servo.
E quindi? Ora si preoccupava di cosa avesse fatto il servo? Del padre? Quella notte gli aveva portato noia, doveva compensare.
Aprire o non aprire? Avrebbe usufruito volentieri di una margherita ma visto che ciò non era plausibile, dovette scegliere. E quando si sceglie, l'impulso vince il più delle volte.
L'aprì.
Il sigillo scarlatto, proprio come la lettera che era stata spedita giorni prima al bordello, fece uno strano schiocco e un fogliettino bianco gli cadde tra le mani.
Le parole che erano state scritte dal padre gli balzarono davanti agli occhi e lo lasciarono quasi senza fiato: “1877. [...]” L'inchiostro un po' sbavato. Un'incoerenza. Non capiva. Rimase alcuni secondi ad osservare quelle parole. Francese. Odiava quella lingua. Odiava parlarla. L'odiava così tanto che non riuscì a tradurre. Era Wendy l'addetta all'internazionalità. Non lui.
Tutti i suoi pensieri sciamarono via non appena dei passi gli riecheggiarono dietro. Dei passi che non conosceva, che non riusciva ad affibbiare a nessuno, non in quel momento di sconforto.
―E voi chi siete?― Henry si girò lentamente udendo quelle parole e vide nella penombra il corpo di un ragazzo, fasciato da pantaloni neri e una camicia sbottonata. Corrucciò la fronte e si affrettò a riporre il foglietto nella tasca interna della giacca.
―Sguardo sfacciato, abiti comodi, terzo piano... oh, io invece so cosa voi siete!― controbatté Henry con un vago sorriso di compiacimento a contornargli la bocca.
Gerard, perché è di lui che stiamo parlando, ficcò le mani nelle tasche trasversali dei pantaloni e si morse le labbra, quasi annoiato da quella situazione.
Cosa io sono?―
―Una persona specializzata nell'arte della cavità imperturbabile di una giovane donnetta. ―
Gerard rise e non di gusto.
―E voi in cosa sareste specializzato? Nell'introdurvi qui senza meta? O ce l'avete una meta, signor...?―
―Non è importante che voi conosciate il mio nome, l'importante è che io e voi non ci incontriamo più―.
Ma purtroppo quando il destino è rinchiuso in un gioco di dadi e i dadi sono a tuo sfavore, le stelle ballano nel cielo e ti augurano di morire con l'ultimo lancio dei cubetti numerici.
Allora Gerard si avvicinò ad Henry e non sapendo cosa stesse per fare, lo inchiodò al muro, premendo leggermente il suo petto a quello dell'altro. Entrambe le casse toraciche si alzavano ed abbassavano ad un ritmo lento e il gigolò fermò Henry premendo l'avambraccio contro la gola e rubandogli un suo respiro accelerato, non evitando, nemmeno per un secondo, il contatto visivo.
―E così sia.― La mano di Gerard iniziò ad accarezzare il petto di Henry, insinuandosi all'interno della giacca, poi del panciotto, l'uomo di casa ebbe un sussulto, iniziò a divincolarsi, lo guardava con occhi sbarrati, e poi la mano raggiunse il taschino apparentemente vuoto.
―Cosa stai cercando di fare?― passare direttamente al tu, lasciando la convenzione da parte non era un buon segno, le parole di Henry furono poco più di un sibilo e la maschera derisoria dipinta sul volto di Gerard fu impagabile quando rispose alla domanda.
―Sto praticando la mia arte.― Henry ne fu meravigliato ed irrigidì la mascella squadrata, che gli donava quell'aria del tutto lusinghiera, lasciando ora trasparire una vena di erotismo, perché, pensava il ragazzo, i gesti dell'altro erano davvero troppo ambigui.
Infine Gerard sfilò il biglietto ingiallito e lo accartocciò tra le mani, non più interessato a tener fermo il suo interlocutore.
―Ed ora chi siete?― domandò Henry, ritornando come lui all'uso del voi.
Il ragazzo quindi inclinò leggermente il capo e in un gioco malfermo fece schioccare la lingua al palato; strinse le labbra, rifiutandosi di osservare ancora a lungo quegli occhi di un celeste troppo profondo che lo mettevano in una condizione di soggettività per lui abbastanza rara.
―Quando verrete a cercarmi sir, chiedete del Gigolò.―
Henry annuì, stava osservando il pugno chiuso di Gerard che conteneva il foglietto.
―Unico e solo? Gigolò il magnifico o Gigolò Magno?― quel sarcasmo cominciava ad irritare il moretto in maniera esorbitante.
―Sir, con tutto il rispetto che provo per voi, ed è davvero molto, non credo che ci sarà più occasione di rivedersi. Così come non ci sarà più occasione di sferrarle un pugno in faccia.― Dicendo ciò, con un grazia davvero sbalorditiva, le nocche di Gerard raggiunsero la guancia di Henry e vi si affondarono per un tempo indefinito, quasi a rallentatore, sicché il padrone di casa sentì il suo sangue sgocciolargli dall'interno del labbro e lasciargli sul mento una scia rossa elettrica tanto da farlo rimanere scosso e sorpreso.
Henry, allora, lo prese per la camicia e con forza inaudita, nonché rabbia frustata, lo scaraventò così violentemente verso il muro che ci fu l'eco rimbalzante per il corridoio.
Schiaffeggiò Gerard, entrambe le guance, facendole diventare di un forte rosso pungente, più del sangue che ancora colava.
Sembrava un ballo di marionette dove il burattinaio non riusciva a tenere più a bada le sue stesse creazioni e che esse avessero iniziato a muoversi con passi sbagliati e senza ritmo.
Ora Henry teneva per la gola il gigolò e lo stringeva così forte da infliggergli contemporaneamente due calci nello stomaco.
Ma come ogni sipario, arrivato ad un punto, le tende calano e le luci si riaccendono.
E Charlotte uscì dalla sua stanza, proprio quella in cui Henry doveva imbucare il fogliettino, in tutta la sua bellezza, fasciata in un accappatoio di seta, a piedi nudi e i capelli rianimati all'indietro.
―Cosa diavolo sta succedendo qui?― la voce impastata dal sonno, ―Gerard? Sei tu? Oh, santo cielo, ragazzo lascialo andare!― Ed Henry mollò la presa, con un vago sorriso ad increspargli le labbra e la solita aria afflitta e sarcastica che lo caratterizzava irrimediabilmente.
―Milady che piacere incontrarvi, vedete? Questo ragazzetto mi ha regalato un'ottima maschera per domani notte.―
―E voi invece gli avrete perforato il fegato con quel ginocchio! Si può sapere che cosa stavate facendo? Gerard! Esigo delle spiegazioni; oh, se le ragazze vi avessero visto! Sono molto volubili, hanno bisogno di riposo e voi, soprattutto tu ragazzo, irrompete nel loro corridoio disturbando una notte sacra!― il discorso era completamente riferito a Gerard, Henry sembrava una cosa a parte, un'altra fetta della torta.
―Una notte sacra, mamà. Non esageriamo adesso con i termini, ci stavamo semplicemente confrontando.―
―Un confronto inutile e volgare.― Sottolineò Henry.
Charlotte guardò Gerard ed alzò le sopracciglia truccate, aspettando una risposta più esatta, con una spiegazione forse.
―Voleva infilarvi questo sotto la porta, credevo che... oh mamà, ma non vedete che razza di faccia ha?―
―Che razza di faccia avrei? Per l'amor di Dio, siete stato voi a combinarmela così!―
Nel frattempo il foglietto cadde nelle mani della donna e Charlotte non tardò ad aprirlo per leggerne il contenuto. Le mancò il fiato.
―Mr Jenkins...― le parole riecheggiarono nell'aria, Henry socchiuse gli occhi e strinse ancora una volta la mascella, ma Charlotte non si riferiva a quel Mr bensì al signorino che aveva davanti, ―... sono davvero desolata e spero che questo spiacevole equivoco sia... sia già acqua passata.―
Tanta acqua passata però non era, dato che il rivolo di sangue sgocciolava sul pavimento e Gerard stringeva lo stomaco, per nulla dispiaciuto.
Henry voleva approfondire l'argomento, chiedere cosa significasse quel biglietto ma sicuramente la donna era convinta che lui già lo sapesse e di certo, in caso contrario, non gli avrebbe detto nulla.
―Andiamo Gerard, entra.― Ordinò Charlotte al figlioccio indicando la stanza ed accennando una riverenza al padron di casa.
―A domani sera mio caro e ringraziate vostro padre per tale dono, vuoto di pudore.― La porta bianca fu richiusa davanti ad Henry e l'unica cosa che riuscì a scorgere fu lo sguardo deciso del suo assalitore, uno sguardo che gli aveva scalfito l'anima già da subito.
Gerard, pensò in un misto di rabbia e mistero.
Mentre ritornava alle scale ripercorse mentalmente ciò che era successo e alle tenebre scorte in quel ragazzo decisamente più piccolo di lui. Quel ragazzo che sembrava già aver deciso il suo futuro incerto, quel ragazzo che come primo regalo gli aveva graffiato la pelle senza dolcezza. Una dolcezza, rimuginava Henry, che si sarebbe posata con grazia su quel corpo agile ed ancora ingenuo.


Katherine non riusciva a dormire. Era questa la verità. Si rigirava nel letto senza meta e tutto le appariva freddo come il marmo, i capelli erano aggrovigliati sulla testa in modo assai strano e la veste che aveva indosso lasciava trasparire il suo corpo seminudo. I pensieri vagavano lontani e non aveva voglia di inseguirli, così come non aveva voglia di inseguire il sonno e quella notte di problemi interiori. La sua bella stanza era immersa nella luce delle candele ma sembrava così soffocante, così intrisa di guai da non riuscire a rimaner ferma e buona tra le lenzuola bianche.
Per questo, e per altri futili motivi, si alzò dal letto a baldacchino e tastò il pavimento con i suoi piccoli piedi e sentì il freddo del mogano insidiarsi nella pianta del piede e preservare attentamente lungo la caviglia.
Ravvivò i lunghi capelli e li lasciò cadere sulla schiena mentre si dirigeva fuori dalla stanza a passo deciso. Così come era apparso ad Henry, anche Katherine credeva che quella notte fosse molto più silenziosa di quanto avrebbe dovuto; scese lentamente le scale, lasciandosi guidare dallo scorri mano e da tutte le volte che aveva salito e sceso quei gradini.
Kath, quella notte, voleva raggiungere la piccola biblioteca dove si tenevano le solite lezioni torturanti di Mitchell Viktor. E quando raggiunse il corridoio che portava a quel luogo, scorse immediatamente la fievole luce che si propagava da tale stanza.
Ma perché doveva far retromarcia? Perché mai avrebbe dovuto lasciar spegnere la curiosità che iniziava ad attizzare il suo animo? In fondo chiunque ci fosse stato lì dentro non era così importante ma a Katherine ciò le stuzzicava la mente e i pensieri problematici.
E ancora una volta, per questo e per altri futili motivi, fece scorrere la mano sulla parete imbiancata fino a che non sentì il mogano solleticarle il palmo e la curiosità insieme all'istinto sovrastarla. Spinse lentamente, con quella lentezza peculiare ad ogni suspense, la porta e lasciò che gli occhi si abituassero alla luce delle candele più forte rispetto al resto della casa e che il corpo irrigidito del suo precettore si insinuasse con lentezza nei meandri della sua mente e del suo campo visivo.
Viktor si trovava lì, così come Katherine aveva sperato, ed era in piedi, nei suoi pantaloni, nel panciotto, persino nella giacca, tutto d'un pezzo, proprio lì, davanti ai suoi occhi.
La luce giocava con le cicatrici situate alla base del collo e la poca barba incolta sul suo viso era davvero una boccata estasiante.
Viktor le dava le spalle ma sentì il cigolio della porta e girando il busto intravide la sua allieva, immersa in uno sguardo di risentimento, e lui non riuscì a fermare i pensieri mentre osservava con delicatezza le curve del corpo della ragazza sotto la lunga veste perlacea.
―Katherine...― il nome della ragazza apparve come una rosa sbocciata sulle labbra dell'uomo ed il tono roco che accompagnava tale evento riuscì a far rabbrividire la giovane che, con timidezza, aprì la porta ed entrò nella stanza, un po' contrariata, un po' arrossita.
Era la prima volta che la chiamava per nome, pensò lei ed era davvero una bella sensazione ciò che veniva dopo la pronuncia. Kath scosse la testa e cercò di riprendersi, capendo momentaneamente di com'era vestita e di non aver nulla ai piedi e che i capelli erano slegati, anche se non era la prima volta che la vedeva così il maestro, il padre le aveva raccomandato di non combinare guai e lei non poteva non ubbidirgli. Ed invece? Lo aveva fatto, nuovamente.
―Sono qui per un libro, la biblioteca principale è troppo grande e... preferisco questa sapendo che è ben rifornita.―Non le aveva chiesto perché fosse lì ma le era sembrato un obbligo vociferare il perché della sua comparsa anche per impedirgli di guardarla ancora, con quello sguardo che sembrava improvvisamente famelico, attorcigliato da sentimenti contrastanti.
―Va bene, Mss Jenkins.― Ritornato alle buone abitudini, Katherine si sentì a disagio quando si avvicinò a lui e si sporse per prendere un libro che neanche sapeva il titolo, poggiato all'interno della libreria; si sentirono dei passi risuonare nel corridoio e probabilmente era Sheila che perlustrava la zona come una lupa in cerca dei suoi figli, quando il rumore dei passi fu lontano allora successe quello che più aveva temuto in cuor suo la ragazza.
―Volete cimentarvi nelle arti culinarie, per caso?― sospirò Viktor mentre guardava affranto il ricettario che Katherine aveva preso.
―Oh...― esclamò lei, ormai in imbarazzo ed evidentemente derisa.
―Orsù, provate questo.―
Viktor fu veloce, troppo veloce, e Katherine provò paura quando sentì le mani dell'uomo sui suoi fianchi e la sua ferrea stretta tenerle la sottile vita; la spinse caldamente verso la poltrona e la guardò con occhi incisi dal ghiaccio e cosparsi di carbone ardente; possibile mai? Pensò lei quando lui, fin troppo vicino, le passava un libro che ancora una volta si apprestò a non scorgerne il titolo.
―In effetti dovreste voi consigliarmi libri da leggere, siete o non siete il mio istitutore?― L'acidità di Katherine divertì l'uomo che con la stessa velocità di prima, la fece alzare e le posò l'indice sull'ombelico. Fu un gesto talmente premeditato e talmente sconvolgente che Katherine trattenne il respiro e Viktor rise ancora, un po' più forte di prima.
―Dovreste smetterla di gironzolare per la casa con questi indumenti. È indecente.― Le parole dette furono acqua gelida per la ragazza, aveva ragione. E quando qualcuno aveva ragione lei non poteva ostinarsi nel torto, non più di tanto almeno.
―Fatemi un favore Mr Mitchell, chiudete gli occhi quando vedete qualcosa di indecente.―
Viktor allargò ancor di più il sorriso e si chinò verso il viso di lei, toccandole il naso con le labbra. Le sue mani a pochi centimetri di distanza dai fianchi. Sentiva il suo tremolio e la cosa lo divertiva troppo.
―Ho detto indecente, mia giovane allieva, non di certo sgradevole. E come potrei chiudere gli occhi ogni qual volta il mio sguardo ricade sul vostro volto indecente ma... grazioso? Suvvia, questo gioco non mi piace, trovate qualcosa di più divertente da fare.― Ora l'indice era ritornata all'ombelico e si muoveva con una vena del tutto inopportuna.
―Tutto ciò, signore, non è affatto professionale.― E Katherine si allontanò da lui, lasciandolo interdetto nel suo gioco di sbagli. Viktor nascose un sorrisetto mentre lei si dirigeva alla porta con il libro sotto braccio e le sopracciglia corrucciate dallo shock.
―Che ne dite, Kath? Finalmente la smetterete di guardarmi con quell'aria afflitta da giovincella, quale siete? Oppure ho attizzato il vostro ideale platonismo?―
―Siete una persona orrida, signor Mitchell. Come potete dire di scorgere in me platonismo o quel che sia? Siete una persona talmente brutta che io, personalmente, non potrei mai provare nessuna attrazione per il vostro corpo scheggiato dai vetri della vita e per il vostro carattere di infinitesimali segreti. Quindi risparmiatevi questi atti di oscena ipocrisia, se non godimento personale. Siete patetico.―
Detto ciò la porta in mogano fu sbattuta con forza e i passi di Katherine rimasero impressi nella mente di un Mr Mitchell ridente.


Quando la notte finì e Viktor scorse la luce del sole, buttò il mozzicone di sigaretta nel portacenere sulla scrivania della piccola biblioteca ed uscì dalla stanza.
“Non se n'è accorta...” pensava.
Quando la notte finì Wendy si stiracchiò nel suo letto roseo e si guardò allo specchio situato vicino alla finestra e di fronte a lei.
Si sorrise e si considerò pronta.
Quando la notte finì Katherine non aveva dormito. Era stremata.
E quando arrivò l'alba aveva già usato violenza contro Morfeo.
Quando la notte finì il conte era pronto per scender in scena.
Quando la notte finì Gerard aveva concluso il suo pacchetto di sigarette.
Quando la notte finì Charlotte si decise a bruciare il foglietto ingiallito.
Quando la notte finì Daniel aveva concluso finalmente una poesia, dopo tempi immemori.
Quando la notte finì il ballo ebbe inizio e la catastrofe si avverò come una maledizione dal gusto dolciastro e la perdizione si insinuò negli animi di quella dolce e problematica famiglia.
E le danze furono aperte con l'infiltrarsi del primo raggio di sole.


Spazio scrittrice:
CI SONO! SONO QUIII! Diciamocelo, nessuno dei due, io e tu caro lettore, si aspettava di essere qui dopo due settimane x'D. Insomma... sono così entusiasta di questo capitolo... e di quello che è successo! E di quello che succederà! E... e... boh, le danze hanno avuto inizio miei cari e potremmo morire prima del tempo e della fine, mi sa hahhaha.
A parte questi macabri scherzi, volevo ringraziare i vecchi e i nuovi lettori, quelli che hanno abbandonato e quelli che hanno deciso di seguire questo progetto complicato di suo. Sono contenta. Contenta perché sono ben da due anni che non riuscivo a scrivere più di nove capitoli in una storia, sono due anni che non concludo un mio progetto e... credo che questo sia quello giusto. Almeno lo spero.
Una lettrice, molto tempo fa, mi disse che già immaginava la copertina di questa storia in libreria... ebbene, tanta fiducia non so chi ve la dia ma mi rendere fiera e senza di voi la mia passione sarebbe nulla.
Bene, aspettiamo tutti la terza parte allora u.u.
Ormai l'estate è arrivata ed anche il tempo!
Sopportatemi.
E recensite, miei cari, non mordo u_u. Anzi, è sempre un piacere leggervi, che sia positivo o negativo.
Siete voi il tutto, il carburante di questa macchina, siete voi la matita che disegnate questo progetto, quindi non temete e... vi voglio bene, un bene profondo da una scrittrice squilibrata.
A TRA UNA SETTIMANA E POCO PIù!
ps: per rimanere sempre aggiornati ed avere qualche spoiler riguardo alla storia potete aggiungermi su facebook, è sempre un piacere scambiare quattro chiacchiere!



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