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Autore: Some kind of sociopath    04/06/2014    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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A Melina.
Consideralo un regalo di compleanno
con due giorni di ritardo, d'accordo?

 

Dio benedica l’addestramento di mio padre – e di Reginald, purtroppo – e i riflessi da combattimento. Dopo che un uomo lo fa per così tanto tempo diventa facile, spontaneo, un gioco tra te e l’altra lama, una scommessa. Accettare la morte non è esattamente come accettare una sconfitta, ma il concetto è più o meno lo stesso.
Riuscii a smuovermi solo quando il pensiero di poter essere ucciso dagli Assassini raggiunse consapevolmente il mio cervello. Quegli ingrati, inetti e piccoli bastardi che indossavano giubbe ridicole predicando il caos. No, non mi andava di morire in quel modo, e fossero stati appena più esperti avrebbero approfittato di quel mio primo momento di distrazione per impalarmi su una lama.
Invece no.
Il braccio destro quasi si mosse da sé, sfoderando la spada e descrivendo un arco argenteo mentre mi voltavo e spingevo via il primo assassino con tutte le mie forze e un calcio al plesso solare, la spada abbastanza vicina al mio corpo da non tagliargli la gola. Erano riusciti a localizzarci per bene, i bastardi, ed erano più di quanto ricordassi. Sette, forse otto, e nessuno tra questi aveva una faccia conosciuta. Ai vecchi tempi li avevamo sterminati, uno per uno, calando la scure come sui condannati a morte. Poi ognuno aveva preso la sua strada e abbiamo sottovalutato il problema. Se alla mia impiccagione erano già una decina, in quell’anno, con Connor che andava avanti e indietro per mezze Colonie a reclutare qualsiasi ubriacone biascicasse di stare dalla parte di Washington ed essere stanco delle tasse – e dava a Thomas del mercenario, l’ipocrita – non mi sarei dovuto stupire troppo del loro numero. Erano comunque reclute. Illusi.
Oh, e c’era anche Connor. Vuoi che non ci fosse? Si era appollaiato sul tetto della casa di fronte, all’angolo con Dyes Street, il vigliacco. Osservava la battaglia dall’alto, senza muovere un muscolo o mostrare una qualche emozione.
Non potei concentrarmi troppo a lungo su di lui perché un uomo malfermo con il fiato che sapeva di alcool mi venne addosso brandendo un machete. Gli affondai un cazzotto nello stomaco e volteggiai, facendolo indietreggiare a suon di stoccate per spingerlo a terra con uno sgambetto. Stavo ridendo, mi resi conto. Se Connor pensava di fermarmi – meglio, di uccidermi – con sbronzi e femminucce, be’, sbagliava di grosso. Un altro Assassino, una specie di armadio, mi si lanciò contro mulinando uno spadone a due mani. In un vicolo. Geniale. Parai i suoi colpi fino a entrargli nella guardia, chinarmi girando sotto le sue braccia e dare un colpo con il piede dietro le sue ginocchia. Cadde a terra impalandosi sullo spadone come un idiota.
Dove li aveva reclutati, al mercato del pesce?
Un altro grugnì alle mie spalle, sollevando chissà quale micidiale arma. Troppo lentamente. Mi voltai, intercettando il filo della sua scure – era davvero una scure, un’ascia da taglialegna – con la spada corta. Mi stava spingendo con la schiena a terra, gli occhi iniettati di sangue incastonati nel viso scuro. – Cristo! – sbottai lasciando che la scure mi spingesse verso il basso, tutto il peso dell’Assassino scaricato sulla lama, sulle mie braccia. Scivolai tra le sue gambe trascinandomi dietro la lama e aprendogli uno squarcio nel ventre, innaffiato dal sangue.
A dire la verità non avevo intenzione di ucciderli. E Thomas se la stava cavando piuttosto bene, una spada in ciascuna mano e lo sguardo scattante come al solito. Il vicolo si stava riempiendo di sangue.
Qualcuno mi strattonò il braccio, approfittando della mia distrazione, e mi fecero volare via la spada. Non un’altra volta, andiamo! In qualche attimo un Assassino mi buttò a terra, messo a cavalcioni sopra di me e sollevando la daga per trafiggermi la gola.
Era finita. Lo sapevo. La mia morte era vicina, stavolta sul serio. Quest’Assassino era più bravo degli altri, mi aveva fregato. Mi parve quasi di vedere un angelo volare sopra di noi.
No. Constatai irrigidendo la mascella che non si trattava di un angelo, proprio no.
Era mio figlio, intento a spiccare un salto per raggiungere Thomas che, alle mie spalle, aveva sistemato l’ultimo Assassino con un rumore familiare per le mie orecchie, quello di denti fracassati dal metallo. Stava andando a prendere uno dei miei uomini. Per fermarlo. Per ucciderlo.
Ah, no. Non l’avrei permesso.
Mentre la daga si abbassava su di me feci scattare il braccio sinistro, la lama celata scivolò fuori dalla polsiera e spinsi violentemente indietro la guardia dell’arma. L’Assassino sopra di me tentennò, mandato a gambe all’aria dalla forza del colpo. Mi sfilai da sotto la sua presa più in fretta che potei, raccolsi la spada e mi voltai ad inseguire Thomas e Connor, sperando di non arrivare tardi.
Corsi come solo un pazzo può correre, infilandomi nella Broadway e seguendo le scie di devastazione e insulti che quei due si erano lasciati dietro, riflesse su di me. Vidi una donna lanciarsi quasi sul denaro – magari falso – gettato a terra da Thomas per intralciare Connor, che però aveva risolto il problema saltellando su una bancarella e riprendendo la corsa senza intoppi. Quindi finirono per rallentare me.
Spinsi via un uomo e mollai diverse gomitate, ricominciando a correre dietro Connor, giù per la strada. – Eccolo! – strillò un mercante quando i due gli passarono davanti come frecce. – È Hickey, prendetelo! – Lo stesso mercante che poco prima aveva denunciato ai patrioti di essere stato apertamente fregato da un uomo di Thomas, notai. E per quanto riguarda i soldati, be’, questa volta non poterono fare a meno di alzarsi dalla panchina su cui erano accasciati, caricarsi i moschetti in spalla e inseguirli a loro volta.
La situazione si stava facendo complicata. Cercavo di far lavorare il cervello e le gambe allo stesso tempo, ma sapevo che se i patrioti avessero raggiunto Thomas mentre era ancora in vita avrei dovuto farli secchi. Altrimenti, se Connor aveva già sgozzato Hickey sarebbe stato arrestato per omicidio, e io avrei lasciato fare alla giustizia, almeno per un primo periodo. Se lo meritava. Un mesetto di gattabuia, facciamo due, poi l’avrei liberato. Avere bisogno di qualcuno è frustrante.
Portai la mano all’elsa della spada senza smettere di correre, svoltando in Queen Street. I due patrioti si erano fermati pochi metri più avanti, avevano cominciato a camminare agitando le mani e gridando. Non potevo fermarmi. Mi sarebbe bastato arrivare dietro di loro e spingerli entrambi a terra. Uno aveva il moschetto in mano, magari si sarebbe trapassato con la baionetta come quell’Assassino nel vicolo. Mi serviva solo un po’ di fortuna.
Fortuna. Ecco a cosa pensavo quando inciampai.
Avevo infilato il piede in una cassetta poggiata a lato della strada, probabilmente piena di scarti animali di qualche tipo, scivolando. Caddi a terra bocconi, trascinandomi dietro il viscido suono della suola sulla carne, il rumore del sangue schizzato sull’asfalto. – Merda! – imprecai a mezza voce.
Le voci dei patrioti arrivarono alle mie orecchie mentre mi pulivo le mani sporche di terra e sangue sulla parete di un’abitazione, facendomi capire che non avevo fatto abbastanza. – Siete entrambi in arresto! – Troppo tardi.
Strinsi i pugni. Che il diavolo mi porti. – Ehi, calmi! – Questo era Thomas. Non avevo nemmeno il coraggio di guardare in quella direzione. Lanciai un’occhiata più avanti: le guardie avevano i moschetti sollevati, in allerta. Non potevo ammazzarli, avrei detto addio all’effetto sorpresa. Mi sarei dovuto alzare, liberarmi della cassetta in cui il mio piede si era incastrato e sguainare la spada.
Magari fosse stato così facile. Se avessi dato un tale diversivo a Thomas e Connor, quei due avrebbero ricominciato ad inseguirsi come animali da cortile. Li avrei persi di nuovo. Ormai l’attenzione dei soldati l’avevano attirata. Peggio per loro. Maledizione. – Non c’è niente di male in due uomini che si confrontano alla vecchia maniera! Non potremmo…
Thomas gemette. – Cuciti la bocca, stronzo! – probabilmente lo stavano legando per portarlo in prigione. Non lo biasimavo.
– Con quali accuse? – disse invece Connor, sorprendentemente pacato, manco lo arrestassero un giorno sì e l’altro pure.
– Contraffazione. E mani dietro la schiena – gli intimò il secondo soldato.
– Io non c’entro nulla.
– Ah, no, certo che no! Dicono tutti così. Pensi che la gente di qui sia così idiota da lasciarsi abbindolare così? Da uno schifoso selvaggio come te, poi! – Ah, i patrioti, i leggendari difensori della libertà.
– Ci sono cose più importanti, al momento. – Però, mio figlio e la sua logica di ferro mi stupiscono sempre. Charles Lee era un mostro per avergli gentilmente intimato di rivelare la posizione del suo villaggio, quel soldato poteva liberamente insultare la sua etnia e Connor avrebbe continuato ad amarlo solo perché indossava una divisa blu. – Quest’uomo…
Udii un tonfo e la risata di Thomas. – Oh, Cristo, finalmente! Ben gli sta.
Sollevai lo sguardo: uno dei soldati stava spingendo Hickey verso l’altra parte della strada mentre l’altro sollevava mio figlio, privo di sensi e con la faccia sporca di sangue, e lo trascinava via. – Ti ho detto di stare zitto. – Thomas si prese uno scappellotto.
Mi passai le mani sulla faccia, strisciando e abbandonandomi contro la parete. – Merda – mi uscii in un grugnito. – Oh, merda! – sbottai scrollando la gamba per liberarmi di quella dannata cassetta. Ero nei guai, e grossi. Non potevo tornare alla tenuta abbandonando mio figlio e Thomas. Specie il secondo. Dopo tutto quel tempo speso non avevo alcuna intenzione di lasciarmelo scappare.
Dovevo solo pensare ad un piano. Prendere una locanda, intanto, riflettere, alzarmi da terra e darmi una ripulita.
Li avevano arrestati, quindi erano in prigione. Ecco il primo, geniale pensiero che produsse il mio cervello. La prigione. E l’unica prigione di New York – almeno, che io sappia – era Bridewell. Aveva addirittura una piazza tutta per sé, il penitenziario, in fondo alla Broadway. Un’amara ironia, considerando che Thomas passava la maggior parte del suo tempo da quelle parti, vicino a quel posto che incombeva costantemente sulla sua vita costellata di attività criminali.
Bridewell, quindi. Ci sarei entrato. Li avrei fatti uscire. Dovevo solo trovare un modo. E, una volta fatto, evitare che si scannassero l’un l’altro.
Facile. Erano un Assassino e il Templare che aveva violentato sua madre e non solo voleva uccidere il suo eroe, ma addirittura, nella sua testa, aveva dato alle fiamme il suo maledetto villaggio.
Gesù.
 
Alloggiai nella locanda davanti cui avevo beccato Thomas, abbastanza centrale e sulla Broadway, quindi a poca distanza dal penitenziario. Quella notte, nonostante la cena sostanziosa e la più che discreta quantità di alcool che mandai giù, non riuscii a chiudere occhio. Avevo per la testa mille pensieri e ancora più preoccupazioni, e camminare su e giù per la mia stanza non risolveva.
Motivo per cui mi appollaiai sul tetto per scrutare Bridewell e organizzarmi. Non era niente di che, per essere una prigione, e non sembrava nemmeno un posto così sicuro. Immagino che se qualcuno l’avesse riadattato sarebbe potuto essere usato tranquillamente come casa. Una bella casa, perché era piuttosto grande, composto da un corpo centrale e le due ali gemelle ai lati. Decine di guardie ci giravano intorno con le loro stupide lanterne e montavano di guardia sui balconi o sul tetto, come me. Solo che io ero circondato dal buio, invisibile e abituato ad osservare senza essere visto. Insomma, di certo non mi sarei fatto fregare da gente del genere.
Il sonno non mi raggiunse nemmeno là sopra. I miei pensieri cambiavano continuamente direzione, finché non si soffermarono sugli Assassini che avevo ucciso nel vicolo. Non era mia intenzione ammazzarli. Non volevo che Connor avesse un altro motivo per essere contro di me. Ah, no, non gli avrei permesso di mollarmi a metà dell’opera. Avevamo cominciato quella storia insieme. Mio malgrado, avevo bisogno di lui per arrivare al Grande Tempio, esattamente come servivo a Connor, data la sua totale inettitudine. È secondo solo a George, in questo campo.
Non sprecai quelle ore in un’inutile crisi esistenziale, se è questo che vi state chiedendo. La mattina dopo probabilmente avevo le occhiaie fin sotto i piedi, ma conoscevo ogni minimo movimento di ciascun soldato all’interno della prigione. Rischiando di crollare per il sonno su una tazza di tè forte, giurai che mi sarei fatto una sacrosanta dormita e quella stessa sera avrei tratto Thomas e Connor fuori da Bridewell. A qualsiasi costo.
 
Mi svegliò il proprietario della locanda alle sette e mezza, battendo contro la porta della mia stanza come un orso perché stavano servendo la cena. Balzai giù dalla branda con la bocca impastata e la camicia stropicciata dalla dormita, spalancando la porta con una mano sugli occhi. – Sia ringraziato il cielo – grugnì quello con scarso entusiasmo. – Avete pagato per la cena, giusto?
Mi passai i pugni sugli occhi cercando di assumere un’aria decorosa. No, era impossibile. Dio santo, non è corretto chiedere ad un uomo appena buttato giù dal giaciglio di dialogare da buon gentiluomo. Non si fa. – Grazie per l’interessamento, signore, ma non ho fame.
– Sapete che non detrarrò la spesa dal vostro conto, vero?
E voi sapete che se mi fate un’altra domanda potrei picchiarvi? – Certo – mi sforzai di rispondere con un sorriso gentile. – È un vostro diritto.
Quello sollevò le mani, come se avessi toccato un tasto dolente. – Non parliamo di diritti, per l’amor di Dio! – Si passò una mano tra i capelli e desiderai con tutto me stesso che gli prendesse un malore e mi lasciasse andare a sciacquarmi la faccia. Solo per pietà. – Ogni giorno assisto a un paio di scaramucce tra soldati. E quando qualche ubriacone decide di mettersi in mezzo è la fine. – Scrollò il capo. – Credo di dover tornare sotto. Avete ancora tempo, se vi viene fame. – Lanciò uno sbuffo e mi salutò con un cenno della mano. – Buona serata.
Risposi con un cenno e dovetti trattenermi dallo sbattergli la porta in faccia. – Santo Dio – brontolai stropicciandomi la faccia. Avevo una sottospecie di piano, ma ero così stordito che non sarei riuscito nemmeno a mettere piede fuori dalla locanda senza farmi notare.
Presi la redingote che avevo abbandonato su una sedia e m’infilai nella stanza da bagno.
 
Appena il mercato veniva smontato e si avvicinava l’ora di cena la Broadway diventava deserta come un sentiero di montagna. Con l’aggiunta di qualche barbone e un’avvenente puttana qua e là. L’incombente sagoma della prigione, però, contribuiva a diffondere il senso di soggezione per la strada principale della città, di giorno così viva ed allegra. Quell’ombra scura s’infilava tra i vicoli e ne sentivi il fiato sul collo, era come l’occhio vigile di un dio onnipotente e sempre pronto a punirti. Motivo per cui le puttane preferivano altre zone, magari ai confini della città, dove lo sguardo vitreo dei maiali chiusi nei recinti contribuiva all’atmosfera.
Costeggiai il muro del penitenziario camminando basso, l’orecchio quasi accostato al calcestruzzo per sentire i ritmici passi dei soldati sulla ghiaia dall’altra parte. Sapevo che oltre quell’ordinata catasta di mattoni c’era un uomo, un soldato patriota: avrebbe fatto circa venti passi con una tremula lanterna tra le mani, poi sarebbe tornato indietro per altri venti passi, sempre con la stessa andatura, proprio mentre dall’angolo sbucava un altro soldato per controllare la zona scoperta.
Non avevo molte possibilità, ad essere sincero. Dovevo ammazzare uno dei due soldati in maniera silenziosa, spostare il cadavere e magari rubargli la divisa. Con un brivido lungo la schiena rividi l’harem di Damasco in cui era stata rinchiusa Jenny, la macchia di sangue sulla tenuta da eunuco che mi aveva smascherato. Non potevo permettermi errori, questa volta.
Lanciai naturalmente un’occhiata lungo la strada, trovandola deserta. Un uomo appeso al muro di Bridewell in piena notte era pazzo o aveva intenzione di finire in galera – quindi aveva comunque qualche problema mentale. Mentre i passi del primo soldato s’allontanavano verso l’ingresso della prigione saltai, appollaiandomi sul muro e lanciando un’occhiata di sotto. All’angolo di destra s’intravedeva il baluginare della lanterna del secondo soldato. Trattenendo il fiato per non far rumore m’incamminai lungo il muro, piegato in due per essere meno visibile.
Appena la guardia mi sorpassò scivolai giù dal muro, silenzioso come un fantasma, e strinsi una mano attorno alla gola della mia preda mentre con l’altra provvedevo a farla restare zitta. Mezzo minuto dopo avevo un cadavere tra le braccia, lo trascinavo il più velocemente possibile verso una zona d’ombra.
Pensate che muovere un cadavere sia una passeggiata? Non avete mai spostato il corpo di un soldato con armi sferraglianti addosso. Sulla ghiaia. Dovendo necessariamente evitare di far rumore.
Non è esattamente un lavoretto da due soldi. Sfilai le pistole e la spada dal cinturone della malcapitata guardia, le mani tremanti e il fiato trattenuto. Il soldato dall’altra parte, intanto, stava facendo dietrofront. Ancora qualche passo e mi sarebbe passato davanti. Magari avrebbe lanciato un’occhiata a quell’angolo buio e la luce della sua maledetta lanterna si sarebbe riflessa sulla spada del cadavere. Mi avrebbe visto. Sarei stato scoperto e buttato fuori.
Oh, al diavolo. Non potevo permettermelo.
Lanciai un’occhiata timorosa all’angolo del muro di cinta, dove, se la memoria non m’ingannava, doveva esserci una campana d’allarme. Perfetto. Dovevo solo attirare i soldati laggiù, in modo da lasciarmi campo libero davanti al portone d’ingresso. Attorno a me non avevo altro che sassi, e il soldato s’avvicinava fischiettando un motivetto stonato. Sudavo a profusione. Merda, pensai guardando il cadavere su cui ero accovacciato. Dovevo distrarre quei soldati. In qualsiasi modo.
Fu allora che lanciai un’occhiata alla pistola del cadavere ed ebbi quello che posso modestamente chiamare colpo di genio.
Scavai nelle tasche della redingote con un certo impeto, lanciando occhiate inquiete alla guardia. Strinsi le dita intorno a una manciata di proiettili e scagliai le piccole sfere di piombo contro la campana, sperando che avessero l’effetto sperato.
– Che cos’è stato? – Grazie a Dio.
Il soldato mi trotterellò davanti andando dritto verso la campana e fischiando con due dita in bocca. – Milton! Boyle! Venite qui! – Ed ecco gli uomini di guardia davanti alla porta che alzavano i tacchi e correvano dietro all’altro sibilando imprecazioni e bestemmie. Il tutto mentre approfittavo del baccano, lasciando momentaneamente perdere il cadavere – Gesù, non avevo tempo di togliergli i vestiti, appallottolarli, portarli fin dentro l’edificio e trovare un bel posticino appartato per cambiarmi – e oltrepassando silenziosamente l’uscio di Bridewell.
Ce l’avevo fatta.
Ero dentro. E cominciava la parte difficile. 
  
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