I movimenti dettati da Robin sono sinuosi, lenti, estranei alla frenesia che, di solito, lo divora.
Gli graffia l’addome, lascia scorrere le dita sul petto, guida le sue mani ai propri fianchi: il tutto con una lentezza che Zoro non riesce a contrastare.
Un respiro pesante gl’impasta la bocca nell’istante in cui i suoi polpastrelli incontrano la pelle liscia e tesa di lei. È un istante lunghissimo, che li vede sospesi fuori dal naturale scorrere del tempo.
Robin abbassa le palpebre, si ferma, lo guarda.
Nei suoi occhi languidi Zoro coglie uno strano bagliore, un invito a continuare con quelle carezze che le fanno inarcare la schiena. Così risale, premurandosi di affondare le dita dove la carne è più morbida e di stringere in prossimità delle ossa.
Lei sussulta, schiude le labbra in un pago sorriso. Lì, nella sua bocca, sembra concentrarsi l’aria che a lui manca e che prontamente va a reclamare.
Un bacio, un morso, un formicolio lungo tutto il corpo. E il tempo riprende l’abituale velocità.
Zoro capovolge le posizioni, l’abbraccia, le impedisce anche solo di rantolare distante dal suo viso.
Perché il brivido che l’ha scosso non è di quelli che saziano la fame. Semmai l’opposto.
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