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Autore: TheVirginQueen    04/06/2014    1 recensioni
Elisabeth e Robin si conoscono sin da bambini. Il loro rapporto muta, mantenendosi sempre forte dalla fanciullezza sino all'età adulta. Il regno dei Tudor è la cornice di questa storia, la regina Elisabetta I ne è la protagonista, la storia di un amore mai compiuto ne è l'intreccio.
Si tratta di uno scorcio sull'umanità di un grande personaggio storico ed un umile tentativo di delinearne il profilo psicologico, mettendo in rilievo gli aspetti della vita privata della protagonista, piuttosto che i fatti storici per cui ella è nota. L'amore tra Elisabeth e Duddley è un fatto storicamente accertato. Qui si prova a dargli forma, immaginando i sentimenti e le contraddizioni in cui esso è sbocciato e maturato.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
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Henry morì nel 1547, quando Elisabeth aveva quattordici anni. La sua morte rappresentò per la ragazza lo spartiacque tra la vita dell’infanzia e la vita adulta. La prima non spensierata era quantomeno priva di grosse responsabilità nei confronti di se stessa del popolo, la seconda sarebbe invece stata caratterizzata da un forte senso del dovere e dai fantasmi del suo sangue di cui non si sarebbe mai liberata.
 
Dal matrimonio del re Elisabeth si era riavvicinata al padre. Non ne aveva mai perdonate le mancanze emotive, ma aveva avuto modo di sperimentarne la levatura intellettuale, seppur per poco. Henry, spinto dall’ultima moglie, si era accostato alla figlia nell’unico modo in cui era riuscito, ossia al livello intellettuale. La bambina era colta, intelligente e crescendo mostrava tutte queste qualità.
 
Lui usò tali qualità per farsi piacere la figlia, e si poté dire che la stimasse, ma ad amarla non riuscì mai. Il mostro che si frapponeva tra i due era Anna Boleyn. Ella era un fantasma nel cuore del re. La donna che l’aveva soggiogato e spinto fino alla follia. La donna che lo aveva portato alla rovina, che aveva tentato di annullare con la condanna a morte, ma che viveva e cresceva nelle sue viscere come una serpe velenosa pronta ad ammazzarlo in qualsiasi momento. Questa donna era ancora là e non gli dava pace notte e giorno.
 
La presenza di Anna nella vita di Henry era tangibile dopo anni, come se avesse appena lasciato la stanza facendo strusciare la vesta ricamata e ammiccandogli con fare suadente. Elisabeth crescendo mostrava sempre più spesso delle risate, dei modi di muoversi, degli atteggiamenti sottili e impalpabili che la riportavano in vita, davanti ai suoi occhi attraverso una creatura apparentemente somigliante a lui, ma intimamente identica a lei.
 
Elisabeth dal canto suo acuì, crescendo, l’ambivalenza nei confronti del genitore. Voleva amarlo e avvicinarlo, tanto quanto era fermamente convinta di odiarlo e di attribuirgli tutte le sue sventure.
 
L’essere vissuta sola, orfana, nell’ignominia, l’aver perso precocemente la mamma: tutti i suoi mali venivano da lui e dalle sue scelte. Anna era un fantasma anche per lei. Ma se per il vecchio re essa aveva un volto e un’anima, per Elisabeth essa assumeva volti e anime disparati, ora crudeli e viziosi, ora teneri e dolci.
 
Il marchio infamante dell’essere figlia della Boleyn le aleggiava addosso. Le persone di corte cominciarono a riconoscerne in lei la presenza, mentre Elisabeth cresceva, e a ricordarla, con tutto il disprezzo che le era dovuto. Da una creatura così abietta non poteva che essere nata una figlia viziosa e pericolosa. E quantunque lei fosse solo una ragazzina, relegata in una vasta casa di campagna che per passatempi aveva i libri e la musica e come unica compagnia quella della matrigna e delle dame, nonostante ciò, le sue apparizioni a corte erano sempre accompagnate da chiacchiere su come fosse inopportuno il suo modo di guardare, sorridere, camminare o fare qualsiasi cosa che sua madre avesse già fatto in passato nello stesso identico modo.
 
Prima di morire il re aveva avuto il tempo di modificare per l’ennesima volta l’atto di successione nel quale inserì Elisabeth come terza nella linea dinastica dopo il fratello Edward e la sorella Mary. Edward, il quale non era altro che un fragile bambino di nove anni salì al trono in una situazione politica molto instabile.
 
Chiaramente egli non era in grado di governare neanche se stesso, tantomeno il regno d’Inghilterra. Era del tutto e per tutto in balia dei suoi curatori che approfittavano della ghiotta situazione per tirare acqua al proprio mulino.
 
La situazione sociale era pessima e il re bambino sembrava il pretesto buono per una rivolta che sopiva sotto la cenere ormai da lungo periodo. Henry aveva lasciato grossi ammanchi per mantenere la lussuosa corte, le tasse erano alle stelle, l’alternanza tra carestie e pestilenze minava le risorse e la popolazione. La questione religiosa non era del tutto chiara e la parte cattolica della popolazione, la quale aveva dalla sua parte tutto l’appoggio di Mary, rivendicava i propri diritti.
 
Catherine Parr poco dopo la morte del re si era risposata con Thomas Seymour, l’uomo che amava di nascosto da anni. Il matrimonio assai veloce destò non poche chiacchiere a corte.
Thomas era poco più grande di Catherine. Era un uomo aitante, ammirato, ben coinvolto all’interno della corte. Suo fratello era tra coloro che si occupavano di amministrare facendo le veci di Edward al potere.
 
Un po’ per far cessare le chiacchiere, un po’ perché desiderava seguirne la crescita, Catherine prese con sé Elisabeth nella casa che divideva col marito.
 
Elisabeth era cresciuta molto negli ultimi anni. La bambina esile e troppo alta si era trasformata in una meravigliosa fanciulla, dalla grazia innata e dal fascino inconsapevole.
Il corpo impubere aveva ormai preso le curve di un corpo da donna, i seni erano cresciuti e i fianchi le segnavano gli abiti, sotto la vita sottile.
 
 Elisabeth che aveva atteso lungamente quei cambiamenti, li accolse ora con indifferenza e anche con qualche timore. Il suo corpo cresciuto le ricordava quotidianamente l’ineluttabile verità che era una donna. Aveva perso il padre da poco, poco dopo averlo ritrovato. Si ostinava a portare l’abito nero del lutto, anche parecchi mesi dopo, quando Catherine si era oramai risposata e viveva felicemente col suo nuovo marito.
 
Gli abiti sfarzosi che aveva agognato da bambina le apparivano ora fortemente pericolosi per la propria persona. Il lutto era il rifugio nel quale decise di nascondere il suo corpo mutato e la donna che stava nascendo in lei.
 
Catherine l’aveva messa in guardia da questi pericoli, sebbene lei stessa testimoniasse con la propria vita di non aver saputo resistere a certe seduzioni. La regina conosceva bene le chiacchiere di palazzo sul conto della giovane e ne voleva preservare l’innocenza e la virtù. Il pericolo che si trasformasse in una seconda Anna Boleyn incombeva minaccioso e come tutte le profezie che si rispettino poteva autoavverarsi da un momento all’altro.
 
Catherine le spiegò cosa fosse l’amore e cosa fosse il matrimonio e come questi due aspetti spesso non coincidevano per nulla. Le spiegò come si amavano gli amanti e l’abituò a resistere a tali impulsi e tali seduzioni, con lo scopo di mantenersi vergine e virtuosa, per l’uomo che sarebbe stato suo marito.
Non la rese apertamente consapevole delle voci infamanti sul suo conto, ma la convinse che mostrandosi pura e ferma agli occhi degli uomini non avrebbe corso pericoli.
 
Elisabeth apprese tutte quelle cose come verità. Amava molto la sua matrigna e lei rappresentava l’unico affetto sincero, a parte Robin, che aveva. L’idillio tra loro si era però incrinato dopo il matrimonio della regina. Elisabeth non trovava coerente le parole sulla purezza alla quale l’aveva abituata e la scelta di risposarsi così precocemente dopo la morte del re.
 
Andò a vivere di buon grado a casa dei due neosposi comunque, giacché l’alternativa era vivere con Mary, l’odiata sorellastra. Qualcosa iniziò a turbarla sin da subito in quella nuova esistenza e ciò l’avrebbe segnata per gli anni a venire.
 
L’allontanamento dalla matrigna coincise con un rapido avvicinamento al suo nuovo marito. Elisabeth non aveva mai sperimentato la tenerezza di un padre e in un primo momento scambiò l’affetto di Thomas per un sentimento puro e disinteressato.
 
Lui le insegnò a cavalcare come un uomo, le faceva sovente da cavaliere nelle danze e le insegnò alcuni passi complicati, di tanto in tanto portava lei e il piccolo re sulla barca, le raccontava dei viaggi che aveva fatto, delle città che aveva visto, che Elisabeth non aveva mai conosciuto. Thomas prendeva sempre le sue parti quando la sua animosità nei confronti della matrigna si trasformava in irriverenza e lei la puniva. Allo stesso modo lui diventò il suo confidente preferito quando lei aveva voglia di sfogare l’irragionevole ostilità di sua sorella o i tristi ricordi legati al padre.
 
Questa fiducia pura e cieca, che in lei cresceva ogni giorno di più, fu ricambiata da un pensiero impuro e immorale nel cuore di lui, che ella non seppe riconoscere e che iniziò ad avvertire solo quando fu davvero troppo tardi per tornare indietro e quando la rete tesagli dall’uomo l’aveva ormai avvolta irrimediabilmente.
 
Lo scopo di Thomas non era chiaro neanche a lui stesso. Sedurre la figlia del re ancora ragazzina rappresentava una sfida alla sua virilità che rompeva la noia in cui lo aveva condotto l’agognato matrimonio con la regina Catherine. Inoltre l’avere in pugno la principessa l’avrebbe di certo favorito nei suoi affari politici, grazie all’influenza che ella aveva presso sua maestà sua fratello.
 
L’uomo che aveva vissuto molto seppe quali corde toccare per conquistare la fiducia della giovane. S’insinuò subdolamente tra l’affetto sincero che ella provava per lui e il bisogno nascente di sentirsi affermata come donna. Manipolò con sapienza le carenze affettive di Elisabeth, l’ingenuo stupore che ella provava nel sentirsi accolta ed apprezzata da una presenza maschile adulta e risoluta e l’innata vanità che andava imponendosi in lei che la portava, nonostante facesse di tutto per celarlo, a gonfiarsi di orgoglio ogni qual volta la sua grazia veniva apprezzata.
 
Con concessioni, complimenti e complicità seppe ghermirla ben presto e la ragazza si trovò allora in uno stato d’animo nuovo che non sapeva spiegare ne accettare.
La vicinanza di lui, un tempo piacevole prese a farsi foriera di tensione. Gli occasionali riferimenti a quanto stesse diventando bella crescendo si erano fatti più frequenti, più frequenti le occasioni in cui lui creava il pretesto perché stessero da soli e perché una sua mano le sfiorasse il volto, si accostasse alla sua schiena o al suo fianco o perché i loro corpi fossero l’uno accanto all’altro.
 
Lei all’inizio non volle credere alle sue sensazioni. Amava Thomas come un padre e Catherine come una madre. Ben presto però cedette alle spire del demonio che le cresceva in seno e iniziò ad arrossire e a schermirsi con fare suadente ai tentativi di seduzione dell’uomo. Assecondava con un misto di colpa e fascinazione quella nuova vicinanza. Diventò inconsapevolmente seduttrice, laddove veniva meschinamente sedotta.
 
Non se ne sentiva innamorata, non lo amava con l’amore puro e fedele che aveva per Robin, ma ne era fortemente attratta e la pericolosità di tale attrazione gli rendeva lui ancora più attraente e desiderato.
 
Dal canto suo Catherine era una donna innamorata. L’occhio vedeva e la ragione capiva, ma il cuore si fece cieco e ottuso. L’unico sentimento che i tentativi subdoli del marito suscitavano in lei non furono il disprezzo per lui e il desiderio di proteggere la giovinetta, ma piuttosto la gelosia più oscura nei confronti di quell’astro nascente che le stava rubando la scena nel cuore dell’uomo che amava.
 
Tanto più lei si mostrava dura e distante con la figliastra, tanto più lei si avvicinava a lui sortendo così l’effetto contrario a quello che la donna cercava disperatamente.
 
   
 
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