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Autore: ArashiStorm    04/06/2014    1 recensioni
[SPOILER per la fine di ACIII]
...Lo aveva perso, anzi lo aveva ucciso lui stesso, poco più di un mese fa. Le sue mani potevano dirsi ancora bagnate del suo sangue, anche se non solo del suo, perché insieme a quello di Haytham Kenway, dalla lama celata che teneva al braccio, colava anche il sangue, ben più odiato, di Charles Lee. E se non provava nessun pentimento per quell'ultimo omicidio, lo stesso non poteva dirsi del macigno che sentiva nel cuore per l'uccisione del padre. Soprattutto ora che, dopo la lettura del suo diario, era riuscito, forse, a capirlo anche se ancora non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarlo...
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aveline de Grandpré, Connor Kenway, Haytham Kenway, Kaniehtì:io (Ziio)
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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7. Waking up

Sbatté gli occhi con lentezza. Faceva fatica a distinguere l'ambiente attorno a lui, ma era conscio di essere disteso su un letto.

«Padre»

La voce di Connor gli arrivò lontana ma la riconobbe all'istante. Quella voce gli aveva più volte fatto visita nei suoi sogni, accompagnata da una voce femminile, roca e tanto amata, che ogni volta che si alzava pensava di aver dimenticato. E invece lei si ripresentava sempre, alle volte lo accusava, altre invece gli sussurrava parole dolci e gentili. La voce di Ziio era la sua ninna nanna e la sua sveglia più implacabile allo stesso tempo. Ma questa volta lei non c'era, era solo la voce di Connor a farsi largo nella sua testa. Gli ci volle ancora qualche minuto per rendersi conto che quella volta la voce non gli arrivava da un sogno, ma il suo proprietario era li accanto a lui, in carne ossa e preoccupazione. Questa era la realtà.

Haytham volse la testa in direzione di quella voce e ai suoi occhi apparve una sagoma sfuocata ma che indubbiamente riconobbe come suo figlio.

«Connor, dove....»

«…al sicuro» rispose evasivo il ragazzo.

«Mi hai riportato da quella famiglia. Stupido!» ringhiò all'improvviso, con quanta rabbia gli fosse rimasta in quel corpo stanco e provato dalle ferite.

«Devo andarmene. E' troppo pericoloso... i ragazzini... quella donna...non posso rimanere...»

«Che volete dire?» Domandò il ragazzo portando un pezza bagnata sulla fronte del genitore.

Haytham scacciò la mano con astio e si puntellò sui gomiti cercando di alzarsi. «Non capisci, se scoprissero che sono ancora vivo e mi trovassero qui, li accuserebbero di avermi nascosto. Non so cosa potrebbero fare. Nessuno di loro sa nulla di me, i ragazzini in particolare ... loro non devono...» gridò in preda ad un panico che Connor stentò a riconoscere nella voce del padre.

«Calmatevi!» gli intimò con voce ferma, tentando di non sembrare però troppo brusco «non siete dal signor Jack.» aggiunse poi con più tranquillità una volta che Haytham fermò le sue parole.

L'uomo sembrò tranquillizzarsi di colpo, si lasciò cadere nuovamente sul letto, il respiro che riprendeva il suo ritmo normale.

«Dove siamo allora?» domandò dopo alcuni istanti, lasciando che Connor questa volta gli asciugasse il sudore dalla fronte.

«Ve l'ho detto... al sicuro. Nessun templare verrà a cercarvi qui.»

«E gli Assassini?»

«Beh...loro sono parecchi da queste parti»

Haytham capì. Connor lo aveva portato alla sua tenuta, nel bel mezzo dei suoi nemici giurati.

«Sei impazzito? Mi hai portato tra la tua gentaglia?»

«Cosa avrei dovuto fare? Mi siete svenuto davanti agl'occhi!»

«Io ti avrei lasciato li»

«Si come no!»

«Ti ricordo che ho firmato la tua condanna a morte qualche anno fa!»

«…e poi mi avete salvato tradendo quel vostro stesso ordine»

Haytham si zittì di colpo. Il diario…lo aveva letto.

«Lo hai letto...» disse semplicemente, distogliendo lo sguardo. Non aveva programmato questo, o forse soltando non sapeva come gestire la cosa. Sinceramente si domandò anche come suo figlio avesse potuto esserne in possesso. Ricordava di aver scritto quelle ultime pagine nel suo studio, poco prima dell'attacco a Fort George. Ricordava di aver dibattutto con sè stesso se portarselo appresso durante il combattimento e rendere più facile il suo ritrovamento da parte di Connor o se abbandonarlo li, sulla scrivania lasciando al destino il compito di decidere se quelle pagine dovessero davvero essere lette dall'Assassino. 

«E' stata Aveline a portarmelo. Lo trovò tra le macerie del vostro studio, poco prima di trovare Voi...» spiegò Connor strizzando la pezza con un po' troppa forza sopra il catino.

L'uomo annuì dentro di sè. Dunque il destino aveva usato quella giovane Assassina come portavoce del suo volere. Ironico come quella donna quella sera avesse salvato le sue memorie e la sua vita in un solo colpo, senza nemmeno sapere se ciò che stava facendo fosse un bene o un male. Tipico agire degli Assassini, nessun calcolo, nessun pensiero per i risvolti delle loro azioni, solo puro istinto...

«Non era così che doveva andare.» commentò con amarezza il vecchio Templare «Dovevo essere morto e sepolto quando tu avessi letto quelle pagine...così non...»

«Così cosa?» chiese il ragazzo con rabbia, gettando nell'acqua la pezza appena strizzata. Questa cadde nel catino spargendo spruzzi fin sul pavimento.

«Così sarei potuto vivere con il rimorso di avervi ucciso con le mie mani? Con la certezza di aver deluso non solo mia madre, ma anche mio padre? Con la convinzione di essere stato l'artefice della mia solitudine.»

«No» rispose Haytham matenendo la calma nonostante la comprensibile frustrazione del giovane seduto vicino a lui. «Era proprio questo che temevo. Questo tuo incolparti per ciò che non è stato dipeso da te. Speravo che dopo la mia morte avresti compreso.... che non eri stato tu ad uccidermi...»

Connor si irrigidì, alzò la testa e i suoi occhi cercarono con lentezza quelli del padre, trovandoli calmi e pronti ad accettare qualsiasi reazione.

«Dunque Aveline aveva ragione...» replicò piano il giovane mantenendo le pupille fisse in quelle del templare alla ricerca di qualcosa a cui nemmeno lui avrebbe potuto dare un nome «Voi...vi siete fatto uccidere da me...»

Haytham chiuse gli occhi in un tacito assenso.

«Perchè?» urlò Connor alzandosi in piedi di colpo, prendendo suo padre per il bavero della camicia ancora sporca di sangue, noncurante delle condizioni precarie del genitore.

L'uomo tossì alcune volte. Connor non mollò la presa fino a che Haytham non riprese a parlare.

«Perchè nessun padre...- disse con il fiato corto, ma con voce ferma - dovrebbe seppellire il proprio figlio»

Connor spalancò gli occhi per un brevissimo istante, per poi richiuderli con forza, quasi a farsi male. Haytham sentì anche le mani stringere più forte sulla sua camicia mentre il ragazzo voltava e abbassava leggermente la testa. Adagiò il padre sul letto con gentilezza, poi gli diede la schiena e si avviò verso la porta.

«Vado a chiamare il dottore» disse solamente prima di uscire, chiudendosi la porta alle spalle.

Haytham si domandò se dietro quel grande portone di legno Connor stesse piangendo, o se, anche lui, in quella guerra senza senso, avesse guadagnato un cuore tanto arido da non permettere più nemmeno lo scorrere delle lacrime.

  
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