Note
della traduttrice: Eccoci
qua con il secondo capitolo! Prima di tutto un grazie a quanti hanno
letto e/o
recensito, trovo che questa storia sia infinitamente dolce per cui
è bello
sapere che viene apprezzata anche da altri ^_^ Questo capitolo, in
particolare,
a suo tempo è riuscito a ridurmi il cuoricino in brandelli
nella parte finale XD
(capirete perché), quindi cos’altro posso
aggiungere?
Buona
lettura, grazie mille e a prestissimo
<3
Ellipse
CAPITOLO
2
È
Mike a organizzare tutto.
Mary
è adorabile. John è stupito dal fatto
che non sia già stata accalappiata da un qualche tipo
intraprendente. Il viso
le brilla al lume di candela del tranquillo ristorante vietnamita che
ha scelto
lei stessa, gli occhi le si increspano di malizia mentre racconta
qualche
barzelletta spinta con una voce impassibile che fa piegare John dalle
risate.
La sua mano è minuta in quella di John mentre passeggiano
per Chinatown e Soho,
ammirando le lanterne rosse, come grandi semi di melograno, di cui
è
disseminata Gerrard Street, luminose contro il cielo notturno.
È una novità
curiosa il girare la testa verso qualcuno che ti cammina accanto
anziché
continuare a guardar dritto. Qualcosa nel petto di John gli provoca una
fitta a
quel pensiero.
John chiude gli occhi, appoggiandosi alla vetrina scura dello Speedy's Cafè.
La
porta del 221B si apre con un cigolio, e John sussulta. Alza lo
sguardo, dritto
sulla faccia di Sherlock. La luce di un lampione lì vicino
colpisce per obliquo
gli zigomi di Sherlock, mettendoli in netto risalto.
Per
un attimo, John si chiede se non stia sognando. Sherlock indossa la sua
vestaglia blu e i pantaloni del pigiama. Quella vista è
così familiare che John si
ritrae, il corpo che istintivamente si prepara a parare un colpo.
Sherlock è a
torso nudo; i suoi capezzoli – quelle innocue punte scure
– si stanno già
indurendo per l’aria fredda di Londra.
John
balbetta qualcosa. È piuttosto certo che le orecchie gli
siano arrossite, prima di distogliere lo sguardo dal petto di Sherlock.
“John?”
“Dio.
Merda, cazzo, cazzo.”
John si
affretta a raddrizzarsi. “Scusa. Mi dispiace,
Sherlock.”
Sherlcok
inclina la testa. I suoi occhi stanno valutando, spogliando John fino
alle ossa
in un unico, freddo sguardo – su, poi giù. John si
sente completamente e
assolutamente distrutto.
“Mi
dispiace. Non dovrei essere qui. Non so cosa io stessi pensando. Ho
solo
iniziato a camminare…Io…” Cristo, perché
non riesco a smettere di parlare? “Me ne vado e
basta.”
John
resta a bocca aperta quando, invece di sbattergli la porta in faccia,
Sherlock
gli si avvicina di un passo. È scalzo, il gigantesco idiota.
Scalzo e sul punto
di mettere piede su un marciapiede di Londra – probabilmente
la superficie meno
igienica al mondo.
“Sherlock
– fermo. Che stai facendo? Solo – fermati
lì, va bene?”
Senza
pensare, John fa un passo avanti per posare una mano sul petto di
Sherlock,
impedendogli di varcare la soglia. In un attimo sono pelle
contro pelle,
dentro l’ambiente sicuro di Baker Street per la
prima volta da – da quel
giorno. John rimane ammutolito. Sherlock sembra congelato sul posto,
mentre fissa
la mano dell’altro. John riesce a sentire il battito del suo
cuore.
Oh
Cristo santo.
John
ritrae bruscamente la mano. Resiste all’impulso di strapparsi
i capelli con le mani.
È
ufficiale. Sto legittimamente impazzendo.
La
bocca di Sherlock si arriccia in maniera curiosa verso
l’alto. Sono ancora fin
troppo vicini l’uno all’altro – vicini
abbastanza perché John possa vedere le
ombre gettate dalle ciglia di Sherlock.
“Ti andrebbe di salire?”
John non riesce a costringersi a dire di no.
::
Baker
Street sembra quasi esattamente la stessa.
È
ancora un pandemonio, certo. L’amato set di chimica di
Sherlock è ancora sparso
su tutto il tavolo della cucina. La carta da parati è
orribile. Anche il
teschio di Sherlock è nello stesso punto di prima sul
caminetto, girato così da essere rivolto in maniera
disinvolta verso la poltrona di Sherlock. John si chiede se Sherlock
abbia mai ripreso a parlare col teschio ora che lui se
n’è andato; si chiede se
Sherlock consideri il teschio un miglioramento.
John
deve impedirsi fisicamente di dirigersi in cucina per mettere a bollire
l’acqua
per il thè – l’abitudine è
radicata in lui in modo così profondo.
Invece,
indugia con fare incerto sulla porta. Essere salito di sopra comincia a
sembrare una decisione sempre meno buona.
Sherlock
lo sta ancora guardando, catalogando ogni suo tic e movimento facciale.
È come
ritrovarsi al sole dopo un interminabile e deprimente tempaccio
– come se ogni
parte della vita quotidiana di John, della monotonia,
stesse venendo bruciata dall’intensità dello
sguardo di Sherlock.
John
interrompe il loro contatto visivo, osservando il resto
dell’appartamento.
Si
era aspettato – non lo sa. Più cambiamenti, forse?
Decisamente più cose di
Irene lì attorno – anche se la maggior parte delle
sue cose probabilmente
sarà ancora a Cambridge. Non aveva pensato che lei potesse
sopportare il
disordine di Sherlock, però. Aveva pensato che
Irene avrebbe puntato i piedi
e che non avrebbe permesso a Sherlock di scavalcarla, come aveva fatto
John.
John
chiude gli occhi.
Sherlock
si è spostato davanti alla finestra.
C’è un’energia curiosa nei suoi
movimenti,
quasi come se fosse nervoso.
“Com’è
andato il tuo appuntamento?”
Gli
occhi di John tornano di scatto su quelli di Sherlock.
“Il
mio appuntamento?”
“Sei
uscito, ovviamente.” Sherlock agita una mano. “Ti
sei acconciato i capelli. Il taglio più lungo ti dona, ti
addolcisce la mandibola. Ti sei comprato delle scarpe
nuove – non un paio costoso, ma più eleganti delle
tue solite scarpe da
ginnastica. Non puoi averle scelte da solo – devi essere
stato aiutato. Probabilmente
da quel gruppetto confusionario di studenti di medicina che tu chiami
amici. Indossi
il tuo blazer preferito, quello che hai messo per il nostro primo
anniversario,
quando mi hai portato a vedere l’Orchestra filarmonica reale
ad Albert Hall. Acconciatura
nuova, scarpe nuove, abbigliamento più elegante del solito
– sei stato a un
appuntamento.”
John
si sente senza fiato, come se qualcuno gli avesse appena dato un pugno
allo
stomaco.
“Io
– è –“ John si schiarisce la
gola, la voce del tutto roca. “L’appuntamento
è
andato – bene. Lei era molto carina.”
Sul
volto di Sherlock scorre qualcosa di strano; i suoi occhi passano da un
azzurro
chiaro a una sfumatura più scura, come un’ombra
che passa sott’acqua. John non
è mai stato veramente in grado di leggerlo.
John
fa un passo verso la propria vecchia poltrona. Qualcosa di caldo gli
freme nel
petto quando nota che Sherlock ha tenuto il suo cuscino della Union
Jack – un acquisto
fatto di getto quando hanno fatto una gita di un giorno a Brighton
durante la
scorsa Pasqua. Sherlock aveva voluto studiare le differenze tra il
fango di
Londra e del Sussex, e John aveva voluto pranzare con fish and chips
sulla
spiaggia. Era stata una splendida giornata che si era conclusa con un
bel po’
di sbaciucchiamenti in riva al mare e molti meno campioni di fango di
quanti
Sherlock avesse pianificato.
“E
– tu?” John costringe le parole a uscirgli di
bocca. “Come sta – Irene? Quest’anno
finirà a Cambridge, non è vero?”
“Irene?”
Sherlock dà del tutto le spalle alla finestra, voltandosi
verso John. “Io –
presumo stia bene. Perché lo chiedi?”
John
cerca di sorridere. Immagina che sia un sorriso stentato quanto gli
sembra che
sia. “È – educato, no? Io-“
John prende un profondo respiro. “Mi farebbe piacere
sapere che stai bene. Che – entrambi voi state
bene.”
C’è
un solco fra le sopracciglia di Sherlock. Quel gran cervellone
probabilmente sta venendo messo in moto a calci. Sono dati nuovi,
questi – come fare
conversazione col tuo ex.
“Stiamo
entrambi – bene.” Le parole sembrano stranamente
incerte, provenienti dalla
bocca di Sherlock.
“Grandioso.
Magnifico. Stellare.” Oh mio Dio. John
si sforza di stare zitto. Ignora la sensazione di vuoto che sembra
allargarsi nel suo petto.
Cristo,
cosa ci faccio qui.
“Sherlock,
penso–”
“John,
cosa–”
Entrambi
si interrompono balbettando, guardandosi l’un
l’altro. John si sente di nuovo
senza respiro, vedendo Sherlock bagnato dal bagliore dei lampioni che
filtra
dalle finestre. Sherlock, a Baker Street.
In un qualche modo, la realtà supera di gran lunga
i suoi ricordi – si era
dimenticato la sfumatura precisa della pelle di Sherlock, quel color
panna
vellutato e tangibile sull’esilità del suo torso.
La straordinaria bellezza del
suo profilo – la linea del suo collo che si incurva verso la
mandibola; l’arco
sensuale, vulnerabile della sua bocca; la sporgenza di quei maledetti
zigomi.
“Farei
meglio ad andare.”
Sherlock
non dice una parola. Nei suoi occhi è spuntata una nuova
luce – qualcosa di
curiosamente vivace. È come se avesse appena condotto un
esperimento lungo e
complesso, e potesse adesso studiarne i risultati, ripercorrendo ogni
anello
della catena di causa-effetto in una sequenza perfetta.
“È
– è stato bello vederti.” John si
costringe a voltarsi, ad allontanarsi da lui.
È più difficile di quanto si aspettasse.
È come se qualcosa – un qualche uncino
– si fosse aggrappato ai resti del suo cuore e adesso a ogni
passo per
allontanarsi gli stesse scavando uno strappo ancora più
profondo nel petto.
Riesce
quasi ad arrivare alla porta quando lo sente.
“John.”
Nel
corso dei loro diciotto mesi insieme, John ha sentito Sherlock dire il
suo nome
in innumerevoli modi. C’è il blando, quasi
sprezzante Passami il telefono, John. L’irritato
e incupito Noia! Mi annoio, John.
Fa’ qualcosa di
interessante. Il carezzevole e dolcemente esigente Dov’è la mia tazza di
thè, John?, simile ma non esattamente
identico al John detto a voce
bassa
che Sherlock usa quando si sente affettuoso, per chiedere attenzioni,
cercando
un bacio – quello è più calmo,
più basso, e fa venire voglia a John di
avvolgergli il volto con le mani e di baciarlo fino allo sfinimento.
Questo
è diverso.
Gli
fa pensare a quelle tarde notti e mattine presto a letto, il John che Sherlock usa quando John si
spinge dentro di lui, insinuandosi nella sua apertura. Quando sono
così vicini
da essere inseparabili, un’unica entità che
respira e ondeggia insieme, quando
John si sente così immerso in Sherlock – felice
in maniera tanto trascendentale – che potrebbe
piangere. Quando Sherlock
inarca la schiena, perdendo ogni singolo pensiero in quel suo super
cervello e John è
l’unica parola che ricorda.
Il
passo di John vacilla.
Sherlock gli si avvicina, la vestaglia blu che sferza nell’aria dietro di lui. Prima che John abbia tempo di prendere un altro respiro, Sherlock lo sta baciando.
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