Benvenuti
a
questo nuovo aggiornamento. Non pensavo di riuscire a farlo proprio
adesso.
Quanto agli altri, non temete. Ci metterò le mani non appena
possibile.
DONO (PADRONE)
Una volta giunti al
Guadalquivir, l'uomo
con il mantello si fermò e, con fare circospetto, prese a
guardarsi intorno,
fino a che non si fermò di botto. Immobile tra le sue
braccia, mossi la testa,
imitandone il gesto.
Fu allora che vidi
una carovana di uomini
dalla pelle bruna e dalle vesti colorate.
-Alejandro!-esclamò uno di loro- Cosa
hai portato?-
Il colosso che mi
teneva non si mosse.
-E'molto
piccola-osservò un altro.
-Non è per
voi. Dono è
qui?-chiese il gigante.
I gitani si
guardarono. - Ha avuto molti
problemi. I Pessoas
idosas [1]inizialmente
erano restii
ad ospitarlo ma hanno accettato di dargli un giaciglio. -risposero -Ora
si
trova presso Joaquin, per discutere delle varie operazioni per il
viaggio. Ti
aspetta lì.-
-Molto
bene-osservò Alejandro, prima
d'incamminarsi verso uno dei carri, portandomi con sé, come
se fossi un sacco
di patate. Non avevo mai visto una carovana gitana. Mia madre viveva
isolata
nella dimora che mio padre aveva comprato per lei ma era solita
raccomandarmi
di stare lontana da loro.
Si diceva che, oltre
ad essere i migliori
per addestrare cavalli, fossero soliti rapire bambini...ma non ho mai
saputo
dire se una simile voce fosse vera o meno.
Quando
vivevo ancora a Cordoba, questo tipo di notizie era tristemente diffuso
e, se
mai vi fosse stato qualche zingaro che era estraneo alla pratica, non
avrebbe
comunque mutato il giudizio generale su quel popolo.
Così
mi strinsi inevitabilmente ad Alejandro. Quel colosso dalla pelle
scura, aveva
un fare pratico e spiccio. I gitani sembravano tenerlo in grande
considerazione
tanto da rivolgergli spesso domande e varie notizie, a proposito degli
argomenti più disparati.
-Quindi,
avete trovato dei problemi?-domandò l'uomo che mi teneva.
Gli
zingari trotterellavano al suo fianco, con una sicurezza che la diceva
lunga su
quanto Alejandro fosse conosciuto là. -Abbiamo visto che i
gendarmi hanno fatto
visita alla dimora di Dono e che hanno provato a portarlo in
prigione.-rispose.
ghignando- ma Dono, durante il tragitto, è riuscito a
fuggire dalla carrozza,
seminando le guardie.-
Il
moro sorrise. -Ne sono lieto. Quel diablo mi ha promesso un bel
gruzzolo.-rispose, passandosi una mano sulla fronte alta.
Gli
altri sghignazzarono. -Dono ha talento-commentò uno di loro.
-Cosa
sta succedendo?-domandò improvvisamente una voce che mi fece
gelare sul posto.
-Dono[2],
spero di non avervi offeso.-dissero gli zingari.
Io
non fiatai, mentre sentivo il cuore battere impazzito.
Non
poteva essere, non potevo credere ad una cosa del genere.
-Quello
che pensi o speri non è affar mio. Mi auguro che questo
indugio non abbia fatto
tardare la missione che vi avevo chiesto-rispose questi, rivolgendosi
direttamente al moro che mi teneva. Indossava abiti scuri di fustagno,
simili
per fattura alla moda dei gitani. Avrebbe potuto tranquillamente essere
scambiato per uno di loro...e quella vista mi ghiacciò il
sangue nelle vene.
Mio
padre, Don Ignatio Escobar era l'uomo che tutti chiamavano Dono.
Non
riuscivo a credere a quella vista. Non riuscivo a capire.
Perché era lì? Doveva
essere in prigione...immediatamente le parole degli zingari acquisirono
un
senso.
Mio
padre era scappato.
Era
sfuggito alla legge...per me.
Quel
pensiero ebbe il potere di destabilizzarmi. Prima della rovina, l'uomo
che
Honor aveva scelto, ignorando il volere della famiglia, era un uomo
taciturno e
schivo. Parlava poco...e solo delle cose essenziali. Forse era il suo
silenzio
ad aver attratto mia madre, anche lei dotata di un animo schivo e
ritroso...non
avrei saputo dire.
Non
lo avevo visto da giorni...ed ora era di fronte a me.
Don
Escobar era un uomo alto e ben piazzato, con un corpo muscoloso e
tornito, come
quello di una colonna. Poco prima delle nozze con mia madre, era giunto
nella
città di Cordoba, come un semplice straniero, insieme ad una
donna dalla
carnagione cotta dal sole, con rughe che solcavano il volto, simili a
dei
graffi.
Il
suo arrivo sarebbe rimasto nell'anonimato più assoluto, se
quel giovane non
fosse stato adottato dal precedente Don Miguel Escobar per designarlo
come
erede. Mio padre era legato a quest'ultimo da una labile parentela, dal
momento
che non era altro che il frutto di una delle tante scappatelle di uno
dei suoi
fratelli. La donna che l'accompagnava era una zia di mio padre, una
gitana che
aveva assistito il parto di sua sorella, accettando misericordiosamente
di
prendersi cura del piccolo; mia nonna naturale era infatti molto
cagionevole di
salute e non superò il parto. Don Miguel era piuttosto
anziano e, in tutta la
sua vita, non aveva mai avuto alcun erede da nessuna delle proprie
mogli. I
suoi fratelli, invece, non avevano brillato per lo splendore della
propria
prole, dal momento che nessuno dei nipoti di Don Miguel aveva brillato
negli
affari.
Fu
quindi inevitabile per il precedente Don Escobar affidarsi a questo
mezzo
gitano, nella convinzione di scegliere il male minore e di avere la
sicurezza
che i suoi affari avrebbero potuto continuare alla sua morte.
Lo
guardavo di sottecchi, studiando le sue mosse.
-Ho
parlato con gli anziani. Com'è la situazione in
città?-domandò, con voce
piatta.
Alejandro
scrollò la testa. -I Rossignol non avevano messo alcuna
scorta alla carrozza ed
ho impiegato un po'prima di decidermi a fermarla. Per un momento, ho
creduto
che avrebbero opposto maggiore resistenza.-rispose, un
po'perplesso-Dono,
quando siete riuscito a fuggire?-
-Abbastanza
presto, grazie anche alla mia conoscenza della pianta di questa
città. Quegli
stolti hanno allentato la guardia ed io sono riuscito a fuggire
abbastanza
celermente. Ho corrotto alcuni soldati ed ho saputo quanto terminavano
i loro
turni.-rispose, con un gesto di noncuranza.
-Avete
agito in modo encomiabile, senor.-rispose il moro- ma ora cosa farete?
I
gendarmi hanno confiscato tutto ed ora non avete nulla.-
Mio
padre stirò le labbra. -Non è così. Ho
delle sostanze con me, che non sono
riusciti a sequestrarmi. Prima di sposare mia moglie, ho investito dei
beni in
attività sicure, che ora stanno rendendo piuttosto
bene.-rispose-Ora potrebbero
tornarmi utili.- Lo vidi passarsi una mano tra i capelli scuri, con
fare quasi
nervoso. -Passerò il confine e me ne andrò da
questo dannato Paese.-concluse.
In
tutto quel discorso, non mi rivolse un solo sguardo.
Come
avevano fatto i nonni, le zie...anche lui, dopo un periodo di tempo
immemore,
non mi stava guardando. Questo atteggiamento mi infastidì.
Come
poteva ignorarmi in quel modo?
Come
poteva fingere di non vedermi?
Che
fosse frutto del rimorso per le azioni passate? Che volesse fingere che
tutto
fosse perfettamente normale, che mia madre non fosse mai esistita?
Quelle
domande iniziarono a serpeggiarmi nella mente, avvelenandomi a poco a
poco.
Ancora non lo sapevo...ma quella non era altro che la scintilla del
rancore
che, infida, s'insinuava nella mia anima.
-Porterete
anche vostra figlia?-domandò il moro.
A
quella frase sussultai, quasi senza un perché.
Rigida,
come uno stecco, scrutai nervosamente la sagoma del mio genitore,
attendendo in
silenzio la sentenza. La sua sagoma si stagliava nello spazio del
cortile
dell'accampamento zingaro, come una statua di bronzo di considerevoli
dimensioni.
Quella
vista mi riempì d'inquietudine.
Se
non fosse successo l'irreparabile, avrei di certo atteso la sua
risposta con
una qualche speranza, nascosta da qualche parte nel mio cuore. Avrei
persino
visto in quella figura un porto sicuro ma non mi era consentito...e non
poteva
essere diversamente.
Lo
avevo visto litigare violentemente con mia madre, poco prima della sua
caduta...istintivamente
abbassai lo sguardo verso il basso.
-Sì-disse
infine Don Escobar.
Con
quella parola, pronunciata in un sussurro, si decretò il mio
destino.
Scusate
il
ritardo ma spero che il capitolo piaccia. La storia ha dei tratti assai
duri e
spero di riuscire a renderla bene. Vorrei inoltre ringraziare tutti
coloro che
mi hanno letto. Sono piuttosto impegnata con gli esami finali della
specialistica e con la tesi ma cerco di trovare un po'di tempo. Grazie
a tutti.