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Autore: controcorrente    07/06/2014    1 recensioni
Metà del 1800. Soledad Blanca Escobar ha solo 8 anni eppure sa già quanto sia veritiero il significato del proprio nome e, forte dell'esperienza della sua famiglia, arriva a pensare che amore e matrimonio non siano compatibili. Soledad rinnega l'amore ed ogni forma di sentimento, ritenendolo causa di ogni sua sciagura...eppure sarà proprio un matrimonio combinato a farle capire quanto sia importante...sia pure a caro prezzo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Violenza
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Benvenuti a questo nuovo aggiornamento. Non pensavo di riuscire a farlo proprio adesso. Quanto agli altri, non temete. Ci metterò le mani non appena possibile.

 

 

DONO (PADRONE)

 

 

Una volta giunti al Guadalquivir, l'uomo con il mantello si fermò e, con fare circospetto, prese a guardarsi intorno, fino a che non si fermò di botto. Immobile tra le sue braccia, mossi la testa, imitandone il gesto.

Fu allora che vidi una carovana di uomini dalla pelle bruna e dalle vesti colorate. -Alejandro!-esclamò uno di loro- Cosa hai portato?-

Il colosso che mi teneva non si mosse.

-E'molto piccola-osservò un altro.

-Non è per voi. Dono è qui?-chiese il gigante.

I gitani si guardarono. - Ha avuto molti problemi. I  Pessoas idosas [1]inizialmente erano restii ad ospitarlo ma hanno accettato di dargli un giaciglio. -risposero -Ora si trova presso Joaquin, per discutere delle varie operazioni per il viaggio. Ti aspetta lì.-

-Molto bene-osservò Alejandro, prima d'incamminarsi verso uno dei carri, portandomi con sé, come se fossi un sacco di patate. Non avevo mai visto una carovana gitana. Mia madre viveva isolata nella dimora che mio padre aveva comprato per lei ma era solita raccomandarmi di stare lontana da loro.

Si diceva che, oltre ad essere i migliori per addestrare cavalli, fossero soliti rapire bambini...ma non ho mai saputo dire se una simile voce fosse vera o meno.

Quando vivevo ancora a Cordoba, questo tipo di notizie era tristemente diffuso e, se mai vi fosse stato qualche zingaro che era estraneo alla pratica, non avrebbe comunque mutato il giudizio generale su quel popolo.

Così mi strinsi inevitabilmente ad Alejandro. Quel colosso dalla pelle scura, aveva un fare pratico e spiccio. I gitani sembravano tenerlo in grande considerazione tanto da rivolgergli spesso domande e varie notizie, a proposito degli argomenti più disparati.

-Quindi, avete trovato dei problemi?-domandò l'uomo che mi teneva.

Gli zingari trotterellavano al suo fianco, con una sicurezza che la diceva lunga su quanto Alejandro fosse conosciuto là. -Abbiamo visto che i gendarmi hanno fatto visita alla dimora di Dono e che hanno provato a portarlo in prigione.-rispose. ghignando- ma Dono, durante il tragitto, è riuscito a fuggire dalla carrozza, seminando le guardie.-

Il moro sorrise. -Ne sono lieto. Quel diablo mi ha promesso un bel gruzzolo.-rispose, passandosi una mano sulla fronte alta.

Gli altri sghignazzarono. -Dono ha talento-commentò uno di loro.

-Cosa sta succedendo?-domandò improvvisamente una voce che mi fece gelare sul posto.

-Dono[2], spero di non avervi offeso.-dissero gli zingari.

Io non fiatai, mentre sentivo il cuore battere impazzito.

Non poteva essere, non potevo credere ad una cosa del genere.

-Quello che pensi o speri non è affar mio. Mi auguro che questo indugio non abbia fatto tardare la missione che vi avevo chiesto-rispose questi, rivolgendosi direttamente al moro che mi teneva. Indossava abiti scuri di fustagno, simili per fattura alla moda dei gitani. Avrebbe potuto tranquillamente essere scambiato per uno di loro...e quella vista mi ghiacciò il sangue nelle vene.

Mio padre, Don Ignatio Escobar era l'uomo che tutti chiamavano Dono.

 

 

 

Non riuscivo a credere a quella vista. Non riuscivo a capire. Perché era lì? Doveva essere in prigione...immediatamente le parole degli zingari acquisirono un senso.

Mio padre era scappato.

Era sfuggito alla legge...per me.

Quel pensiero ebbe il potere di destabilizzarmi. Prima della rovina, l'uomo che Honor aveva scelto, ignorando il volere della famiglia, era un uomo taciturno e schivo. Parlava poco...e solo delle cose essenziali. Forse era il suo silenzio ad aver attratto mia madre, anche lei dotata di un animo schivo e ritroso...non avrei saputo dire.

Non lo avevo visto da giorni...ed ora era di fronte a me.

Don Escobar era un uomo alto e ben piazzato, con un corpo muscoloso e tornito, come quello di una colonna. Poco prima delle nozze con mia madre, era giunto nella città di Cordoba, come un semplice straniero, insieme ad una donna dalla carnagione cotta dal sole, con rughe che solcavano il volto, simili a dei graffi.

Il suo arrivo sarebbe rimasto nell'anonimato più assoluto, se quel giovane non fosse stato adottato dal precedente Don Miguel Escobar per designarlo come erede. Mio padre era legato a quest'ultimo da una labile parentela, dal momento che non era altro che il frutto di una delle tante scappatelle di uno dei suoi fratelli. La donna che l'accompagnava era una zia di mio padre, una gitana che aveva assistito il parto di sua sorella, accettando misericordiosamente di prendersi cura del piccolo; mia nonna naturale era infatti molto cagionevole di salute e non superò il parto. Don Miguel era piuttosto anziano e, in tutta la sua vita, non aveva mai avuto alcun erede da nessuna delle proprie mogli. I suoi fratelli, invece, non avevano brillato per lo splendore della propria prole, dal momento che nessuno dei nipoti di Don Miguel aveva brillato negli affari.

Fu quindi inevitabile per il precedente Don Escobar affidarsi a questo mezzo gitano, nella convinzione di scegliere il male minore e di avere la sicurezza che i suoi affari avrebbero potuto continuare alla sua morte.

Lo guardavo di sottecchi, studiando le sue mosse.

-Ho parlato con gli anziani. Com'è la situazione in città?-domandò, con voce piatta.

Alejandro scrollò la testa. -I Rossignol non avevano messo alcuna scorta alla carrozza ed ho impiegato un po'prima di decidermi a fermarla. Per un momento, ho creduto che avrebbero opposto maggiore resistenza.-rispose, un po'perplesso-Dono, quando siete riuscito a fuggire?-

-Abbastanza presto, grazie anche alla mia conoscenza della pianta di questa città. Quegli stolti hanno allentato la guardia ed io sono riuscito a fuggire abbastanza celermente. Ho corrotto alcuni soldati ed ho saputo quanto terminavano i loro turni.-rispose, con un gesto di noncuranza.

-Avete agito in modo encomiabile, senor.-rispose il moro- ma ora cosa farete? I gendarmi hanno confiscato tutto ed ora non avete nulla.-

Mio padre stirò le labbra. -Non è così. Ho delle sostanze con me, che non sono riusciti a sequestrarmi. Prima di sposare mia moglie, ho investito dei beni in attività sicure, che ora stanno rendendo piuttosto bene.-rispose-Ora potrebbero tornarmi utili.- Lo vidi passarsi una mano tra i capelli scuri, con fare quasi nervoso. -Passerò il confine e me ne andrò da questo dannato Paese.-concluse.

In tutto quel discorso, non mi rivolse un solo sguardo.

Come avevano fatto i nonni, le zie...anche lui, dopo un periodo di tempo immemore, non mi stava guardando. Questo atteggiamento mi infastidì.

Come poteva ignorarmi in quel modo?

Come poteva fingere di non vedermi?

Che fosse frutto del rimorso per le azioni passate? Che volesse fingere che tutto fosse perfettamente normale, che mia madre non fosse mai esistita? Quelle domande iniziarono a serpeggiarmi nella mente, avvelenandomi a poco a poco. Ancora non lo sapevo...ma quella non era altro che la scintilla del rancore che, infida, s'insinuava nella mia anima.

-Porterete anche vostra figlia?-domandò il moro.

A quella frase sussultai, quasi senza un perché.

Rigida, come uno stecco, scrutai nervosamente la sagoma del mio genitore, attendendo in silenzio la sentenza. La sua sagoma si stagliava nello spazio del cortile dell'accampamento zingaro, come una statua di bronzo di considerevoli dimensioni.

Quella vista mi riempì d'inquietudine.

Se non fosse successo l'irreparabile, avrei di certo atteso la sua risposta con una qualche speranza, nascosta da qualche parte nel mio cuore. Avrei persino visto in quella figura un porto sicuro ma non mi era consentito...e non poteva essere diversamente.

Lo avevo visto litigare violentemente con mia madre, poco prima della sua caduta...istintivamente abbassai lo sguardo verso il basso.

-Sì-disse infine Don Escobar.

Con quella parola, pronunciata in un sussurro, si decretò il mio destino.

 

Scusate il ritardo ma spero che il capitolo piaccia. La storia ha dei tratti assai duri e spero di riuscire a renderla bene. Vorrei inoltre ringraziare tutti coloro che mi hanno letto. Sono piuttosto impegnata con gli esami finali della specialistica e con la tesi ma cerco di trovare un po'di tempo. Grazie a tutti.

 

 

 



[1] Portoghese. Anziani.

[2] Padrone in portoghese.

   
 
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