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Autore: Le_Mana    08/06/2014    0 recensioni
La storia è ambientata a Londra e parla di una ragazza di ventiquattro anni di nome Ashley Barrymore che lavora in un'agenzia investigativa. La conoscenza di un ragazzo e di una ragazza che lavorano con lei la portano a scoprire l'esistenza di due mondi paralleli. Nel momento in cui due misteriosi ragazzi le rubano il medaglione che da sempre ha portato al collo, si vede costretta a partire per un viaggio oltre l'immaginazione.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4




Quando siamo abbastanza vicini faccio per salutarla, ma Alex mi appoggia delicatamente una mano sulla schiena e mi incita a camminare più velocemente. Il suo contatto mi fa rabbrividire…noto che l’altra mano è chiusa in un pugno e che le nocche sono bianche per lo sforzo. Quel gesto mi lascia perplessa, ma mi turba ancora di più l’atteggiamento di Violet quando le passiamo vicino. Non ha la solita espressione distesa: gli occhi sembrano emanare scintille e la mascella serrata non lascia presagire niente di buono. La saluto e lei fa lo stesso, ma il suo sguardo è rivolto verso Alex. Non capisco che cosa stia succedendo.
‹‹Alex, ti devo parlare…›› dice Violet venendoci incontro e bloccandoci la strada. Lo guardo e lui mi sorride dicendomi di andare agli archivi e che mi raggiungerà di lì a poco.
Annuisco, ma prima aggiungo: ‹‹Vi conoscete?››
‹‹Purtroppo sì…›› risponde Violet a denti stretti. I due entrano in un ufficio là vicino e io faccio per andare agli archivi, ma una curiosità struggente mi impedisce di avanzare. Che cosa si devono dire quei due? E perché Violet è così arrabbiata? A pensarci bene, sono stati dei gran maleducati a escludermi così spudoratamente. Mi avvicino alla porta e vedo che Violet e Alex sono uno davanti all’altra e parlano animatamente. Accosto l’orecchio per sentire meglio:
‹‹Che cosa hai in mente?›› chiede Violet.
‹‹Niente, è solo un’amica…›› risponde Alex sulla difensiva.
‹‹Nessuno dei due ci crede, lo sai meglio di me››
‹‹Che cosa vuoi da me?››
‹‹Voi Ximos siete nati per portare solo sciagure…›› il suo tono inizia a scaldarsi.
‹‹E i Nalìr invece? Non siete capaci di stare insieme senza piantarvi un pugnale sulla schiena!›› Mi stacco dalla porta e penso di non aver sentito bene. Che cosa stanno dicendo? Piantarsi pugnali? Ximos? Nalìr? Poi ripenso a quella frase: “E’ solo un’amica…” che cosa pensa che siamo Violet?
‹‹Ti tengo d’occhio.›› la minaccia di Violet conclude la conversazione e io mi alzo allontanandomi il più velocemente possibile dalla porta. Decido di fermarmi un po’ più in là con la scusa che non avrei saputo dove andare. Alex esce e quando mi vede corruccia la fronte:
‹‹Ti avevo detto di andare agli archivi intanto….››
‹‹Sì, scusa, ma non avevo la minima idea di dove fossero. C’è qualche problema con Violet?›› chiedo bruciando nella curiosità. Lui scuote la testa:
‹‹No, non ci siamo capiti su una cosa, niente di importante…››
‹‹Sicuro? Lei sembrava molto arrabbiata…››
‹‹Voi donne fate le cose più grandi di quello che sono…›› sospira sorridendo.
Non so come rispondere e decido di non chiedere più niente sull’argomento. Quando entriamo nello studio vedo una serie di scaffali colmi di cartelle. Con sollievo noto che sono posizionate per data e io e Alex andiamo a colpo sicuro verso la mensola con la data di oggi. Ci sono già molti documenti: furti, omicidi… è passata appena metà giornata e già qualcuno ha rubato o ucciso, incredibile.
‹‹Eccolo…›› mi giro e vedo che Alex tiene in mano una cartellina. È piena di fogli e davanti è scritto a caratteri cubitali il nome della vittima e il luogo di ritrovamento. Mi avvicino per vedere meglio: ‹‹Emily Austin, 43 anni, trovata in un parco, distesa su una panchina nel Chelsea, come tutti gli altri…››
‹‹Ehi, giù le zampe…›› mi giro di scatto spaventata dalla voce roca di un’anziana signora che si avvicina a passo di carica. Appoggio il fascicolo sul tavolo, al centro della stanza.
‹‹Chi vi ha detto di toccare cosa!›› la guardo attentamente avvicinarsi, prendere il fascicolo e rimetterlo sulla mensola. ‹‹Lidia, che piacere vederti…›› a parlare è stato Alex che si dirige verso la vecchia signora per abbracciarla. È la donna più stravagante che io abbia mai visto. In una mano tiene un ombrellino rosa shocking, abbinato a un paio di scarpe col tacco a spillo.
Indossa una giacca in lana lucida con fantasia leopardata e la gonna che termina sopra il ginocchio non nasconde la pelle flaccida delle gambe. Per completare il tutto sui capelli cotonati e biondo platino porta con disinvoltura un cappellino bianco decorato da due penne di pavone.  Questa donna è un obbrobrio. Alex però, sembra conoscerla bene, e viceversa.
‹‹Lei è Lidia, lavora qui…›› la presenta Alex. Mi avvicino per stringerle la mano e questa mi squadra da capo a piedi. ‹‹Non ti ho mai vista…›› replica.
‹‹Non sono qui da molto.›› spiego
‹‹Ah… ok! Di che cosa avevate bisogno?›› chiede strofinandosi le mani.
‹‹Del fascicolo che hai appena rimesso a posto…›› dice Alex alzando gli occhi al cielo. La donna lo riprende e lo appoggia sul tavolo.  
‹‹Un caso intrigante…›› commenta inforcando un paio di occhiali ‹‹Ma alla portata di Alex sicuramente›› aggiunge lanciando un’occhiata adorante al ragazzo. Li guardo perplessa, ma decido di lasciare le domande a dopo. ‹‹Lidia, se vuoi puoi andare, ci arrangiamo noi qui›› propone Alex.
La donna pare pensarci su, ma alla fine cede e esce dalla stanza sempre con passo spedito.
Prendo il fascicolo e lo apro. Su un foglio c’è scritto lo stato del cadavere, leggo ad alta voce:
‹‹Il corpo senza vita presenta due tagli estesi poco più di un centimetro all’altezza dell’addome, precisamente nella metà sinistra del corpo, una spanna dal cuore. Il cadavere è completamente privo di sangue, questo fa presumere che sia stato aspirato da qualunque cosa abbia provocato quei due tagli. Non ci sono contusioni o ecchimosi  rilevanti che possano far pensare a uno scontro diretto con l’assassino. Sotto le unghie non sono state trovate tracce attendibili. Stanza 13 –Obitorio››
Rileggo mentalmente la descrizione e noto che è molto strana, non so proprio da dove iniziare.
‹‹Pare che chiunque abbia ucciso questa povera donna sia un malato di mente…›› dice Alex fra se e se. Sfoglio attentamente  il resto del fascicolo e vedo le foto del cadavere e del luogo di ritrovamento.
‹‹Ashley, va all’obitorio, mentre io cerco più informazioni sulla ragazza e sulla famiglia nei computer›› Annuisco perplessa, sono entrata solo una volta nell’obitorio della I.I.A. e mi rendo conto che non mi ricordo la strada per arrivarci. Fortunatamente Alex pare leggermi nel pensiero:
‹‹E’ nel piano sotterraneo, basta che prendi l’ascensore e sei arrivata››
Lo guardo riconoscente e esco dalla stanza. Ormai so orientarmi abbastanza bene fra i corridoi dell’International Investigations Agency, e le volte che mi perdo diminuiscono sempre di più. Non so che pensare degli avvenimenti di questa mattina, mi sento un po’ frastornata. Dopotutto, è l’inizio di un nuovo periodo della mia vita, forse il più significativo!
Chiamo l’ascensore e quando arriva con il consueto scampanellio, entro e schiaccio il pulsante
“-1”. Dopo poco le porte si aprono e un’aria molto più fredda rispetto al resto del palazzo mi entra pungente nella pelle. La sala è arredata poveramente: luci a neon illuminano la stanza di un bianco luminoso che fa male agli occhi. Anche qui ci sono uffici, ma io cerco qualche insegna che mi indichi l’obitorio. Ci sono molti corridoi anche sottoterra, ma l’idea di perdermi qua sotto mi piace molto meno. Solo adesso mi accorgo di un cartello indicante “Obitorio”. Mi incammino, mentre osservo con stupore la costruzione. La I.I.A. deve essere molto organizzata, ma soprattutto potente per potersi permettere degli impianti come quelli.
Quando arrivo al cospetto della camera mortuaria numero 13. Busso alla porta e qualcuno mi dice di entrare. Un odore pungente mi entra nel naso: un misto di alcool e disinfettanti vari mi prende allo stomaco.
Mi guardo attorno spaesata: la stanza è grandissima, a sinistra ci sono molte barelle una affianco all’altra con sopra cadaveri coperti da un telo bianco.
Il verde pallido degli ospedali e il bianco predominano, mentre la luce dei neon mi fa nuovamente strizzare gli occhi. Sembra di essere in un sogno.. o in un incubo. Alla mia destra un signore sulla sessantina osserva meticolosamente un corpo nudo.
‹‹Entra pure!›› mi dice con voce gentile e profonda. Ha un paio di occhiali e sopra i vestiti indossa un camice bianco dalle cui tasche escono diversi attrezzi.
‹‹Lei è…››
‹‹Ashley Barrymore›› rispondo prontamente. L’uomo annuisce concitato e mi si avvicina per presentarsi:
‹‹Mi chiamo Edward Swift, sono uno dei medici legali. Questa è la stanza numero 13, sei venuta per Emily Austin?›› annuisco sorridendo e lui mi dice di seguirlo. Su un lettino è steso il corpo di una donna di mezz’età. Deve essere stata molto bella, i tratti del viso sono delicati e dalla cuffia spuntano una ciocca di capelli ramati.
Una tristezza struggente mi stringe il cuore pensando a come devono soffrire i parenti. La pelle è bianca, troppo bianca e le labbra screpolate e di un colore violaceo mi fanno rabbrividire.
Mi chiedo come il dottor Swift possa sopportare di vedere cadaveri ogni giorno. Solo ora li vedo: due tagli all’altezza dell’addome.
Un grido disperato mi trapassa la testa e mi echeggia nelle orecchie, poi il rumore del metallo che sbatte su qualcosa di duro e le urla di alcuni bambini.
‹‹… di colluttazione›› Scuoto la testa e guardo il dottore che parla animatamente.
‹‹Come scusi?›› chiedo, vergognandomi della mia disattenzione. Che cosa è stato?
‹‹Stavo dicendo che non c’è nessun segno di colluttazione, come se la vittima non si fosse accorta di che cosa stava succedendo. Se fosse stata legata, ci sarebbero i segni delle corde, ma qui non c’è un bel niente!›› dice indicandomi i polsi e le caviglie dove una volta il sangue pulsava. Faccio segno di aver capito. ‹‹L’unico indizio che abbiamo è questo, l’ho lasciato appositamente›› l’uomo mi indica una chiazza di fango su un polpaccio, poi sulla pancia e infine sotto al mento.
‹‹Come se fosse caduta…›› commento.
‹‹Già, ci avevo pensato anch’io, ma se fosse caduta, dovrebbero esserci lividi e poi è sporca sia davanti che dietro, quindi dovrebbe essere rotolata.›› spiega il dottore corrucciando la fronte.
Annuisco, ha ragione. ‹‹Forse il killer era sporco di fango…›› ipotizzo.
‹‹Anche questo può essere vero, ma la domanda principale che ci stiamo facendo noi medici legali è: che cos’è che provoca questi tagli?›› Li guardo attentamente, sono relativamente piccoli, ma molto profondi, come se fosse stata infilzata con qualcosa.
‹‹Abbiamo scioccamente preso in considerazione l’ipotesi di un morso, ma se fosse stato un serpente, o un rettile simile, con i canini di queste dimensioni, avrebbe iniettato veleno, e non ce n’è traccia.›› lo guardo perplessa:
‹‹Un serpente a Londra?›› chiedo
‹‹Appunto.›› sentenzia Swift ‹‹Siamo talmente confusi da arrivare a pensare che un pitone possa vagare per Londra senza essere visto.››
‹‹Beh, almeno non avete preso inconsiderazione i vampiri…›› scherzo.
‹‹Perché, lei sì?›› chiede ironico. Scuoto la testa e ritorno a contemplare il corpo senza vita.
‹‹Per favore, trovi il serial killer. Questi omicidi stanno degenerando, le vittime aumentano, siamo a quattro, ma ce ne saranno altre…dall’autopsia siamo riusciti a ricavare solo questo.›› annuisco pensierosa. Quello che dice è vero; devo trovare l’assassino a tutti i costi, ma da dove iniziare? ‹‹Ora del decesso?›› chiedo.
‹‹Questa mattina circa alle cinque.››
‹‹Che cosa ci faceva in giro per la città alle cinque?›› chiedo turbata.
‹‹Andava a lavoro molto probabilmente.›› mi giro e vedo Alex che entra nell’obitorio.
‹‹Buongiorno signor Swift…›› saluta il ragazzo. ‹‹Ashley, ho trovato alcune informazioni, ma niente che faccia risalire all’assassino, dobbiamo interrogare la famiglia, ma so già che non servirà a niente se non ad aumentare il loro dolore.›› Do un’ultima occhiata alla stanza e, dopo aver salutato, ci chiudiamo la porta alle spalle lasciando l’odore di corpi senza vita dietro di noi.
 
‹‹Non ci sono testimoni?›› chiedo guardando fuori dal finestrino. Alex scuote la testa sospirando. Sono in macchina con lui alla guida, sfrecciamo sull’autostrada diretti verso la casa della vittima.
Abita in una villa a venti minuti dalla I.I.A. Per tutto il tempo mi scervello, pensando a che cosa ci stia sfuggendo, ma non c’è niente che mi faccia ipotizzare qualcosa di concreto.
Guardo Alex, non sembra irrequieto, anzi. Invidio la sua razionalità e mi accascio sul sedile. Dopo poco arriviamo al cospetto di un cancello finemente decorato che ci sbarra il passaggio.
Scendo dal veicolo e noto con piacere che il rumore del traffico urbano non riesco ad arrivare fino a lì. Si sente solo il rumore delle foglie agitate dal venticello frizzante e il canto armonioso degli uccelli. Ormai la temperatura inizia a salire in vista dell’estate.
La primavera è ormai sbocciata come le rose e le orchidee che ci accolgono all’ingresso del giardino della villa. È tutto scupolosamente decorato, grazie al duro lavoro di una squadra di giardinieri. Camminiamo lungo il sentiero ciottoloso fino ad arrivare al cospetto di una casa bianca.
I davanzali sono decorati da dei fiori rossi e lo stile vittoriano rende questa casa ancora più bella. Alex, dal canto suo, non sembra molto affascinato dall’abitazione, ed è già sul pianerottolo a premere il campanello.
La porta si apre e una donna piuttosto anziana ci sorride e ci fa entrare.
Un profumo dolce e speziato permea all’ingresso. I mobili sono principalmente in legno e danno l’idea di essere molto antichi. Anche qui ci sono dei fiori che donano una spruzzatina di colore.
La donna rispecchia perfettamente lo stile della sua casa. Indossa un golfino in cashmere e una gonna attillata che finisce appena sopra il ginocchio. Intorno al collo ha arrotolato un foulard a pois e sul viso, per nascondere la tristezza, c’è un filo di trucco.
Nonostante l’età, la donna è molto curata, ma non sono un po’ di fondotinta e il mascara a nascondere il dolore che le leggo in volto. Subito ripenso alle lezioni di Violet e a come bisogna comportarsi.
‹‹Signora Austin, è un piacere conoscerla, anche se avrei preferito in altre circostanze.›› dico porgendole la mano. Lei la stringe sorridendo e fa lo stesso con Alex. ‹‹Avanti, fate come se foste a casa vostra.›› entriamo nel salotto uguale tutto per tutto all’ingresso. Ci sediamo su uno dei tre divani e la donna ci porge due tazze di tè. La prendo in mano e sorseggio un po’ della bevanda.
‹‹Stavo aspettando una vostra visita, mi chiedevo quando sareste venuti.›› inizia.
‹‹Signora Austin, vorremmo parlare con lei, ma anche col resto della famiglia, sono in casa?›› dico. La donna annuisce e chiama il marito che scende trafelato giù per le scale. Quando ci vede non pare né allarmato né sorpreso. Ha una folta barba e un paio di occhiali rotondi sulla punta del naso.
‹‹Noi non sappiamo niente, non abbiamo al minima idea di chi possa essere stato›› dice con voce profonda. ‹‹Lo sappiamo, vogliamo solo chiedervi informazioni su vostra figlia, sospettiamo che le vittime abbiano qualcosa che le accomuna, e che quindi l’assassino stia seguendo un percorso ben preciso.›› spiega Alex. La madre annuisce:
‹‹Che cosa volete sapere?››
‹‹Vostra figlia è morta stamattina alle cinque. Che cosa ci faceva sveglia a quell’ora?›› domanda.
‹‹Emily era un medico e oggi aveva il turno di mattina presto.››
‹‹Aveva nemici o qualcuno che la perseguitava?›› intervengo. La donna spalanca gli occhi:
‹‹No! Assolutamente no! Almeno, che io sappia. Senta, Emily era una donna come le altre, viveva una vita normale, era altruista e aveva i suoi difetti, ma nessuno le avrebbe fatto mai del male. Nessuno.››
‹‹Questo vuol dire che chi sta uccidendo queste ragazze è un pazzo che va fermato.›› dice il padre.
‹‹Questo ormai è sicuro. Vi ringraziamo per la disponibilità…›› conclude Alex alzandosi dal divano e appoggiando la tazza di tè ancora piena su un tavolino davanti a lui.
Noto che sopra c’è una foto che ritrae i due signori anziani con una donna formosa e molto bella: Emily. Distolgo lo sguardo e mi alzo anch’io, appoggiando però la tazza ormai vuota. Seguo Alex fuori dalla casa e dopo esserci accomiatati, ripercorriamo a ritroso il sentiero.
‹‹Che cosa pensi?›› chiede il ragazzo.
‹‹Non so proprio a cosa pensare… è tutto così… irreale!›› Alex mi guarda sorridendo e per un attimo penso che abbia realmente preso in considerazione le mie parole. Mi mette un braccio attorno alle spalle e mi dice rassicurante:
‹‹Vedrai che riusciremo a trovare il killer… siamo una squadra ormai››
Sorrido e penso a quanto sono fortunata. Ci incamminiamo verso la macchina e sono troppo occupata a pensare ad Alex e al caso, da non sentire il medaglione scaldarsi lievemente sul petto. 

Note delle autrici: ciao a tutti, e buon estate! Ora che la scuola è finita cercheremo di aggiornare più frequentemente. Speriamo che la storia vi piaccia e che andando avanti diventi più interessante. Ovviamente ci piacerebbe molto un parere da qualche lettore, ma anche soltanto il fatto che qualcuno legga la nostra storia ci rende molto felici. Un bacio, 
le Manà
  
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