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Autore: Eveine    08/06/2014    1 recensioni
A volte, quando tutto sembra andare storto, quando sei sull'orlo di un baratro, le uniche persone che possono salvarti sono i tuoi amici.
Charlotte Paciock, Noah Baston e James Potter: tre amici, una storia.
Grazie alla mia beta Lady Viviana (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=146007) per il suo grande aiuto.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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“A volte bisogna ferire qualcuno per riuscire ad aiutarlo.”

-Pretty Little Liars-

 

Finalmente era arrivato il giorno della tanto attesa partita tra Grifondoro e Serpeverde e la squadra rosso-oro era riunita negli spogliatoi, dove il Capitano era impegnato nel discorso pre-gara. L’agitazione tra i giocatori era quasi palpabile: si erano allenati così tanto in quei giorni e perdere non era concesso; avevano sopportato sudore, fatica e sacrifici e speravano che tutti quegli sforzi sarebbero stati premiati con una bella vittoria. Le urla degli spettatori, che stavano lentamente prendendo posto sugli spalti, si sentivano fin dentro lo stanzino da dove Charlie stava tirando fuori le scope. Normalmente quel suono le suscitava quel poco di agitazione di cui aveva bisogno per fare una partita perfetta, ma, quella mattina, invece, aveva bisogno che le mettessero in circolo una grossa dose di adrenalina; le ultime due settimane erano state dure, difficili e stancanti, le avevano prosciugato le ultime forze e, da quello che si vedeva, anche tutto il grasso che aveva in corpo, erano stati giorni lunghi, pieni di studio, di allenamento e poveri di sonno. Contrariamente a quanto aveva promesso a Noah, infatti, aveva continuato a fare jogging quasi tutte le mattine, seguendo una strada che si trovava dalla parte opposta del castello. Usare il sentiero del Lago Nero o quello abituale del ragazzo, infatti, sarebbe stato pericoloso dato che avrebbe potuto incontrare il suo amico e rovinare quel periodo idilliaco che stavano vivendo.

Dalla festa di Rose erano seguiti altri baci, ma non frequentemente, poiché il comportamento che il giovane aveva avuto con Sienna Finnigan frenava molto Charlie, nonostante si stessero avvicinando ogni giorno di più. Avevano imparato a conoscere aspetti diversi l’uno dell’altro: lui aveva capito che dietro la maschera da dura che indossava c’era nascosta una ragazza dolce, ma anche piena di problemi e di tristezza. Lei, invece, aveva scoperto che, forse, a Noah non interessava molto l’aspetto fisico, che, in fondo, era sensibile e cercava di renderla felice in tutti i modi e, cosa da non sottovalutare, si preoccupava per lei. Le piaceva sentirsi al sicuro e protetta, erano sensazioni che aveva smesso di provare da anni, da quando aveva perso sua madre e suo padre nello stesso momento. Quel giorno, infatti, per la famiglia Paciock, il mondo era cambiato, si era frantumato in mille pezzi come un vaso di ceramica caduto da una mensola posta molto in alto.

Mentre sistemava un paio di scope sotto al braccio, sentì la stanchezza prendere, per un attimo, il sopravvento, il cuore perse un battito e una strana sensazione di preoccupazione mista ad agitazione invase il suo corpo. Lasciò andare le scope, che caddero a terra e, con i loro manici di legno, provocarono un frastuono che echeggiò in tutto l’edificio, si appoggiò alla parete, toccandosi la parte di torace dove si trovava il cuore e, sentendolo battere normalmente, si tranquillizzò. Non appena avvertì dei passi che si avvicinavano, però, si affrettò a raccogliere le scope, per nascondere quel piccolo malore dato che, se gli altri lo avessero scoperto, non le avrebbero permesso di giocare e questo era inaccettabile.

-Paciock, che stai combinando?- era stato James ad accorrere in suo aiuto.

-Mi avere mandata da sola a prendere le scope! Mi sono scivolate mentre tentavo di portarle tutte insieme!- mentì, evitando di alzare lo sguardo sull’amico.

-Potevi anche portarne un po’ per volta.- scherzò lui, abbassandosi per aiutarla.

-Sì, come no! Così sarei dovuta tornare qui una seconda volta. Prendetevele da soli d’ora in poi!- la sua risposta acida non si fece attendere.

I due tornarono dagli altri compagni di squadra e consegnarono a ognuno il proprio mezzo. L’ansia per l’imminente partita era aumentata, erano tutti concentrati e nessuno parlava: il silenzio era totale.

Quando la porta dello spogliatoio si aprì, mostrando un’inflessibile Madama Bumb, i ragazzi sembrarono svegliarsi da quella specie di trance.

-E’ ora!- disse semplicemente, richiudendosi la porta alle spalle.

-Ok, ai posti di combattimento!- il Capitano fu il primo ad alzarsi e a uscire sul campo.

Nonostante la neve caduta nei giorni precedenti, la temperatura non era scesa eccessivamente, anche se, quella mattina, il cielo era bianco e completamente coperto di nuvole, segno che avrebbe ripreso a breve. Noah sperava che la partita finisse presto, poiché volare sotto la neve non era facile e avrebbero rischiato di ammalarsi.

Mentre la squadra di Grifondoro prendeva posto a cavallo dei manici delle scope, quella di Serpeverde uscì dai propri spogliatoi; avevano un’aria minacciosa, ma sapevano benissimo di essersi allenati la metà e di essere gli sfavoriti dell’incontro. I Capitani delle due squadre, Noah Baston e Kevin Montague, si avvicinarono a Madama Bumb per il sorteggio; quando la giornata era così, non c’era neanche bisogno di scegliere quali anelli difendere, ma, quando non c’erano nuvole a schermare gli occhi dei giocatori dal sole, la scelta era essenziale. La vittoria, quel giorno, andò alla squadra verde-argento, che scelse la parte davanti alle gradinate dove si trovavano i loro tifosi. Il fischio, che dava definitivamente inizio alla partita, riecheggiò in tutto il campo, l’arbitro aprì il baule di mogano contenente le palle e, subito, il boccino scattò lontano, verso l’orizzonte; il frastuono di incitamento del pubblico aumentò a dismisura: nonostante la neve, tutta la scuola era lì per sostenerli.

James partì subito all’inseguimento della scia dorata, Daniel e Simon, i Battitori, fecero i loro giri di ricognizione e Charlie, che aveva sottratto la pluffa agli altri quando Madama Bumb l’aveva lanciata in aria, si portò verso gli anelli degli avversari, accompagnata dagli altri due Cacciatori, Raimond e Jeremy, e seguita da quelli dell’altra squadra. Arrivata in area di rigore, la lanciò in direzione in quello di destra e il tiro fu così veloce che il Portiere non riuscì a bloccarla. Non era trascorso nemmeno un minuto, che Grifondoro era già in vantaggio di dieci punti su Serpeverde. Questi ultimi partirono in contropiede, cercando di pareggiare, ma, prontamente, Noah riuscì a proteggere i suoi anelli e mantenere il risultato inalterato.

Dopo mezz’ora, nulla era cambiato e la partita era in una situazione di stallo: il Capitano della squadra in vantaggio era arrabbiato con la sua migliore Cacciatrice che, quel giorno, non sembrava lei, era lenta, assente e sembrava avere la testa altrove; anche la giocatrice in questione ce l’aveva con se stessa, non si sentiva bene e malediceva gli ultimi due giorni, avrebbe dovuto evitare di fare jogging anche di pomeriggio. Era allo stremo delle forze, troppo stanca per giocare, il suo cuore batteva lentamente, come se si stesse spegnendo un battito alla volta e la paura la fece fermare nel bel mezzo di un’azione, che ebbe come conseguenza il pareggio dei Serpeverde. Sentiva Noah urlare contro di lei in lontananza, voleva controbattere e difendersi, ma era come paralizzata, come se tutto intorno a lei andasse al rallentatore. I rumori esterni le giungevano ovattati, la vista le si annebbiava, aprì la bocca, ma non riuscì ad emettere alcun suono e, nell’arco di pochi secondi, divenne tutto buio.

 

Dopo aver aperto gli occhi, impiegò un paio di minuti per capire dove si trovava. Il soffitto scuro, le tende bianche intorno a lei e il letto morbido le erano familiari, ma non riusciva a collegare i suoi ricordi con la realtà. L’ultima cosa che ricordava era di essere sulla scopa durante la partita dell’anno e di aver visto un bagliore dorato finire tra le mani di qualcuno, poi più nulla. Aveva un mal di testa atroce e dolori lungo tutto il corpo, provò ad alzare il braccio destro, quello dove la sofferenza era più intensa, e lo trovò pieno di lividi violacei. Fu nel momento in cui si toccò la testa e sentì la fasciatura con cui era avvolta, però, che si rese conto dove si trovava: era in infermeria. Udì delle voci e dei passi in lontananza che si facevano sempre più nitidi, segno che si stavano avvicinando. Il primo volto che vide fu quello di un preoccupatissimo James, seguito da quello di Noah che, invece, era un misto di paura e rabbia.

-Come ti senti?- le chiese il primo, sedendosi al suo fianco sul letto.

-Come una che è stata colpita da un bolide.- la sua voce era rauca e faceva fatica a parlare: cosa diavolo le era capitato?

–Cosa è successo?- proseguì, cercando di mettersi seduta.

Prima di rispondere, James la boccò, mettendole una mano sulla spalla e provocandole una fitta di dolore, che si propagò per tutto il corpo.

-Sei svenuta mentre eri sulla scopa e sei caduta da diversi metri di altezza perché siamo riusciti solo a rallentare la discesa e la neve ha attutito un po’ l’impatto con il suolo.- la risposta, però, arrivò dall’altro, che si sedette nella parte ancora libera di materasso.

-Abbiamo vinto?- le premeva sapere il risultato dell’incontro perché non voleva essere la causa di una sconfitta.

-Lascia stare la partita, ci hai fatto prendere un colpo! Eravamo e siamo tutti preoccupati per te, al diavolo il Quidditch!- a queste parole la ragazza capì quanto tenesse a lei: per Noah Baston lo sport era tutto, sarebbe stato capace di vendere l’anima al diavolo pur di vincere, però, per lei, l’aveva messo da parte, aveva anteposto il bene che le voleva alla partita e fu sollevata nel notare che il suo viso, ora, trasmetteva solo ansia e paura e che la rabbia era scomparsa.

-Abbiamo battuto la testa insieme?- le era impossibile essere seria anche in una situazione come quella.

Tutti risero e si tranquillizzarono; a parte le ecchimosi sembrava stare bene e il dolore sarebbe passato dopo un paio di lunghe notti di riposo. Madama Chips aveva concesso alla squadra solo pochi minuti per farle visita, così impiegarono il tempo che rimaneva per aggiornarla sull’andamento della partita dopo il suo svenimento. Antony, il Cercatore di Serpeverde, aveva afferrato il boccino, approfittando della momentanea distrazione generale e quest’azione aveva portato la vittoria alla sua squadra, che si era accorta di aver vinto solo dopo essersi accertata delle condizioni di Charlie e non erano contenti di averlo fatto in quel modo, perché gli sembrava di aver barato. Avevano anche provato a far annullare la partita, per giocarla nuovamente la settimana successiva, ma Madama Bumb era stata irremovibile: il regolamento era sacro.

 

Si svegliò di soprassalto sentendo una presenza nel suo letto, si voltò e trovò Noah, seduto sulla sedia, che dormiva con la testa appoggiata al suo fianco. Avrebbe voluto lasciarlo riposare, ma la posizione doveva essere terribilmente scomoda, così lo scrollò con delicatezza, certo, usare le maniere forti sarebbe stato più da lei, ma non poteva rischiare di fare rumori forti, visto che Madama Chips non doveva accorgersi della presenza del ragazzo.

Quest’ultimo si destò lentamente, si appoggiò allo schienale della sedia, stiracchiandosi e allungando le braccia verso l’alto.

-Come ti senti?- le chiese con la bocca impastata dal sonno.

-Come se al bolide si fosse aggiunto un treno, mi fa male dappertutto.- faticò a mettersi seduta, ma non le piaceva continuare a parlare da sdraiata.

-Mi hai fatto perdere dieci anni di vita per la paura! Ti ho vista cadere giù, precipitando nel vuoto e ho pensato al peggio. Fortunatamente, la professoressa McGranitt ha i riflessi di una persona molto più giovani di lei.- le teneva la mano e l’accarezzava lentamente con il pollice.

-Mi dispiace.- le piaceva quel contatto, la faceva soffrire meno, come fosse una specie di placebo.

I due rimasero un po’ in silenzio a deliziarsi del contatto della loro pelle.

-Charlie, dobbiamo parlare!- Noah ruppe il silenzio. Aveva discusso a lungo con James e Dominique ed erano arrivati alla conclusione che affrontare l’argomento fosse la soluzione migliore: dovevano aiutarla.

-Mi sembri troppo serio, che ho combinato?- stava iniziando ad agitarsi, i discorsi seri non le piacevano, soprattutto a quell’ora della notte e dopo una caduta dalla scopa.

-Non so come dirtelo.- fece un grande sospiro e provò a introdurre l’argomento. –Lo svenimento di oggi non è stato un caso sporadico, vero?-

-Se stai insinuando che ho perso conoscenza prima di oggi, ti stai sbagliando di grosso!- il cerchio che aveva alla testa stava aumentando d’intensità, come poteva essere a conoscenza dei suoi malori?

-Perché non mangi?- lo chiese così, senza troppi giri di parole poiché sapeva che, con lei, bisognava andare dritti al punto.

-Come, scusa?!?- la domanda l’aveva lasciata quasi senza parole, non se la sarebbe mai aspettata.

-Perché ti stai facendo questo?- incalzò lui, sperando di ottenere una risposta valida.

-Sei sulla strada sbagliata! Io mangio eccome!- odiava mentire, ma, messa alle strette, doveva negare.

-Se avessi mangiato, il tuo corpo non sarebbe in questo stato. Ti sei guardata allo specchio ultimamente? Sei praticamente trasparente!- era arrabbiato e, dal tono della voce, si capiva che le voleva bene e che gli faceva male vederla in quello stato.

-Te l’ho già spiegato tempo fa: sono solo stanca. Stai facendo insinuazioni che non stanno né in cielo né in terra.- continuare su quella strada le sembrava la scelta migliore, il viso emaciato poteva essere tranquillamente ricondotto all’affaticamento, così tentò di non risultare nervosa.

-La stanchezza non ti fa dimagrire a dismisura!- stava usando delle scuse poco plausibili, per difendersi e lui cercava di smascherarla.

-Ok, sono andata a fare jogging in questi giorni, è questo che mi ha reso così debole.- ammettere di aver rotto la promessa era il minore fra i due mali.

-Sai, Charlie, se sei tu che non vuoi farti aiutare, non so come potrei farlo io!- era stancante portare avanti un discorso con lei dato che non voleva ammettere il suo problema e che non poteva costringerla. Allontanò bruscamente la sua mano da quella della ragazza e si alzò.

-Non ho bisogno di aiuto! Ho solo esagerato con l’allenamento.- il gesto del ragazzo le aveva fatto più male della caduta dalla scopa poiché aveva separato le loro mani in quel modo, come per sottolineare che non voleva avere contatti con lei.

-Se ti stai rovinando la vita per una cosa così superficiale come il voler essere magrissima, sei solo una grandissima stupida. E lo sei anche se oggi sei svenuta e ci hai fatto perdere la partita, per la quale tutti si sono impegnati così tanto, perché sei andata a correre, quando mi avevi promesso di non farlo. Non meriteresti di stare in squadra!- la rabbia era arrivata al culmine, la solita vena sul collo pulsava vistosamente e il viso era rosso per lo sforzo di non urlare.

-Ma…- provò a difendersi senza successo.

-Niente ma, Charlie! Se credi che il tuo problema sia stato il troppo allenamento, quando ci sarà la riunione della squadra per decidere i nuovi schemi, dovrai dire a tutti il motivo per cui abbiamo perso. Hanno il diritto di sapere perché i loro sforzi delle settimane passate sono stati vani.- le voltò le spalle e si diresse verso la porta dell’infermeria, senza voltarsi e senza aggiungere altro.

Charlie era rimasta immobile, incapace di dire qualsiasi cosa e di muoversi. Sapeva di seguire un regime alimentare molto ristretto, ma era un’atleta e la dieta l’aiutava a migliorare le sue prestazioni, non stava facendo nulla di male, ma non voleva, comunque, condividere con Noah le sue abitudini e non voleva metterlo a conoscenza delle tecniche che stava usando. Certo, quello stile di vita la faceva sempre sentire stanca e le faceva avere dei piccoli malori, ma avrebbe rimediato, doveva soltanto bere di più e prendere le vitamine che non riusciva a introdurre nel suo organismo con il cibo.

Odiava essere controllata, non lo aveva sopportato quando lo aveva fatto sua madre, figurarsi se lo avrebbe permesso a quel ragazzo saccente, a cui si era affezionata oltre la normale amicizia. Purtroppo, però, convenne che la soluzione migliore fosse quella di allontanarsi da lui, anche se ammetterlo la faceva stare male, ma era l’unico modo per evitare altre indagini su quello che mangiava e su quanto si allenava.

   
 
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