You’re attractive
And the way you move
I won't close my eyes
Eric
ricordava con precisione la prima volta che
l’aveva vista. Era il giorno della scelta, l’aveva
vista avanzare verso le
coppe e si era scoperto ad ammirare come la casta e semplice divisa dei
Candidi
riuscisse a risultare stranamente sensuale su di lei. Da quella volta
non era
passato un singolo giorno senza che il suo sguardo non cercasse
sistematicamente la sua figura sinuosa, con la sola differenza che
questa volta
l’abbigliamento di pelle scura le aderiva addosso come fosse
una seconda pelle
e riusciva a fargli perdere completamente ogni capacità di
pensiero. Quando la
guardava camminare per i corridoi, e ancor più mentre
combatteva, con i capelli
corvini scarmigliati e gli occhi color ghiaccio accesi per
l’impeto dello
scontro, avvertiva l’impulso di sbatterla contro un muro e
strapparle i vestiti
di dosso.
Anche
adesso, e forse ancora più di prima perché
sapeva perfettamente che sapore avessero quelle labbra carnose e
conosceva alla
perfezione ogni centimetro della sua pelle alabastrina, faticava a
trattenere
quell’istinto. Passandole accanto per andare da Max, aveva
lottato contro se
stesso per non allungare una mano a sfiorarle uno zigomo alto e marcato
oppure
una porzione del braccio nudo.
Quella
separazione forzata lo stava facendo
impazzire e lui non era un tipo paziente. No, decisamente non lo era.
Cause it's a long road to wisdom
But it's a short one
To being ignored.
-
Sei stato crudele. –
Non
era una frase che gli veniva rivolta di rado, ma
sentirla pronunciare da lei aveva un suono diverso. Più
aspro, tremendamente
doloroso.
Non
le chiese a cosa si stesse riferendo, sapeva
bene che fare il finto tonto avrebbe solo peggiorato la situazione. Era
ovvio
che lei sapesse già tutto, sicuramente Quattro non aveva
perso tempo a
raccontarle cosa era accaduto con quell’iniziata trasfazione.
-
Te l’ha detto il tuo amichetto del cuore? –
Gli
occhi di lei si erano assottigliati, come sempre
quando stava cominciando ad arrabbiarsi.
-
Non tirare in mezzo Quattro, non è stata colpa sua
se ti sei comportato in quel modo. –
Già,
Eaton era il bravo ragazzo, l’angelo perfetto,
l’Intrepido delle meraviglie.
Emise
un verso disgustato, come se solo il sentirlo
nominare gli procurasse la nausea. E in effetti era così,
anche se
probabilmente il fatto che quell’esaltazione venisse da
Fiamma e non da una
qualsiasi altra persona lo faceva soffrire ancora di più.
Lui
ci aveva provato a essere il migliore, ancora
adesso inseguiva quel traguardo con tutte le sue forze, ma sembrava che
ogni
cosa facesse fosse quella sbagliata.
-
Già, la colpa non è mai di Quattro, sono solo io
quello che fa le stronzate. – concordò,
amareggiato, assestando un pugno allo
sportello dell’armadietto dello spogliatoio. L’anta
uscì fuori dai cardini e si
schiantò a terra, procurando un rumore sordo che
echeggiò nello stanzone
silenzioso.
-
Eric … – iniziò, ma poi scosse la testa
come se
quello che stava per dire non avesse alcuna importanza.
-
Cosa? – sbottò.
Persino
alle sue stesse orecchie il tono della voce
suonò rabbioso e aggressivo come quello di una belva
inferocita.
Fiamma
gli puntò contro gli occhi, fissandolo
gelida: – Nulla, non ha senso discutere con te quando ti
comporti in questo
modo. –
Già,
ma la verità era che neanche lui era in grado
di riuscire a riportare la calma dentro di sé quando cadeva
preda di una delle
sue crisi. Attacchi di rabbia inconsulta, era così che li
aveva definiti il
medico del quartier generale.
L’afferrò
per il braccio, impedendole di andarsene,
di abbandonarlo lì.
-
Ti prego, resta. –
Inarcò
un sopracciglio, alterata.
-
Per cosa, continuare a farmi trattare in questo
modo? Sono stufa, Eric, non ne posso più. –
L’espressione
risoluta del suo viso contrastava con
la voce tremante che le era uscita. Sapeva di essere insopportabile, di
farla
soffrire, ma non riusciva a comportarsi in modo diverso. Lui ci
provava, davvero,
ma quella era la sua natura.
-
Che vuoi dire? – le chiese, improvvisamente
titubante.
-
Che non può andare avanti così, sono stufa di
dover chiudere gli occhi e fare sempre finta che tutto vada bene. La
verità è
che non va bene; ti guardo e non vedo più il ragazzo che mi
baciava sotto le
stelle, ma una bomba ad orologeria di odio e violenza pronta a
esplodere in
ogni momento. Certe volte ho paura di te, Eric. –
Ho
paura di te. Ho paura di te. Ho paura di te.
Quella
semplice frase si ripeteva decine, centinaia,
di volte nella sua testa.
-
Mi stai lasciando? –
Annuì,
gli occhi di ghiaccio pieni di lacrime
represse a stento.
-
Sì, ti sto lasciando. –