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Autore: LullabyPotter    09/06/2014    4 recensioni
Alec Syflos è un chirurgo e un appassionato di parkour. Laura Clark lavora in un negozio di abbigliamento e passa il tempo libero insieme all'unica famiglia che abbia mai avuto: Oliver Johnson.
Finchè due incidenti, avvenuti nello stesso istante ma in due zone diverse della città, non tolgono loro tutto ciò che hanno di più caro.
Alec la osservò. Erano così diversi, loro due, eppure altrettanto simili. Avevano perso tanto, si erano arresi e poi avevano ripreso a vivere.
Ciò che non aveva detto a Laura è che era la sua determinazione a farlo andare avanti, perché in realtà lui non aveva mai accettato di non poter più tornare alla vita che aveva prima.

A Malaria.
_Eagle ||
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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And there ain’t no healing

«Credo di voler interrompere le sedute.» Laura pronunciò queste parole con un filo di voce.
In realtà non era sicura di aver preso la decisione giusta; ma non riusciva a sopportare ulteriormente di rivivere l'incidente tutte le settimane da sei mesi. Non poteva e non voleva. Voleva superarlo, andare avanti, e sapeva che l'unico modo che aveva per riuscirci era interrompere la terapia.
«Ne sei certa, Laura?» il dottor Englort la guardò di sottecchi, cercando il contatto visivo con le iridi azzurre di lei.
Laura non si azzardò ad alzarle, però. Si limitò ad annuire, stringendo ancora di più la borsa tra le dita.
Lo psicologo sospirò. «Rispetto la tua decisione. Non posso certo costringerti a venire ancora. Ma se sentissi il bisogno di parlare di nuovo con me chiamami, Laura. Non farti scrupoli.»
Lei annuì di nuovo, prima di alzarsi. «Arrivederci, dottore.»
«Ciao, Laura.» rispose lui, guardandola uscire dallo studio.
La ragazza chiuse la porta alle sue spalle e si avviò verso l'ascensore. Solo quando le porte si furono chiuse la ragazza si permise di tirare un sospiro di sollievo.
Le dispiaceva abbandonare così le sedute col dottor Englort, perché si era creato un buon rapporto tra loro due. Lui era davvero empatico, e lei aveva capito subito che poteva raccontargli tutto.
Ma era venuto il momento per lei di affrontare ciò che si portava dentro da sola.
Le porte dell'ascensore si aprirono, ma quando Laura posò lo sguardo sul monitor notò che non era ancora il suo piano.
Fu il sibilo di due ruote che la fece voltare verso il nuovo occupante.
L'uomo doveva avere trent'anni; aveva due intensi occhi azzurri e i capelli scuri incorniciavano un volto ovale, su cui spuntava un principio di barba chiara. Ma ciò che aveva attirato l'attenzione di Laura era la sedia a rotelle con la quale egli si muoveva.
Lo osservò mentre entrava e cercava di girarsi in modo da uscire più agevolmente dall'ascensore, ma poi decise di spostare lo sguardo quando si accorse che lo stava fissando. Puntò gli occhi sulle porte e si ostinò a guardare solo quelle, contorcendo la tracolla della borsa.
«Sai, credo che se continuerai a torturarla in questo modo, presto si staccherà e se ne andrà indignata.»
Laura sussultò e lasciò andare la borsa di scatto, che cadde a terra con un tonfo. Si voltò a guardarlo, e quando i loro occhi si incrociarono nessuno dei due riuscì a trattenere una risata.
«Scusa, non ho resistito.» disse lui, recuperando la borsa e passandola a Laura. «Ma mi sembrava il minimo sdrammatizzare un po', visto come la stavi riducendo.»
Lei sorrise e, dopo essersi ripresa la borsa dalle mani del ragazzo, gli porse la destra. «Mi chiamo Laura.»
«Alec» rispose lui, stringendogliela.
In quel momento, le porte si aprirono. Laura uscì per prima per dare più spazio di manovra ad Alec e insieme lasciarono l'edificio.

 
~~~


Il giorno dopo, Laura stava per andare in pausa pranzo quando Alec comparve nel negozio di abbigliamento.
«Dimmi che non sono troppo in anticipo. Volevo invitarti a pranzo.» disse lui, fermando la sedia a rotelle davanti a lei.
«Come facevi a sapere che lavoro qui?» chiese lei, guardandolo di sottecchi.
Alec indicò la vetrina. «Passo davanti a questo negozio quasi tutti i giorni. Sapevo di averti già vista ieri, e adesso ho capito perché.»
«Ottimo spirito d'osservazione.» rispose lei. «E no, non sei troppo in anticipo. Dammi solo un minuto.»
«Ti aspetto fuori.»
Laura recuperò la borsa da dietro il bancone, lanciò un'occhiataccia ad Anna, la sua responsabile, che era già pronta a lanciare battutine sarcastiche e raggiunse Alec fuori dal negozio.
Andarono in un piccolo ristorante semi nascosto in cui, spiegò Alec, lui andava a mangiare tutti i giorni.
Parlarono del più e del meno: lui le raccontò di quando ancora faceva il chirurgo e della sua passione per il parkour; lei, dal canto suo, gli disse della sua passione spasmodica per l'acquisto di libri e di qualsiasi cosa sia legato al soprannaturale e al voodoo.
Successe quando erano nei pressi del negozio, proprio mentre si stavano salutando: le loro dita si sfiorarono e qualcosa passò davanti agli occhi di entrambi.
Laura vide un muretto e una macchina che sbandava, e sentì un urlo atroce nelle orecchie.
Alec vide una macchina uscire di strada e una massa d'acqua farsi sempre più vicina.
Si guardarono ansimando, entrambi chiedendosi cosa fosse successo.

 
Nota dell'autrice«

Eee ce l'ho fatta. Sto capitolo è stata una faticaccia, ve lo dico, ma poi sono arrivati i Nicklebeck in mio soccorso. A proposito, il titolo del capitolo è tratto dalla loro canzone Lullaby, che oltre a portare uno dei miei soprannomi, è stupenda davvero e vi invito ad ascoltarla.
E niente, vi lascio recensire in pace.

_Eagle ||
  
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