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Autore: lumelly    09/06/2014    10 recensioni
Tratto dal capitolo: "L’aereo stava atterrando all’aeroporto di Starling City e io continuavo a rivivere quella scena. Erano passati più di cinque mesi. Cinque mesi, in cui ero stata a New York da un’amica. Ma neanche la lontananza era servita a farmi mollare la presa. Pochi giorni dopo quelle due parole e quello che ne era seguito, ovvero avevamo riportato Slade su Lyan Yu e Oliver e io avevamo ribadito le nostre capacità attoriali, avevo capito di aver bisogno di un taglio netto. Dalla missione, dai tagli sul corpo, dai lividi, dalle intercettazioni, dai filmati violati nei circuiti di sicurezza, dal gruppo, dalle diverse preoccupazioni che scuotevano Roy e Diggle, da lui."
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Nuovo personaggio, Oliver Queen, Roy Harper
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Stavo parlando con Dig, Roy e Sin, quando volsi nuovamente gli occhi al punto dove avevo visto Oliver poco prima, ma non era più lì. Feci vagare lo sguardo per la stanza, mentre Roy mi teneva abbracciata e scherzava con gli altri due ma non lo scorsi da nessuna parte. Mi scusai allora con i miei amici e uscii dalla sala per cercarlo in giardino, forse era uscito a prendere una boccata d’aria. Lo chiamai ma non ottenni risposta, feci per voltarmi e tornare indietro quando con la coda dell’occhio notai un bagliore dal balcone del piano superiore. Forse Oliver era in camera sua. Non che io vi fossi mai stata per asserire con certezza che la stanza illuminata fosse proprio la sua, ma perché avrebbe dovuto entrare in un’altra in effetti? Rientrai, facendo attenzione a non incastrare il vestito nei ciottoli del patio e mi diressi alla scala di legno per salire al primo piano. Percorsi il corridoio fino alla camera in questione e mi accorsi subito che la porta era socchiusa. Istintivamente assunsi un passo felpato e mi avvicinai di soppiatto all’uscio per spiare all’interno, senza essere vista.
 
Oliver era seduto sul letto, si era tolto la giacca dello smoking e il cravattino. Un’espressione sconsolata era dipinta sul suo bel profilo. In grembo teneva una foto incorniciata che accarezzava con una mano. Forse una foto di Moira. O di Thea. O di Tommy. Speravo solo non si trattasse di Laurel, ma in fin dei conti perché accarezzare una sua foto visto che l’interessata era al piano di sotto e avrebbe potuto accarezzarla di persona?
 
Aprii leggermente la porta per vederlo meglio. Oliver era completamente assorto nei suoi pensieri e non si accorse della mia presenza. Lo vidi portarsi il dorso di una mano sul viso, come a scacciare una lacrima inopportuna e, a conferma di ciò, guardò in alto, inspirando forte dal naso e deglutendo un groppone amaro. Il mio cuore sussultò, triste per lui, annientata interiormente al vederlo in quello stato.
 
D’un tratto Oliver si alzò e con la foto ancora in mano andò verso la porta-finestra, lo sguardo perso nel vuoto. I miei occhi percorsero la sua figura sofferente e riuscii a scorgere le persone nella foto che ora era girata nella mia direzione: era un ritratto di famiglia, ma la scatto era spontaneo e raffigurava lui assieme a Moira, Robert e Thea. Potevo solo immaginare la grande pena che poteva albergare in lui: i genitori erano morti entrambi e tutti e due davanti ai suoi occhi e la sua tenera e dolce sorellina l’aveva abbandonato da parecchi mesi senza dare più notizie di lei.
 
Non sopportando oltre quella vista, entrai piano nella stanza, chiudendomi la porta alle spalle per estraniare il mondo circostante. Mi diressi verso di lui e gli presi la mano libera, stringendola forte nella mia. Oliver non si scompose, probabilmente coi suoi sensi vigili si era accorto già da tempo della mia silenziosa presenza, e, senza voltarsi, serrò la presa.
 
«Sono solo. Se ne sono andati tutti.» Lo sentii esclamare dopo non so quanti minuti che teneva le nostre dita intrecciate.
 
«Oliver.» Gli girai dietro le spalle e lo abbracciai da dietro, incrociando le mie braccia sul suo petto e appoggiando la guancia sulla sua schiena. Volevo che sentisse che ero lì con lui e che questo non sarebbe mai cambiato. Ben presto però, registrai anche la sensazione di sentire quell’addome scolpito sotto le mie mani e una vampata di calore mi invase dal basso.
 
«Promettimi che almeno tu non mi lascerai mai. Promettimelo Felicity.» mi rispose d’un fiato, appoggiando i palmi delle mani sulle mie ancora ancorate ai suoi addominali.
 
«Oliver.» mugolai senza volerlo.
 
Lui si voltò e i suoi occhi incatenarono i miei. «Promettimelo.» ribadì, prendendomi il viso tra le mani.
 
«S-sì.» incespicai nelle mie stesse parole.
 
Iniziai a guardargli forsennatamente le labbra, lui fece lo stesso con le mie. Era un continuo sali-scendi dalla bocca agli occhi. Ci stavamo avvicinando sempre di più, poi lui fece qualcosa che mi sconvolse letteralmente i sensi: posò una delle sue mani calde sulla mia schiena nuda, quasi all’inizio del sedere e mi trasse a sé facendo aderire il mio corpo al suo. Mille immagini di lui nudo si infilarono nella mia mente mentre diventavo cosciente dell’eccitazione che la mia vicinanza aveva suscitato nel suo corpo, ma poi venni distratta dal pollice della sua mano libera che scese dalla guancia alle labbra, strofinando via il mio rossetto.
 
«Oddio, Felicity.» mormorò con una voce roca che non riconoscevo come sua. «Non posso. Non posso.» continuò a ripetere, lamentandosi e toccandomi ancora le labbra. «Non posso. Non posso. Ti prego, vai via. Vai via. VAI VIA!!!!» ruggì, scostandomi da parte.
 
Lo guardai, senza capacitarmi di quello che era accaduto e stava ancora accadendo.
 
«Felicity, se non te ne vai…» iniziò a dire, ma non ne ebbe il tempo perché vidi un’ombra saltare giù dal balcone e lanciai un grido, indicando in quella direzione. Oliver si voltò e d’istinto spalancò la porta-finestra. Osservammo l’ombra muoversi velocemente nel giardino, per poi arrampicarsi sulla cinta muraria che si ergeva attorno a casa Queen. Poi si girò a fissarci. Era un uomo, con una tuta di pelle nera  e una specie di V azzurra disegnata sopra, che dal petto si irradiava fino alle braccia. I capelli erano corti e parevano neri. Li vidi fluttuare nell’oscurità, attorno al viso coperto per metà da una mascherina nera. Poi, con un balzo, sparì nella notte, oltre il parapetto.
 
 
****
 
«Stai bene?» le chiesi per sincerarmene.
 
«S-sì, tutto okay.» mormorò in un sussurro. L’abbracciai istintivamente per rassicurarla, accarezzandole quella testolina bionda che tanto mi faceva impazzire.
 
«Chi era?» mi chiese Felicity tra le mie braccia.
 
«Non lo so.» le risposi sottovoce. Non riuscivo a staccarmi da quell’abbraccio. Farlo voleva dire affrontare quello che era successo poco prima della comparsa di quello sconosciuto impellettato: le mie mani sul suo corpo, mentre sempre più malamente controllavo i miei impulsi.
 
«Sarà meglio che torni di sotto.» Felicity si staccò e mi inchiodò sul posto con i suoi occhi limpidi e cristallini, poi mi sorrise. «Scendi anche tu?»
 
«Sì.» le sorrisi si rimando, annuendo.
 
La vidi appropinquarsi alla porta e decisi di dire qualcosa. «Felicity, per quello che è successo prima…»
 
«Non parliamone più, Oliver.» Mi sorprese con quell’affermazione. Cosa aveva voluto dire? Forse era ancora legata a Barry e non voleva approfondire la questione? Sentii una fitta al cuore e lei colse il mio disagio.
 
«Ti sei fermato.» aggiunse.
 
«Sì. Io…»
 
«Lo so perché.»
 
Istintivamente, ripensai al nostro discorso di ritorno dalla Russia. Se solo avesse saputo a chi pensavo realmente mentre mi trovavo in quella camera con Isabel! Colsi nel suo sguardo mille sfumature, ma poi ne riconobbi una in particolare: lei sapeva. Sapeva che non avrei mai potuto permettere a me stesso che lei diventasse la mia debolezza. Il problema, però, era che non sapeva che lei lo era già. E che se solo avesse superato lei quel confine che io avevo eretto faticosamente attorno a me stesso, tutti i miei muri sarebbero crollati e io l’avrei fatta mia anche in quel momento, nel mio letto, sul pavimento, ovunque ci fossimo trovati.
 
Non aggiunsi più nulla e lei si voltò lentamente verso la porta. La visione di quel sedere piccolo e sodo fasciato da quel tessuto verde mi annebbiò la vista e un famigliare senso di possesso di impadronì nuovamente di me.
 
«Cerca di stare bene esposta alla luce quando scendi.»
 
Si girò a guardarmi, senza capire.
 
«Ci sono troppi angoli bui in questa casa e troppi invitati a questa festa che non conosco. E quel vestito… beh credo sia illegale in molti paesi.»
 
Un delicato rossore le imporporò le guance e la vidi sorridere imbarazzata a quel complimento. Era ancora più bella quando si intimidiva a causa mia. Ma io che diavolo stavo facendo?  Stavo flirtando con lei adesso?
 
Felicity si girò completamente verso di me, quel movimento scostò lo spacco del suo vestito e la sua gamba tornita e flessuosa si rivelò a me completamente. Annaspai.
 
«Oh santo cielo.» mormorò, avvicinandosi. Che cazzo stava facendo anche lei? La vidi guardarmi il petto e istintivamente abbassai la testa. Nell’abbracciarla poco prima così stretta, il residuo di quel rossetto che le avevo trascinato via col mio pollice si era stampato sulla mia camicia. «Forse sarà meglio sciacquarla un attimo.» mi disse. E l’attimo dopo mi stava slacciando i bottoni con le sue manine delicate. C’era qualcosa di molto intimo in quel gesto. Sì, teoricamente l’aveva fatto centinaia di volte quando ero sceso nel covo ferito e lei mi aveva aiutato a liberarmi dal mio costume per medicarmi. Ma un conto era togliermi il costume di Arrow per necessità mediche, un altro era slacciarmi la camicia bianca di uno smoking. Dopo avermela aperta completamente, la tirò oltre le spalle per sfilarmela, sfiorandomi il torace con i polpastrelli, e in quel momento si fermò, come avesse realizzato solo allora la situazione. «S-scusa. Fai tu.» mi disse, allontanandosi, come scottata improvvisamente dal tocco della mia pelle.
 
Mi sfilai lentamente la camicia di fronte a lei, che ormai paonazza in volto guardava in tutte le direzioni possibili pur di non soffermarsi su di me. «Ecco.» le dissi porgendogliela. «E ora?»
 
Me la prese di mano velocemente senza guardarmi negli occhi e si diresse nel piccolo bagno della mia camera per passarla sotto l’acqua. Vidi il suo profilo scuotersi mentre strofinava la camicia con il sapone.
 
«Stavo pensando che il tuo vestito è verde Arrow.» le dissi. Okay, ero completamente andato.
 
Lei non mi rispose e continuò a strofinare, sciacquò quel pezzo di stoffa e lo mise contro luce per osservare il risultato. La macchia era sparita. Tornò allora verso di me e velocemente mi porse la camicia, per poi sgattaiolare fuori dalla mia camera senza più guardarmi o parlarmi.
 
«Grazie!» le dissi, mentre chiudeva la porta. La sentii scendere veloce gli scalini e iniziai a riallacciarmi i bottoni. Potevo solo immaginare quali pensieri la agitassero in quel momento. Ora dovevo solo calmarmi e tornare anch’io alla festa.
 
 
 
Era notte fonda e la festa era ormai finita. Avevo dato la nottata libera ai miei amici, ma Arrow non aveva ancora finito la sua giornata. Avevo troppo bisogno di distrarmi da tutto quello che era successo con Felicity e il modo migliore era prendere arco e frecce e pattugliare. Non avevamo avuto più visite da nessun incappucciato e nessuna donna somigliante a Shado. Quella tranquillità iniziava a insospettirmi, come se qualcosa bollisse in pentola, ma non riuscivo a capire cosa.
 
Mi appollaiai su un tetto, per osservare i rumori della città e cogliere qualche movimento sospetto.  Stavo per mettere la mascherina ed essere così pronto a scattare, quando una folata di vento si agitò alle mie spalle. Una scia luminosa che non riuscii a decifrare mi passò a fianco.
 
Cercai di mettere a fuoco chi o cosa fosse, ma non vi riuscii. Poi il movimento cessò e una famigliare voce alle mie spalle richiamò la mia attenzione.
 
«Ciao Oliver.»
 
Mi voltai.
 
Barry Allen.
 
«Che diavolo…?» non feci in tempo a formulare la domanda che sparì dalla mia vista in un turbine rosso.
 
«Sono quassù.» Mi girai e lo vidi in cima a un palazzo vicino, col cappotto che ondeggiava al vento. Come accidenti era possibile? Poi sparì nuovamente e si materializzò davanti a me, spaventandomi. «Era più facile mostrartelo che raccontartelo.»
 
«Ma tu…? Ma che cavolo…? Com’è possibile?»
 
«Non lo so. So solo che quel fulmine mi ha colpito e io sono andato in coma, poi mi sono svegliato con gli addominali scolpiti e con la capacità di muovermi alla velocità della luce.»
 
Lo guardai scioccato, senza capire.
 
«Per cui, eccomi qui. Speravo mi potessi aiutare…»
 
«Aiutare?»
 
«So che una volta eri un assassino ma poi hai trovato un modo… e sei diventato un eroe. Vorrei mettere il mio potere al servizio di tutti ma non sono sicuro di come farlo. Voglio dire… e se non fossi un eroe?» mi incalzò. «Se fossi solo un ragazzo colpito da un fulmine?»
 
Era sconvolto, dovevo trovare le parole adatte. Lo guardai, pensando a cosa dirgli. Poi ripensai a Yao-Fey e capii in quel momento che aveva solo bisogno di una guida e di qualche parola di conforto.
 
«Non credo che quel fulmine ti abbia colpito, Barry. Credo ti abbia scelto, perché tu possa ispirare le persone, vegliare sulla tua città come un angelo custode. Puoi fare la differenza… e salvare le persone.» Feci una pausa voluta. «In un flash.»
 
Mi voltai verso il parapetto, colto da un altro pensiero improvviso. «Ti do un consiglio. Indossa una maschera.»
 
«Figo.» mi rispose.
 
Feci per andarmene, ma Barry mi fermò.
 
«Come sta Felicity?» mi chiese il ragazzo.
 
«Bene. La conosci, è Felicity.» replicai, sorridendo. «Sono certo che sarà felice di sapere che sei venuto a trovarla.» aggiunsi tristemente.
 
«Non sono qui per lei.» ribatté. «E sappiamo entrambi per chi batte il suo cuore.» mi disse duramente.
 
Lo guardai deglutendo.
 
«Ti chiedo solo di non ferirla.»
 
«E’ complicato.» gli precisai.
 
«Non lo è se provi qualcosa per lei.»
 
«Io la amo.» gli risposi, tremando a quell’ammissione così risoluta. Non l’avevo mai detto prima d’ora manco a me stesso con così tanta fermezza. «Ma non posso stare con lei.» conclusi tristemente.
 
«Se non lo farai, prima o poi arriverà qualcun altro. Magari qualcuno che faccia la tua stessa vita, ma che non abbia tutte le tue remore.» mi disse. «Pensaci.»
 
Poi sparì in una scia luminosa, lasciandomi su un tetto di Starling City a meditare.
 
 
   
 
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