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Autore: CassandraBlackZone    09/06/2014    1 recensioni
[sequel de A person to remember]
Qualcosa nel mio petto inizia a pulsare violentemente, e un caldo tepore si espande in tutto il mio corpo, raggiungendo subito il cervello. Fa quasi solletico, ma fa anche terribilmente male. E ancora non riesco a muovere nemmeno un dito. Sento i neuroni che esplodono uno dopo l’altro, le cellule che muoiono e rinascono simultaneamente, e il sangue ribolle nelle vene. Pian piano una luce dorata inizia ad avvolgermi leggera e, con un piccolo sforzo, decido in fretta il colore dei miei capelli.
Genere: Avventura, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Doctor - 11, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Matt sbottava un sorriso ad ogni singolo foglio ingiallito, lasciando che il bambino dentro di lui si ricordasse quando avesse fatto tutti quei disegni. Ancor prima che la dottoressa Miller gli porgesse la busta di plastica, lui li aveva riconosciuti dalle sue iniziali scritte con un pennarello blu all’angolo delle pagine.
“Te li ricordi, Matt?” gli chiese la donna togliendosi gli occhiali.
“Sì, me li ricordo.”
“Avevi poco più di sei anni. Sorpreso di rivederli?”
“Perché li ha conservati fino ad oggi?”
“Perché speravo che sarebbero serviti. Un giorno.”
L’uomo alzò gli occhi dai fogli e, imbarazzato, distolse lo sguardo appena incrociò quello della dottoressa. Aveva sempre odiato l’atteggiamento di qualsiasi dottore, che fosse un medico, uno psicologo o, come in quel caso, di uno psichiatra; avevano tutti quell’assurda calma che li aiutava a gestire qualsiasi tipo di persona che si presentasse davanti a loro. Talvolta Matt pensava che i veri pazzi fossero loro.
“Dimmi, Matt. Che cosa hai sognato questa volta?”
La seduta di solito iniziava così: la dottoressa Miller chiedeva a Matt che cosa avesse fatto durante il giorno dal risveglio fino alla cena, mentre lei segnava sul suo taccuino ogni singolo dettaglio che le sembrava importante appuntare, senza mai interromperlo. E poi, la fatidica domanda del sogno. Ciò che preoccupava maggiormente Matt.
“E’ davvero necessario?”
“Sì. E’ necessario.”
Matt si appoggiò sullo schienale della sedia massaggiandosi la fronte, intento a ricordare controvoglia il sogno della notte prima. Chiusi gli occhi, rievocò pian piano tutto ciò che aveva visto, fatto e sentito. “Sono… da solo. Non so bene dire dove, ma c’è del fuoco ovunque io vado.”
“Continua.”
“Forse… sono in un corridoio. Sì. Sono in un corridoio dalle pareti di metallo.”
“E il fuoco da dove viene?”
“Sul pavimento ci sono dei grossi fili che bruciano e… Ah.” All’improvviso Matt aggrottò la fronte e fece una smorfia di dolore portandosi la mano sinistra sul braccio destro.
“Qualcosa non va?” chiese Miller preoccupata.
“Il braccio. Mi fa molto male.”
“Allora sei ferito?”
“Credo di sì.”
“Che altro?”
Matt prese un bel respiro e si concentrò ancora di più “Sento… di avere paura, ma non mi fermo e continuo a camminare, anche strisciando sulla parete, poi…”
La dottoressa allungò le mani sulla scrivania senza smettere di guardare Matt “E poi?”
“Cado in avanti sfinito, ma senza provare dolore. Sono sia sorpreso che sollevato.”
“E’ probabile che hai perso il senso del tatto, ciò ti ha portato a non sentire più dolore.”
“Vedo una luce” continuò Matt ignorando la donna “ma non è una luce davanti a me.”
“Che tipo di luce è?”
Inaspettatamente, lui aprì gli occhi e avvicinò la mano destra al petto. “Una luce dentro di me.”
La dottoressa annuì tre o quattro volte con una certa soddisfazione, come se avesse visto qualcosa di eclatante ed oscuro al povero Matt “Davvero molto interessante.”
“Che cosa?” chiese sorpreso l’attore.
“Che si tratta di una semplice coincidenza.”
Matt scosse la testa confuso “Scusi, come?”
“Matt, io seguo il tuo caso ormai da diverso tempo. Nonostante siano passati più di vent’anni, ho continuato ad indagare attraverso i miei appunti e i tuoi disegni.”
“ E quindi?”
“Sono sempre più certa che tutto sia dovuto alla tua fervida immaginazione.”
“Questa non è la prima volta che me lo dice” disse Matt alquanto deluso.
“Questo perché ogni volta che vieni da me è quello che io vedo.”
“E allora che cosa dovrei fare?”
Sistemati i disegni di Matt nella pratica busta di plastica, Miller allargò un sorriso per assicurarlo “Matt. Comprendo bene che tu per paura di dirlo ai tuoi genitori ti sia aperto solo con me e tua sorella, ma devi stare tranquillo. Tutto ciò che finora hai sognato, i disegni, sono solo mere coincidenze.”
Due colpi di clacson attirarono l’attenzione di entrambi. Era Laura, la sorella di Matt.
“Credo che questa sia la fine della nostra seduta.”
“Sì” sistematosi una ciocca di capelli, Matt allungò una mano verso la dottoressa. “Arrivederci, dottoressa Miller.”
“Arrivederci, Matt. Se hai ancora qualche dubbio io sono sempre disponibile.”
“La ringrazio.”
Scambiati un paio di sorrisi forzati, Matt si allontanò dalla scrivania e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
La dottoressa Miller si avvicinò alla finestra e, stando attenta a non farsi vedere da Laura, scrutò quest’ultima da dietro la tenda color porpora.
Solo io e Laura sappiamo di questo altro suo problema. Se mio marito lo venisse a scoprire, lo porterebbe direttamente da un manicomio. Gli era stato difficile accettarlo quando era piccolo, ma ora che è un adulto, lo farebbe solo preoccupare.
Non erano esattamente quelle le parole di Lynne, la madre di Matt e Laura, ma il concetto era ben chiaro, e l’unica persona di cui si fidava era proprio lei, Agatha Miller: l’unica psichiatra che aveva accettato il curioso caso del Dottore immaginario.
Non appena Matt uscì dal cancello, Laura corse per abbracciarlo. Mano nella mano, i fratelli andarono verso la macchina di lei, pronti a pranzare insieme.
La donna uscì dal suo nascondiglio per vedere i due allontanarsi di spalle e ripensò alla prima volta che Lynne portò il piccolo Matt di sei anni da lei , dopo la loro ultima chiacchierata in privato.
“Mere coincidenze.” Agatha tirò fuori dalla sua giacca l’unico disegno di Matt che non volle mostrargli, cosa che si pentì amaramente di non aver fatto.
 Il foglio era diviso in quattro da un pennarello nero dalla punta grossa e ogni parte fungeva da vignette che rappresentavo quattro diversi momenti. Nella prima vi era disegnato un lungo corridoio dalle pareti di metallo invaso dalle fiamme. Nella seconda un braccio destro che sanguinava. La terza era completamente colorata di nero e infine la quarta, che rappresentava un vortice di luce dorata che usciva da quelli che sembravano essere due cuori “Dico bene? Matt?”
 
Kevin lasciò che il suo gelato alla vaniglia scivolasse dal cono e cadesse rovinosamente sullo sterrato. I suoi piccoli occhi azzurri erano troppo occupati a fissare la buffa ragazza aggrappata alla statua più alta del parco, intenta a cercare qualcuno o qualcosa come un marinaio di vedetta.
Lei era là sopra da almeno quaranta minuti, e il piccolo si chiedeva se fosse ancora viva o se si fosse tramutata in una statua “Ehi! Signorina!” urlò con tutto il fiato che aveva “Che cosa sta facendo lì?!”
La ragazza abbassò lo sguardo di scatto assottigliando gli occhi e gli sorrise “A dir la verità, non lo so proprio!” rispose con estrema sincerità.
“Allora perché sta lì?!”
Lei aprì la bocca convinta di rispondere con certezza, ma improvvisamente il dubbio l’assalì impedendole di parlare. Non se lo ricordava più. Un paio di neuroni dovevano essere esplosi mentre ci stava pensando “Cielo… non me lo ricordo più…”
“Eh? Che cosa ha detto?!”
“Ehi, piccolo! Come ti chiami?!”
“Mi chiamo Kevin!”
“Bene, Kevin! Stai indietro che adesso scendo!”
Un po’ confuso, Kevin indietreggiò di quattro passi senza smettere di guardare la ragazza che si preparava a scendere, chiedendosi come ci sarebbe riuscita. Il piccolo pensò ad ogni modo possibile: un paracadute, una fune da spia, un trucco di magia, finché alla fine la risposta fu… volando.
Sotto gli occhi increduli del bambino di sei anni, la buffa ragazza-marinaio, fatto un piccolo salto, iniziò a levitare scendendo lentamente, metro dopo metro, fino a quando il suo piede destro non toccò leggero la terra.
Vista da vicino la ragazza aveva la pelle bella rosea, candida e incontaminata dai vestiti bruciacchiati. I suoi capelli biondi, ma che sotto al sole erano prossimi al ramato, era come se si allungassero, si accorciassero, arricciassero e lisciassero ogni tre secondi.
Kevin dovette stropicciarsi più volte gli occhi, pensando di stare per impazzire “Wo! Signorina! Ma lei… vola!” disse alla fine entusiasta.
La ragazza inarcò un sopracciglio guardando prima la statua da cui era scesa e poi il piccolo Kevin “Ti sbagli, amico mio.”, gli sorrise, “Io rigenero. O… mi sto rigenerando. O… mi rigenererò. Accidenti… sto andando un po’ in confusione.”
“Forse ha usato troppo i suoi poteri magici!”
“Nah, questa non è magia. Semplicemente ho sentito il mio corpo perdere di colpo peso e così ne ho approfittato. Oh…” fece un paio di salti sul posto sorridendo “ Ma tu pensa. Sono ritornati i miei sessanta chili. Hm… sono leggermente in sovrappeso. Ma ritorniamo a noi.”, si abbassò all’altezza del piccolo Kevin “Dimmi, Kevin. Che giorno è oggi?”
“Lei non lo sa?”
“No, proprio no. Altri tre neuroni sono esplosi. Dimmi anche dove siamo.”
“Oggi è il 26 febbraio e siamo a Londra. È sicura di stare bene, signorina?”
“Di che anno?”
“2013.”
“Uhhhh, perfetto! Almeno sono riuscita a impostare bene la data!” disse la ragazza strofinandosi le mani soddisfatta “Bene. Ora il problema è trovare…” altro vuoto di memoria “Uffa… di nuovo …  beh, almeno so chi devo cercare. Mi basta vederlo in faccia. Ma quando finirà questa fase?”
“I suoi capelli sono magici?” chiese Kevin ancora più curioso “Non fanno che diventare biondi e rossi. Oh! Ora ho visto dei capelli neri!”
“Te l’ho già spiegato, Kevin. Non è magia. Il mio corpo non si è ancora abituato. A quanto pare non sono riuscita a decidere in fretta e allora sta decidendo per me.”
“Posso decidere anche io il colore dei capelli? Me lo insegna?”
“Lo sai. Sei un bambino che fa un po’ troppe domande. Comunque…” gli avvicinò una mano all’orecchio e la riportò davanti ai suoi piccoli occhi con una banconota da dieci sterline tra le dita “Ricomprati un bel gelato, e offrine anche ad altri bambini.”
Il bambino non se lo fece ripetere due volte e prese al volo la banconota con gli occhi spalancati “ Lo sapevo!! Lei è una maga!”
“Se ti basta vedere qualcuno che scende da una statua alta circa dodici metri e che ha i capelli che cambiano forma e colore per definirlo un mago… Allora sì. Sono una maga.”
Arruffati i capelli di Kevin, la strana ragazza si allontanò dalla statua per dirigersi verso l’uscita del parco.
“Aspetti, signorina! Adesso dove va?”
“A fare quello per cui sono venuta qui!” urlò lei girata di spalle.
“Cercare quella persona?!” domandò di nuovo Kevin.
“Non lo so. Mi sono esplosi altri cinque neuroni.”
 
Quattro sedute, quattro stessi esiti. Forse Matt era arrivato finalmente alla conclusione che avesse perso solo tempo, e che sarebbe stato meglio non ritornare dalla psichiatra da cui era solito andare forzatamente ventiquattro anni fa. Si sentiva stupido, se non anche nauseato, all’idea di averlo veramente fatto.
“Allora? Come è andata oggi?” la voce squillante della sorella riportò alla realtà Matt, assorto nel suo dilemma e tra le note di Go to sleep dei Radiohead, il suo gruppo preferito.
“Che intendi dire?”
“Intendo dire: è cambiato qualcosa?”
“Direi di no” le rispose mogio.
“Hai visto? Scommetto che la dottoressa Miller ti ha detto che sono dei semplici sogni e che t-…”
“Guarda la strada.”
“E che tu… caro il mio fratellino, ti stai facendo solo tanti problemi per nulla.”
“Senti, Laura. Io sentivo solo il bisogno di parlarne con qualcuno, ok? Questi sogni, questi… incubi, li sto avendo da troppo tempo e io volevo…” Matt si stoppò appena in tempo e si morse il labbro inferiore, tornando a fingere di guardare fuori dalla finestra.
Volevo che cosa?”
Essere sicuro che loro stessero bene. Matt scacciò subito quel pensiero, cercando di dimenticarsi della ragazza che si era preoccupata di portargli più di venti tazze di caffè per calmarlo, della donna che lo schiaffeggiò per assicurarsi che stesse bene. Dell’uomo che lo aveva aiutato ad affrontare le difficoltà da quando era piccolo.
Matt sapeva bene di non essere pazzo, che tutto ciò che aveva passato diversi mesi fa era tutto vero. Doveva essere vero. Sapeva che era un prezioso ricordo da non dimenticare, eppure quelle ultime quattro settimane erano state per lui le peggiori della sua vita;  voci che lo imploravano di scappare e di stare lontano da loro, senza sapere a chi o a che cosa si riferissero. Sogni in cui lui ne era protagonista e sentiva suoni, odori, sensazioni come se fosse effettivamente in essi.
Era come se fosse ritornato al punto di partenza, a quando aveva sei anni, ma senza qualcuno che lo rassicurasse e lo proteggesse. Senza il Dottore.
“Volevo essere sicuro che… fosse tutto frutto della mia immaginazione” mentì alla fine.
“E oggi ne hai avuto la prova, no? Eppure non mi sembri contento” commentò la sorella “Che cosa c’è che non va, Matt? Tu sai che a me puoi dirlo.”
“Questo lo so, ma è meglio se lasci perdere.”
“Dai, Matt…” lo implorò lei “ Così non posso aiutarti, lo sai? Ti ricordo che mi hai fatto venire un colpo quando hai chiamato me e la mamma nel bel mezzo della notte perché pensavi di stare per morire.”
Matt arrossì imbarazzato ricordandosi perfettamente di quel giorno. Era stato il suo primo di una serie di incubi “S-sì, lo so. Ma preferisco sbrigarmela da solo. Ora so che cosa devo fare.”
Laura sbuffò delusa e rassegnata “Uomini. Voi e il vostro orgoglio. Dove ti va di andare a mangiare?”
“Facciamoci un hamburger” propose Matt  “E’ da un sacco che non ne mangio uno.”
“Ok. Vada per l’hamburger. Così ti tiro un po’ su di morale.”
Poteva essere un’idea, pensò Matt, anche se la verità era che non voleva far preoccupare ulteriormente Laura ; con un sorriso e qualche risata l’avrebbe lasciata ritornare al lavoro tranquilla e l’avrebbe anche spinta a riferire tutta contenta alla madre che il suo piccolo Matthew stava bene.
Ma le voci e i sogni rimanevano comunque un problema che il povero Matt doveva affrontare da solo. Come, non lo sapeva, ciò che poteva fare in quel momento era conviverci e aspettare.
 Chi? Che cosa? Di sicuro non sperava nel ritorno di quella stella cadente blu.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Non so quante volte dovrò scusarmi, ma… che dire…. Era ora!!! Ho dovuto combattere per potermi avvicinare alla tastiera perché stavo ancora affrontando la scuola!! La tanto odiata scuola… Ma è possibile ridursi a fare verifiche e interrogazioni nelle ultime settimane dell’anno??? Bah!! Ma ora che ci sono le vacanze posso finalmente dedicare alla scrittura!! E non vedevo l’ora!! Ad essere sincera mi aspettavo un inizio un po’ più brillante… Spero vivamente di riuscire a recuperare bene andando avanti!! Intanto… godetevi questo capitolo!! ;) A presto!!
 
Cassandra
   
 
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