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Autore: Francesco Coterpa    10/06/2014    1 recensioni
Finché l'ultimo uomo non sarà salvo, la guerra rimarrà l'unica fonte di salvezza; l'ultimo spiraglio di luce nel mare di tenebre che offuscano la breve e vuota vita; l'unico desiderio al di sopra della propria sopravvivenza, che permette di sacrificare la propria anima perfetta per poter raggiungere una pace temporanea.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Dove sono i sogni in questa profonda guerra, utile solo a bagnare la fredda terra? Perché combattiamo? Per chi o cosa moriamo se infine saremo dimenticati dal mondo e spariremo nello stesso abisso da cui siamo sorti? Freddo il sangue. Fredda la terra. Fredda la lama. Lo sguardo si perdeva nell'attimo in cui la saetta di Zeus mostrò come giorno il terrore radicato nelle tremanti menti dei soldati. La guerra non è altro che una finzione, un apparire per poi sparire tra il proprio sangue. Non ha senso. Il tuono aveva scosso le cime degli alberi come il vento faceva al sud con i fragili e fini fili d'erba. La potenza del suono aveva fatto vibrare il ferro, o era il ferro stesso che, preso dall'eccitamento, voleva fermare la vita di qualcuno e bere la sua linfa. L'impeto era confuso dalla paura, le forza nascosta da Atropo che già s'aggirava per quel luogo in attesa di anime da sottrarre al mondo dei vivi.

Il freddo della lama, il freddo della pioggia, il freddo della terra che ci chiamava.

Fu come vedere un lampo che sboccia dall'oscurità della terra e vola verso l'alto dei cieli. La lama tagliò l'aria e le gocce d'acqua per poi impiantarsi pesantemente nel terreno ammorbidito dalla pioggia. Lo sguardo mio era paralizzato e fisso sulla lama. Sudavo freddo. Avevo paura anche se non volevo dare la soddisfazione di farla vedere. Le vene del braccio gli pulsavano come le nubi dietro di lui per i fulmini. La spada era per metà conficcata nel terreno, lui la teneva ancora con la mano con cui l'aveva sfilata dal prezioso fodero mentre manteneva lo sguardo perso in un punto del terreno. Il silenzio era agghiacciante, solo il ticchettio della pioggia sul ferro e gli stendardi bagnati che provavano a sventolare alla tempesta rompevano quei secondi. Poi lui lasciò piano l'impugnatura dell'arma, distolse gli occhi e tornò a fissarmi. Erano passati cinque secondi.

“Voglio fare un patto con te stronzo ribelle” disse in latino con aria di sfida.

“Non siamo venuti qui con l'intenzione di sancire patti senza alcun senso con gente come voi, ma per spedire negli abissi le vostre anime impure e bagnare col vostro sangue questo terreno.”

“Oh, non ti dispiacerebbe per i fiori e l'erbetta che crescono in questi campi?” ribatte subito lui con tono troppo ironico.

“Quelli li avete già uccisi voi portando qui questa armata di fantocci.”

“Non osare fare la predica a me. Stai istigando l'uomo sbagliato ragazzo” rispose.

“Bene allora visto che sto istigando l'uomo sbagliato perché non mi uccidi?”

Nemmeno riuscii a finire la frase che me lo trovai davanti, piegato per prendere potenza dalle gambe e col braccio contratto pronto a sferrare un colpo col suo poderoso pugno ferreo. Non feci nemmeno in tempo a respirare che era già accaduto tutto. Il suo pugno scattò come una molla compressa al limite. Si udì un sibilo da tanto era veloce il destro, poi si fermò appena venuto a contatto con il mio addome e sorrise. Dio mio se era stato veloce. Con il pugno ancora fermo sul mio addome mi disse “Bene ora possiamo fare il patto o dobbiamo fare un'altra pagliacciata?”

Non avevo ancora capito cosa fosse successo realmente, mi limitai solo a deglutire e accennare un sì col capo.

Lui si alzò allora in piedi in tutta la sua maestosità. La sua armatura era perfetta, gli occhi gelidi come le notti di pieno inverno, le braccia possenti, il respiro potente come un giavellotto, le gambe ferme come colonne doriche, era un colosso dalla velocità, ingegno e forza straordinari. Era il soldato per antonomasia, per eccellenza, anzi lui era l'eccellenza.

“Adesso basta con i giochi, se devo dirla tutta devo complimentarmi con voi ribelli, siete riusciti a portare un gran scompiglio in tutta Europa e addirittura siete riusciti a riunire un notevole esercito per la vostra causa.” guardò la collina dove era collocato l'esercito “Ora c'è da chiedersi quanto siete disposti a puntare e quante fosse dovremmo scavare per voi.”

Cercai di rimanere impassibile, fermo, ma non riuscivo. La sua voce roca aveva un accento che sembrava provenire dall'oltretomba, chiedeva sangue e morte e siccome sapeva già di poter averlo, mirava a divertirsi. Uccidere divertendosi.

“Senti femminuccia facciamo così, la vedi la spada che ho impiantato nel terreno?”

Feci solo cenno di sì col capo, non parlai per evitare di mostrare la voce troppo tremante, impaurita.

“Bene ragazzo. Allora il gioco è molto facile, i due eserciti si scontreranno non appena la luna uscirà dalle nubi in modo tale da vedere di che colore è il sangue o il cervello, sempre che lo abbiate. Mentre gli uomini stroncheranno vite per Plutone io e te dobbiamo riuscire ad arrivare a prendere la spada che è nel terreno, il primo che la prende potrà usarla, l'altro dovrà combattere a mani nude fino alla morte. Allora? Che ne dici si stai?” disse allungando la mano destra aperta.

“E se mi rifiutassi di “giocare” con te, cosa succederebbe?”

“Non mi divertirei abbastanza e questo mi renderebbe molto triste, capisci?” disse con un ghigno arrogante sul volto.

“Accetto” risposi.

“Molto bene allora, che i giochi abbiano inizio.” disse stringendomi come una tenaglia la mano che gli avevo posto anch'io.

Lui si voltò verso il suo esercito e io verso il mio ma rimanemmo fermi in silenzio mentre lo scroscio dell'acqua man mano calava e il vento si acquietava.

“Vedremo chi vincerà bastardo” dissi io in greco.

“Staremo a vedere.” rispose lui in greco ridendo.

Mi voltai si scatto, ma lui era già sparito dietro il muro di difensori che formavano la prima fila dell'esercito e che si era ricomposto. Mi rivoltai e iniziai a dirigermi verso i nostri fissando il cielo per cercare di capire da dove sarebbe sbucata la luna e soprattutto quando. Lui lo sapeva, ne ero certo.

Ero distante pochi passi quanto sentii il Generale urlare “Allora? Cosa vi siete detti?”

“Nulla. Niente. Vuole solo giocare e noi lo accontenteremo” dissi in modo freddo e fermo “Appena uscirà quella stramaledetta luna da quelle nubi, dai l'ordine di scagliare una pioggia di frecce come quella appena avvenuta d'acqua. Nessuna pietà. Nessun risparmio.”

Lui non fece altre domande anche se non aveva chiara la situazione, diede il segnale di prepararsi agli arcieri e tornò alla postazione mentre io tornavo alla mia.

Iniziò l'attesa. La lunga e straziante attesa di quel puntino bianco nel cielo che sembrava non voler affatto uscire. Le nubi ancora dominavano sopra di noi. Il vento era oramai quasi svanito se non pochi e leggeri soffi che smuovevano poco le foglie degli alberi. La terra era fangosa ma già il terreno iniziava a risucchiare l'acqua in superficie.

Passarono ancora alcuni momenti di strazio in cui i nostri iniziavano a dare segno di impazienza o alcuni addirittura di stanchezza. Stavamo per scontrarci contro un avversario potente, calcolatore, furbo, agile e tutti gli aggettivi che si potrebbero solo attribuire agli eroi. Loro erano immobili come statue di marmo fisse sul terreno, noi eravamo statue d'argilla ammorbidita dall'acqua.

Ad un tratto in una pozzanghera comparve un riflesso chiaro. Era una stella. Le nubi si stavano scostando lentamente. Stava per uscire la luna. Eccola!

I fischi delle frecce iniziarono a squarciare l'aria sopra le nostre teste, i nostri arcieri avevano scoccato i primi colpi, come suggerito non dovevano essere infuocati in modo tale che non avrebbero potuto vederle. Dovevano essere fantasmi nella notte. Caddero sulle schiere nemiche e a distanza si udirono gemiti di dolore e morte.

“Fuoco a volontà!” urlò il generale agli arcieri.

“Attaccate! Attaccate!” urlò uno dei cinque cavalieri ai frombolieri.

E così noi iniziammo la guerra, iniziò una valanga di colpi nella scura notte che mietevano vittime. Il loro campo doveva essere già irrorato dalla loro linfa. Partirono alcune grida di felicità nel sentire il dolore che attanagliava gli avversari e i colpi che andavano a segno. Ma era appena cominciata. Loro erano immobili. Ero preoccupato. Cosa diamine stavano architettando con la loro deviata mente? Dove erano i loro arcieri? Cosa aspettavano a tirare? Volevano morire?

La mia mente continuava preoccupata a porsi domande e mi guardavo rapidamente in giro per vedere solo soldati felici di aver colpito qualche povero sfortunato. Non capivano che stavano preparando qualcosa di grande.

“Cosa diamine stanno facendo?” mi chiese il generale appena giunto lì a cavallo “Perché non rispondono al fuoco?”

“Non capisco! La luna è uscita ma non...”

Ad un tratto nel campo avversario a partire dalla nostra sinistra al suono di una tromba si accesero delle fiaccole poi dei marchingegni. Merda erano catapulte!

Quando le avevano portate lì! Non ci fu nemmeno il tempo per pensare che un mare di frecce iniziò a tagliare il cielo accompagnato da enormi massi infuocati lanciati dalle loro armi d'assedio. Avevano addirittura portato le armi d'assedio pur di vincere questa guerra. Maledetti.

“Avanzate con gli scudi in alto! Non lasciatevi intimorire da nulla! Avanti!” Urlò il Generale che si era subito accorto che rimanendo in quella posizione non avremmo potuto far molto e saremmo stati ben presto sconfitti. Così iniziò realmente lo scontro, la fanteria ai piedi del colle iniziò l'avanzata, accompagnata da alcuni arcieri che iniziarono a scendere dalla collina, mentre la maggior parte dei tiratori rimase al sicuro sopra il monte e la cavalleria rimase coperta dietro. Le gigantesche palle di fuoco piovvero sui nostri e sul terreno, aprendo veri e propri crateri mentre le loro frecce si mischiavano alle nostre. Anche le loro prime linee iniziarono a muovere i primi passi verso di noi. Noi correvamo verso di loro mossi dalla rabbia, loro verso di noi mossi dal fremito delle armi. Anch'io ero partito, senza cavallo, all'attacco, per poter levare quel sorrisino arrogante dalla sua faccia, una volta per tutte. Vi fu un momento particolare in cui le armi in perfetta sincronia si levarono verso il cielo o si ritrassero per caricare un colpo, poi iniziarono a schizzare getti di sangue da entrambi gli schieramenti. Urla, grida, attacchi e difese. Era guerra, era morte. Un fante avversario mi si piazzò difronte, io sfoderai la lama tenendo il fodero con la mano sinistra e lo uccisi con un sol colpo che gli aprì l'addome. Rinfilai la spada e continuai a cercare la spada del patto nel terreno e soprattutto cercavo lui, mosso dall'ira. Nessuno poteva ostacolarmi, chi provava non sopravviveva. Il Generale era nell'altra parte del campo che dimenava le sue doppie spade gemelle tagliando teste e scudi. Le sue erano spade forgiate con un particolare tipo di acciaio nordico che permetteva di spezzare facilmente anche il ferro temperato. Le frecce continuavano a schizzare sopra di noi e le armi tra spade, mazze, lance e quant'altro caricavano la potenza per poi essere rilasciate nella carne di un avversario qualunque, senza nome. A livello di forza erano loro avvantaggiati ma noi eravamo dotati di un equipaggiamento più leggero e armature resistenti ma fini che ci permettevano di essere più rapidi. Il sangue aveva già coperto le pozzanghere e le foglie cadute nella tempesta. Le urla spezzavano l'aria insieme al frastuono delle armi contro armi e delle ossa rotte. Dove diamine era la spada? Dov'era lui? Non riuscivo a vedere nulla, avevo i vestiti già completamente sporchi come i capelli, la barba e il viso. Ovunque mi voltavo vedevo morti. La terra fredda ne era già piena e continuava a chiamarne, mentre essi continuavano a cadere. Non si poteva dire come era la battaglia perché guardandosi intorno sembrava che gli schieramenti fossero in stallo, pari caduti e pari combattenti, anche se in realtà ero convinto che stessero vincendo loro, ma non potevo avere una buona panoramica dal basso, inoltre i miei occhi erano attenti ad altro, proprio come il mio pensiero.

Dov'era la spada? Dov'era lui? Mi guardavo intorno ma continuavano a piantarsi davanti a me nemici che non facevano altro che distrarmi. Mi voltai di scatto avendo sentito un urlo a me vicino, non feci in tempo a pararmi che un lanciere conficcò nella mia coscia destra la sua arma. Sentii il caldo sangue in bocca e lo sputai. Sfoderai di colpo la spada e lo uccisi senza la minima esitazione. Poi con cautela estrassi la lancia che mi aveva lacerato. Merda che male, non riuscivo a capire bene come era messa la ferita ma non era un buon segno non sentire la gamba, né il vedere colare sangue denso. Strinsi i denti e strappato un pezzo di stoffa dalla maglia lo strinsi intorno alla ferita. Zoppicavo. Non riuscivo a vedere più bene come prima per il fatto che le grosse perdite di sangue annebbiavano la vista. Ma il tutto non bastò ad evitare di farmi vedere il suo corpo, la sua faccia e i suoi occhi. Era lì ad una decina di metri da una spada nel terreno ed io ero lì alla stessa distanza dalla medesima arma. Io ero ferito, lui come si poteva prevedere no. Ci guardammo come avevamo fatto qualche ora prima. Tra di noi c'era solo il silenzio. Chi avrebbe accolto questa fredda terra? 

  
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