recuperarne i reagenti una volta che questi si sono trasformati in prodotti.
Le irreversibili sono reazioni di non-equilibrio.
C(g) + O2(g) → CO2(g)
CAPITOLO 2.
Il
disastro non ha suono.
C’è solo un innaturale silenzio qui intorno, qui
dentro, qui. Nel petto, dove non
riesco a sentire il soffio del mio respiro.
Tento di schiudere le palpebre incollate, ma se apro gli occhi
ciò che
vedo è una miriade di punti cangianti che vorticano in un
moto
disordinato. La velocità strappa loro strati su strati di colore, e non passa molto
tempo prima che comincino a sbiadire.
Se non lo sentissi pulsare sottopelle non riuscirei a credere che il
mio cuore possa battere tanto affannosamente senza martellarmi i
timpani.
Delle braccia gracili mi tirano verso l’alto, ma le ginocchia
non
riescono a reggere il mio peso. Scivolo di nuovo, ancora e ancora.
Qualcuno mi scuote forte per convincermi ad alzarmi.
Non posso sentirti, chiunque tu sia. Non sento niente.
Una ragazza dai capelli corti muove la labbra spaccate in un muto
incitamento. La osservo, confusa. Carne viva le scivola lungo il mento
appuntito.
Vorrei poter c –
Uno strattone.
Il polso fa male quando lo artiglia per rimettermi in piedi, ma
ritrovato l’equilibrio il Mondo smette di dondolare e si
ferma ad aspettarmi.
Strabuzzo gli occhi per orientarmi. Tutto ciò che vedo
è –
Strattone.
La spingo lontano, mormorando un ringraziamento che non sono sicura di
aver detto ad alta voce. La ragazza si dilegua senza pensarci
due volte.
La scuola in fiamme
è una spiegazione sufficiente.
Comincio a ricordare che cosa è successo, immobilizzata
dallo smarrimento e dal dolore delle contusioni. Io e Lilith stavamo
parlando - no, litigando, - quando il sensore ha
cominciato a brillare, e l’ala est (sud?) è
saltata in
aria.
Mi guardo intorno con la vista che trema: le pareti
dell’edificio
si stanno sbriciolando come gesso, e di Lilith, come del suo sensore,
non c'è traccia.
Ingoio la saliva per stapparmi le orecchie ovattate. Ci riprovo.
Spalanco
la bocca e la richiudo più volte, allontanandomi dalla
l'area in fiamme. Eco
indistinte riempiono il cortile, coperte dal ruggito del fuoco.
Attentato. E’ la prima
parola che riesco a sentire mentre cerco di infrangere la campana di
vetro una volta per
tutte, ma suona distante come il ritornello di un incubo.
Terroristi.
L’ultima volta che qualcuno ne ha parlato è stato
durante
la Rottura:
dopo quell’Inferno nessuno aveva più
avuto il coraggio di discuterne
pubblicamente. I Governi rimasti avevano giurato che niente del genere
sarebbe più accaduto, ma i governi ci hanno mentito
così
tante volte che perfino per Loro è diventato difficile
rintracciare il filo
connettore delle loro bugie.
Decine di studenti mi sfrecciano vicino, in preda al panico generale.
Un
campanello d’allarme mi scuote le interiora, costringendomi a
pensare. Non
posso rimanere qui. Non ho nessuna intenzione di diventare un arrosto.
Mi devo concentrare. Non ho tempo
di cercare una spiegazione, né di avere fiducia.
Seguo il coro delle voci terrorizzate,
instabile e ubriaca d'angoscia. Un piede dopo l’altro mi
avvicino alle classi ancora intatte. L’ala
nord (ovest?) non
è ancora crollata.
Non posso guardarmi indietro. Ciò che conta
è andare via e seguire il protocollo d’emergenza,
ma non me lo ricordo. Dio,
non lo ricordo. E sembra tutto così assurdo che forse potrei
lanciarmi nel fuoco e
scoprire che è tutto uno gioco, uno scherzo della mia mente.
Fuori i pensieri sconnessi, direbbe Mr. S.
Mr.S. che a quest'ora potrebbe essere ossa annerite e
polvere e carbone.
Niente distrazioni. Protocollo
d’emergenza.
Qualunque esso sia è chiaro che gli studenti non lo stiano
mettendo
in pratica: corrono, strillano, si sparpagliano e si spingono
l’uno con
l’altro. Quando mi accorgo di intralciare la loro fuga
disperata verso i
cancelli è tardi. Ho solo il tempo di accorgermi che se
c’è qualcosa di più pericoloso di un
incendio, è la paura. Poi mi sono addosso.
La
sensazione è quella di venire investita da una mandria
inferocita che mi assale
fino a farmi perdere la cognizione dello spazio tutto intorno. Sento
braccia
tirarmi da parte e spalle spingermi con violenza, e puzza di bruciato e
di
sudore e di sangue.
Il caldo emanato dai loro corpi che premono contro il mio
è soffocante.
- Emily!
C’è una ragazza per terra, la stessa che mi ha
aiutato ad alzarmi. Punto i piedi per terra e ammortizzo la
spinta seguente, cercando di riprendere il controllo della situazione
pur di
non pestarle la testa. Quasi riesco a immaginare lo scricchiolio delle
sue ossa
quando decine di persone le schiacciano le mani. Le faccio
scudo con la schiena, ma non sono abbastanza forte, e l’onda
mi trascina via senza che
possa opporre resistenza. Guardo i volti delle
persone che mi circondano senza riconoscerne alcuno. Questo
è il risultato di 10 anni di
esercitazioni eseguite con troppa leggerezza, quando erano
nient’altro che l’occasione
di stringere la mano di qualcuno che ci piaceva.
Una mano come quella che si allaccia alla mia, trascinandomi lontano
dal fiume in piena. Non c’è possibilità
di risalirlo, né di lasciarsi
travolgere dalla corrente: chi mi tiene stretta fende la marea di
studenti di
traverso, scivolando tra una persona e l’altra. Una gomitata
mi cozza contro le
costole, piegandomi in due, ma le dita mi stringono con disperazione e
non mollano la
presa fino a quando non siamo fuori. Braccia magre salgono a toccarmi
le spalle in un abbraccio timido e maldestro, ma
ricadono subito dopo. Basta questo a ricordarmi perché io e
Alphy non possiamo essere amici. Ne ora né mai.
***
- Tu.
- Io, - rispondo.
Entrambi abbiamo il respiro affannato. Io per il dolore al petto e la
fatica, lui per lo sforzo di averci tirato fuori dalla ressa e per lo
sconforto che gli si legge sul volto.
- Credevo che fossi…
- Lilith, sì. Deve essere scappata insieme a tutti gli altri.
E’ quello che continuo a ripetermi, almeno.
Pur di non guardarlo comincio a strusciare i polpastrelli vicino alle
orecchie per controllare i danni all'udito. L'ho visto fare in un
telefilm, qualche volta. Alphy stringe gli occhi grigi
per nascondere la delusione.
- Grazie per avermi tirata fuori di lì, - dico amaramente, e
allo stesso momento le
sue parole coprono le mie.
- Stai bene?
Ci penso su prima di rispondere.
- No, per niente. Che diavolo sta succedendo?
Ci siamo allontanati dall’edificio in fiamme abbastanza da
poterci
concedere una tregua: le fondamenta della parte vecchia della scuola,
quella
costruita prima della Rottura, rovinano su loro stesse in
un’esplosione
accecante, coprendo il suono degli allarmi. Qualcuno deve aver chiamato
i
soccorsi.
- Non lo so. Non c’è stato tempo di fare
supposizioni, ma di qualunque
cosa si tratti questo disastro non è la conseguenza di una
semplice fuga di
gas.
Mi appoggio alla sua spalla per combattere la nausea, sebbene tremi
più
di quanto non faccia io. E’ appuntita, dalle ossa sporgenti e
leggermente
curvata verso il torace, come se Alphy non facesse che cercare di
raggomitolarsi per cercare scomparire.
- Che intendi?
Quasi
mi stupisco di quanto la mia voce suoni distante. Decine di aule
vengono
evacuate, e alle nostre spalle ululano le sirene dei vigili del fuoco.
- Guarda, - risponde, - guarda il colore del fuoco.
E io non posso non guardare le
fiamme che danzano verso l’alto, come dita bellissime e
terribili che cercano di
catturare il fumo. Non posso non guardare
il modo in cui il rosso sfuma fino a brillare di un azzurro
fosforescente e
gelido, perché mai ho visto qualcosa di
così
innaturale in tutta la mia vita.
- No, non.. Non è possibile. Il fuoco non può
avere il colore del ghiaccio.
- Certo che può, - le sue labbra si schiudono appena quando
parla. Oltre gli occhiali nasconde quell'aria intellettuale
tipica dei lineamenti di Lilith.
- Sì, se siamo sul set del prossimo X-Men!
- Può, - sbotta a voce stridula - se brucia a 1400 gradi
centigradi e c'è qualcuno ad
alimentarlo!
Alphy mi rimprovera di aver nominato X-Men in un momento del genere, e
si rifiuta di scappare. E' tanto incuriosito quanto sicuro che il
fenomeno non possa durare oltre.
Non sono mai stata un scienziato, né potrei darmi alla
chimica in
un momento del genere, ma le sue parole basterebbero a spiegare
ciò che
succede subito dopo.
Le vampate, che in pochi minuti hanno inglobato una grossa fetta
dell’Istituto, perdono lucentezza, tornando dall'azzurro al
bianco e dal bianco
a tutte le gradazioni del rosso. E’ uno spettacolo surreale,
sospeso nel calore insopportabile dell'aria. Per
quanto mi sforzi di convincere Aplhy ad andare via, non riesco a
staccare gli occhi dalla striscia di morte che rincorre tutto
ciò che non sia ancora stato ridotto in cenere.
Ed è così che la vedo, a fare strada al fuoco,
addentrandosi in un
edificio che ancora resiste al crollo. Unica rimasta a sfidare la pira.
Gonna verde pastello e treccia castana.
Lilith.
Sono
un animale che segue l’istinto. Le mie gambe si muovono senza
altro
comando che quello inconscio di continuare a correre. E’
questo che fanno le sorelle quando una delle due
è in pericolo, anche quelle che, come noi, non riescono che
a detestarsi? Si
precipitano nel bel mezzo di un attentato? L’unica certezza
che tengo a mente è che non mi
posso fermare. Se questo è reale come l’odore di
fumo che impregna l’aria e
la scuola brucia e la gente muore, devo raggiungerla e dirle che il suo
stupido
sismografo funziona. Devo portarla via da lì, senza perdere
tempo a chiedermi perché abbia sviluppato manie suicide
negli ultimi dieci minuti. Può capitare e basta, immagino.
Alphy non è abbastanza veloce da raggiungermi. Mi sfilo la
giacca
sintetica, schivando un pericolo dopo l’altro con il rischio
di spezzarmi l'osso del collo: avvicinarsi all'edificio è
come schiantarsi contro un muro di nebbia
bollente.
Tossisco, ma non smetto di correre fino a quando non sono dentro. Se mi
fermassi adesso mi renderei conto di aver fatto quella che è
allo stesso tempo la scelta più coraggiosa e più
folle.
***
Mia
sorella se ne sta al centro di un corridoio saturo di fumo, come una
bambina che ha perso la strada di casa. Ha l’aria
febbricitante, ma non
è spaventata. Sembra piuttosto insicura, e si guarda intorno
senza quasi notarmi.
Dei neon precipitano da soffitto, crepitando in migliaia di scintille.
Non
riesco a trattenere un grido.
-
Lilith, che cavolo stai combinando? Dobbiamo andarcene da qui!
Allungo
un braccio per afferrarla, ma la corrente rischia di friggermi
la pelle. Così maledettamente vicina e allo stesso tempo
così lontana da lei,
cerco un modo per riportarla dal mio lato del corridoio.
-
Ti si è spento quel cervello da genio? Forza!
Lilith
non sembra dare peso alla nostra morte imminente. Non lo fa nemmeno
quando le scintille, alimentate dal calore insopportabile
dell’aria, sciolgono
i cavi della corrente e prendono fuoco. Fiamme alle sue spalle, fiamme
di fronte a lei. Lilith è bloccata.
Arretro
in un balzo, chiamando aiuto fino a quando la gola comincia a
gonfiarsi. Passano secondi
interminabili prima che Lilith si decida a reagire.
-
Non c’è niente che tu possa fare, - dice, ma nel
caos la sua voce è
ridotta a un sussurro.
-
C’era bisogno di questo, di una reazione irreversibile
come la combustione. Non si è mai disposti ad andare avanti
e a cambiare le cose
se c’è ancora la possibilità di tornare
indietro.
Lo
dice tutto d’un fiato, rovinando sulle ginocchia. Adesso
ricordo perfettamente ciò che è successo prima
dell'attentato, ricordo come Lilith mi fosse sembrata irrimediabilmente
diversa dalla
ragazza perfetta che tutti stimavano. Quell'ombra è di nuovo
su di lei, più buia quanto più arde il fuoco, e
io non
la riconosco più. Non è più Lilith
quella che
sembra in viso.
Nient’altro che cenere riesce
a raggiungere i mie polmoni, e troppo presto mi accorgo di non riuscire
a respirare. Non respiro.
Non -
Respiro.
Stordita, soffocata,
sono costretta ad allontanarmi. Un passo alla volta retrocedo tra le
macerie,
sempre più indietro, mentre il fuoco divora lo spazio che mi
separa da esso. E
improvvisamente il suo
petto si scontra con la mia schiena.
Non avevo mai pianto di gratitudine prima di vedere i soccorritori
materializzarsi tra le volute di fumo. Gemiti strozzati consumano il
poco
ossigeno che mi è rimasto. Mi avvinghio al primo uomo che
riesco
a toccare,
quello alle mie spalle: vorrei poterlo supplicare di portarmi fuori, ma
Lilith è ancora lì, senza
via di scampo, e le
sue ginocchia hanno ceduto.
- Mia sorella!
Posso solo pregare che l’abbiano
individuata. Tendo un braccio a indicarla; sembra assurdo che sia
ricoperto da
vesciche pulsanti, del colore vivo della carne. Perché non
provo dolore?
L’uomo mi indica una luce che filtra la cenere: vuole che
raggiunga
l’uscita.
- Dovete salvare mia sorella!
Il soccorritore mi mette da
parte con una spinta violenta. E’ interamente ricoperto da
una tuta gelida e perlacea
dalla strana consistenza, che scivola sotto la pelle.
Una squadra
bianca e silenziosa mi supera senza accorgersi della mia esistenza. Il
resto dei
soccorritori avanza tra le fiamme, come stesse attraversando dell'acqua
limpida; il
fuoco accarezza le loro uniformi mentre si fanno strada per
raggiungere Lilith. Non hanno un estintore, né un
idrante, nemmeno un briciolo di esitazione. Scivolano a passi
sincronizzati, quasi eseguendo una coreografia preparata con
cura, con
le maschere riflettenti a nascondere le loro espressioni.
Vedono il
fuoco come lo vedo io?
Sono
costretta a cedere spazio. Non ho il coraggio di guardare di nuovo le
mie
braccia: una sostanza appiccicosa scivola lungo le mani, colando dalle
dita. E
ancora non provo dolore.
L’uomo mi spinge di nuovo verso l’uscita, ma mi
rifiuto di scappare senza prima assicurarmi che portino Lilith al
sicuro.
Forse hanno una tuta anche per lei.
Raggiungono Lilith a piccoli gruppi. Prima due, poi tre, sei. Lei, con
i capelli bruciacchiati,
sorride di gratitudine quando l’avvolgono in un cerchio per
cercare di
proteggerla.
Sventolo le mani in aria per incitarli: non posso resistere oltre.
- Dobbiamo andarcene!
Il gruppo di soccorritori non mi guarda, ma deve avermi sentito.
Cominciano a camminare lentamente, poi sempre più veloce.
Ma lo fanno dalla parte opposta.
- Dove state andando?
Una trave si stacca dal
soffitto e si schianta
sul terreno. La temperatura all'interno dell'edificio è
così alta che sembra di stare precipitando nel centro della
Terra. E' stata Lilith a insegnarmi che la superficie rocciosa nasconde
un cuore di magma pronto ad esplodere. Fuori. I. Pensieri. Sconnessi.
- Dove la state portando? Lilith!
Il mio ultimo
grido di disperazione viene schiacciato dal fragore del
disastro: se tutto era iniziato del silenzio, adesso decine di
sirene squillano
ininterrottamente, le tubature si piegano e ogni cosa viene consumata
da
lingue ardenti.
Non riesco più a scorgere mia sorella, e non c'è
nulla che io possa fare. E'
troppo tardi, ed è tutto troppo grande per potere essere
affrontato. Se non lascio
andare Lilith, non avrò speranza.
Ripercorro il corridoio, incrociando un altro gruppo
di soccorso.
Un uomo basso dalla corporatura robusta mi prende in braccio e
continua a
correre per me. Non sarei riuscita a fare un altro passo, da
sola.
L’uomo dice che sono
salva, che andrà tutto
bene, che non devo piangere, ma una volta fuori lo costringo a
lasciarmi
andare.
Tutto ciò che avevo nello stomaco esce fuori in un fiotto
acido,
e quando il pranzo è finito vomito bile e saliva.
E’
insieme a tutto il resto che si libera il
dolore, mentre sento la pelle staccarsi nei punti in cui le vesciche
sono scoppiate. L'uomo mi tiene la fronte con una mano e
continua a
parlare.
- E’ finita, - mormora.
Le lacrime sono una grande delusione: non bastano e non sono fredde
abbastanza.
Si asciugano sulla pelle bollente senza averla guarita, senza potermi
guarire.
Non voglio alzare lo sguardo e affrontare il numero dei
sopravvissuti.
Mi portano via su una barella, premendomi una maschera di
plastica sulla bocca riarsa. Sono costretti ad allontanare i
giornalisti
con spintoni e insulti. E’ questo ciò che vogliono
vedere in televisione, loro
che non conoscevano di persona quelli che forse sono morti?
- E’ finita, piccola.
La voce dell'uomo si addolcisce mano
a mano che ci allontaniamo dalla scuola. Continua a parlarmi fino a
quando un ago non mi perfora la base del collo, e un calore diverso,
piacevole,
mi riempie.
Non rispondo.
Torno sotto la mia campana di vetro, dimenticando come si fa a
parlare. Non gli dico che muoio di dolore, o che mia sorella era
bloccata tra le fiamme. Non gli dico che gli uomini
che l’hanno soccorsa non avevano la sua stessa uniforme.
Angolo Autrice: come avrete capito sono molto veloce quando si tratta di aggiornare [insert sarcasm here #]. Questo capitolo è stato complicato, se non altro perché non sono abituata a scrivere scene d'azione. Beh, immagino che dovrò imparare. Non ci sono osservazioni particolari che volevo proporvi, a parte due. La prima riguarda il personaggio principale, Sybil. Ciò che mi piacerebbe delineare in lei, è una tendenza a pensare troppo (il flusso dei suoi pensieri è molto...pomposo?) e a parlare, invece, con grande difficoltà, o poco tatto. Spero di riuscire a caratterizzarla sempre più chiaramente nel corso della storia. La seconda osservazione è banale, ma importante. Se vi state chiedendo "ma Mr.S. è un voluto riferimento al Dottor S. di Svevo?" la risposta è sì. Se avete qualche dubbio sulle nozioni scientifiche che ispirano questa originale chiedete pure: vi assicuro che sono molto semplici, o non mi permetterei a chiamarle in causa, non essendo particolarmente dotata in questi campi.
Ringrazio le 49 persone che mi hanno inserito tra gli autori preferiti, chi segue questa storia e magari, gentilmente, la recensisce. Un bacio a Viola, Charly, Liz, Ania e allo Stello.