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Autore: Nimue_    11/06/2014    4 recensioni
1944, una giovane donna viene prelevata con la forza e condotta in un luogo di cui nemmeno nel peggiore dei suoi incubi avrebbe immaginato l'esistenza.
Settantaquattro anni dopo la storia si ripete, ma quando Sybil Crowford ne capisce il disegno è troppo tardi.
Sua sorella è sparita. Loro sono venuti a prenderla, e lei ha detto di sì.
[Distopica - YA]
Dal capitolo:
"Che succede se me ne vado senza salutare? E se mi invento una scusa qualunque? Sono libera di andarmene quando voglio. O forse no. Dipende tutto da lui.
- Tua sorella è davvero, davvero un'ottima chimica , - sorride.
Poi la porta del laboratorio si spalanca."
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 2
Irreversibilità: una reazione chimica si dice irreversibile quando  non è possibile
 recuperarne  i reagenti una volta che questi si sono trasformati in prodotti.
Le irreversibili sono reazioni di non-equilibrio.
C(g) + O2(g) → CO2(g)


CAPITOLO 2.

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Il disastro non ha suono.
C’è solo un innaturale silenzio qui intorno, qui dentro, qui. Nel petto, dove non riesco a sentire il soffio del mio respiro.
Tento di schiudere le palpebre incollate, ma se apro gli occhi ciò che vedo è una miriade di punti cangianti che vorticano in un moto disordinato. La velocità strappa loro strati su strati di  colore, e non passa molto tempo prima che comincino a sbiadire. Quando riesco a focalizzare la fanghiglia sotto di me sono ancora del tutto sorda. Improvvisamente mi sento soffocare dalla paura irrazionale che in questa campana di vetro nella quale non c’è alcun rumore l’aria finirà per consumarsi.
Se non lo sentissi pulsare sottopelle non riuscirei a credere che il mio cuore possa battere tanto affannosamente senza martellarmi i timpani.
Delle braccia gracili mi tirano verso l’alto, ma le ginocchia non riescono a reggere il mio peso. Scivolo di nuovo, ancora e ancora.
Qualcuno mi scuote forte per convincermi ad alzarmi.
Non posso sentirti, chiunque tu sia. Non sento niente.
Una ragazza dai capelli corti muove la labbra spaccate in un muto incitamento. La osservo, confusa. Carne viva le scivola lungo il mento appuntito.
Vorrei poter c –
Uno strattone.
Il polso fa male quando lo artiglia per rimettermi in piedi, ma ritrovato l’equilibrio il Mondo smette di dondolare e si ferma ad aspettarmi. Strabuzzo gli occhi per orientarmi. Tutto ciò che vedo è –
Strattone.
La spingo lontano, mormorando un ringraziamento che non sono sicura di aver detto ad alta voce. La ragazza si dilegua senza  pensarci due volte. La seguo con lo sguardo, e alla confusione subentra il panico. Questa volta non ho bisogno di soluzioni psicoanalitiche per capire che cosa stia succedendo, né di una partita a scacchi con Mr. S.
La scuola in fiamme è una spiegazione sufficiente.
Comincio a ricordare che cosa è successo, immobilizzata dallo smarrimento e dal dolore delle contusioni. Io e Lilith stavamo parlando - no, litigando, - quando il sensore ha cominciato a brillare, e l’ala est (sud?) è saltata in aria.
Mi guardo intorno con la vista che trema: le pareti dell’edificio si stanno sbriciolando come gesso, e di Lilith, come del suo sensore, non c'è traccia.
Ingoio la saliva per stapparmi le orecchie ovattate. Ci riprovo. Spalanco la bocca e la richiudo più volte, allontanandomi dalla l'area in fiamme. Eco indistinte riempiono il cortile, coperte dal ruggito del fuoco.
Attentato.
E’ la prima parola che riesco a sentire mentre cerco di infrangere la campana di vetro una volta per tutte, ma suona distante come il ritornello di un incubo.
Terroristi.
L’ultima volta che qualcuno ne ha parlato è stato durante la Rottura: dopo quell’Inferno nessuno aveva più avuto il coraggio di discuterne pubblicamente. I Governi rimasti avevano giurato che niente del genere sarebbe più accaduto, ma i governi ci hanno mentito così tante volte che perfino per Loro è diventato difficile rintracciare il filo connettore delle loro bugie.
Decine di studenti mi sfrecciano vicino, in preda al panico generale. Un campanello d’allarme mi scuote le interiora, costringendomi a pensare. Non posso rimanere qui. Non ho nessuna intenzione di diventare un arrosto.
Mi devo concentrare. Non ho tempo di cercare una spiegazione, né di avere fiducia.
Seguo il coro delle voci terrorizzate, instabile e ubriaca d'angoscia. Un piede dopo l’altro mi avvicino alle classi ancora intatte. L’ala nord (ovest?) non è ancora crollata.
Non posso guardarmi indietro. Ciò che conta è andare via e seguire il protocollo d’emergenza, ma non me lo ricordo. Dio, non lo ricordo. E sembra tutto così assurdo che forse potrei lanciarmi nel fuoco e scoprire che è tutto uno gioco, uno scherzo della mia mente.
Fuori i pensieri sconnessi, direbbe Mr. S. 
Mr.S.
che a quest'ora potrebbe essere ossa annerite e polvere e carbone.
Niente distrazioni. Protocollo d’emergenza.
Qualunque esso sia è chiaro che gli studenti non lo stiano mettendo in pratica: corrono, strillano, si sparpagliano e si spingono l’uno con l’altro. Quando mi accorgo di intralciare la loro fuga disperata verso i cancelli è tardi. Ho solo il tempo di accorgermi che se c’è qualcosa di più pericoloso di un incendio, è la paura. Poi mi sono addosso.

***

La sensazione è quella di venire investita da una mandria inferocita che mi assale fino a farmi perdere la cognizione dello spazio tutto intorno. Sento braccia tirarmi da parte e spalle spingermi con violenza, e puzza di bruciato e di sudore e di sangue. 
Il caldo emanato dai loro corpi che premono contro il mio è soffocante.
- Emily!
C’è una ragazza per terra, la stessa che mi ha aiutato ad alzarmi. Punto i piedi per terra e ammortizzo la spinta seguente, cercando di riprendere il controllo della situazione pur di non pestarle la testa. Quasi riesco a immaginare lo scricchiolio delle sue ossa quando decine di persone le schiacciano le mani. Le faccio scudo con la schiena, ma non sono abbastanza forte, e l’onda mi trascina via senza che possa opporre resistenza. Guardo i volti delle persone che mi circondano senza riconoscerne alcuno. Questo è il risultato di 10 anni di esercitazioni eseguite con troppa leggerezza, quando erano nient’altro che l’occasione di stringere la mano di qualcuno che ci piaceva.
Una mano come quella che si allaccia alla mia, trascinandomi lontano dal fiume in piena. Non c’è possibilità di risalirlo, né di lasciarsi travolgere dalla corrente: chi mi tiene stretta fende la marea di studenti di traverso, scivolando tra una persona e l’altra. Una gomitata mi cozza contro le costole, piegandomi in due, ma le dita mi stringono con disperazione e non mollano la presa fino a quando non siamo fuori. Braccia magre salgono a toccarmi le spalle in un abbraccio timido e maldestro, ma ricadono subito dopo. Basta questo a ricordarmi perché io e Alphy non possiamo essere amici. Ne ora né mai.

***

- Tu.
- Io, - rispondo.
Entrambi abbiamo il respiro affannato. Io per il dolore al petto e la fatica, lui per lo sforzo di averci tirato fuori dalla ressa e per lo sconforto che gli si legge sul volto.
- Credevo che fossi…
- Lilith, sì. Deve essere scappata insieme a tutti gli altri.
E’ quello che continuo a ripetermi, almeno. 
Pur di non guardarlo comincio a strusciare i polpastrelli vicino alle orecchie per controllare i danni all'udito. L'ho visto fare in un telefilm, qualche volta. Alphy stringe gli occhi grigi per nascondere la delusione.
- Grazie per avermi tirata fuori di lì, - dico amaramente, e allo stesso momento le sue parole coprono le mie.
- Stai bene?
Ci penso su prima di rispondere.
- No, per niente. Che diavolo sta succedendo?
Ci siamo allontanati dall’edificio in fiamme abbastanza da poterci concedere una tregua: le fondamenta della parte vecchia della scuola, quella costruita prima della Rottura, rovinano su loro stesse in un’esplosione accecante, coprendo il suono degli allarmi. Qualcuno deve aver chiamato i soccorsi.
- Non lo so. Non c’è stato tempo di fare supposizioni, ma di qualunque cosa si tratti questo disastro non è la conseguenza di una semplice fuga di gas.
Mi appoggio alla sua spalla per combattere la nausea, sebbene tremi più di quanto non faccia io. E’ appuntita, dalle ossa sporgenti e leggermente curvata verso il torace, come se Alphy non facesse che cercare di raggomitolarsi per cercare scomparire.
- Che intendi?
Quasi mi stupisco di quanto la mia voce suoni distante. Decine di aule vengono evacuate, e alle nostre spalle ululano le sirene dei vigili del fuoco.
- Guarda, - risponde, - guarda il colore del fuoco.
E io non posso non guardare le fiamme che danzano verso l’alto, come dita bellissime e terribili che cercano di catturare il fumo. Non posso non guardare il modo in cui il rosso sfuma fino a brillare di un azzurro fosforescente e gelido, perché mai ho visto qualcosa di così innaturale in tutta la mia vita.
- No, non.. Non è possibile. Il fuoco non può avere il colore del ghiaccio.
- Certo che può, - le sue labbra si schiudono appena quando parla. Oltre gli occhiali nasconde quell'aria intellettuale tipica dei lineamenti di Lilith.
- Sì, se siamo sul set del prossimo X-Men!
- Può, - sbotta a voce stridula - se brucia a 1400 gradi centigradi e c'è qualcuno ad alimentarlo!
Alphy mi rimprovera di aver nominato X-Men in un momento del genere, e si rifiuta di scappare. E' tanto incuriosito quanto sicuro che il fenomeno non possa durare oltre.
Non sono mai stata un scienziato, né potrei darmi alla chimica in un momento del genere, ma le sue parole basterebbero a spiegare ciò che succede subito dopo.
Le vampate, che in pochi minuti hanno inglobato una grossa fetta dell’Istituto, perdono lucentezza, tornando dall'azzurro al bianco e dal bianco a tutte le gradazioni del rosso. E’ uno spettacolo surreale, sospeso nel calore insopportabile dell'aria. Per quanto mi sforzi di convincere Aplhy ad andare via, non riesco a staccare gli occhi dalla striscia di morte che rincorre tutto ciò che non sia ancora stato ridotto in cenere.
Ed è così che la vedo, a fare strada al fuoco, addentrandosi in un edificio che ancora resiste al crollo. Unica rimasta a sfidare la pira. Gonna verde pastello e treccia castana. Lilith.

 

***

Sono un animale che segue l’istinto. Le mie gambe si muovono senza altro comando che quello inconscio di continuare a correre. E’ questo che fanno le sorelle quando una delle due è in pericolo, anche quelle che, come noi, non riescono che a detestarsi? Si precipitano nel bel mezzo di un attentato? L’unica certezza che tengo a mente è che non mi posso fermare. Se questo è reale come l’odore di fumo che impregna l’aria e la scuola brucia e la gente muore, devo raggiungerla e dirle che il suo stupido sismografo funziona. Devo portarla via da lì, senza perdere tempo a chiedermi perché abbia sviluppato manie suicide negli ultimi dieci minuti. Può capitare e basta, immagino.
Alphy non è abbastanza veloce da raggiungermi. Mi sfilo la giacca sintetica, schivando un pericolo dopo l’altro con il rischio di spezzarmi l'osso del collo: avvicinarsi all'edificio è come schiantarsi contro un muro di nebbia bollente. Tossisco, ma non smetto di correre fino a quando non sono dentro. Se mi fermassi adesso mi renderei conto di aver fatto quella che è allo stesso tempo la scelta più coraggiosa e più folle.

***

Mia sorella se ne sta al centro di un corridoio saturo di fumo, come una bambina che ha perso la strada di casa. Ha l’aria febbricitante, ma non è spaventata. Sembra piuttosto insicura, e si guarda intorno senza quasi notarmi. Dei neon precipitano da soffitto, crepitando in migliaia di scintille. Non riesco a trattenere un grido.
- Lilith, che cavolo stai combinando? Dobbiamo andarcene da qui!
Allungo un braccio per afferrarla, ma la corrente rischia di friggermi la pelle. Così maledettamente vicina e allo stesso tempo così lontana da lei, cerco un modo per riportarla dal mio lato del corridoio.
- Ti si è spento quel cervello da genio? Forza!
Lilith non sembra dare peso alla nostra morte imminente. Non lo fa nemmeno quando le scintille, alimentate dal calore insopportabile dell’aria, sciolgono i cavi della corrente e prendono fuoco. Fiamme alle sue spalle, fiamme di fronte a lei. Lilith è bloccata.
Arretro in un balzo, chiamando aiuto fino a quando la gola comincia a gonfiarsi. Passano secondi interminabili prima che Lilith si decida a reagire.
- Non c’è niente che tu possa fare, - dice, ma nel caos la sua voce è ridotta a un sussurro.
- C’era bisogno di questo, di una reazione irreversibile come la combustione. Non si è mai disposti ad andare avanti e a cambiare le cose se c’è ancora la possibilità di tornare indietro.
Lo dice tutto d’un fiato, rovinando sulle ginocchia. Adesso ricordo perfettamente ciò che è successo prima dell'attentato, ricordo come Lilith mi fosse sembrata irrimediabilmente diversa dalla ragazza perfetta che tutti stimavano. Quell'ombra è di nuovo su di lei, più buia quanto più arde il fuoco, e io non la riconosco più. Non è più Lilith quella che sembra in viso.

Nient’altro che cenere riesce a raggiungere i mie polmoni, e troppo presto mi accorgo di non riuscire a respirare. Non respiro.
Non - 
Respiro.
Stordita, soffocata, sono costretta ad allontanarmi. Un passo alla volta retrocedo tra le macerie, sempre più indietro, mentre il fuoco divora lo spazio che mi separa da esso. E improvvisamente il suo petto si scontra con la mia schiena.
Non avevo mai pianto di gratitudine prima di vedere i soccorritori materializzarsi tra le volute di fumo. Gemiti strozzati consumano il poco ossigeno che mi è rimasto. Mi avvinghio al primo uomo che riesco a toccare, quello alle mie spalle: vorrei poterlo supplicare di portarmi fuori, ma Lilith è ancora lì, senza via di scampo, e le sue ginocchia hanno ceduto.
- Mia sorella!
Posso solo pregare che l’abbiano individuata. Tendo un braccio a indicarla; sembra assurdo che sia ricoperto da vesciche pulsanti, del colore vivo della carne. Perché non provo dolore?
L’uomo mi indica una luce che filtra la cenere: vuole che raggiunga l’uscita.
- Dovete salvare mia sorella! 
Il soccorritore mi mette da parte con una spinta violenta. E’ interamente ricoperto da una tuta gelida e perlacea dalla strana consistenza, che scivola sotto la pelle.
Una squadra bianca e silenziosa mi supera senza accorgersi della mia esistenza. Il resto dei soccorritori avanza tra le fiamme, come stesse attraversando dell'acqua limpida; il fuoco accarezza le loro uniformi mentre si fanno strada per raggiungere Lilith. Non hanno un estintore, né un idrante, nemmeno un briciolo di esitazione. Scivolano a passi sincronizzati, quasi eseguendo una coreografia preparata con cura, con le maschere riflettenti a nascondere le loro espressioni.
Vedono il fuoco come lo vedo io?
Sono costretta a cedere spazio. Non ho il coraggio di guardare di nuovo le mie braccia: una sostanza appiccicosa scivola lungo le mani, colando dalle dita. E ancora non provo dolore.
L’uomo mi spinge di nuovo verso l’uscita, ma mi rifiuto di scappare senza prima assicurarmi che portino Lilith al sicuro.
Forse hanno una tuta anche per lei.
Raggiungono Lilith a piccoli gruppi. Prima due, poi tre, sei. Lei, con i capelli bruciacchiati, sorride di gratitudine quando l’avvolgono in un cerchio per cercare di proteggerla.
Sventolo le mani in aria per incitarli: non posso resistere oltre.
- Dobbiamo andarcene!
Il gruppo di soccorritori non mi guarda, ma deve avermi sentito. Cominciano a camminare lentamente, poi sempre più veloce.
Ma lo fanno dalla parte opposta.
- Dove state andando?
Una trave si stacca dal soffitto e si schianta sul terreno. La temperatura all'interno dell'edificio è così alta che sembra di stare precipitando nel centro della Terra. E' stata Lilith a insegnarmi che la superficie rocciosa nasconde un cuore di magma pronto ad esplodere. Fuori. I. Pensieri. Sconnessi.
- Dove la state portando? Lilith!
Il mio ultimo grido di disperazione viene schiacciato dal fragore del disastro: se tutto era iniziato del silenzio, adesso decine di sirene squillano ininterrottamente, le tubature si piegano e ogni cosa viene consumata da lingue ardenti.
Non riesco più a scorgere mia sorella, e non c'è nulla che io possa fare. E' troppo tardi, ed è tutto troppo grande per potere essere affrontato. Se non lascio andare Lilith, non avrò speranza.
La squadra in bianco si dilegua nella direzione opposta e a me non resta che andarmene prima di sciogliermi come cera. Mi copro il naso con la maglietta e soffoco l'idea che mi carbonizza più del fuoco: se riesco a sopravvivere, questa potrebbe essere stata l’ultima volta in cui ho visto mia sorella.
Ripercorro il corridoio, incrociando un altro gruppo di soccorso.
Un uomo basso dalla corporatura robusta mi prende in braccio e continua a correre per me. Non sarei riuscita a fare un altro passo, da sola. 
L’uomo dice che sono salva, che andrà tutto bene, che non devo piangere, ma una volta fuori lo costringo a lasciarmi andare. Tutto ciò che avevo nello stomaco esce fuori in un fiotto acido, e quando il pranzo è finito vomito bile e saliva. E’ insieme a tutto il resto che si libera il dolore, mentre sento la pelle staccarsi nei punti in cui le vesciche sono scoppiate. L'uomo mi tiene la fronte con una mano e continua a parlare.
- E’ finita, - mormora.
Le lacrime sono una grande delusione: non bastano e non sono fredde abbastanza. Si asciugano sulla pelle bollente senza averla guarita, senza potermi guarire. Non voglio alzare lo sguardo e affrontare il numero dei sopravvissuti.
Mi portano via su una barella, premendomi una maschera di plastica sulla bocca riarsa. Sono costretti ad allontanare i giornalisti con spintoni e insulti. E’ questo ciò che vogliono vedere in televisione, loro che non conoscevano di persona quelli che forse sono morti?
- E’ finita, piccola. 
La voce dell'uomo si addolcisce mano a mano che ci allontaniamo dalla scuola. Continua a parlarmi fino a quando un ago non mi perfora la base del collo, e un calore diverso, piacevole, mi riempie.
Non rispondo.
Torno sotto la mia campana di vetro, dimenticando come si fa a parlare. Non gli dico che muoio di dolore, o che mia sorella era bloccata tra le fiamme. Non gli  dico che gli uomini che l’hanno soccorsa non avevano la sua stessa uniforme.



Angolo Autrice: come avrete capito sono molto veloce quando si tratta di aggiornare [insert sarcasm here #]. Questo capitolo è stato complicato, se non altro perché non sono abituata a scrivere scene d'azione. Beh, immagino che dovrò imparare. Non ci sono osservazioni particolari che volevo proporvi, a parte due. La prima riguarda il personaggio principale, Sybil. Ciò che mi piacerebbe delineare in lei, è una tendenza a pensare troppo (il flusso dei suoi pensieri è molto...pomposo?) e a parlare, invece, con grande difficoltà, o poco tatto. Spero di riuscire a caratterizzarla sempre più chiaramente nel corso della storia. La seconda osservazione è banale, ma importante. Se vi state chiedendo "ma Mr.S. è un voluto riferimento al Dottor S. di Svevo?" la risposta è sì. Se avete qualche dubbio sulle nozioni scientifiche che ispirano questa originale chiedete pure: vi assicuro che sono molto semplici, o non mi permetterei a chiamarle in causa, non essendo particolarmente dotata in questi campi.

Ringrazio le 49 persone che mi hanno inserito tra gli autori preferiti, chi segue questa storia e magari, gentilmente, la recensisce. Un bacio a Viola, Charly, Liz, Ania e allo Stello.

 

   
 
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