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Autore: Some kind of sociopath    11/06/2014    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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In tutta la mia vita, per quante possa averne combinate, non sono mai stato in una prigione. Men che meno a Bridewell. Se l’esterno dava un’impressione di imponenza e rigidità, dall’interno somigliava un po’ alle segrete di un forte: pareti coperte di muffa, vecchie scale di legno, le celle – disposte su ogni lato – con il pavimento coperto di vecchia paglia e così anguste che i prigionieri non potevano nemmeno stendere le gambe. Ringraziai la mia buona stella per non essere mai stato arrestato e non riuscii a trattenere un sorriso al pensiero di Connor, quel bestione, pressato in una cella con la mente annebbiata dalla rabbia. Si era fatto scappare Thomas ed era stato incarcerato per qualcosa che non aveva fatto. Oh, povero il mio figliolo.
Gli stava bene, ecco cosa pensavo. Se non avesse sempre manifestato tutto quest’interesse per mettere a morte i miei uomini avremmo potuto collaborare sul serio, seguendo il mio piano, e nessuno si sarebbe fatto male. Invece no, mettiamo a soqquadro la città solo perché voglio far vedere a Haytham di avere ragione! Imbecille.
Avanzai con cautela all’interno del penitenziario, le orecchie tese e lo sguardo pronto a scattare su qualsiasi flebile alone avessero proiettato le lanterne sul pavimento sudicio. Il segreto era, come sempre, nello sfruttare le ombre. E sperare che nessun prigioniero avesse voglia di farsi beffe del sottoscritto strillando che c’era un intruso. Dio, sarebbe stato davvero spassoso, certo! Già muoio dalle risate.
Al piano inferiore c’era solo un soldato di guardia, più altri tre o quattro sulle scale. – Giornata produttiva, eh? – fece uno di loro. – Ne abbiamo arrestati due. Altri di quei falsari bastardi.
– Almeno sapessero fare del denaro decente – disse un altro con voce lamentosa. – Persino un bambino capirebbe che quelle non sono sterline. Dicono che a Boston ci sia una banda di falsari imprendibile. I mercanti si accorgono di essere stati fregati solo quando devono versare alla Corona. Diavolo, quelli sì che sanno fare il loro mestiere! – Gli altri soldati ridacchiarono mentre strisciavo davanti alle celle, cercando i visi familiari di Connor e Thomas nella penombra oltre le sbarre.
– Non dovresti dire cose del genere – mugolò petulante un terzo soldato. – E se fregassero te?
– E se la smettessi di dare aria alla bocca, Walker? – Sbirciai lentamente in un’altra cella. Il soldato di pattuglia al piano inferiore si era fermato con la lanterna sollevata verso le scale, tutto intento a seguire la simpatica scenetta in atto tra i suoi compagni. A me serviva che camminasse. Più tempo restavo in uno stesso punto e più facilmente mi avrebbero notato. – Cristo, sei un maledetto iettatore!
Di nuovo ci fu un’esplosione generale di risate. Mi tremavano le mani. Scivolai trattenendo il fiato verso la parete opposta, senza sapere cosa sperare. Se la guardia avesse ricominciato a camminare avrebbe potuto vedermi, ma se fosse rimasta lì sarei dovuta passarle dietro, magari attirando l’attenzione dei soldati sulla scala. Non potevo rischiare fino a quel punto. – Ridete quanto vi pare, stronzi – grugnì di nuovo lo iettatore, – io ho un turno da finire.
– Dai, Colin, si scherza! – esclamò con un sorrisone il soldato di guardia al piano inferiore. Il mio uomo. – Non te la prendere! Certe volte sembri proprio una donna.
Strisciai lungo il muro con il respiro bloccato nel petto. – Fottiti! – Però, per essere a guardia di decine di criminali si divertivano parecchio, questi tizi. Passai velocemente davanti alle celle restanti mentre i soldati si sbellicavano dalle risate. La maggior parte dei prigionieri dormiva, quelli svegli mi lanciavano occhiate vitree o colme di disprezzo, come se fossi uno scherzo della loro mente di cui liberarsi al più presto. Quindi Thomas e Connor erano al piano superiore.
Cazzo, pensai lasciando andare il fiato dalla bocca. Non avevo altra scelta che quella di farmi strada.
Ovvero versare sangue sul pavimento nudo.
Avanzai dalle ombre come se ne fossi parte e pugnalai la prima guardia alla base della schiena con la lama celata. Il rumore del meccanismo scattato e quello più viscido del sangue che imbrattava il pavimento fecero il lavoro di cinque campane d’allarme. – Gesù santo! – strepitò uno dei soldati imbracciando la baionetta e puntandomi la canna contro. – Metti giù le armi, stronzo!
Non attesi che mi colpissero per primi. Sollevai la pistola, che grazie a Dio avevo già caricato prima di uscire dalla locanda, e pochi secondi dopo la testa del patriota aveva un terzo occhio in mezzo alla fronte. Perfetto. Avevo sprecato tutti i miei proiettili lanciandoli contro la campana, mi restavano solo la spada e la lama celata.
Poco, in effetti. Ma d’altro canto erano state quelle armi a far cadere la maggior parte delle mie vittime, quindi mi conferivano una certa sicurezza.
Salii le scale due gradini alla volta e sfoderai la spada evitando una palla di moschetto, dopodiché staccai il braccio di un uomo con una giravolta. Immediatamente quello cominciò ad urlare. Perché devono sempre urlare? Santo cielo. – Non ti muovere – fece con voce tremula il soldatino petulante. Sentivo la punta della sua baionetta tra le scapole.
L’imbecille avrebbe potuto fare fuoco, invece di minacciarmi inutilmente in quel modo, ma come ho detto era un imbecille, quindi non mi stupii più di tanto quando, attraversando la sua faccia con la spada, non ebbe la benché minima reazione. Non mi sparò nemmeno per uno spasmo muscolare. Era bello che morto, il viso – ancora tempestato dall’acne – attraversato da un grosso squarcio slabbrato e grondante rosso.
Ne restavano solo due. No, mi sbagliavo. Due, più il soldato di guardia al primo piano. Maledizione.
Uno degli uomini di fronte a me ebbe la prontezza di sparare alle mie gambe, ma quelle scattarono di lato quasi indipendentemente dalla mia volontà. Dio, era come essere tornato a lavorare per Reginald. O peggio, per Braddock. C’era sangue dappertutto, da quanto tempo non uccidevo così tante persone? Non ero nell’atteggiamento adatto a quei pensieri.
Allungai la mano verso il fucile del soldato in questione prima che ricaricasse, glielo strappai via dalle mani e affondai la baionetta nel suo stesso stomaco mentre implorava pietà. Il penultimo fu forse il più stupido. Mi si lanciò contro alla carica. Forse pensava che per mettere a terra un uomo bastasse correre verso di lui, il povero illuso. Feci un passo verso destra, lo afferrai per i capelli facendogli inarcare la schiena e, con l’altra mano, estrassi la spada lunga dal fodero che portava alla cintura. Un secondo dopo era morto, impalato sulla sua lama come una bizzarra statua di se stesso.  
Ero completamente coperto di sangue. Gesù.
L’ultimo soldato aveva gettato la baionetta a terra e s’era prostrato ai miei piedi come un fedele davanti a un’apparizione della Vergine. Che onore. Invece di avere le mani giunte, però, le tendeva verso di me. Implorava pietà, misericordia, di poter rimanere in vita, la voce rotta dai singhiozzi. Chiamava a raccolta tutti i particolari che avrebbero potuto scalfire il mio cuore, come i suoi compagni prima di lui.  
Era inutile, poverino, e lo sapeva perfettamente, ma al contrario degli altri sembrava avere un’arma segreta. Aveva qualcosa in mano, osservai chinando la testa. Un vecchio anello di metallo arrugginito che sollevai con due dita e l’aria sospettosa. Un mazzo di chiavi.
Mi voltai verso il patriota con stupore, ma quello si era alzato improvvisamente in piedi, probabilmente basito perché non avevo già messo fine alla sua vita, e fece la cosa più ovvia. Quella che non ero riuscito a prevedere.
Strillò come una femminuccia.
Non ero più abituato a vedere uomini strillare, per essere franco. Io… insomma, pensavo che ai soldati s’insegnasse a mantenere un minimo di dignità in tutte le situazioni. Era ciò che mi aveva inculcato in testa Edward Braddock. Dio, si possono dire tante brutte cose di quell’uomo, ma era certamente un soldato migliore di Washington. Rimasi a bocca aperta per qualche secondo prima di avvicinarmi a quella mammoletta, spingerlo a terra e affondargli la lama nella gola.
Sospirai, passandomi le mani sporche di sangue sugli occhi. Non avevo la forza di contare le mie vittime, mi limitai a stringere le mani attorno alle chiavi, sollevare una lanterna superstite – grazie al cielo non era andato a fuoco nulla – e fare un rapido giro delle celle.
– Capo? – Fu Thomas Hickey a vedere me, ad essere sincero. – Capo, sei davvero tu? Te la sei presa comoda.
Roteai gli occhi al cielo avvicinandomi alla sua cella. – Alla faccia della gratitudine – dissi abbandonando la lanterna a terra e stringendo le mani attorno alle sbarre. – Mi dispiace, probabilmente questa giornata senza puttane deve aver scombussolato il tuo fisico.
Thomas sorrise con aria maligna, poi si avvicinò alla porta della sua cella, sporse il braccio magro e diede una manata sul muro della cella accanto. – Ehi, tu! Hai visto chi c’è? – Quel suo gran ghigno sulla faccia lo faceva somigliare ad un lupo. Gli avevano tolto la redingote e gli stivali, lasciandolo a piedi scalzi in camicia e pantaloni. Uh, no, nessun rispetto per un affascinante gentiluomo britannico quale Thomas Hickey, pensai con un mezzo sorriso.
– Haytham. – La voce di Connor arrivò dalla cella accanto in un gelido sussurro. – Complimenti per l’opera. Quanti innocenti?
Mi venne voglia di allontanarmi dalla porta di Thomas e dargli un pugno in faccia. Invece feci scorrere le chiavi intorno all’anello di metallo e ne infilai una nella toppa della cella. – Dimmi una cosa, ragazzo – esordii constatando che la chiave non era quella giusta e cambiandola. – Sarebbero stati ugualmente innocenti se non avessero indossato l’uniforme dell’Esercito Continentale?
Thomas Hickey scoppiò a ridere, mentre si lasciava cadere seduto sul pavimento della cella e mi squadrava con occhio critico. Stava notando qualcosa che gli era sfuggito nella breve conversazione avuta prima dell’agguato degli Assassini. – Che cazzo hai fatto alla mano, capo? – Il suo tono era completamente cambiato e il ghigno aveva lasciato posto ad una smorfia perplessa.
La seconda chiave girò, facendo scattare la serratura, ma bloccai la porta della cella con un piede. Volevo divertirmi un po’, niente di personale. – Moderiamo i termini, Thomas – dissi sorridendo. – O potrei decidere di lasciarti qui ancora un po’.
Si alzò in piedi, arrotolandosi le maniche della camicia con aria di disapprovazione e senza distogliere un attimo lo sguardo dalla mano sinistra. – Perché l’hai fatto? – chiese, e per un attimo mi parve sinceramente interessato.
– Oh, un errore mentre mi tagliavo le unghie. Un banale incidente – replicai guardandolo attraverso la mano sinistra aperta, lui in corrispondenza del moncherino. – Una gentile concessione dei nostri amici Mohawk – ammisi, sentendo la voce venarsi di disapprovazione. – C’è in ballo un affare importante.
Annuì con un grugnito. Aveva compreso precisamente di quale affare si trattasse, ma non era la sua più impellente priorità scoprire quale altra pazzia avevo in mente. Uscire di lì, il succo del discorso era quello. S’avvicinò alle sbarre e spinse la porta con una spallata, ma continuavo a tenere il cancello di metallo fermo con un piede. – Andiamo, Haytham – si lamentò sollevando gli occhi al soffitto. – Fammi uscire. Sono anche in astinenza da birra, non ti conviene farmi incazzare.
Scoppiai a ridere e lanciai un’occhiata noncurante alle unghie della mia mano destra, fischiettando, e spostai di colpo il piede dal cancello proprio mentre lui tornava a spingere con tutte le sue forze.
Thomas caracollò, rischiando di cadere a faccia in avanti pavimento sudicio di Bridewell. Fortunatamente tanti anni di bevute non avevano intaccato il suo equilibrio da schermidore. – Sei proprio un bastardo da quattro soldi! – Mi guardò ridacchiando. – Non cambi mai, Kenway.
Avevo colto la nota d’ammirazione nella sua voce, e non riuscii a trattenere un sogghigno passando dalla cella di Hickey a quella di Connor. Mio figlio era accovacciato nell’angolo della cella con un occhio pesto e la casacca sbrindellata, oltre che sporca di sangue. Oh, be’. Capita. – Sempre contento di vedermi, eh? – feci affondando una chiave nella toppa.
Continuò a guardare fisso davanti a sé, ovvero nella mia direzione, ma senza prestarmi davvero attenzione. – Risparmia il fiato. – Sembrava incredibilmente stanco. Davvero bastava un giorno e mezzo di gattabuia a spossarlo? Bah. Cambiai chiave e decisi che non valeva la pena di provare ad avere una conversazione con lui. – Sei contento, immagino. Stai tenendo in vita quel bastardo, esattamente com’era nei tuoi piani.
Thomas sorrise. Effettivamente, l’aggettivo bastardo sembrava forgiato a misura di Thomas Hickey. – Connor, non puoi andare in giro uccidendo chiunque ti capiti a tiro, lo sai, vero? – Strattonai la chiave per farla girare, e quella non si spostò d’un millimetro. Cambiai ancora. 
Sospirò. – Non sei la persona giusta per dirmelo, Haytham – disse indicando il disastro di cadaveri che mi ero lasciato alle spalle.
– Un gran bel lavoro – constatò Thomas avvicinandosi ai corpi. – Davvero, non hai nemmeno avuto bisogno di combattere, capo. Stupidi.
L’ultima chiave provata non entrava nemmeno nella serratura. Saltai quella che aveva aperto la cella di Thomas e infilai la rimanente nella toppa. – Onore al merito – disse Hickey mimando un inchino.
– Pensa ad aprire quella porta – bofonchiò Connor alzandosi in piedi.
Strinsi la mano intorno alla chiave e vi diedi uno strattone. Poi impallidii.
Non girava. – Oh, merda – grugnii appoggiando la fronte contro le sbarre. – Maledizione. – Tirai violentemente fuori il pezzo di metallo e ne infilai un altro.
Connor scattò in piedi. – Che succede? – Sembrava in preda al panico.
– Non si apre – dissi in un grugnito.
– Non si apre? – Si passò le mani tra i capelli. – Guarda che quella l’hai già provata.
– Le ho provate tutte, genio! – Roteai gli occhi e scelsi un’altra chiave con il sudore freddo che scorreva lungo la mia schiena.
– Ma che peccato – bofonchiò sarcastico Thomas, scavandosi nelle tasche con noncuranza.
– Chiudi il becco, Hickey.
Il mio vecchio socio si sfilò dalla tasca dei calzoni una piccola pipa e qualche fiammifero. Come se li era procurati? Un sorriso malizioso mi lampeggiò sul viso. Quali servigi aveva offerto per ottenere quei beni, cosa aveva dovuto fare – o subire – per la più miserabile dose di tabacco? Thomas Hickey era disposto a tutto per non abbandonar le vecchie abitudini e i piaceri che inseguiva da tutta la vita. Piaceri che creavano in lui una certa dipendenza. In fondo, l’uno valeva l’altro, dico bene? Non c’era l’alcool? Poco male, aveva il fumo. E allo stesso tempo, se le mie ipotesi – che mi fanno sembrare una comare ficcanaso – erano veritiere, avrebbe potuto ottenere anche il sesso. Anche in questo caso, immagino che per lui un buco valesse l’altro.
Scacciai quei pensieri inopportuni, scrollando il capo con una risatina totalmente stonata. Una tremula fiammella brillava sulla capocchia del fiammifero stretto tra il pollice e l’indice di Thomas per dare fuoco al tabacco che riempiva la pipa. Prese una boccata e lo scagliò ancora acceso nella cella di Connor. – Chiudilo tu, mezzosangue! – abbaiò mentre il ragazzo calpestava la fiammella per evitare di finire grigliato.
Mio figlio si attaccò alle sbarre per provocare Thomas. – Sei proprio un idiota – ringhiò con i denti scoperti.
– State zitti tutti e due, porca miseria! – sibilai mollando uno scappellotto a Hickey. Il mio socio gemette, ma non me ne curai. – Ce le avrà addosso qualche cadavere. Le troveremo. Ti porteremo fuori di qui.
Mi voltai verso i cadaveri e per poco non mi pisciai addosso quando un altro soldato tuonò: – Porca puttana! Intrusi! Alle armi!
Thomas Hickey si passò una mano sulla nuca e mi lanciò un’occhiata supplichevole. Merda. Eravamo nei guai. – Torneremo domani, ragazzo – sibilai voltandomi di nuovo verso Connor. – Adesso ci conviene tagliare la corda.
– Domani? – Il mezzosangue infilò la faccia tra le sbarre, guardando in cagnesco Hickey. – Non gli hai detto nulla, vero?
Nonostante il pericolo incombente Thomas non riuscì a reprimere una risatina da iena. – Che mi dovrebbe dire? – sussurrai con un groppo in gola. Altri guai, per l’amor del cielo, no, non ne potevo più.
– Domani gli infileranno una gran bella collanina, capo – disse Hickey a mezza voce, senza smettere di ridacchiare.
Oh, cazzo. Avevo capito, ma guardai comunque Connor con tanto d’occhio. – Stanno allestendo la forca – sibilò con disprezzo. – M’impiccheranno domattina.
Non sapevo bene come reagire. Perché tutti i problemi si presentavano nello stesso momento? I soldati, un’imminente impiccagione… Perdio, non potevo essere lasciato in pace solo per mezzo minuto? – Capisco – dissi sguainando la spada. – Ma ora non ci posso fare niente.
Il ragazzo sbiancò. – Non ci puoi fare niente? Come sarebbe a dire che non ci puoi fare niente? È esattamente quello che volevi, non è vero? – strepitò come una donnicciola. Mi crebbe dentro la tentazione di sbattergli l’elsa della spada sui denti. – Bravo! Ammazza me, ammazza Washington, fa’ quello che ti pare. Non fermerai gli Assassini, hai capito? Non fermera…
– Sta’ zitto. – Prima che io stesso potessi rendermene conto avevo infilato in braccio tra le sbarre, stringendolo per la camicia. – Torneremo – grugnii con le orecchie rizzate. Gesù, sentivo i tacchi risuonare su e giù per la prigione. Oppure era solo la mia immaginazione? Mi stavo facendo condizionare? – Torneremo – ripetei spingendolo verso il muro. – Una sola parola su tutto questo e sei morto, hai capito? Morto sul serio – gli intimai indicando il macello di cadaveri sanguinanti sul pavimento.
Non aspettai che Connor rispondesse, semplicemente gli voltai le spalle e lanciai la spada a Thomas. – Usala, se necessario. – Mi sarei dovuto far strada tra i soldati a suon di lama celata. – Non c’è un’uscita sul retro o qualcosa del genere? – sussurrai con i nervi a fior di pelle.
– Li troveremo. Cani bastardi. – Le voci dei soldati sembravano provenire da ogni angolo.
– Io controllo di qua!
Thomas mi lanciò un’occhiata. Non avremmo lasciato a nessuno il tempo di controllare. Scendemmo le scale il più in fretta possibile e lasciai che Hickey s’acquattasse davanti all’uscio mentre camminavo avanti e indietro, cercando di pensare. Imboccai l’altra uscita, quella che teoricamente portava all’altra ala laterale di Bridewell. Sentii Thomas, dietro di me, tappare la bocca di un soldato e trapassarlo con la mia spada. Un gemito che solo gli orecchi più esperti avrebbero percepito.
Imprecai a mezza voce intravedendo le gambe di un soldato poco più avanti. I soldati non passeggiano allegramente per un penitenziario in piena notte. Specie dopo aver ricevuto un allarme. Tornai velocemente da Tom e lo presi per un braccio. – Ci serve una porta. Una porta, mi hai capito?
Quello sbuffò dal naso. – E io che ci posso fare, capo?
Roteai gli occhi, mollando un calcio al cadavere del soldato che aveva appena ucciso. La sua giacca si macchiò di sangue, facendomi venire un’idea. Sollevai lo sguardo su Hickey con le sopracciglia sollevate. – Non funzionerà – grugnì Thomas scrollando il capo. Forse ha ragione, pensai in cuor mio. Le altre volte non è andata poi così bene.
Già, ma non volevo ricordare le altre volte. – Dammi la spada, trova un corpo messo meglio e cambiati.
– Haytham.
– Sant’Iddio, Thomas, fa’ quello che ho detto. – Ero o non ero il suo Gran Maestro? Aveva una cicatrice sul polso che teoricamente confermava la sua fedeltà a me. Al mio modo di gestire le cose. Quindi era quasi obbligato ad ubbidirmi. – Dammi retta. – Almeno tu.
Scommetto che mi guardò con aria scettica un’ultima volta prima di cominciare a spogliare uno dei cadaveri. I soldati parevano più svogliati del solito, per nulla intenzionati a scovarci davvero. Bastava fare la cose abbastanza silenziosamente.
Infilai la redingote nei calzoni – sarò ridicolo, ma non mi andava di perdere un’altra volta i miei vestiti – calzando l’uniforme blu dei patrioti, l’emblema delle Colonie ricamato sul petto. Thomas appariva appena più credibile di me, ma l’importante era sloggiare, rapidi e senza farsi prendere. Afferrammo due moschetti e avanzammo nei corridoi di Bridewell, diretti alla porta. – Cristo! – esclamò Thomas indicando la stanza che avevamo appena lasciato. – Guardate qua! Pare un mattatoio.
Mi venne istintivo sorridere. Questo sì che è da Thomas Hickey. Immediatamente il manipolo di guardia davanti alla porta varcò la soglia per gettarsi nella sala centrale, imprecando e abbassando le baionette. Il tutto mentre noi indietreggiavamo lentamente, uscendo piano dal penitenziario e costeggiando il muro di cinta.
Nella confusione nessuno fece caso a noi. Non fu nemmeno necessario scalare il muro, uscimmo dal varco principale come se niente fosse, abbandonando le giubbe da patrioti in un angolo della strada, infilandoci nelle viuzze e cambiando continuamente strada per evitare la Broadway. Presto o tardi si sarebbero resi conto dell’assenza di Thomas, e avrebbero cominciato a cercare da lì, dalla locanda in cui avevo alloggiato, magari.
Ci ritrovammo nella zona dei pontili, lungo Water Street. – Dio – brontolò Thomas passandosi una mano in faccia. – Che situazione di merda, eh, capo?
Mi sedetti sulle pietre con le gambe a ciondoloni sull’acqua, cercando di ordinare i pensieri. – Un’esecuzione. – Scrollai il capo. Avevo voglia di pestare qualcuno. – Geniale, non trovi? Il modo migliore per liberarsi dell’Assassino. – Sospirai, lanciando un’occhiata d’intesa al mio vecchio socio. – Forse devo spiegarti un paio di cose, ma senza quel ragazzo io sono fottuto. E non perché tenga a lui, ma perché mi serve per avere la Mela.
Thomas sgranò gli occhi, stupito. – Non ci credo. Corri ancora dietro a quel maledetto tempio, Haytham?
– Certo che sì – risposi con la massima naturalezza. – E anche se non lo facessi, sarebbe Reginald a guidarmici. Ha bisogno di me, esattamente come io ho bisogno di Connor.
Lanciò uno sputo in acqua. – Non ci capisco niente, ad essere sincero.
Affondai il viso tra le mani. Non c’era il tempo materiale per raccontargli tutta la storia e salvare Connor. Avevamo una tabella di marcia. – A che ora si tiene l’esecuzione?
Scrollò le spalle. – Che vuoi che ne sappia?
Grazie, Thomas. Grazie tante. Mi alzai in piedi, snervato dal suo atteggiamento. Doveva solo essere un po’ più collaborativo, non gli stavo certo chiedendo di tagliarsi un braccio. – Hai capito chi c’è dietro questa storia dell’impiccagione, vero? – Scosse la testa. Stavo chiedendo al suo cervello di lavorare senza essere sotto l’effetto dell’alcool, poveraccio, immagino dovesse essere scioccante per lui. – Ascoltami. Dove la faranno?
Sollevò le sopracciglia. – Oh, questo lo so. – Non riuscì a trattenere un sorriso sghembo, e quando mi disse il nome del luogo in cui mio figlio sarebbe stato condannato a morte capii perché. – Delancey’s New Square.
Oh, la Delancey’s. Scrollai il capo con un sorrisetto. Fino a poco tempo prima c’era una fattoria, in quella piazza, confiscata dai lealisti per creare un ampio e inutile spiazzo; Delancey’s New Square era deserta per la maggior parte del tempo, ma di sera – stando a quanto dicevano le voci di New York – si animava, specie a notte fonda, riempiendosi di prostitute e ragazzi, per chi avesse gusti diversi. Invece pareva che di giorno fosse la base operativa di una banda di ladri. Tranne quando i soldati piombavano lì per innalzare la forca, un’altra delle fonti di divertimento preferite dal grande pubblico.
Abbassai lo sguardo. – D’accordo. Andiamo, ti spiego lungo la strada. E muoviti, non abbiamo tutto il giorno.
– Non posso almeno fermarmi per una pinta? Ne ho bisogno. Non riesco a pensare senza.
– Farai uno sforzo – dissi, facendogli cenno di seguirmi e tornando verso la Broadway. – Forza. 

A favore di Thomas, posso dire che sul serio non riusciva a pensare senza birra. Dovetti ripetergli alcune cose – ciò che Reginald mi aveva fatto quand’ero ragazzo, ad esempio, o la faccenda della profezia – almeno cinque volte, perché continuava a distrarsi o si rifiutava di crederci. Straordinariamente cocciuto, quell’uomo. – Aspetta un secondo, capo, fammi capire – bofonchiò mentre ci arrampicavamo sugli alberi attorno alla piazza. – Tu sei una delle chiavi del Grande Tempio. Senza di te quell’affare non si apre.
– Esatto. Naturalmente ci servono anche una Mela dell’Eden e la Chiave, quella medaglietta verde che adesso è nelle mani di Reginald. – Mi issai faticosamente sul grosso ramo di un albero, cercando di non pensare a Tiio, al suo modo di arrampicarsi e di scovare appigli nelle cortecce nodose. – E l’unica Mela di cui conosciamo la posizione è nel villaggio di mio figlio.
– Quella che cercavamo noi.
– Già. – Quando Connor credeva aveste dato alle fiamme la sua casa. Invece avevate solo rapito sua madre.
Sospirò. – I Mohawk ti hanno tagliato il dito come pegno di un giuramento o qualcosa del genere, giusto? E ora tu hai il permesso di prendere la Mela e usarla per il nostro scopo, ma solo se prometti di riportarla al villaggio e di non usarla per dominare il mondo. Ah, e naturalmente tuo figlio dovrà tenerti gli occhi costantemente addosso per impedirti di farne ciò che vuoi.
– E dimentichi che quei bastardi non me la daranno se Connor non sarà lì a garantire per me.
Thomas sbuffò, appoggiando la schiena al tronco dell’albero. – Certo che Reginald è un genio, per quanto mi dispiaccia ammetterlo. Far impiccare tuo figlio per impedirti di prendere la Mela. Geniale.
Espirai violentemente, guardando i patrioti che battevano i chiodi e tiravano su la struttura al chiaro di luna. Eravamo arrivati a quella conclusione lungo la strada, cercando di ricostruire i movimenti suoi e di Charles, dal loro arrivo al metodo usato per convincere le forze dell’ordine a condannarli entrambi. Quand’erano arrivati? Dove alloggiavano? Quale barbone aveva chiesto l’oro l’elemosina, quali puttane avevano sfiorato le gambe di Reginald lungo i vicoli senza sapere che aveva gusti un po’ diversi? Immaginavo che, dopo aver fatto firmare la sentenza, Birch fosse tornato nelle retrovie per tirare i fili, lasciando a Charles il ruolo di facciata mentre il Gran Maestro si strofinava le mani in attesa di portermele infilare di nuovo nei calzoni, come quando ero ragazzo, e giocare con me.
Cercavo sempre di ironizzare su quel lato della faccenda – Gesù, altrimenti avrei fatto meglio a prendere direttamente il posto di Connor sul patibolo –, ciononostante non potevo evitare di riconoscere l’intelligenza delle azioni di Reginald. Era sempre il solito bastardo, ma sapeva il fatto suo, era innegabile. – Naturalmente gli indiani mi accuseranno di non averlo salvato, magari proveranno ad uccidermi un’altra volta. Allora interverrà Reginald, probabilmente spazzerà definitivamente via quell’ammasso di capanne malferme solo per accaparrarsi il Frutto dell’Eden e trascinarmi in catene fino a quella maledetta grotta.
– Avrà ciò che vuole.
Sospirai. – Quello è il vero problema. Che cosa vuole? – Strinsi dolorosamente i pugni. – Che cosa diavolo vuole? Cosa pensa di trovare in quella grotta?
Mi resi conto di star ponendo la domanda alla persona sbagliata. Che cosa c’è davvero oltre quella lastra di pietra?, chiesi, pensando ingenuamente di poter ottenere una risposta. Mute come pesci, quelle due. Lo sto facendo anche per voi. Volevano che lasciassi morire Thomas. Oh, sì, certo, magari mi avrebbero anche detto come dovevo pettinarmi o di che colore dovevano essere i miei mutandoni. Al diavolo.
Thomas lanciò una bestemmia. – Non lo so – aggiunse abbassando lo sguardo. – Gli esperti eravate voi due.
Io? Un esperto della Prima Civilizzazione? Mi venne da ridere al solo pensiero. Dovevo aprire quel tempio. M’interessava, certo, perché Reginald aveva stuzzicato la mia curiosità per anni, ma cosa sapevo di quel popolo, tolto il fatto che due di loro occupavano la mia testa commentando polemicamente tutto il mio operato e sparendo quando mi servivano risposte?
– Il Grande Tempio – ripetei, meditando. – È ancora quello il fine del nostro Ordine. O, almeno, dovrebbe esserlo.
– Ordine? – Thomas Hickey scoppiò a ridermi in faccia. – Per l’amor del cielo, Haytham, l’Ordine non esiste più! William e John sono morti, non ho idea di che fine abbia fatto Ben, tu sei diventato una specie di Assassino… – Lo fulminai con lo sguardo e ridacchiammo assieme. Mi era mancato il suo sarcasmo. – E Reginald ha deciso di condurre Charles, solo Charles, verso il nostro fine.
Respirai piano. – Chissà perchè ha scelto lui – dissi, sorridendo tristemente, sentendo Hickey sospirare nel buio. – Giovane, abile e succube. – Tre aggettivi impossibili da abbinare a chiunque altro, eh? – Lasciamo perdere – dissi passandomi una mano alla base del naso. – Credi che sia qui con Charles?
Thomas strinse i pugni. Se c’era voluto un po’ di tempo per convincerlo degli abusi di Reginald nei miei confronti, aveva sempre avuto il presentimento che Reginald avesse trovato il modo di sottomettere Charles, di piegarlo al proprio volere. E, da assiduo frequentatore di bordelli e varie case di piacere, non aveva tardato a collegare i fatti. Il modo in cui quei due passavano la maggior parte del tempo soli, l’atteggiamento di Reginald, amorevolmente viscido e severo allo stesso tempo… li aveva riconosciuti nei modi degli eleganti gentiluomini inglesi con le loro puttane.
Gesù. A volte la prendevo sul ridere, ma in certe occasioni pensare a quegli avvenimenti mi faceva solo sentire peggio. – Devono essere qui, ma non credo verranno all’esecuzione. Esporsi a tal punto? No, credimi. Non sono così stupidi, purtroppo per noi.
Non lo dissi a Thomas, ma ne ero felice. L’idea di un ulteriore faccia a faccia con Reginald e Charles mi ripugnava. Bastava liberare Connor prima che spirasse, portarlo via, tornare alla tenuta. Tutti e tre. E organizzarsi.
Strofinai i palmi sudati sui calzoni. – Va bene – sussurrai estraendo il pugnale dall’elsa orientaleggiante che mi aveva venduto un ladro. Qualcosa come duecento sterline – letteralmente un furto – ma ne valeva la pena, perché era davvero un bel pezzo di metallo. Affilato, lucente, liscio come il vetro. Quando lo vidi tra le mani del mio mercante non potei fare a meno di tornare con la mente alle decorazioni nell’harem di Damasco. Lo comprai, prendendolo come un omaggio a mia sorella e alla sua morte. L’avrei usato per evitarne un’altra.
– Tieni – feci, porgendoglielo dalla parte della lama. – L’onore di lanciarlo spetterà a te.
Thomas mi guardò con gli occhi sgranati, parevano due biglie. – Dici sul serio, Haytham? Non preferiresti… farlo tu?
Sospirai. – Dimostrami che posso fidarmi di te, Thomas Hickey – risposi con mezzo sorriso in faccia. La verità era che stavo tremando. Letteralmente. Ricordavo che Thomas, ai tempi in cui eravamo ancora un Ordine unito ed efficiente, aveva una mira migliore della mia, persino da ubriaco. Magari a forza di vedere doppio aveva imparato a concentrarti meglio su un punto e colpire nel segno era diventato più facile.
Reclinò il capo, rigirandosi il pugnale tra le mani. – È un Assassino – grugnì, e mi lanciò un’occhiata di sottecchi. – So che non puoi lasciarlo morire, ma è assurdo. Diavolo, anche questa collaborazione lo è. Non negarlo, Haytham.
Sollevai le mani. – Credi forse che abbia altre scelte? – Lo guardai sogghignando. – Non ce ne sono. Con me o con Reginald, e sappiamo bene che lui non ha intenzione di prendere sotto la propria ala qualcuno che non sia Charles. – Già, aveva preferito lasciare gli altri quattro allo sbaraglio, senza nemmeno sapere che cosa passasse loro per la testa. – Anche perché mi pare di aver capito che sei dalla mia parte.
– Lo sono, credimi – disse con uno sbuffo – ma guarda tutto questo dall’esterno. Stai agendo come un pazzo. Pensi che questa sia la cosa migliore da fare? Non potevi lasciarmi uccidere Washington?
Dio, perché quel ragazzo doveva porre così tante domande? A volte l’avrei voluto un po’ più pecora. A volte, eh. – Thomas, lo vorrei fuori dai piedi almeno quanto te, ma ammazzarlo ora significherebbe mettere le redini in mano a Reginald. Non voglio che accada.
Ridacchiò. – Quindi lo fai per spirito di contraddizione, più che altro.
Mi conosceva bene. Sorrisi di rimando. – Sei sveglio. Credi di essere in grado di farlo?
Scrollò le spalle, scoccandomi un’occhiata colma d’irritazione. – Porco demonio, non sono così stupido.
Abbassai lo sguardo con un sorriso triste. – Tieniti pronto a combattere, comunque – gli dissi passando il pollice lungo il filo della lama. – Non si sa mai.
Seduti sul tetto della ex-fattoria come due poveri idioti, eravamo intenti – almeno, io lo ero – ad osservare gli uomini al lavoro sul patibolo. Il palco era già quasi completato, un altro gruppo di guardie stava inchiodando assi e ciocchi di legno con tutta calma. Sembrava che la notte fosse lì tutta per loro, che avessero l’eternità. E, in effetti, speravo davvero che la mattina successiva non arrivasse mai. Se Thomas si fosse sbagliato e Reginald fosse stato in quella piazza a guardare mio figlio morire… che reazione avrei avuto? E lui, invece? Magari mi avrebbe ucciso, o almeno avrebbe tentato di farlo. Oh, no. Piuttosto avrei indossato un’armatura, ma non potevo permettere che mi uccidesse. Andiamo, stavo facendo una buona azione! Voler mandare all’aria anche una delle mie rarissime buone azioni è un’idea decisamente crudele, persino per uno come Reginald.
Sentii Thomas sospirare. – Gesù, capo, non posso andare a farmi una birra?
– A quest’ora? – chiesi senza guardarlo. Speravo che a uno di quei soldati venisse un attacco di cuore. Così, giusto per interrompere l’operazione. Sarei potuto saltare giù e ammazzarli tutti. E non c’è impiccagione senza forca, giusto? 
Potreste ribattere che per la mia impiccagione erano bastati il ramo di un albero e una corda, quindi ho torto. Ma vorrei ricordarvi che quell’esecuzione non era andata esattamente a finire bene, per concludere dicendo che, come al solito, ho ragione io. – E che c’è di male? – replicò Thomas Hickey. – Le taverne sono aperte.
Roteai gli occhi. – È piena notte.
– Allora perché non dormiamo un po’, eh? – disse sollevando le mani. – Almeno tu, capo.
– Sì, così puoi andare a farti la tua stupida birra senza che ti dica nulla.
Il mio socio si mise una mano sul cuore. – Parola d’onore, capo, giuro che ti sveglierò in tempo. Dai, sembri un vecchio straccio. Qualche ora di sonno non potrà farti che bene. – Non aspettò nemmeno il mio parere, era già in piedi, strofinandosi le mani sui calzoni e infilandole velocemente nelle tasche dei calzoni. Ne tirò fuori una banconota. Falsa, pensai vedendo il sogghigno sul suo viso. Cazzo, Hickey, si vede così tanto che non dormo da due giorni?
Sbuffai sonoramente. – Mi aspetto di essere svegliato almeno un paio d'ore prima che inizi questa pagliacciata, Thomas. Sono stato chiaro?
Il ragazzo sollevò una mano nel saluto militare e s'incamminò lungo il tetto. – Dormi bene, capo. Ci vediamo dopo. – E sparì, saltando nel nulla oltre la grondaia con la naturalezza di chi lo faceva da sempre.
Rimasi solo sul tetto, intento a fissare il buio e i soldati al lavoro. Probabilmente una birra non avrebbe fatto poi così male nemmeno a me, ma ciò di cui avevo una maggiore necessità era il sonno. Da quanto non facevo una dormita decente, eh? L'ultima notte in un letto comodo era stata prima di partire per New York. E non era nemmeno stata così tranquilla. In quel periodo ero stritolato nella morsa dell'ansia per la morte di John, ferrea come le ganasce di un alligatore.
Devo ammettere che mi fidavo di Thomas Hickey, o, più precisamente, dovevo fidarmi di lui. Charles mi aveva detto che era stato lui ad abusare di Tiio e sgozzarla, per cui cercavo di non pensare a Thomas in quei termini, per quanto certe volte si dimostrasse inevitabile. Era Hickey, il mio socio. Non lo stupratore o l'assassino. Se le parole di Charles avessero rovinato l'unico rapporto decente che ancora avevo con un Templare… Gesù Cristo, sarei proprio andato a cercare una grana. Non ne avevo bisogno. Assolutamente no.
Trovai un punto abbastanza comodo – il che, parlando di un fottuto tetto, è piuttosto indicativo – e chiusi gli occhi, facendomi cullare dal rumore dei martelli e delle seghe che tagliavano le assi di legno. Come se l'impiccagione di mio figlio dovesse essere effettuata con una tecnologia perfetta, una forca all'avanguardia e magari anche qualche innovativo sistema di apertura della botola, invece di quella leva obsoleta.
Dio, i coloni credono di essere diversi dai britannici, ma devo ammettere – a costo di apparire patriottico – che la grandezza tecnica e la competitività in questo settore sono caratteristiche molto inglesi.
Questo mi fece ripensare a casa, all'Inghilterra. Sarà che avevo viaggiato molto, ma non ero mai stato davvero colpito dall'architettura o dalle strutture delle carrozze londinesi come lo ero stato nel corso dei miei viaggi. Il castello francese in cui ci rifugiammo io e Reginald aveva un proprio fascino diroccato, così come la Corsica, Damasco – una città bellissima, nonostante tutto – e le Colonie avevano caratteristiche proprie. Cose che a Londra davo per scontate.
Ripensai alla casa della mia infanzia, nella piazza della Regina Anna, e ora che ci faccio caso non riesco a ricordare l'aspetto della facciata prima che andasse a fuoco. Anche dell'interno ho pochi ricordi. La stanza dei giochi – ancora ho i brividi, maledizione –, l'ingresso della servitù in cui mi nascondevo per giocare, le scale e la porta degli alloggi di Edith. Oh, e la porticina che dava sul giardino dei Barrett. Come dimenticarla? Ero lì quando Reginald decise che era giunto il momento di recuperare il suo stupido libro e strappare un bambino di dieci anni da suo padre.
Immaginando di ripercorrere quelle scale e di abbracciare ancora i miei genitori, mi addormentai. 
  
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