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Autore: SynEvra    12/06/2014    0 recensioni
La vita ci riserva sempre delle sorprese. Basta aprire gli occhi e guardarsi in giro e soprattutto non dimenticare di amare se stessi. Per Sareeya, la vita ormai non ha più senso. È inutile aspettarsi qualcosa di buono, ma non sa quale sorpresa l'aspetta dietro l'angolo.
Questa storia è un esperimento, un racconto scritto a mani incrociate.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 3


Parcheggiò la macchina proprio davanti al cancello. La casa in cui era cresciuta le mancava moltissimo, ma non ci poteva fare nulla.

Stava per scendere, ma il mal di testa che l'aveva accompagnata per tutto il viaggio, era diventato insopportabile. Inclinò lo schienale alla ricerca di una posizione più comoda. Appena chiuse gli occhi, un ricordo indesiderato bussò alla sua mente. Era passato già qualche tempo da quel litigio, ma non era riuscita a dimenticare. Le parole di suo padre le rimbombavano ancora nelle orecchie. «Devi abortire. Adesso.» 

Come allora, una sensazione di nausea le salì in gola. Anche solo immaginarlo le faceva venire i brividi. Come avrebbe potuto farlo? Era il suo bambino, una parte di lei della quale non sarebbe stata in grado di sbarazzarsi come un sacco della spazzatura.

Scosse la testa per spazzare via quelle immagini, ma non servì a nulla. La voce di sua madre non le abbandonava la mente.

«Non accetterò mai questo bambino. Mai. Se non te ne liberi, non sarai più nostra figlia.»

«No, mamma, siete voi a non essere più i miei genitori. Né ora, né mai.» Detto quello, se n’era andata sbattendo la porta e ora… Ora era qui, con il cuore in gola e la testa che non aveva ancora smesso di pulsarle.

Non voleva abbandonare quell’ambiente poco ostile, ma doveva sapere ciò che era successo a sua sorella. Rosaleen era la persona che più la capiva e che le voleva bene al mondo. La sua perdita l’aveva segnata molto. I suoi genitori erano riusciti a darle la colpa pure di quello.

Aprì la portiera, decisa a entrare a testa alta, senza rimpianti. Si sistemò il vestito e s’incamminò verso il portone. Era morbido, ma un po’ attillato per sottolineare la pancia che cominciava a farsi vedere. L’aveva fatto apposta. Era fiera della sua condizione e non voleva farne un segreto.

Suonò il campanello e prese un respiro profondo. Quando la porta si aprì, il viso tirato di sua madre le spazzò via tutta la sicurezza di prima. Ora che era davanti ai suoi occhi, non riusciva a essere fredda e distaccata. Si sentiva in colpa per quello che aveva detto l’ultima volta, ma non era stata l’unica a dimenticare cosa fosse la gentilezza. Anche i suoi genitori l’avevano fatta grossa.

«Ciao, mamma.» Non aspettò l’invito a entrare. Varcò la porta e si diresse verso il salotto. Lanciò un’occhiata a suo padre e si accomodò sul divano di fronte a lui, un sorriso zoppicante in viso.

Impassibile come sempre, la guardava con fare curioso e l'occhio gli cadde sulla mano appoggiata sul ventre. Accennò un sorriso veloce, ma che fu percepito lo stesso dalla figlia. Si stupì di quel gesto, ma non ci fece troppo caso perché era troppo presa dalla casa. Rosaleen era dappertutto, le sue foto avevano invaso quasi tutte le superfici. Quello che la sorprese davvero erano le sue foto insieme a lei, quelle che dopo la litigata aveva buttato. Era come se... No non capiva più niente.  

«Reeya, come stai? Sono felice di vederti e di sapere che stai bene...»

La ragazza si girò di soprassalto colta di sorpresa.

«Mmh… Grazie…» Si sistemò i capelli, un po’ imbarazzata. «Anche voi non sembrate stare male.»

Non l’avrebbe dovuto dire. Sua madre si sedette vicino a lei e cominciò a piangere in silenzio, lo sguardo basso. Da quando era entrata non l’aveva guardata in faccia neanche una volta.

«Mamma…»

«Sareeya.» Suo padre si alzò e si perse a guardare una delle tante foto.

«Sì, papà?» La sua voce cominciò a tremare. Si sentiva come sull’orlo di un precipizio, sul punto di cadere e sparire per sempre.

«Mi dispiace.»

La giovane lo guardò meravigliata. Era la prima volta che sentiva quelle due parole uscire dalla sua bocca. Cercò di dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Rimase quindi in attesa.

«Ti ho incolpato ingiustamente.» Si girò e la fissò negli occhi. «Rosaleen aveva un cancro al cervello.»

«Cosa?» Come poteva essere possibile? Non ne sapeva nulla.

«Volevamo dirti tutto, ma lei aveva preferito non rivelarti niente. L’aveva scoperto durante la gravidanza e l’aveva tenuto nascosto a tutti. Poi…» Prese un respiro profondo. «… quando aveva perso il bambino, si era arresa e non aveva voluto fare quella dannata operazione.»

Sua madre singhiozzò. «Ci dispiace tanto, Reeya. Avevamo paura che la stessa cosa potesse succedere anche a te. Non vogliamo perderti.»

Sareeya chiuse gli occhi. Ora cominciava a capire. La testa le scoppiava ancora, ma il cuore si sentiva un po’ più leggero. Asciugò una lacrima che era sfuggita al suo controllo e sorrise.

«Dopo il rifiuto e la litigata con te ha cominciato a peggiorare a vista d'occhio e non c'era nulla che la facesse stare meglio, così abbiamo finito per addossarti la colpa, nonostante lei ci dicesse sempre che tu non avevi fatto niente. Noi sappiamo che non è colpa tua e te lo avremmo voluto dire un secondo dopo le brutte parole che ti abbiamo urlato contro quella sera.»

«Perché mi volevate far abortire?»

Sua madre a quella domanda non riuscì più a dire nulla perché iniziò a piangere.

«Vedi, la paura inconscia che ti potesse succedere la stessa cosa ci aveva talmente spaventati che pensavamo solo a quanto quel bambino le avesse fatto male e non volevamo che riaccadesse tutto di nuovo.»

«Reeya, non per cambiare discorso ma per cosa avete litigato?»

«... Beh... di una cosa stupida. Il giorno prima Andrew e io avevamo litigato e lei mi ha spronato a non abbattermi in modo quasi aggressivo, talmente aggressivo che io me la sono presa e ho cominciato a urlarle contro.»

I suoi genitori si zittirono. Non sapevano cos’altro dire. Guardarono la giovane, in attesa di un qualcosa che neanche loro sapevano definire.

Sareeya sospirò piano, cercando di mandare via dalla mente quello che aveva detto sua sorella. Si pentiva ancora, soprattutto perché erano state le sue ultime parole.

Si morse un labbro e si arrese al ricordo. Era una lontana giornata di inizio inverno ed era passata a trovare Rosaleen per un saluto e per sfogare la rabbia che provava verso Andrew. L’aveva vista così bella e in salute. Non poteva assolutamente immaginare quello che sarebbe successo dopo. Voleva fermarsi qualche minuto, ma si era trattenuta più del necessario. Se solo non l’avesse fatto.

«Non piangere, Reeya. Non se lo merita, non credi?» La sua voce era stata così dolce e gentile.

«È più forte di me, Rosie. Questa volta l’ha fatta grossa. Sto così male.» le aveva risposto tra un singhiozzo e l’altro.

Sua sorella si era alzata dal divano e l’aveva abbracciata. Amava stare tra le sue braccia, riuscivano a calmarla e a farle dimenticare ogni problema. «Oh, Reeya, Reeya.» Le diede una pacca sulla spalla. «Perché ti lasci ferire così da un semplice ragazzo? Perché non lo lasci?»

La giovane l’aveva guardata meravigliata. «E perché dovrei? Senza di lui non sono nessuno.»

«Da quando in qua la mia sorellina si lascia mettere i piedi in testa? Non ti merita, Sareeya. È inutile continuare a soffrire così.»

«Non mi lascio mettere i piedi in testa.»

«No?» Il tono sarcastico della sua voce le aveva fatto saltare i nervi.

«No.»

«Strano.» Rosie si staccò da lei e ritornò sul divano. «A me non sembra. Ha mai sofferto? Ti ha mai chiesto scusa? Ti ha mai cercata dopo ogni litigata? Ti ha mai…» Si bloccò con le lacrime agli occhi.

Reeya la guardò. «Sai cosa? Non riesco a capire se stai parlando di me o di te.» Si alzò, decisa ad andarsene.

«Sto solo dicendo di non lasciarti distruggere da uno che non sa cosa sia l’amore.»

«Stai tranquilla, sorellina. Non tutti sono come Jake. E io non finirò mai come te: sola e in attesa di un bambino che non è desiderato da nessuno.» Era arrabbiata. Tanto arrabbiata. Così tanto da dire una cosa che non era assolutamente vera. Ma allora era troppo accecata dalla rabbia per far funzionare il filtro del cervello. Le aveva lanciato un’ultima occhiata e le aveva voltato le spalle, diretta verso la porta. Poco prima di uscire, le ultime parole di sua dorella l’avevano fatta sentire terribilmente in colpa.

«Non dimenticare di amare te stessa, sorellina.»

Aveva cacciato indietro le lacrime e se n’era andata via, ignara che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista in vita.

«Reeya.» La voce di sua madre la riportò alla realtà.

«Sì?»

«Cosa farai con il bambino?»

«Lo terremo e cresceremo.»

«Cresceremo? Tu e chi?»

Sareeya sorrise dolcemente. «Andrew e io.»

«Chi? Quel disgraziato? Può scordarsi di prendere la mia bambina!» Suo padre si era alzato in piedi, rosso in viso.

«Caro…»

«No, Helene… Non ci penso nemmeno per sogno. È tutta colpa sua, l’hai già dimenticato?» 

«Papà…»

«Non lo accetterò mai!»

«Papà…»

«È davvero un…»

«Papà!» Si alzò e lo guardò negli occhi. «Ora basta. Ti ricordo che sono adulta e vaccinata e decido io della mia vita. No, ora vorrei essere ascoltata io. Quello che è successo con Andrew è stato tutto un malinteso. L’unica colpevole è sua madre. Lui non ne può nulla, più o meno. E comunque, sì, lo cresceremo io e lui insieme. Punto.»

L’aveva detto tutto d’un fiato e ora si sentiva meglio. L’uomo che l’aveva cresciuta era rimasto senza parole. Si grattò il naso e si lasciò ricadere sul divano a fiori.

«Sono felice che abbiate fatto pace.» Sua madre le prese la mano. «L’unica cosa importante è che tu sia felice, Sareeya. »

La giovane sorrise. «Grazie.» Qualcosa sfiorò l’altra mano. Era suo padre.

«Tua madre ha ragione. Soprattutto, siamo felici che tu non sia sola e in attesa di un bambino che non è desiderato da nessuno.»

A quelle parole, sbarrò gli occhi, sorpresa. Di fronte ai visi sorridenti dei suoi, scosse la testa e ricambiò, abbracciandoli. «Mi dispiace per tutto. Siete dei genitori fantastici.»

«Neanche tu sei male.»

Le due ore successive passarono tra chiacchiere e allegria. Giunta l’ora di tornare a casa, Sareeya si alzò e salutò i suoi genitori. «Grazie. Mi siete mancati tantissimo, soprattutto quando ho rischiato di perdere il bambino.»

I visi dei due sbiancarono all’istante. «Cosa?»

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«Mi dica, dottore, farà male?»

«No.» L’uomo le sorrise enigmatico. «Non quanto quando metterà al mondo il suo bambino.»

«I miei bambini. Sono due, maschio e femmina.»

Il sorriso del dottore si allargò e si preparò a metterle la flebo. Alla vista dell’ago, Sareeya sgranò gli occhi. Istintivamente allontanò il braccio.

«Ha paura di una punturina?»

«No.»

«A me non s…» L’ambulanza frenò all’improvviso, facendo sbilanciare l’uomo. «Non mi abituerò mai a ‘sto coso.»

Le porte della vettura si aprirono e un’equipe di infermieri la trasportarono al pronto soccorso.

«Reeya!» Un Andrew trafelato la raggiunse. «Tutto bene?»

«Sono ancora viva, non preoccuparti. Non capisco perché hai insistito a chiamare un’ambulanza.»

«Così saresti arrivata prima all’ospedale, no?» Si chinò su lei e le stampò un bacio sulla fronte. In quel momento, un infermiere gli indicò di spostarsi.

«La preghiamo di aspettare qui, signore.»

Rew lanciò un’ultima occhiata a Reeya, prima che sparisse dietro le porte d’acciaio dell’ascensore, con una strana sensazione nel cuore.

Un’ora dopo erano di nuovo insieme, molto più tranquilli di prima.

«Mi raccomando, riposo assoluto.»

«Certo, dottore.»

«Inoltre, stia attenta allo stress. Uno dei due feti è più basso del normale e se non presta particolare attenzione, potrebbe rischiare di perdere la gravidanza.»

Andrew divenne ancora più bianco di quello che già era. «E tutto quel sangue? È preoccupante?»

«Per ora no. È causato dalla posizione del feto. È normale.»

«Normale… Non è stata la caduta?»

«No, l’incidente non ha provocato danni, ma anzi è stato d’aiuto per scoprire questa situazione. Non preoccupatevi e stia a riposo. Contatti anche il suo dottore di fiducia.»

«Ok. Grazie mille. È stato gentilissimo.»

Una volta rimasti soli, Andrew la guardò preoccupato.

Sareeya sospirò. «Non guardarmi così. Non è come la scorsa volta. Stai tranquillo.»

«Lo spero. Sei stata un’avventata ad andare a lavorare e non mangiare per tutto il giorno.»

«Lo so, lo so. Questa volta starò a letto tutto il giorno tutti i giorni.»

«Promesso?» Lui sorrise.

«Promesso.» Lo prese per la maglia e lo baciò con passione. Andrew rispose e posò una mano sulla pancia.

«Ah, a proposito. C’è ancora una cosa che non mi hai detto.»

«Quale?»

«Cosa intendeva l’infermiera di oggi?»

Sarreya nascose un sorriso. «Semplicemente le ho raccontato quello che è successo con mia sorella e lei mi ha incoraggiata.»

«Capito.» Le carezzò una guancia e la baciò.

«Ehm, ehm.»

Un colpo di tosse li fece sobbalzare. Si staccarono e si voltarono verso la porta.

«Mamma! Papà! Che ci fate qui?»

  
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