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Autore: Whatadaph    13/06/2014    6 recensioni
Il Mondo Magico vive nella pace, almeno finché una serie di eventi misteriosi non giungono a sconvolgere l'equilibrio faticosamente ricostruito nel corso di lunghi anni.
Un Torneo Tremaghi, un incantesimo annullato, oggetti di grande valore trafugati senza un motivo apparente; inspiegabili avvenimenti ed enigmi irrisolti si sovrappongono, conditi con qualche segreto di troppo: segreti che forse sarebbe stato meglio svelare a tempo debito.
I ragazzi di una generazione felice sono destinati a scoprire a loro volta cosa significhi sentire il pericolo sulla propria pelle.
"Hai paura?"
"Sì. Una paura matta."
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Louis Weasley, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Metamorphosis'
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And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence...

Simon & Garfunkel
 

 

7 marzo 2022

Testa di Porco, Hogsmeade, Scozia

Tarda sera

 

“No,” dichiarò Harry perentorio.

Al suo deciso rifiuto – forse pronunciato un filino troppo ad alta voce – tutti gli occupanti della piccola stanza sopra la Testa di Porco voltarono il capo verso di lui. Ron lo sbirciava interrogativo, mentre il Capitano Mazu si limitò a serrare le labbra e aggrottare le sopracciglia: non avrebbe saputo dire se la pensasse o meno come lui.

Nott, dal canto suo, rimase impassibile come al solito.

Il Ministro si schiarì la voce. “È nostro dovere informare le autorità Babbane,” ribadì con il solito tono calmo e profondo. “Soprattutto dal momento che una di loro è coinvolta.”

“Lo so.” Harry sentiva qualcosa fremere in fondo allo stomaco e un curioso tremito alle ginocchia: non ne poteva più di starsene chiuso al comando senza la possibilità di lavorare in prima linea. Senza poter correre a salvare Lily. “Ma ragiona, Kingsley...” Scattò in piedi e prese a camminare da una parte e l'altra della stanza, calpestando le ceramiche incrinate del pavimento in lungo e in largo. Gli occhi dei presenti non cessarono per un attimo di seguire i suoi movimenti. “Il Primo Ministro chiederà di consegnar loro Tamara immediatamente, per far sì che si ricongiunga con la sua famiglia... Ma non possiamo. Non ancora.”

Non senza averla interrogata a fondo. Poteva immaginare come la famiglia di Tamara avesse vissuto la sua scomparsa – diamine, la sua Lily era dispersa chissà dove! – ma d'altra parte era cosciente che non potevano fare a meno della ragazza per le loro indagini. Non avrebbe mai rinunciato a nulla, nulla che gli potesse tornare utile per trovare sua figlia il prima possibile.

“Dovremmo perlomeno metterli al corrente delle novità,” obiettò Kingsley.

“Se permette, Ministro,” prese la parola Nott, a voce molto bassa, “credo che Potter stia semplicemente suggerendo di attendere.”

“La ragazza ci serve,” intervenne Aide in tono perentorio, quasi completando la frase dell'ex-Serpeverde.

Harry si scambiò uno sguardo eloquente con Ron. Il Capitano non era esattamente sotto le direttive del Ministro Britannico – o almeno, non tanto quanto loro; si ripromise di ringraziarla più tardi per aver espresso quello che in fondo pensavano tutti, almeno lei che poteva.

Kingsley annuì lentamente. “Su questo non ho dubbi. Come forse ricordi, Harry,” si voltò verso di lui, gettandogli un'occhiata che, se fosse stato ancora un quindicenne, avrebbe definito severa, “sono stato un Auror anche io.” Si alzò in piedi, segno che aveva finalmente preso una decisione. “Vi do ventiquattr'ore, non di più.” Gettò un'occhiata all'orologio che portava al polso, con dodici lancette e piccoli pianeti che si muovevano lungo il quadrante. “Alle undici in punto di domani sera mi recherò dal Primo Ministro per comunicargli il ritrovamento.”

Dopo aver chinato il capo in segno di saluto, mosse in direzione della porta, accompagnato dagli educati Arrivederci, Ministro del piccolo gruppo di Auror. Quando i saluti si furono estinti del tutto, il silenzio era tale che poterono udire distintamente i suoi passi lungo le scale e persino il sommesso pop della Smaterializzazione.

Harry, che nel frattempo aveva smesso da un pezzo di camminare, gettò un'occhiata fuori dalla finestra. Le vie del villaggio erano indistinguibili nel buio pesto e la pioggia scrosciava rabbiosa contro il vetro appannato.

Pensò a Lily, dispersa chissà dove nelle tenebre, sotto quel diluvio.

“Allora?!” sbottò. “Che cosa stiamo aspettando?”

Un'ora più tardi, si trovavano tutti nell'Infermieria improvvisata che era stata messa su al pianterreno di una vecchia magione in disuso, situata poco oltre il limitare del villaggio e dotata di tutte le possibili misure di sicurezza. La scelta era stata obbligata, dal momento che agli occhi Babbani di Tamara sia Hogsmeade che il castello sarebbero apparsi come nient'altro che un mucchio di ruderi.

La ragazza giaceva su di un lettino bianco, priva di conoscenza. Nelle tubicino della flebo, iniettato al suo braccio sinistro, scorreva ininterrottamente della banalissima soluzione fisiologica e intorno a lei si affaccendava un capannello di Medimaghi. Per la maggior parte sembravano vagamente a disagio, alle prese con la medicina Babbana.

Contrariamente agli altri, il Guaritore Canon era perfettamente padrone di sé e non sembrava avere difficoltà a destreggiarsi tutti quei tubicini: lui stesso aveva stabilito che per il momento si limitassero a metodi Babbani. Nonostante le avessero prelevato un campioncino di sangue per effettuare le dovute analisi, non era ancora chiaro quali e quanti sortilegi avesse subito durante il sequestro. Non potevano sapere come avrebbe reagito alle cure, dal momento che la Medimagia a volte aveva strani effetti sui non-Maghi.

Attendere? Non possiamo fare altro?

Come se gli avesse letto nel pensiero, Dennis gli rivolse un sorriso rilassato. “Non preoccuparti, non dovrete aspettare a lungo. Dubito che impiegherà ancora molto tempo a svegliarsi.”

Harry fece un segno alla sua squadra; Aide agitò la bacchetta per evocare alcune sedie di legno pieghevoli, su cui si accomodarono alla sinistra del letto di Tamara, a sufficiente distanza da non ostacolare i movimenti dei Guaritori.

Nel silenzio trascorsero cinque minuti, poi dieci. Dopo un quarto d'ora, il corpo della Babbana parve sussultare: Harry scattò in piedi, precipitandosi al suo fianco in tempo per vederla aprire lentamente gli occhi. L'espressione di Tamara parve dapprima spaesata, poi terrorizzata.

Iniziò ad agitarsi sotto le lenzuola bianche, tentando invano di sollevare le gambe e le braccia magre per difendersi da un inesistente pericolo.

Harry guardò incerto il Guaritore Canon, che annuì e chiamò uno dei Medimaghi. “Un calmante,” ordinò. “Basso dosaggio, per lei dovrebbe bastare...”

Passarono alcuni minuti che per Harry parvero scorrere al rallentatore: i suoni apparivano ovattati alle sue orecchie, neanche si trovasse sott'acqua. Tamara continuava ad agitarsi e l'espressione del suo volto sembrava sempre più impaurita; dai suoi denti stretti sfuggivano rauchi mugolii di terrore. I capelli neri attorcigliati – sparsi sul cuscino bianco come un'aureola – richiamarono alla mente di Harry un ricordo di molti anni prima, quello di Katie Bell sbalzata in aria dalla maledizione della collana di opali, pallidissima e con la chioma sollevata intorno alla testa.

Finalmente, dopo un tempo che era parso eterno, il Medimago tornò con il calmante, che Dennis si affrettò a strappargli di mano e a somministrare alla ragazza – non senza qualche difficoltà, dal momento che Tamara sembrava non essere minimamente intenzionata a bere la pozione.

Tuttavia, una volta assunto, il calmante fece effetto quasi immediatamente. Il corpo di Tamara si rilassò contro il cuscino e il terrore scomparve dai suoi occhi, adesso solamente sospettosi.

Di nuovo, Harry gettò un'occhiata incerta a Dennis. Questi annuì: si avvicinò dunque di un altro passo al lettino della ragazza, mentre con la coda dell'occhio vedeva Nott e Ron accostarsi a propria volta a Tamara. Aide e l'agente Alcover rimasero al proprio posto: tra le mani del Capitano erano magicamente apparsi un blocco per appunti e una penna biro.

“Ciao, Tamara,” esordì lentamente. In occasioni simili, gli sarebbe piaciuto avere la voce calma e rassicurante di Kingsley. “Io sono il Capitano Harry Potter e queste persone” – indicò gli altri dopo essersi accertato che la ragazza seguisse i suoi movimenti – “sono la mia squadra. Siamo qui per aiutarti, ma abbiamo bisogno a nostra volta del tuo aiuto. Dovrai solo rispondere alle nostre domande e poi potremo riportarti dalla tua famiglia.”

Dopo un bell'Incantesimo di Memoria, aggiunse nei propri pensieri, osservando la paura con cui la ragazza guardava la sua bacchetta magica che faceva capolino dalla tasca.

Fece un sospiro profondo e la estrasse – Tamara sobbalzò e serrò le dita attorno al lenzuolo – per poi dirigersi a posarla su un tavolino dal lato opposto della stanza. Subito Ron e Nott seguirono il suo esempio.

Capì di aver fatto la mossa giusta quando il sospetto negli occhi di Tamara si attenuò appena.

“Pensi di riuscire a parlare?” le chiese.

Seguirono alcuni istanti di silenzio pulsante, mentre gli ultimi Guaritori e Medimaghi seguivano Dennis fuori dalla stanza.

“Sì,” rispose poi Tamara flebilmente.

“Bene.” Harry si scambiò uno sguardo con i colleghi, prima di schiarirsi la voce. “Che cosa ricordi degli ultimi mesi, Tamara?”

Le sopracciglia della ragazza si aggrottarono, mentre la sua espressione si faceva confusa. “Magdalena,” disse poi rauca. “Mi faceva male. Tanto. Con una cosa come quella.” Fece un cenno con la testa dall'altro lato della stanza, dove gli Auror avevano lasciato le loro bacchette.

Harry si voltò verso Aide: il Capitano stava annotando tutto sul suo taccuino.

“Chi è Magdalena?” domandò a Tamara.

Per tutta risposta, la Babbana gli rivolse uno sguardo spaesato. “Chi?”

Nott, alla sua sinistra, sollevò leggermente le sopracciglia. Harry contrasse le dita. “Magdalena. Hai detto che ti faceva del male.”

Gli occhi di Tamara si sgranarono. “Non dite a Magdalena che sono qua. Mi troverà. Mi farà del male... ancora.”

Dannazione... Ma che cosa le hanno fatto?

“D'accordo, Tamara,” disse a voce bassa. “Adesso devi riposare. Dopo ti faremo altre domande.”

Fece un cenno alla squadra: insieme si diressero a recuperare la bacchetta, per poi uscire dalla stanza permettendo ai Guaritori di rientrare. Quando Dennis gli passò accanto, lo trattenne per un braccio. “Resta,” borbottò. Senza fare commenti, l'altro si scostò dall'ingresso per permettere ai colleghi di raggiungere Tamara.

Una volta che la porta si fu chiusa alle loro spalle, Harry si voltò verso gli altri.

“Le hanno Oscurato la mente,” sentenziò subito Ron. “Ma qualcosa dev'essere andato male...”

“Sono d'accordo,” convenne Aide. “È come se a sprazzi i suoi ricordi riemergessero, ma non riuscisse a controllarli.”

Harry annuì lentamente. “È quello che penso anche io,” mormorò. “L'unica cosa da fare è usare la Legilimanzia e cercare di ricostruire qualcosa dai ricordi che riemergono...”

“Sei sicuro, Harry?” intervenne Dennis, con voce scontenta. “Non credo che sia una buona idea sottoporla all'ennesimo trauma.”

“Proprio per questo ti ho chiesto di restare,” replicò. “Credi che possa causarle danni permanenti?”

Il Guaritore scosse la testa. “No, questo no. Ancora non possiamo sapere se si rimetterà del tutto, ma dubito che un interrogatorio possa influire su questo.” Sospirò. “Al limite potrebbe rendere più lunga la convalescenza.”

“Non abbiamo altra possibilità,” mormorò Harry. “Ci serve l'autorizzazione del Guaritore responsabile per intervenire su di lei. E abbiamo meno di ventiquattr'ore di tempo prima che il Ministro comunichi le novità alle autorità Babbane

Dennis annuì, ma sembrava scontento. “D'accordo, avrete la mia autorizzazione,” borbottò infine. “Ma sappiate che l'idea non mi piace.”

Le pulsazioni di Harry accelerarono bruscamente: sentiva di essere sempre più vicino a scoprire la verità.

“Ron? Manda un Patronus a Demelza. Ci serve di nuovo il suo aiuto. E in fretta.”

 

 

 

*****

 

 

 

7 marzo 2022

Hogwarts, Scozia

Un paio d'ore prima

 

Quinn Baston non riusciva a raccapezzarsi.

Negli ultimi tempi stavano accadendo cose così strane – e così in rapida successione – da farle ritenere a buon diritto che fosse perfettamente legittimo finire per perdere il filo. I quattro studenti scomparsi, la sconclusionata confessione di Albus circa gli avvenimenti degli ultimi mesi, in quella conversazione risalente a pochi giorni prima, che pure sembrava appartenere ad una vita precedente...

Di colpo si era trovata catapultata nel retroscena di tutti gli eventi bizzarri e inspiegabili degli ultimi mesi. Non riusciva a spiegarsi come quelle cose fossero accadute sotto gli occhi di tutti senza che nessuno, nessuno se ne accorgesse, né come accidenti fosse venuto in mente ad Albus e ai suoi cugini di non parlare con le autorità per tutto quel tempo.

Come se ora non stessi facendo esattamente lo stesso.

Una settimana prima non avrebbe mai creduto che di lì a pochi giorni si sarebbe ritrovata a percorrere i sotterranei di Hogwarts dopo il coprifuoco, protetta da un incantesimo di Disillusione e in compagnia di Albus Potter.

La mano del ragazzo si serrò improvvisamente attorno al suo braccio. Ignorò il sobbalzo del suo cuore nel petto, emergendo dalle tenebre assieme a lui, alle spalle dell'ennesima pattuglia di Auror.

Il sotterraneo gelido era finalmente libero.

Boa Constrictor,” sussurrò Albus. La parete scorrevole che proteggeva l'entrata della Sala Comune di Serpeverde scivolò sui propri cardini, consentendo loro il passaggio nonostante le cravatte rosse-oro che indossavano.

Si infilarono dentro prima che gli Auror passassero di nuovo. Appena entrati nella Sala Comune, Albus le diede un colpetto sulla testa con la punta della bacchetta magica per annullare la Disillusione.

“Potevo farlo anche da sola,” borbottò stizzita, mentre un calore non poi così insolito si diffondeva all'altezza del suo stomaco.

Albus la fissò per qualche secondo sbattendo le palpebre, poi aprì la bocca per dire qualcosa, ma una voce lo interruppe prima che potesse iniziare a parlare.

“Era ora.” Scorpius Malfoy, pallidissimo alla luce del fuoco verdastro, aveva sollevato su di loro gli occhi cupi.

“Vorrei vedere voi a fare sette piani con una pattuglia di Auror ogni due corridoi,” protestò Albus, lasciandosi cadere su un divano di pelle nera. Quinn si sedette al suo fianco. “La Disillusione non vale nulla rispetto al Mantello.”

“Basta chiacchiere,” li interruppe seccamente Gwyneth Parkinson, sistemando una ciocca scura dietro l'orecchio con una mossa brusca. “Non mi sembra affatto il momento.”

Quinn sollevò lo sguardo su Albus: sul suo volto tremolavano i riflessi di quel fuoco dall'aria curiosamente fredda, in una strana alternanza di ombre e luci verdastre. Quella vista non poteva che richiamarle alla mente quella notte così irreale in cui il ragazzo aveva finito per dirle tutto quello che sapeva.

 

Erano rimasti in quel modo per un po', Quinn con le braccia serrate attorno al torace di Albus e lui aggrappato a lei a propria volta, la testa premuta contro la sua.

Non le era parso affatto come aveva sempre pensato dovesse essere abbracciare Albus. Si era sempre immaginata quel senso di calore e completezza, questo sì. Ma quel vuoto allo stomaco, la sensazione di cadere a velocità vertiginosa... No, questo non se lo aspettava per nulla.

Non aveva saputo calcolare per quanto tempo fossero rimasti abbracciati, ma gli studenti del terzo anno se n'erano andati da un pezzo quando Albus aveva allentato la presa. Per alcuni istanti erano rimasti a guardarsi vicendevolmente in volto, in una paurosa atmosfera di sospensione.

Poi Albus aveva sciolto definitivamente l'abbraccio, distogliendo lo sguardo per volgerlo in direzione del caminetto scoppiettante.

Quinn...” aveva mormorato.

La ragazza era rimasta in silenzio, in attesa che continuasse, ma quando aveva realizzato che Al era come incantato a fissare il fuoco, apparentemente assai poco propenso ad aprire bocca, si era decisa a parlare.

Sì, Albus?”

Lui era tornato a fissarla. Negli occhi verdi ardeva una gravità che Quinn non aveva mai visto in lui.

Si era sporto verso di lei, posandole le mani ai lati del volto, come per attirare la sua massima attenzione.

Ci sono delle cose che devo dirti,” aveva farfugliato. “Cioè, non devo dirtele, in realtà, ma...” – il suo sguardo si era fatto quasi implorante – “hai il diritto di sapere... No. Non è questo il punto. Capisci?”

Aveva aggrottato le sopracciglia. “Sinceramente, Al?” aveva replicato. “No.”

Certo, hai ragione.” Il ragazzo l'aveva lasciata andare, passandosi le mani sul viso mentre tornava a fissare il fuoco, abbandonandosi contro i cuscini del divano. “Non ho detto nulla di comprensibile.” Aveva sospirato. “Il fatto è che ho bisogno di dirtelo. Ho bisogno di parlartene.”

Ma parlarmi di cosa?”

Albus si era voltato di nuovo verso di lei. Quinn aveva avuto l'impressione che il suo sguardo, straniato e assieme lucido, le stesse scandagliando l'anima.

C'è qualcosa dietro a quello che è successo negli ultimi mesi.” Aveva infine confessato lui. “E io e i miei cugini, ecco... Siamo molto più coinvolti di quanto dovremmo.”

 

C'era voluta quasi tutta la notte perché, a smozziconi, Albus riuscisse a raccontarle tutto quanto. Alcuni punti non le erano del tutto chiari – perché diamine proprio quel pazzo di Scamandro doveva trovare la Pietra della Resurrezione e come diavolo avesse fatto Hugo Weasley a capire cosa fosse, ad esempio – ma non ci voleva molto a capire una cosa: i Potter-Weasley erano davvero coinvolti molto più di quanto avrebbero dovuto.

Non avrebbe saputo se complimentarsi con loro o prenderli a schiaffi, al primo all'ultimo.

Alla fine, aveva deciso di aiutarli. Avrebbe avuto tutto il tempo per qualche sonora sberla, una volta che ogni cosa fosse stata risolta.

E poi, sentiva il bisogno di stare vicina ad Al. Non poteva sopportare l'idea di lasciarlo solo in quella situazione.

Si accorse di star fissando Albus solo quando il ragazzo si voltò, ricambiando la sua occhiata. Allora si voltò bruscamente, sperando di non essere arrossita: le sopracciglia aggrottate, puntò lo sguardo sulla Parkinson, che aveva le occhiaie e l'aria sbattuta.

Non che gli altri fossero messi meglio.

“Beh?” fece la ragazza flebilmente. “Avete–”

Ma non poté continuare, perché la parete muscosa tornò ad aprirsi, lasciando due figure libere di precipitarsi dentro. Con l'aria di essersi scapicollata per numerosi piani di scale, si fece avanti nella Sala Comune di Serpeverde una ragazza dai capelli castani e il volto rotondo, che Quinn riconobbe come Lucy, la cugina più piccola di Albus, in compagnia – con sua immensa sorpresa – di quello sbruffone di Leopold Higgs.

“Ma perché tutti ci provano con le ragazze della mia famiglia?” udì Albus brontolare. Ma lo ignorò, perché aveva notato qualcos'altro sui volti dei nuovi arrivati.

I loro occhi luccicavano: sembravano trionfanti.

“Ho trovato la soluzione!” esclamò frenetica Lucy, in tono febbrile e con l'aria di essere sul punto di scoppiare a ridere. Quinn, sempre abituata a vederla discreta e compassata, era sempre più perplessa. “Dobbiamo parlare con Rose. Adesso.”

 

 

 

 

*****

 

Ah, well if I ever caused you trouble.
Oh, no, I never meant to do you harm...

Coldplay


 

 

Luogo imprecisato del Norfolk

Stessa ora

 

Bernie aveva perso completamente il senso del tempo. Non sarebbe stato in grado di dire da quanto tempo lui e Christine fossero rinchiusi in quella cella, il più possibile vicini per combattere il freddo umido.

La cosa peggiore era la sete, nonostante cercassero di alleviarla con l'acqua che gocciolava dal soffitto. Avevano la bocca secca e le loro gole raschiavano anche solo a respirare. Era come se nel suo cervello si fosse incantato un disco che ripeteva un mantra dei suoi bisogni più immediati – calore cibo acqua calore acqua, acqua, per favore... – e Christine era lì accanto a lui, lo teneva stretto e ogni tanto piangeva. Piangevano insieme, anche, e se qualcuno glielo avesse detto solo un anno prima avrebbe chiamato il reparto Lesioni Permanenti del San Mungo per farlo internare.

Se all'inizio, quando si era svegliato, la ragazza gli era parsa lucida e non poi così diversa dal solito, dopo avergli confessato la verità sembrava aver avuto una specie di crollo. Era come se quella paura che Bernie, negli scorsi mesi, di tanto in tanto aveva visto far capolino dalla sua espressione e dai suoi occhi fosse improvvisamente esplosa.

“Io non voglio morire,” l'aveva sentita mugolare. “Non voglio che tu muoia.”

“Non moriremo...” sussurrava lui. “Ci salveranno... Stanno arrivando, Jake e Lily. Il tuo piano sta funzionando, no? Lucy Weasley ti ha scritto... Non ci vorrà molto perché riesca a fare il resto... Sta funzionando.”

Aveva capito che, in quel delirio febbricitante, ricordarle il suo piano aiutava sempre a farla sentire meglio: tornava ad essere più lucida, più consapevole degli ingranaggi che grazie a lei avevano cominciato a muoversi.

“È proprio questo che mi fa diventare matta, Bernard. Avevo considerato che quando tutti si sarebbero messi in moto non sarei stata lì per controllare le cose... proprio per questo avevo bisogno di loro. Ma non poter vedere cosa stia succedendo mi fa impazzire...”

Ogni tanto si baciavano furiosamente, tutti e due brucianti di febbre, sporchi e insaguinati, con le labbra secche e screpolate. Per quello che ne sapevano, ogni volta poteva essere l'ultima.

“Christine, io non volevo venire al Ballo con te. Non volevo neanche tutto quello che è successo dopo. Ma non ho potuto evitarlo, capisci? Qualcosa è scattato e non potevo più stare lontano da te.”

Ogni tanto cercavano di ricostruire quanto tempo fosse trascorso da quando erano stati rinchiusi lì dentro. Avevano concluso che non dovevano essere passati più di pochi giorni, o la sete – che già li tormentava – sarebbe stata ancor peggiore. Il tempo scorreva a sbalzi: intere ore trascorrevano nello spazio di qualche secondo – erano i momenti più annebbiati, dove ricordi confusi si sovrapponevano al presente e la testa sembrava scoppiare; pochi minuti invece sembravano a volte immensamente dilatati: erano i momenti di lucidità, dove la paura di morire spingeva le loro menti a lavorare febbrilmente e avevano bisogno di parlare, parlare, per riempire in qualche modo quel silenzio e scacciare il terrore puro. In pochi minuti avevano l'impressione di dirsi cose per cui normalmente avrebbero impiegato giorni, come se la verità si comprimesse in quella condizione di pericolo mortale, con l'unico scopo di essere detta tutta prima che fosse troppo tardi.

“Credo di essermi innamorato di te, ma non ho idea di come sia successo.”

“Io sono innamorata di te da molto tempo.”

“Cosa credi, che moriremo? Per quanto tempo staremo qui dentro ancora senza che qualcuno ci porti da bere? Senza mangiare?”

“Io ho freddo. Dobbiamo avere fiducia. Lucy Weasley ce la farà.”

“Jake e Lily stanno arrivando.”

“Oh, Bernard, mi dispiace che tu ci sia finito in mezzo... Non era così che doveva andare. Non volevo coinvolgerti. Non dovevo coinvolgerti.”

“Non eri tu a dover scegliere... Te l'ho detto tante volte. Dovevo scegliere io e ho scelto te, anche se ci sono milioni di cose in te che non posso condividere e altrettante che non sono in grado capire fino in fondo.”

“Non voglio che tu muoia per colpa mia.”

“Non morirò, non moriremo.”

Non sapevano quanto tempo fosse trascorso quando udirono lo scatto ferriginoso della serratura. Nessuno dei due fiatò: si limitarono a scambiarsi un identico sguardo atterrito. Dopo un istante di sospensione, che parve tuttavia durare una vita intera, Christine estrasse con gesti frenetici il consunto diario che teneva nascosto sotto la camicia e lo lanciò a Bernie, che lo afferrò al volo e lo nascose dietro il proprio corpo più in fretta che poteva.

La porta della cella si aprì con un lungo scricchiolio: sulla soglia si stagliava la figura sinuosa di una donna dai capelli scuri, tagliati all'altezza del mento, illuminata dalla luce della propria bacchetta. Sarebbe stata bella se la sua bocca non fosse stata storta in una smorfia sprezzante che piegava crudelmente il suo volto.

Disse qualcosa in una lingua che Bernie non poteva capire, ma aveva già udito quella voce: mesi prima, nel gelido parco di Hogwarts affondato nel buio.

Sono loro. I catalani.

La donna continuava a parlare. Sembrava arrabbiata. Indicava le corde, che avrebbero dovuto essere ai loro polsi e caviglie, e invece giacevano sul pavimento. Poi scosse la testa e si chinò ad afferrare Christine per il braccio, sollevandola quasi di peso; la ragazza, debole per il lungo digiuno, sembrava pendere dalla sua presa come una marionetta rotta.

Bernie, quasi involontariamente, fece per scattare verso di lei, ma Christine scosse silenziosamente la testa.

Non devo fare mosse false, capì. Se Christine...

Ma non riusciva neanche a pensarlo.

Mi ha lasciato il Diario. Posso comunicare... Dannazione, Weasley, fai presto.

 

 

 

 

*****

 

 

 

Dormitorio femminile di Serpeverde

Hogwarts, Scozia

Pochi minuti più tardi

 

 

La ragazza stringeva tra le dita una ciocca di capelli rossi, scrutandone i riflessi con fare meditabondo. Le sopracciglia erano aggrottate e le labbra strette, al centro del volto pallido. I suoi pensieri erano come sempre confusi.

Rose. Quello era il nome con cui tutti la chiamavano – tutti quei volti che lei non ricordava ma che sembravano conoscerla da cima a fondo. Indubbiamente sapevano più cose sul suo conto di quanto lei stessa potesse ricordarne.

Scrutò attentamente il caminetto acceso. Piccole lingue di fuoco si attorcigliavano attorno alle braci iridescenti. Le fiamme avevano riflessi freddi, verdastri, vagamente innaturali, così com'era la luce fioca delle candele. Le acque del lago turbinavano oscure contro i vetri delle finestre.

Chissà se a Rose piaceva il fuoco, si chiese la ragazza. Chissà come doveva essere pensare con la coscienza di essere Rose – qualcuno, una persona, un'identità.

Le sembrava di non conoscere nulla di quanto la circondava. A volte, aveva l'impressione che qualcosa stesse riaffiorando dalle tenebre confuse della sua coscienza – una sensazione di familiarità, una vaga immagine sfocata, qualcosa – ma erano momenti che sbiadivano così come arrivavano, senza che la ragazza potesse determinarli o attribuirli a qualcosa di preciso. Perlopiù, era come avere addosso un abito che non le stava più: si sentiva ingombrante, inopportuna, a disagio.

Ormai aveva imparato a riconoscere i volti che la circondavano più spesso e ad attribuire un nome e alcune scarne informazioni a ciascuno di essi. Scorpius, ad esempio, era quel ragazzo che passava con lei più tempo possibile. Quando le stava accanto, i suoi occhi brillavano, dunque supponeva che avesse provato per Rose un certo trasporto, prima.

Hugo: diceva di essere suo fratello e le voleva bene, questo era chiaro. Guardandosi allo specchio, aveva scoperto di somigliare a lui parecchio, dunque gli aveva creduto. Gwyneth era la ragazza dai capelli scuri che cercava sempre di farla ridere. C'era poi Jacob, quel tipo dall'aria scontrosa e dai modi estremamente cortesi. Non lo vedeva da qualche giorno, così come non vedeva più Lily – una faccia tra l'infinita schiera di persone che le si era presentata come parte del parentado. Anche Bernard e Christine, altri due membri di quel gruppo abbastanza eterogeneo, non si vedevano da un bel pezzo.

Da quello che aveva sentito in giro, erano tutti e quattro in grave pericolo. La ragazza non aveva abbastanza conoscenze del mondo che la circondava per capirne l'entità; tuttavia – sebbene aveva avuto l'impressione che tutti cercassero di tenerle nascosta ogni cosa – aveva capito perfettamente che non si trovavano in una bella situazione.

Aveva perso la memoria, mica il cervello.

La infastidiva il fatto che quasi tutti la trattassero come un'invalida. Avrebbe preferito essere ignorata.

“Rose?”

Si accorse che la voce che le si era rivolta l'aveva chiamata già un paio di volte. Dimenticava spesso che quello fosse il suo nome.

Non aveva udito la porta del dormitorio aprirsi.

Si voltò lentamente, sistemando una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, mentre il consueto moto d'ansia l'aggrediva alla bocca dello stomaco. Si sentiva sempre molto tesa quando doveva parlare con qualcuno: aveva sempre l'impressione di essere terribilmente inadeguata. Di non essere quella Rose che chiaramente stava a cuore a tutti loro.

Quando si vide di fronte un intero capannello di persone affacciate alla porta del dormitorio, istintivamente si strinse nella vestaglia lilla di Rose, desiderando di sprofondare ancor di più tra i cuscini della poltrona e al tempo stesso chiedendosi cosa mai volessero da lei.

Gwyneth si stava facendo avanti per prima nella stanza, seguita poco più indietro da Scorpius e una ragazza minuta appartenente all'immenso parentado di Rose. Seguivano Albus con una sua amica – li aveva visti insieme molto spesso – e un tale che non ricordava di aver mai visto.

Fu su di lui che concentrò maggiormente l'attenzione: i suoi sguardi furtivi furono ricambiati da un'occhiata di placida curiosità.

Deglutì. “È successo qualcosa?” domandò, perplessa.

“In generale o negli ultimi cinque minuti?” replicò Gwyneth.

Aggrottò le sopracciglia, infastidita. “Che cosa ci fate qui?”

“Abbiamo bisogno di te.”

Era stata sua cugina – o meglio, la cugina di Rose – a parlare. Sulle prime, non seppe come rispondere, semplicemente stupefatta.

Questa sì che è una novità!

“Per fare cosa?” sussurrò infine. Sentiva su di sé lo sguardo di tutti i presenti, come se i loro occhi puntati su di lei formicolassero sulla sua pelle.

Lucy – adesso ricordava il suo nome – infilò la mano in tasca e ne estrasse un foglio piegato in quattro, che aveva tutta l'aria di essere stato strappato da un libro; senza una parola, glielo porse.

Rose scorse in fretta il contenuto: parlava di un incantesimo di Locomozione Interqualcosa, inventata da un certo Winworth-Baggins; alla spiegazione teorica seguiva la formula e alcune illustrazioni che indicavano il corretto movimento da compiere con il polso per eseguirlo.

“Cosa significa tutto questo?”

Fece scivolare lo sguardo su tutti i presenti, per scoprire tuttavia che, all'infuori dello sconosciuto e di Lucy, tutti apparivano perplessi almeno quanto lei. Tornò a osservare la pagina, aggrottando le sopracciglia: fu allora che notò uno scarabocchio in inchiostro violaceo sul margine. Strinse gli occhi per decifrarlo: Adesso è il tuo turno, R.W.!

R.W... Rose Weasley. Le iniziali di Rose.

Le mie iniziali.

Forse iniziava a capire. “Volete che io faccia questo incantesimo?” mormorò. “Vero?”

“Sì.” Disse semplicemente lo sconosciuto, per poi rivolgersi agli altri. “Christine mi aveva lasciato un indizio da consegnare a Lucy, che indicava la collocazione in biblioteca del libro da cui abbiamo staccato il foglio.”

Elementi di Alta Trasfigurazione,” intervenne Lucy. “Sull'indice aveva lasciato un'indicazione del capitolo giusto... Quello dell'Incanto di Dislocazione.” Si guardò intorno: trovandosi circondata da espressioni perplesse, emise uno sbuffo e proseguì. “In pratica consiste nel trasferimento di piccoli oggetti da un capo all'altro di un Legame Proteus. In questo modo potremmo mandare a Christine qualcosa per comunicare con noi o persino un'arma!”

Mentre parlava, la voce di Lucy si faceva sempre più concitata e gesticolava con energia, rossa in volto. Lei, tuttavia, vi prestò poca attenzione: quella parola – Proteus – le era parsa improvvisamente familiare... Era certa di averla udita prima di quel momento, ma non riusciva a ricordare quando. La spiegazione poteva essere una sola: Rose l'aveva udita, e quel poco di Rose che forse era ancora nascosto dentro di lei l'aveva riconosciuta.

Per la testa le riecheggiò improvvisamente un mantra pronunciato da tante voci diverse, tra le quali riconobbe la propria.

Proteus, Proteus, Proteus... Proteus.

Si aggrappò a quella parola come ad una luce, mentre le sue orecchie udivano distrattamente la conversazione degli altri.

“... le monete non funzionano più, Lucy,” borbottava Albus scettico. “Non vedo come potremmo fare.”

“Christine potrebbe aver piazzato un Proteus anche su altri oggetti. Magari ha con sé uno dei capi del legame e ha lasciato a noi l'altro...”

“Non ci resta che cercarlo!” La voce di Gwyneth era colma di speranza. “Ha lasciato indizi dappertutto, magari ci ha dato un'indicazione su dove–”

“Non è così,” la interruppe Lucy. “Christine ha fatto in modo che io avessi già tutto ciò che serviva.”

Detto ciò, estrasse dalla tasca un libriccino dalla rilegatura nera, con il suo nome in lettere argentate impresso sulla copertina.

“Il Diario Comunicante?” Fece Scorpius. “Ma com'è possibile? L'altro ce l'ho–”

“Christine te l'ha rubato,” replicò Lucy. “Rifletti: da quanto tempo non ti capita sott'occhio?”

Cadde il silenzio per qualche istante, mentre nella sua mente la ragazza continuava a ripetere ossessivamente quella parola: Proteus, Proteus, Proteus...

“È ovvio, se ci pensate,” mormorò Gwyneth. “Il Diario può servirci anche per comunicare con loro.”

“Proprio questo è il punto,” fece lo sconosciuto. “Il fatto è che probabilmente non hanno nulla per rispondere a Lucy: dobbiamo usare l'Incanto di Dislocazione per mandare loro una penna o qualcosa del genere.”

Proteus.

... oggi, ragazzi, tratteremo dell'Incanto Proteus...”

... non dobbiamo pensarci noi... qualcuno che non era a Hogwarts nel momento in cui il Proteus è stato annullato.”

La Proprietà dei galeoni è la loro funzione di trasmettere messaggi.”

Res Adstringo!”

Improvvisamente la vide: Christine De Bourgh e la sua cascata di riccioli bruni, presa a confabulare con Jacob Greengrass nell'aula di Incantesimi; la vide roteare la bacchetta in un movimento perfettamente svolto... La vide in un ricordo che non le apparteneva, in un ricordo che non sapeva di avere.

Che cosa significa?!”

Di cosa stai parlando?”

Lo sai benissimo!”

Non sono Gossip Witch! Non lo sono mai stata! Probabilmente in tutta la scuola sono la persona che le ha spifferato più segreti, ma non sono io! Non ero io!”

Era la prima volta che facevi un Proteus?”

“Ricordo!” sbottò improvvisa, quasi gridando. In quello stesso istante le voci nella sua testa si spensero e tutti i presenti tacquero, e Rose seppe che quegli sprazzi di memoria le appartenevano, che anche se non poteva ricordare tutto adesso c'era qualcosa da ricordare. Ricordava l'affetto che provava per Christine, per tutte quelle persone che parlavano dentro la sua testa, che a loro volta volevano bene a Rose e avevano bisogno di lei.

Questo le diede la determinazione che fino a quel momento le era mancata. “Dammi quella pergamena, Lucy,” disse con decisione, affondando la mano sotto la vestaglia per tirare fuori la bacchetta magica. Gli altri si stavano scambiando sguardi quasi esitanti, ma li ignorò. La cugina le porse, assieme alla pagina, anche l'agenda consunta.

Osservò con attenzione la pergamena, lesse e rilesse la formula, studiando il movimento che avrebbe dovuto compiere con il polso.

Adesso è il tuo turno, R.W.!

Christine era convinta che lei sarebbe stata in grado di compiere quell'incantesimo. Per qualche misteriosa ragione, bastò. Levò la bacchetta, lasciando cadere la pergamena e reggendo il Diario con la mano libera.

Res Exporto!” articolò lentamente, roteando la bacchetta magica.

Per un istante, non accadde nulla: subito dopo, il quadernettò divenne improvvisamente caldo e brillò di una lieve e pulsante luce rossastra; in quel momento seppe di esserci riuscita.

Solo allora sollevò lo sguardo sui presenti, per scoprire che la stavano fissando tutti con gli occhi spalancati e, nel caso di Albus, anche la bocca. Rimasero tutti immobili, fuorché Gwyneth, che d'un tratto scattò in direzione del proprio comodino, dove aveva lasciato una penna d'oca a Inchiostro Inesauribile nuova di zecca. Quasi automaticamente Rose aprì il quaderno – il cui bagliore si era adesso affievolito, benché fosse ancora tiepido – mentre l'altra la raggiungeva. Col fiato sospeso, Gwyneth appoggiò la punta della penna d'oca sul foglio e premette leggermente, invece di scorrere per scrivere: la carta stessa parve inglobare la penna, che affondò in essa come fosse burro, per poi risucchiarla, strappandola dalla mano della ragazza.

Rose si accorse di avere il fiato corto. “Ci sono riuscita?!” esalò, credendoci a stento.

Vide Lucy premersi le mani sulla bocca, con gli occhi al tempo stesso ridenti e pieni di lacrime. Percepì Gwyneth aggrapparsi al suo braccio e udì la sua risata quasi isterica. Vide Albus sollevare di peso la sua amica e girare in tondo ridendo: le tornò alla mente che il suo nome era Quinn.

Lo sconosciuto sorrideva in disparte, in piedi e con la schiena appoggiata allo stipite della porta.

Cercò Scorpius con lo sguardo e lo vide camminare verso di lei con le braccia tese per stringerla; per qualche motivo questo le fece girare la testa, mentre qualcosa batteva con decisione le ali nel suo stomaco. Si lasciò abbracciare affondando il viso nella sua spalla come se questo fosse giusto, naturale, come se dovesse essere proprio così, mentre l'euforia le faceva battere forte il cuore e tutto sembrava improvvisamente traboccare di speranza.

Che siano questi i sentimenti?, si chiese. Che stiano cominciando a riaffiorare?

Persino lei sapeva che non era finita lì, che un incantesimo andato a buon fine non avrebbe risolto la situazione: tuttavia, finalmente qualcosa si era mosso. Finalmente la speranza tornava ad agitarsi e per questo si erano tutti abbandonati a quell'euforia collettiva.

Rose si lasciò stringere da Scorpius in un abbraccio che fece riecheggiare nella sua testa l'ombra di altre strette, di altri contatti.

Che sia questo?, si domandò ancora. Che sia questo il riscatto per la mia memoria?

 

 

 

Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping.

Simon & Garfunkel

 

 

 

*****

 

 

Luogo imprecisato del Norfolk

Pochi secondi prima

 

 

Accadde improvvisamente, proprio quando Bernie credeva di essere sul punto di impazzire, a furia di udire le urla di Christine provenire dal piano superiore e non poter fare nulla per aiutarla. Per tutto quel tempo, si era aggrappato al Diario Comunicante con tutte le proprie forze, trattenendosi a stento dal gridare a propria volta per la disperazione.

Accadde improvvisamente: il Diario divenne bollente tutto d'un colpo e iniziò a emanare un bagliore rossastro e pulsante. Il cuore in gola, Bernie si affrettò ad aprirlo, sfogliandolo freneticamente fino alle pagine dove la calligrafia ordinata di Lucy Weasley incideva il suo ripetitivo appello a Christine.

Proprio lì la pagina sembrava ricoperta di ondulazioni, simile ai cerchi che si creano nell'acqua quando vi si getta dentro un sasso. Dal centro esatto del foglio faceva capolino qualcosa: una penna d'oca.

Incredulo e quasi stupito che dal piano superiore non udissero il suo cuore che batteva furiosamente, si affrettò a prendere la penna e a scrivere un messaggio succinto.

Sono Bernie. Io sto bene, ma hanno preso Christine.”

Le sue parole furono assorbite dalla carta. Dovette attendere solo pochi istanti perché comparisse la risposta, in una calligrafia che riconobbe immediatamente come quella di Scorpius.

Christine aveva ragione... Hanno unito le forze.

Hai visto chi sono?”

Ho visto solo la donna catalana che avevamo sentito nel parco.”

Che cosa dobbiamo fare?”

Chiuse gli occhi per qualche istante; li riaprì poco dopo, ringraziando il cielo che Christine lo avesse messo a parte dei dettagli del proprio piano, perché altrimenti non avrebbe saputo combinare granché.

Doveva solamente agire come avrebbe fatto lei.

Jake e Lily sono ancora là?”

No. Sono scomparsi.”

Scosse la testa, sorridendo amaramente: Christine aveva valutato bene le proprie carte.

Ho bisogno della mia bacchetta.”

Dal piano superiore, le grida erano improvvisamente cessate.

Cerchiamo di recuperarla.” Questa volta riconobbe la scrittura di Gwyneth. “Quando vedi la tua ragazza, dille che se esce viva da questa faccenda ci penso io a ucciderla.”

Scosse la testa, ridacchiando istericamente. “Promesso.”

VI SALVEREMO.” Era stato Albus a scrivere, in uno stampatello che aveva riempito quasi mezza pagina. “Costi quel che costi, vi tiriamo fuori da lì.”

Chiuse il Diario, desiderando di poter essere fiducioso e sperando che facessero in fretta.

Un piano più in alto, Christine riprese a gridare, e Bernie fu assalito da una rabbia sorda. Avrebbe dato qualunque cosa per essere in possesso di una bacchetta, poter correre di sopra e impedir loro di farle del male.

Qualunque cosa...

 

 

 

 

 

 

Sotterranei di Hogwarts, Scozia

Dieci minuti più tardi

 

 

A Gwyneth Parkinson era sempre piaciuto girare per i sotterranei di notte, forse perché le dava quella sottile sensazione di inquietudine che faceva saltare il cuore in gola; era un modo come un'altro per mettere alla prova il suo nascosto – molto nascosto – lato temerario, quel lato che a volte faceva sì che si domandasse se non sarebbe stata bene anche tra quei sbruffoni dei Grifondoro.

Tuttavia, questa volta provava ben altro: una volta spentasi l'euforia collettiva per quel successo, erano riusciti finalmente a comunicare con Bernie.

Io sto bene, ma hanno preso Christine.”

La sua scrittura le era parsa tremolante e assai meno precisa del solito; chiaramente non stava bene. Hanno preso Christine.

Di certo non stava bene. Sollevò lo sguardo su Scorpius, che al suo fianco percorreva furtivo il corridoio buio e umido. Si erano offerti loro per andare a recuperare la bacchetta di Bernie, custodita nell'ufficio di Lumacorno, e per questo erano sgattaiolati fuori dalla Sala Comune, incamminandosi nei sotterranei gelidi proteggendosi con un incanto di Disillusione. Si erano introdotti nello studio del professore senza molte difficoltà, e non avevano impiegato più di dieci minuti per recuperare la bacchetta dell'amico, a loro così familiare, che era stata ritrovata nei sotterranei non molto tempo dopo la scomparsa.

Gwyneth aveva paura. Non era tanto l'ansia di essere scoperti da Auror o professori, quanto piuttosto il terrore di non fare in tempo. Quasi le avesse letto nel pensiero, Scorpius accelerò il passo, affrettandosi in direzione dei sotterranei Serpeverde, dove gli altri li aspettavano lì dove li avevano lasciati, nel dormitorio femminile del Settimo Anno.

Boa Constrictor,” sussurrò, e la parete si mosse sui propri cardini.

Proprio davanti alla soglia, trovarono ad aspettarli una figuretta in vestaglia, ben dritta sulle spalle e con un'espressione serissima sul faccino appuntito. La riconobbe come una studentessa del Primo Anno; per qualche ragione, le ricordò Lily Potter.

Si scambiò con Scorpius uno sguardo perplesso.

“Tu chi saresti?” la interpellò poi.

“Mi chiamo Elizabeth Dursley,” fece la ragazzina in tono antipatico. “E so qualcosa che potrebbe esservi utile.”

 

“Lizzy?!” esclamò Lucy, stupefatta. “Che cosa ci fai qui?”

“Potrei chiederti la stessa cosa,” replicò quella, lanciandole un'occhiataccia. “Fino a prova contraria, questa è la mia Sala Comune.”

Una Serpeverde coi fiocchi, eh?

Albus non si concesse il tempo di domandarsi a propria volta cosa ci facesse lì la sua cuginetta di parte Potter. “Non perdiamo altro tempo, okay?” sbottò. Strappò di mano a Gwyneth la bacchetta di Bernie, tolse dalle mani di Rose il Diario di Lucy e fece scivolare la prima tra le pagine del secondo, provando la curiosa sensazione che qualcosa la stesse risucchiando via dalla sua stretta. “Bene.” Decretò poi, sotto gli occhi vagamente divertiti, seppur pieni d'ansia, di Quinn. “Adesso possiamo parlare di cosa ci fa Lizzy qui.”

L'espressione della ragazzina si fece indignata. “Devo ripetere che–”

“Bla bla.” La interruppe Gwyneth. “Abbiamo capito che questa è la tua Sala Comune. Adesso dì quello che devi e poi torna a dormire.”

Certo che la Parkinson ha trovato pane per i suoi denti. Si domandò cosa avrebbe detto Lily e risolse che sarebbe scoppiata a ridere. Improvvisamente, la sua sorellina gli mancò così tanto che ebbe l'impressione che qualcosa si stesse torcendo dolorosamente all'altezza del suo petto.

Tra le sue mani, il Diario si scaldò. Lo aprì, trovandosi davanti un nuovo messaggio di Bernie. “La bacchetta è arrivata.”

Fece per prendere la penna d'oca e rispondere, ma Lucy gli strappò di mano il Diario.

Chi è Gossip Witch?” la vide scrivere sbirciando da sopra la sua testa. Nell'attesa generale della risposta, nessuno disse altro per parecchi minuti. Quando fu chiaro che per quel momento Bernie non avrebbe scritto altro, Gwyneth tornò a rivolgersi a Lizzy.

“Beh?” la incitò a parlare.

“Dovete capire chi è Gossip Witch, giusto?” replicò invece la ragazzina.

Albus annuì, aggrottando al tempo stesso le sopracciglia. “Come fai a sapere di lei? Sei arrivata solo quest'anno.”

Lizzy gli rivolse un sorrisetto supponente che gli ricordò terribilmente Lily, e di nuovo un moto di nostalgia lo aggredì violentemente alla bocca dello stomaco. “Mi sono informata.” Scrollò le spalle, in un gesto curioso per la sua età. “Ad ogni modo, io credo di sapere chi sia. Non so il suo nome, ma l'ho vista. Durante una partita di Quidditch si è accorta che con una mia amica avevo sentito una conversazione tra Lily e Rose che lei stava origliando. Ci ha detto di dimenticare quello che avevamo sentito, o saremmo finite nei pasticci. Sembrava veramente cattiva.”

“Com'è fatta?” domandò Rose, intervenendo improvvisamente. Albus si scambiò uno sguardo con Scorpius: dal momento in cui aveva gridato di ricordare e aveva azzeccato l'Incanto di Dislocazione al primo colpo, la cugina si comportava in modo strano; per il più del tempo se ne stava seduta imbambolata sulla poltrona, ma di tanto in tanto si inseriva nella conversazione in maniera del tutto pertinente ed esattamente col tono che avrebbe usato la vecchia Rose.

Lizzy non sembrò fare caso a tale stranezza. Scrollò le spalle di nuovo. “Ha i capelli scuri e ricci, gli occhi che luccicano e un sorriso inquietante.”

Questa volta fu Lucy a cercare lo sguardo di Albus: la descrizione data da Elizabeth corrispondeva perfettamente a quella che aveva fornito loro Lady Carmilla.

“... è una Corvonero,” precisò poi Lizzy.

Improvvisamente, tutto fu più chiaro.

Albus si voltò verso Lucy e trovò nei suoi occhi la sua stessa espressione costernata.

 

 

 

 

*****

 

 

Torre di Corvonero

Hogwarts, Scozia

Più o meno alla stessa ora (forse poco più tardi)

 

 

Hugo, ricordati quello che ti ho detto. Occhio ai gufi.”

Non c'era altro da fare se non attendere, a quanto pareva, e Hugo non si era mai sentito così frustrato in tutta la sua vita. La Sala Comune di Corvonero era andata vuotandosi man mano che calava la notte, finché anche l'ultimo gruppetto del Sesto Anno non si era diretto sbadigliando verso i dormitori ed era rimasta solo una coppia ad amoreggiare su di un divano accanto al fuoco. Hugo si chiedeva come facessero a baciarsi senza che la prorompente appendice nasale di Teresa Grib finisse per cavare un occhio a Vincent Greene.

Era un pensiero così tanto da Lily da far male al cuore

Sei un cretino, Hughie. Ma ti voglio bene.”

Si sentiva uno sciocco a non aver captato quali fossero i piani di Lily in quel momento; sapeva che avrebbe dovuto capirlo dalle parole che gli aveva rivolto e dal modo in cui lo aveva abbracciato, esprimendogli il proprio affetto apertamente per la prima volta da sempre, come se non fosse stata certa che avrebbe avuto un'altra occasione per farlo.

Devo andare.”

Rilassò la schiena contro lo schienale della poltrona che aveva rivolto verso la finestra, mentre la pioggia scrosciava furiosa contro i vetri con un fracasso da mitragliatrice. In quel diluvio, nel quale di tanto in tanto si udiva il rimbombo di un tuono, Hugo aguzzava gli occhi nel tentativo e nella speranza di vedere un gufo planare verso la finestra.

Riteneva fondamentale restare sveglio più tempo possibile, per evitare di perdere tempo trovando il gufo che aspettava solo al risveglio. Tuttavia, si stava rivelando un'ardua impresa... Erano mesi che non faceva sonni tranquilli, e negli ultimi giorni non aveva dormito che una manciata di ore.

La pioggia continuava a tichettare contro la finestra, adesso più sommessamente, coprendo solo appena il chiacchiericcio e le risatine di Teresa e Vincent. A Hugo parve che la poltrona su cui era seduto cominciasse a dondolare... Pensò di alzarsi per andare a prendere un libro, qualcosa con cui passare il tempo nell'attesa, ma chissà perché il suo corpo non ne voleva sapere di obbedire ai comandi e rimase dunque lì, con le gambe comodamente allungate, nel piacevole tepore del suo maglione alla Weasley.

D'un tratto si accorse che non era più notte, ma tardo pomeriggio, a giudicare dal trionfo arancione del tramonto fuori dalle finestre. La Sala Comune era affollata e la poltrona di Hugo era ancora rivolta verso la finestra, dando alle spalle al cerchio di cui faceva parte, dove era radunata l'intera Alta Corte Corvonero, come la chiamava ironicamente lui. Teresa e Vincent continuavano ad amoreggiare su quel divano, che però anziché accanto al fuoco era stato spostato fino ad essere inserito nel cerchio.

Vide Tony e Georgia Menley, seduti come sempre l'uno accanto all'altra, con le labbra incurvate in sorrisi identici.

“Allora, Weasley?” Gli si rivolgeva Fiona Beckett, con una smorfia severa. “Non hai fatto il tuo giro di ronda, questa sera.”

“Mi dispiace,” cercava di difendersi lui, “mi sono addormentato...”

Le unghie di Georgia cominciavano a tamburellare sul bracciolo ligneo della poltrona, sempre più insistentemente, finché il rumore non si fece ossessivo e talmente forte da impedire a Hugo di udire sia le parole di Fiona che le proprie; infine aprì gli occhi, svegliandosi di soprassalto.

Il rumore continuava: si accorse allora che fuori dalla finestra dibatteva le ali sotto la pioggia un gufo della scuola, bussando contro il vetro con il becco perché lui gli aprisse.

Per un momento rimase immobile, incredulo, convinto di star ancora sognando. Aveva aspettato quel gufo con tanta ansia che non riusciva a credere fosse davvero lì di fronte a lui. Con le dita tremanti aprì la finestra: il volatile entrò nella stanza in un frullare d'ali; una chiostra di goccioline di pioggia si abbatté su Hugo. Fece a stento caso alla protesta di Teresa, infastidita dal fiotto di vento gelido che irrompeva improvviso dalla finestra, affrettandosi a slegare dalla zampa del gufo una busta chiusa. Non appena ebbe finito, l'animale tornò a tuffarsi nel cielo in tempesta, diretto alla Guferia.

Hugo chiuse la finestra e tornò a lasciarsi cadere sulla poltrona, rabbrividendo per gli schizzi d'acqua gelida che l'avevano raggiunto.

Osservò per parecchi secondi la busta chiusa e macchiata di pioggia, rigirandosela tra le mani. Nello stesso corsivo neutro in cui aveva trovato scritti gli altri messaggi, sul retro era scritto il suo nome in inchiostro blu. Sospirò di petto e si decise ad aprire la busta.

Avrei dovuto aspettarmelo, pensò, quando da essa cadde una carta del mazzo francese: l'Asso di quadri.

Una missiva che porta cattive notizie. Ormai aveva imparato a memoria il significato delle carte, ed era abbastanza ovvio che la missiva, in quel caso, fosse la carta stessa. L'avvicinò agli occhi: non fu realmente stupito quando, sul margine della carta, trovò un breve, lapidario messaggio:

 

A Hogwarts. Stanotte.

Stai attento.”

 

Hugo deglutì.

Devi aspettare... Chiunque ti stia mandando quelle carte ti avvertirà anche di quando sarà il momento di agire.”

Lily aveva ragione: oh, se aveva ragione. Ormai era più che sicuro che fosse Christine a mandargli le carte: il significato di quell'ultimo messaggio era ben chiaro.

Solo dandole ascolto possiamo permetterle di salvarci tutti... Se non posso convincerti, ti chiedo solo di fidarti di me.”

Si fidava della sua Lily. Si fidava di lei ciecamente e sperava, sperava con tutto il cuore che avesse ragione. Allora, improvvisamente, seppe che doveva andare da Albus e Lucy. Ed era piuttosto certo che non li avrebbe trovati nella Sala Comune di Grifondoro.

 

 

 

*****

 

 

 

Luogo imprecisato nel Norfolk

Mezz'ora prima

 

 

Quando il Diario tornò a scaldarsi e sputò fuori la sua bacchetta magica, Bernie quasi non riusciva a crederci. Spinto dall'istinto, immediatamente la raccolse e la nascose sotto la camicia macchiata di sangue. Recuperò quindi la penna dal pavimento della cella e trepidante scarabocchiò un rapido messaggio.

La bacchetta è arrivata.”

Tornò ad appoggiare la parete al muro di pietra, parimenti sollevato e perplesso, perché pur essendo in possesso della propria bacchetta non aveva idea di cosa fare.

Dal piano superiore, le grida di Christine cessarono: che la stessero riportando nella cella? Di certo, lei avrebbe saputo come agire.

Il Diario divenne bollente tra le sue mani.

Chi è Gossip Witch?” apparve scritto nella nitida grafia di Lucy Weasley.

Bernie era sul punto di rispondere, quando dei passi risuonarono giù per le scale. Il cuore in gola, gettò penna e Diario in un angolo buio della cella, esattamente dal lato opposto rispetto a quello dove lui si trovava.

Tornò quindi immobile; le sue pulsazioni erano così accelerate da fargli credere che da un momento all'altro sarebbe esploso.

Si udì lo scatto della serratura e la porta si aprì con un lungo scricchiolio: sollevò gli occhi, sperando di vedere Christine, ma stagliata sulla soglia c'era solamente la donna che prima era venuta a prendere la ragazza. Come aveva fatto prima con lei, si avvicinò a Bernie e lo sollevò praticamente di peso per un braccio; con frustrazione, il ragazzo scoprì di non essere abbastanza in forze da potersi ribellare: poteva solo lasciarsi trascinare su per le scale.

La catalana non lasciò il suo braccio finché non furono in una grande sala dalle pareti di pietra, illuminata da torcie fiammeggianti. Non c'erano finestre e la scarsa mobilia era coperta da bianchi teli dall'aria polverosa, come se quel castello non fosse abitato da molto tempo.

Si guardò intorno, cercando Christine, e infine la vide: rannicchiata sul pavimento, con espressione dolente, il volto sporco pallidissimo e circondato dagli scuri capelli aggrovigliati. I suoi occhi, tuttavia, ardevano come braci nella sua direzione.

Rimasero a guardarsi per qualche secondo; poi la donna si scambiò diverse frasi in catalano con un uomo che era anche lui nella sala e che Bernie fino a quel momento non aveva notato. Entrambi si fecero avanti verso di lui.

L'uomo si rivolse a Christine. “Il ragazzo,” borbottò in un inglese pesantemente accentato, “soffrirà finché non ci avrai detto quello che sai.”

Bernie la guardò: aveva gli occhi pieni di lacrime. Strinse le labbra e fece segno di no con la testa; lei annuì mentre il suo sguardo si tingeva di disperazione.

Crucio,” udì dire dall'uomo, e poi non sentì nulla all'infuori del dolore.

Aveva l'impressione che l'intera superficie del suo corpo fosse affondata tra le braci ardenti, che milioni di coltelli lo pugnalassero dall'interno.

Sentiva un grido terribile straziare le sue orecchie: gli ci vollero alcuni istanti prima di capire che era il suo.

 

Non avrebbe saputo dire quanto fosse durata quella tortura, ma quando infine cessò si sentiva dolorante come dopo una brutta caduta da un manico di scopa. Provò un curioso senso di sorpresa: sotto l'influsso della Maledizione Cruciatus, aveva avuto l'impressione che, fino a quel momento, la sua intera vita fosse stata attraversata dal dolore. Adesso gli sembrava strano non provare nessuna sofferenza se non una dolenza leggera ma persistente in tutto il corpo.

Ebbe bisogno di alcuni istanti per capire come mai la maledizione fosse stata interrotta. La testa gli girava e i colori parevano stranamente amplificati, ma vide Christine, che l'uomo aveva afferrato per la collottola fino a sollevarla alla sua altezza; le puntava la bacchetta alla gola. Si chiese dove fosse la donna e infine la vide di fronte a sé: guardava in direzione dei due, tenendolo al contempo sotto il tiro della sua bacchetta.

Ci volle un'ulteriore manciata di secondi prima che si rendesse conto di ciò che stava succedendo, prima che le sue orecchie ricominciassero a udire.

“... Vi dirò tutto... tutto quanto. Lasciatelo andare, vi dirò tutto... Lasciatelo andare.”

Una litania rauca e quasi insopportabile sfuggiva dalle labbra di Christine; Bernie si irrigidì. “No...” riuscì a esalare.

Christine guardò verso di lui, con la bocca socchiusa come se volesse dire qualcosa; tuttavia, non parlò, se non per il sospiro che a stento parve riucire ad emettere. “Bernard...”

Il cuore aveva rallentato i suoi battiti: adesso andava lento e quasi rumoroso, come se la tensione del momento facesse procedere il tempo al rallentatore. Continuò a scuotere la testa, sperando che Christine tacesse, che non dicesse nulla... Non voleva essere il suo passo falso. Non voleva mandare all'aria tutto quel folle piano che lei aveva ordito con tanta cura negli ultimi mesi.

Alcuni secondi scorsero spugnosi e lentissimi, neanche stessero colando da un contagocce.

La sua vista annebbiata cominciava a divenire più chiara; vide nitidamente Christine aprire la bocca per parlare, ma non fece in tempo, perché una voce limpida e familiare risuonò nella sala.

Stupeficium!” gridò Lily Potter, colpendo dritto in mezzo alla schiena l'uomo, mentre si faceva largo nella stanza con gli abiti stracciati e il viso sporco.

Christine cadde con lui ma riuscì a reggersi sulle braccia e a scansarsi prima che le piombasse addosso; sulle sue labbra, a Bernie parve di riconoscere qualcosa che gli sembrava di non vedere da un'eternità: un sorriso fugace, accompagnato dallo scintillio dei suoi occhi.

Immediatamente nella stanza irruppe anche Jake, anche lui ridotto in pessime condizioni, precipitandosi al fianco di Lily. Con la coda dell'occhio, Bernie vide la catalana muoversi verso di sé; più in fretta che poteva estrasse la bacchetta e, consapevole che non avrebbe avuto il tempo né la forza di difendersi, la fece rotolare verso Christine, che nel frattempo si stava alzando in piedi.

Fece in tempo a vedere Christine e Jake precipitarsi verso di lui prima che la catalana schivasse l'Incanto Scudo della ragazza e muovesse la bacchetta nella sua direzione con un movimento di frusta.

Poi, per la seconda volta nel giro di pochi giorni, Bernie non vide altro che nero.

 

A spiderweb, and it's me in the middle
So I twist and turn
But here am I in my little bubble.

Coldplay

 

 

*****

 

 

Ufficio della Preside

Hogwarts, Scozia

Più tardi

 

 

“Papà, devi ascoltarci!” sbottò Albus, cominciando ad alzare la voce.

Per come la vedeva Lucy, l'ufficio della Sinistra non era mai stato tanto affollato. Oltre a lei, Albus, Hugo, Rose, Quinn, Leopold, Scorpius e Gwyneth, erano presenti la professoressa McGranitt, i quattro direttori delle Case, lo zio Harry e lo zio Ron, due Auror che non conosceva e la Sinistra stessa, presente pur avendo momentaneamente deposto il proprio incarico. La McGranitt era seduta alla scrivania, con i professori in piedi dietro di lei – fuorché Lumacorno, che evidentemente non si era trattenuto dall'Evocare per sé un comodo puf; gli Auror e lo zio Ron sostavano poco più in là, mentre lei e gli altri erano in piedi dal lato della porta. Tranne per Albus, che era in piedi a fronteggiare suo padre al centro della stanza.

Perché?!” Da che ricordava, non aveva mai visto lo zio Harry così furioso. “Per quale ragione non ci avete detto niente fino a questo momento?!”

Se continua così, lo sentiranno fino alle cucine.

“Zio,” intervenne Hugo con tono ansioso, “dovete andare nella Torre di Corvonero e arrestare Georgia Menley per interrogarla. Per favore,” aggiunse, vedendo che non aveva reazioni.

Per fortuna, lo zio non aveva perso del tutto il cervello. “Va bene,” disse bruscamente, sebbene i suoi occhi continuassero a dardeggiare furiosi. “Qualcuno vada a prendere la ragazza.”

La McGranitt fece un cenno a Vitious; di propria iniziativa, lo zio Ron lo seguì fuori dallo studio per accompagnarlo alla Torre di Corvonero.

Di nuovo, Harry Potter fece per rivolgersi aspramente al figlio, ma una testa improvvisamente comparsa nel caminetto acceso catturò la sua attenzione. Quasi con sgomento, Lucy riconobbe Louis.

“Zio, hanno chiamato i responsabili di Magia Minorile! Hanno trovato la Traccia di Lily!”

Albus e il padre si precipitarono verso il camino con un identico scatto. “Dov'è?”

“In un maniero del Norfolk appartenente ai possedimenti della famiglia Menley.”

Lucy si scambiò uno sguardo con Hugo: se avevano fatto bene i loro ragionamenti, era lì che si trovavano anche Christine e Boot. E se Lily e Greengrass li avevano raggiunti...

Non era così certa che si trattasse di una buona notizia.

“... Grazie, Louis. Riferisci al comando di radunare tutte le forze e di dirigerci lì. Ci incontreremo fuori dal perimetro del possedimento.” Fece una pausa, mentre negli occhi ardeva un brillio febbrile. “Lasciate a casa Allievi e Spezzaincantesimi,” aggiunse infine.

Lucy vide distintamente le sopracciglia di Louis aggrottarsi per un istante e la sua bocca storcersi in una smorfia. “Subito, Capitano,” disse poi in tono formale, prima di scomparire dalle fiamme.

Lo zio Harry tornò a rivolgersi a loro. “Dopo mi spiegherete tutto per filo e per segno... Professoressa,” si voltò quindi verso la McGranitt, “vi occuperete di tenere la ragazza Menley sotto attenta custodia?”

“Naturalmente, Potter,” replicò la donna. “Dirò a Weasley di raggiungervi.”

“La ringrazio.”

Detto ciò, fece un cenno agli Auror, muovendosi verso il caminetto per tornare a Hogsmeade tramite Metropolvere.

Fu allora che Hugo scattò. Con quella carta francese stretta in mano – Lucy non aveva capito mezza parola del suo discorso in proposito – si precipitò verso lo zio Harry per trattenerlo. “Zio, devi lasciare anche una guarnigione a Hogwarts! Succederà qualcosa questa notte!” La sua espressione era semplicemente terrorizzata.

Harry Potter si fermò. “Questo non possiamo saperlo,” disse senza voltarsi. “Ma possiamo salvare quei ragazzi adesso.”

Detto ciò, gettata una manciata di Polvere Volante nel caminetto acceso, scomparve tra le fiamme verdi, seguito immediatamente dagli Auror.

“Confido che tornerete tutti nei vostri dormitori,” fece seccamente la McGranitt.

 

Non appena furono usciti in corridoio, Albus praticamente lo aggredì. “Per quale dannata ragione non ci hai mai detto nulla di quelle carte?!”

Hugo allontanò l'altro con una spinta, con la netta sensazione che avrebbero finito per fare a pugni. “Tuo padre ti ha chiesto la stessa cosa, Al!” sbottò insensatamente. “Tu cosa gli hai risposto?”

Lucy doveva aver percepito l'aria che tirava, giacché Hugo la vide con la coda dell'occhio avvicinare la mano alla bacchetta, pronta a separarli.

“Non è il momento di litigare, stupidi idioti,” intervenne aspramente Gwyneth Parkinson. “Weasley, cosa diamine dovrebbe succedere questa notte?”

Scosse la testa, sentendosi sconfitto. “Non ne ho idea,” ammise. “Ma so che succederà stanotte e...” esitò, poco sicuro di quanto stava per dire. Ma ormai aveva imparato che nascondere le cose poteva soltanto peggiorare la situazione, sebbene le sue fossero solo ipotesi. “E credo che riguardi i Doni della Morte e la tomba di Silente.”

Scorpius Malfoy aggrottò le sopracciglia. “Ma cosa...”

“Non c'è tempo di spiegarvi,” tagliò corto lui, “ma ho le mie buone ragioni per ritenere che sia così.”

“Ripetimelo di nuovo,” fece Lucy. “Tu sai che qualcosa avverrà stanotte perché... ?”

“Perché Christine De Bourgh mi ha sempre avvisato in anticipo di cosa stava per accadere,” ripeté Hugo stancamente per l'ennesima volta. “Tramite le carte. Ecco qui... C'è scritto A Hogwarts. Stanotte... Secondo voi cosa vorrebbe dire?” borbottò sarcastico.

Lucy aggrottò le sopracciglia e gli strappò di mano la carta. “Inchiostro blu,” osservò dubbiosa. “Gli altri messaggi di Christine erano scritti in inchiostro viola.”

“Questo non ha importanza adesso.” Gli angoli della bocca di Scorpius Malfoy continuavano a contrarsi. “Che cosa facciamo? Se questa notte accadrà qualcosa a Hogwarts dobbiamo essere preparati.”

“Sono d'accordo.” Quinn Baston assentì. “Gli Auror sono tutti andati via, dunque muoversi per i corridoi sarà abbastanza semplice.”

“Non solo per noi, purtroppo,” brontolò Albus, ma la ragazza lo ignorò.

“Io propongo di fare in modo di tenere sott'occhio chi dovesse entrare nel castello... Al, tu puoi farlo con quella mappa, giusto?”

Hugo fece tanto d'occhi nello scoprire che il cugino le avesse parlato della Mappa del Malandrino, ma non era tempo di soffermarsi su cose tanto futili. “Baston, la tua idea è buona, ma siamo troppo pochi.”

Malfoy annuì. “Ha ragione. Quando io e Jake siamo finiti in mezzo all'attacco a Hogsmeade erano moltissimi... Contro gli Auror non avevano scampo, ma noi siamo solo studenti,” aggiunse logicamente.

Hugo si sentì pungolato nell'orgoglio. “Studenti capaci, ma solo studenti,” convenne, ma solo in parte.

“Dunque cosa possiamo fare?” sospirò Gwyneth Parkinson. “Senza Auror siamo fottuti. Un tentativo di intervenire in qualsiasi cosa stia per accadere equivarrebbe ad una missione suicida.”

Cadde il silenzio. Dietro di loro, oltre il gargoyle che faceva la guardia alla presidenza, udirono un suono di passi. Come un solo uomo, si incamminarono tutti verso la fine del corridoio, camminando più lentamente possibile.

Poi, Hugo colse con gli occhi un movimento di Lucy, che si era precipitata ad aggrapparsi al braccio di Albus.

James!” la udì esclamare.

L'espressione di Al si fece perplessa. “Stai bene, Lu? Io sono Albus, ricordi?”

“Non fare l'idiota!” La vide assestare al cugino un debole pugno sulla spalla. “James, tuo fratello. Non hai sentito cos'ha detto Harry? Lasciate a casa gli Allievi.”

 

 

 

*****

 

 

And I’ll walk slow, I’ll walk slow

Take my hand, help me on my way.

Mumford & Sons

 

 

8 marzo 2022

Torre di Grifondoro, Hogwarts, Scozia

All'una del mattino

 

 

La Sala Comune di Grifondoro era deserta. Oltre le finestre, continuava a infuriare il temporale: la pioggia veniva trascinata da un lato all'altro dal vento impetuoso; spesso variava la propria intensità, oscillando da un diluvio sottile ma persistente a robusti scrosci d'acqua contro i vetri.

Nel caminetto ardevano le ultime braci: sfrigolavano delicate nel buio, inondando Quinn – seduta al suo fianco – di strane luminescenze altalenanti, che a tratti sembravano seguire il ritmo della pioggia.

Al aveva spedito il proprio gufo da James neanche un'ora prima, con una succinta richiesta di aiuto. Era certo che il fratello avrebbe risposto all'appello – in fondo, Al non l'avrebbe contattato se non fosse stato qualcosa di veramente grave; sperava solo che, oltre al suo gruppetto di Allievi coinvolgesse anche altri.

La Mappa del Malandrino era aperta sul tavolino di fronte a loro: Quinn scrutava attentamente la riproduzione dei confini del parco, nell'attesa di cogliere movimenti entro il perimetro di Hogwarts. Contravvenendo agli ordini della McGranitt, Lucy era andata con Hugo ad aspettare nella Torre di Corvonero, poiché avevano convenuto di restare ad aspettare perlomeno in piccoli gruppi.

Perciò nella Sala Comune c'erano solo loro.

Il silenzio era gravido di attesa e tensione; Al temette di non farcela più. “E così Georgia Menley, eh?” farfugliò imbarazzato.

Quinn sollevò gli occhi dalla Mappa, posandoli su di lui. Le sue sopracciglia si inarcarono. “Ti prego, Albus, non farmi dire niente. Potrei ridurti in poltiglia.”

Albus ridacchiò stupidamente. “Sono stato un idiota. Più di quanto pensassi.”

“Ecco quello che volevo sentire.”

Erano seduti sul divano, l'uno accanto all'altra. Lo stesso divano sul quale, pochi giorni prima, aveva abbracciato Quinn, finendo per raccontarle ogni cosa. Lei era rimasta ad ascoltarlo pazientemente per tutta la notte, per poi buttarsi a capofitto nell'impresa, decisa a dare in qualche modo il proprio apporto. Non lo avrebbe mai ammesso, ma si sentiva estremamente grato nei suoi confronti per questo: per qualche ragione che non riusciva a spiegarsi, averla al suo fianco lo rassicurava.

Senza preavviso, una terribile angoscia gli capitolò addosso, quella stessa angoscia che l'adrenalina della serata appena trascorso aveva spazzato via come foglie secche. Era come se fino a quel momento non avesse realizzato che davvero stavano per trovarsi in una situazione di pericolo mortale. E sebbene, sepolto in qualche andito del suo animo, vi fosse qualcosa che aspirava esattamente a questo, il suo cuore pareva dibattersi furiosamente al pensiero.

Si accorse improvvisamente di essere terrorizzato: di avere paura per sé e per le persone che amava, che di lì a poco si sarebbero gettate a capofitto in quella missione suicida, come l'aveva definita Gwyneth. Realizzò che non era come una partita a Quidditch o un Torneo Tremaghi: c'era veramente il rischio, la possibilità concreta che qualcuno di loro non tornasse tutto intero.

O non tornasse affatto.

Si voltò verso Quinn e la scoprì a fissarlo, con i suoi occhi chiari e seri. Si ritrovò a desiderare che quel momento non finisse mai, come sperando che quella sospensione, quel respiro profondo durasse per sempre.

“Vorrei che il tempo si fermasse,” mormorò. Non si era accorto che fossero seduti così vicini; qualcosa si agitò all'altezza del suo stomaco. “Ho paura.”

“Ne ho anche io.”

Ne fu quasi stupito. Quinn l'impavida non poteva avere paura, eppure aveva appena ammesso di essere spaventata quanto lui.

Si schiarì la voce. “Quinn, nel caso dovesse accaderci qualcosa...”

“Lo so, Albus,” disse lei.

Seguì l'istinto: fu semplice. Semplice avvicinarsi a Quinn ancora un po', quel tanto che bastava perché i loro nasi si sfiorassero.

La baciò senza porsi troppe domande, senza chiedersi nulla fuorché cosa mai avessero avuto in mente in tutti quegli anni per non cominciare prima. Le labbra di Quinn erano soffici e i suoi capelli morbidi sotto le dita: il bacio fu di intensità immediata, come se entrambi non ne potessero più di attendere. Come se entrambi non avessero desiderato altro.

E – ma Albus se ne rendeva conto solo adesso – probabilmente era sempre stato così.

Quando si separarono, non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato; tuttavia, non ebbero il tempo di dirsi nulla: Albus vide distintamente gli occhi di Quinn posarsi sulla Mappa del Malandrino e la sua espressione mutare. Si affrettò dunque a volgere lo sguardo nella stessa direzione.

Ai confini della Foresta Proibita, vide un agitarsi di puntini con relativo cartiglio, così tanti che rinunciò subito a contarli.

 

 

 

 

 

 


 

 

Note dell'Autrice

 

 

Con mesi di ritardo, ci sono.

Mi scuso di nuovo di dovermi scusare ogni volta, ma prometto che il prossimo non si farà aspettare così tanto, visto che la sessione è finita e sono ufficialmente “in vacanza”.

Grazie a chi ancora continua a seguirmi <3

Un bacio a tutti/e.

Daph

   
 
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