Furry Love
It's magic, you know!
Never believe it's not so.
It's magic, you know!
Never believe, it's not so.
Ripresi
coscienza sentendo in lontananza uno strano e timido rumore metallico
che mano a mano che i miei neuroni si risvegliavano riconobbi essere il
suono di un cucchiaino su un bicchiere.
Aprii piano gli occhi e mi ritrovai sul mio letto, con addosso una
delle mie magliette troppo larghe e le gambe coperte da un lenzuolo.
Mi puntellai sui gomiti per tirarmi su, ancora troppo intontita per
pensare alcunché di razionale quando un dolore lancinante
alla
caviglia mi fece sussultare. –Ahia, caz..-
-Stai giù, credo sia rotta.-
Quasi mi prese un colpo quando un uomo varcò la soglia della
mia
camera con un bicchiere in mano, avanzando nella mia direzione.
-Chi diavolo sei? Io.. cosa..-
Mi guardai intorno e nonostante il dolore mi sollevai mettendomi a
sedere pur sapendo che con la caviglia in quelle condizioni non sarei
riuscita a scappare neanche volendo.
Doveva essere tutto vero, quindi, ed inspiegabilmente ogni pezzo del
mio corpo era ancora al suo posto. O quasi.
Tornai a guardare l’uomo che nel frattempo aveva poggiato il
bicchiere sul comodino accanto al mio letto: i capelli cadevano lunghi
e scuri attorno al viso scavato e la barba incolta gli dava
un’aria particolarmente trasandata. Gli occhi,
incredibilmente
grigi, mi fissavano con insistenza in attesa di una mia reazione e
quando incrociò le braccia al petto mi accorsi che indossava
una
camicia chiara e fin troppo familiare.
-Hai..frugato nei miei cassetti.-
Indossava una delle camicie che mio padre aveva lasciato a casa mia
durante una delle sue permanenze a Londra su dei jeans che, realizzai,
avevano la stessa provenienza.
-Uno sconosciuto passeggia indisturbato per casa tua e la tua
preoccupazione riguarda i vestiti che indossa?- mi chiese incredulo e
saccente rivolgendomi un’occhiata dubbiosa.
Il mio cervello doveva essersi totalmente destato perché in
pochi istanti ricollegai tutti i tasselli. Era l’uomo che
avevo
incrociato per strada, qualche giorno prima, e anche l’uomo
che
Fudge ci aveva mostrato dichiarando essere un pericoloso latitante.
Il panico prese possesso del mio corpo e aprii un paio di volte la
bocca per ribattere senza che da essa uscisse alcun suono.
Lanciai istintivamente un’occhiata al cassetto del
comò
dentro il quale tenevo una pistola ed un caricatore. Gli anni in cui
avevo frequentato il poligono di tiro e la fatica per ottenere il porto
d’armi, evidentemente, potevano tornarmi utili.
-Io so chi sei. E so che là fuori ti stanno dando la caccia.
Come diavolo hai fatto ad entrare in casa mia?- mentre pronunciavo
quelle parole mi ero trascinata fuori dal letto e cercai di raggiungere
il comò puntellandomi con le mani sul muro per sorreggermi e
cercando di non badare al dolore lancinante alla caviglia.
-Mi ci hai fatto entrare tu, Hannah. E’.. complicato.-
Approfittando del momento di distrazione dell’uomo che si era
portato una mano alla nuca, pensieroso, alla ricerca delle giuste
parole da dire, aprii velocemente il cassetto ed impugnai la pistola
inserendo il caricatore e puntandola contro di lui, saldamente stretta
nella mano libera mentre con l’altra mi reggevo per non
cadere.
-Ti ho salvato la vita, stanotte. Voi babbani non sapete mostrare
neanche un minimo di ricon..-
-Babbani? Tu.. sei uno di loro!-
Lo avevo urlato ed evidentemente il timore di una pallottola
incastonata in fronte doveva averlo convinto a difendersi
perché
in un istante estrasse uno strano oggetto ligneo e la pistola mi
scivolò di mano, rovinando sul pavimento.
-Adesso calmati ed ascoltami. Ti posso spiegare.-
Istintivamente indietreggiai, spaventata e finii per crollare
anch’io sul pavimento troppo lontano dalla mia pistola per
poterla riagguantare; gemetti forte mentre il piede, dopo
quell’ulteriore colpo, sembrava lì lì
per staccarsi
dalla gamba.
Si avvicinò e si chinò vicino a me che sferrai un
pugno
che però riuscì ad evitare per poi afferrarmi
saldamente
il braccio, bloccandolo.
-Non ti farò del male, Hannah. Devi ascoltarmi, sei in
pericolo.-
Rassegnata ed impotente lasciai che i miei occhi, intimoriti,
incontrassero i suoi e inaspettatamente mi sembrarono limpidi, sinceri.
Avevo sempre vantato una cerca capacità di capire le
persone, di
classificarle e definirle e se non avessi saputo che quello che avevo
di fronte era un pericoloso criminale avrei di certo ceduto
più
facilmente all’istinto di fidarmi.
Mi porse la mano, cauto.
-Ti aiuto a rimetterti a letto. Quella sul comodino è acqua
con
dello zucchero, ti rimetterà in forze così,
quando
avrò finito di spiegarti come stanno le cose, potrai
prendermi a
pugni quanto ti pare.-
-Come faccio a fidarmi di te?-
-Se non puoi fidarti di me, forse, potrai fidarti di lui.-
Non avrei saputo spiegare come né quanto velocemente ma
nell’esatto punto in cui fino a pochi istanti prima si
trovava
quell’uomo apparve Rain rivolgendomi lo stesso identico
sguardo
turbato.
-Sono..tutta orecchie.-
Il racconto che seguì fu il più assurdo che le
mie
orecchie fossero mai state costrette ad ascoltare ma, incredibilmente,
ogni cosa assunse un significato, anche le parole di quel Malfoy e del
padre di Jason.
Disse che erano dei maghi e che lui era riuscito a scappare da una
prigione magica nella quale era stato rinchiuso per un crimine che non
aveva commesso. Era venuto a Little Winghing per proteggere il suo
figlioccio che viveva con gli zii nella casa accanto e che dedussi
essere proprio il giovane Potter.
Aveva il potere di trasformarsi in cane ogni volta che voleva ed aveva
girovagato per il quartiere per un paio di settimane prima di essere
accolto in casa mia.
-Cosa volevano quegli uomini da me?-
-Questo non saprei dirtelo. Sono i seguaci di un mago malvagio, il
più temibile di tutti i tempi. Spietato, folle. Non capisco
cosa
tu possa aver fatto per inimicarteli.-
-C’entra con il fatto che ospito un criminale, forse?- chiesi
senza riuscire ad evitare un tono piuttosto sarcastico.
-Non sono un criminale e no, non credo proprio. Nessuno sa che sono
qui. La mia natura di animagus non è dichiarata.-
-Aniche?-
-Cane.-
-Ah.-
Stava seduto ai piedi del letto e si passava continuamente le mani tra
i capelli in un rituale nervoso ed inquieto.
-Credo di aver sentito parlare di questo.. mago? Ieri Lucius Malfoy era
allo Stud..-
-Lucius Malfoy?!-
Scattò come una molla, inarcando le sopracciglia.
-Si, il braccio destro di Fudge.-
-Come conosci Fudge?-
Confuso mi fissava con gli occhi sgranati in attesa di una risposta
sensata che mi ci volle più tempo del previsto a formulare.
-E’ un ministro, non so di cosa, essenzialmente, ma mi
è
capitato spesso di incontrarlo durante degli eventi cui ho partecipato
per conto dello studio per cui lavoro.-
-E’ il Ministro della Magia.- mi spiegò con
semplicità.- E Malfoy è un Mangiamorte, uno dei
seguaci
di Voldemort.-
Dedussi che quello doveva essere il nome del nemico numero uno di cui
mi aveva parlato fino a qualche minuto prima e mi affrettai a
raccontargli il resto.
-Ho ascoltato una conversazione tra Malfoy e l’avvocato
Russell.
Dicevano che qualcuno stava tornando, qualcuno di molto vendicativo e
in cerca di seguaci.
-Non conosco questo Russell ma evidentemente è anche lui uno
dei
suoi, o comunque è disposto ad aiutarli. Ora è
tutto
chiaro, avevi sentito troppo e dovevano eliminarti.-
-Strano modo di uccidere, per dei maghi.-
-Se ti avessero fatto un incantesimo avrebbero destato sospetti ed
è l’ultima cosa che vogliono. Voldemort sta
risorgendo e
non è ancora tempo per mosse azzardate.-
Era tutto così assurdo che mi era venuto il mal di testa ma
quello che avevo di fronte era indubbiamente l’unica persona
che
avrei dovuto ringraziare se ero ancora viva e non potevo far altro che
fidarmi.
Portai le gambe al petto e mi ricordai di essere ancora in mutande con
solo una enorme maglietta a coprire lo stretto necessario.
-Hey! Mi hai.. spogliata!-
-E’ da quando sono arrivato qui che ti vedo girare per casa
in
lingerie, credi che la cosa possa avermi turbato? I tuoi vestiti erano
sporchi, dopo esserti rotolata per mezza metropolitana, e non era
affatto igienico metterti a letto in quelle condizioni.-
Mi zittii all’istante realizzando con estremo imbarazzo che
quello che avevo considerato fino a quel momento come il mio fedele
amico a quattro zampe in realtà non lo era affatto.
-Posso farti una domanda io, adesso?- mi chiese facendosi
improvvisamente pensieroso.
-Cosa?-
-Che diamine di nome è Rain?-
L’acqua e zucchero che mi aveva così
premurosamente
preparato si era rivelata un vero toccasana e completò
l’opera curandomi la caviglia con quella che appresi essere
una
bacchetta magica, di quelle che le streghette con il naso aquilino
agitavano nei film e con la quale mi aveva elegantemente disarmata
neanche mezzora prima.
-Bene, adesso che sai tutto e non hai neanche dato eccessivamente di
matto, a parte puntarmi contro una pistola, credo che..-
Fu interrotto dal trillare del mio telefono che si illuminava nella
tasca del jeans che indossavo la notte precedente e che
inspiegabilmente non si era frantumato a causa della caduta rovinosa
sulle rotaie, caduta che, per inciso, non ero ancora riuscita a
metabolizzare del tutto.
-Scusami.-
Mi alzai e istintivamente cercai di allungare la maglietta abbastanza
da coprire il sedere lanciandogli uno sguardo torvo, non avevo ancora
dimenticato la sua battutina sulla mia lingerie.
-Pronto?-
-Hannah.. stai bene?- era Jason e sembrava anche preoccupato. Guardai
l’orologio appeso al muro accanto alla porta e notai che
effettivamente ne aveva tutte le ragioni, era passato mezzogiorno e non
mi ero presentata allo Studio.
-Si, sto bene è solo che ieri ho fatto tardi e stamattina
non mi sono svegliata. Scusami.-
Qualche istante di silenzio e a seguire un sospiro.
-Pensavo fossi stata rapita dagli alieni, sei sempre così
fastidiosamente ligia al dovere che..-
-Hai ricominciato con le cattiverie, Russell? Perché se
è così sappi che non è aria.-
-No, non era mia intenzione. E visto che ci troviamo a conversare in
toni civili io.. vorrei vederti, dovremmo parlare.-
Aggrottai la fronte interdetta davanti a quell’atteggiamento
così inusuale e remissivo.
-Va bene, domani mattina allo studio ci..-
-Intendevo fuori dallo studio. Non voglio che quella pettegola della
McDay si metta in testa chissà quale strana idea.-
Dal tono con cui aveva pronunciato quella frase realizzai che era
tornato in sé e che il momento di umiltà si era
ufficialmente concluso.
-Posso passare da te per un caffè?-
-Non te lo correggo mica, sai?-
Rise piano, all’altro capo del telefono. –A dopo,
Kane.-
Chiusi la conversazione e lanciai il telefono sul materasso mancando di
poco il mio mago da compagnia nuovo di zecca, per così dire.
-Era il tizio con le mani lunghe?-
Lo guardai, incredula, posando le mani sui fianchi senza spostarmi di
un millimetro.
-Si, Mister Bacchetta Magica, proprio lui.-
-Gli ho rovinato una serata promettente, l’ultima volta.-
ghignò storcendo le labbra e fissandomi con la stessa
impertinenza che caratterizzava la sua versione pelosa.
-Sta’ zitto!- sventolai una mano votandogli le spalle e
andando
verso il bagno per fare una doccia prima che Jason arrivasse.
-Dato che là fuori vogliono farti la pelle più di
quanto
non vogliano farla a me, ti permetto di restare.- lo informai, poggiata
contro lo stipite della porta del bagno.-ma credo proprio che tu debba
riappropriarti di pelo e pulci perché, come avrai intuito,
aspetto visite.-
Mi pentii di avergli accordato un simile permesso quando il campanello
suonò e prese a seguirmi, incollato come un francobollo, per
assicurarsi che Jason non avesse le stesse intenzioni del padre e non
fosse lì per uccidermi.
Nonostante gli avessi assicurato che Jason non poteva essere uno di
loro, le mie argomentazioni non lo avevano convinto minimamente e
così, quando aprii la porta, abbaiò forte.
-Mi odia proprio, il tuo cane.- borbottò una volta entrato
in casa sotto lo sguardo vigile dell’animale.
-Come dargli torto. Vieni, accomodati.-
-Sempre adorabile. Se posso permettermi, ti consiglierei di mettere un
cucchiaino di zucchero in più nel tuo caffè. Ne
hai
decisamente bisogno.-
Scossi la testa e insieme ci recammo in cucina dove lui si
accomodò al tavolo, spostando rumorosamente una sedia ed io
presi a trafficare con la macchina del caffè espresso.
Restammo in silenzio per tutto il tempo in cui mi occupai dei
caffè ed infine gli porsi la sua tazzina, indecisa se
prendere
la parola o lasciare a lui quell’incombenza.
-Grazie.-
Sorseggiai il mio caffè, poggiata con la schiena al ripiano
della cucina, finché lui non parlò.
-Io non credo che stessimo facendo un errore, l’altra sera.-
Aveva pronunciato quelle parole con incredibile naturalezza e senza la
minima malizia e questo mi lasciò davvero spiazzata.
-Io invece credo di si, non funzionerebbe tra di noi e non posso
permettermi di venire a letto con te e fare finta di niente al mattino
dopo. Lavoriamo insieme, Jason.-
Posò la tazzina, quieto, e mi guardò negli occhi.
-Non avrei fatto finta di niente, la mattina dopo. Non è
questo che voglio.-
Nonostante i continui e taglienti botta e risposta che adoravamo
inscenare non ci eravamo mai davvero trovati a parlare del nostro
rapporto. Per lo più le conversazioni di quel tipo
ondeggiavano
tra una sua allusione oppure un suo invito a cena ed un mio fantasioso
rifiuto.
Risi, alzando gli occhi al cielo e strofinandomi un braccio come spesso
facevo nei momenti di tensione.
-Era questo che dicevi alla clienti che mi accollavi dopo essertele
portate a letto?-
Lo vidi contrarre la mascella ed alzarsi.
-Smettila. Lo sai che non è la stessa cosa.-
-Non lo è?-
Era così vicino che potevo sentire il suo respiro sulla
fronte e
le sue mani stringevano il bordo del lavello ai lati del mio corpo.
-No. Ma qualsiasi approccio con te è sempre sbagliato. Se mi
comporto correttamente non mi prendi sul serio ma in fondo non lo fai
neanche quando sono come tu ti aspetti che io sia.-
Non mi aveva mai parlato con quell’intensità e nei
suoi
occhi leggevo una frustrazione che non avevo mai pensato potesse
appartenergli mentre non accennava ad interrompere il contatto visivo
come invece feci io qualche istante dopo, svincolandomi dalla sua presa.
-E’ meglio lasciare le cose come stanno, Jason. Lo sai anche
tu. Mi conosci, non so far funziona certe cose.-
-Ti conosco e so che tu hai solo paura. Mentre il realtà,
con me
accanto, non dovresti più averne per nessuna ragione.-
Se non avessi scoperto tutte quelle stramberie riguardo suo padre,
Malfoy, Fudge e il resto di quella assurda comunità magica,
probabilmente quella sua frase non avrebbe scalfito la superficie delle
mie certezze come fece e la mia testa si riempì di
interrogativi.
-Permettimi di farti cambiare idea.-
Intenerita mi riavvicinai a lui e gli posai una mano sul viso,
accennando un sorriso.
-Nonostante tu sia un maledetto fighetto stronzo io ci tengo a te,
Jason. Non voglio illuderti.-
Era il mio modo per alleggerire quella surreale conversazione e lui
parve capirlo perché si sforzò di sorridere a sua
volta,
rassegnato.
-Prima o poi cederai anche tu al mio fascino, Kane. E non mi
rassegnerò finché questo non accadrà.-
Parlammo un po’ di lavoro, serenamente, mentre Sirius, o
meglio
Rain, non accennava a volerci lasciare soli, fissando il mio ospite con
palese ostilità finché quest’ultimo non
si fu
congedato.
-Non demorde, il damerino.-
-Sai, Sirius Black, ti preferisco pulcioso e zitto.-
Song: Magic - Pilot
Artwork: HilaryC