Cap.
2
Mystic
Falls, 30 Maggio 2009
In
realtà amo questo spazio, è l’ultima
scelta per gli
altri e non ne capisco il motivo considerato che, proprio da qui, si
gode della
vista migliore di tutto l’edificio grazie
all’enorme ed imponente vetrata che
affaccia proprio sul centro della città. Si riesce a vedere
praticamente tutto,
dal campanile della chiesa al mercatino delle pulci, allestito ogni
Sabato
nella piazza principale.
Ammetto
sia una piacevole quanto continua distrazione
poter alzare lo sguardo e immaginare la vita che scorre veloce, fuori
da queste
mura ma, quando si è costretti a passare la maggior parte
del proprio Sabato
pomeriggio, con la testa sui libri, si ha decisamente bisogno di un
diversivo.
Alcune
goccioline di pioggia scorrono sulla vetrata e
sospiro, sentendo la mancanza di una primavera che proprio non vuole
saperne di
arrivare.
Riprendo
a sottolineare con foga le fotocopie dei
documenti che ho cercato per tutto il giorno, soffiando una ciocca di
capelli
che ribelle non sta al proprio posto.
“Guerra di
secessione. Posso aiutarti con questa, sai?”
Sussulto
riconoscendo immediatamente quel tono di voce.
Che
cosa ci fa qui?
Mantenendo
lo sguardo fisso sui fogli davanti a me
fingo indifferenza.
Deve
essere un incubo.
Sin
da quell’incontro/scontro avvenuto nella strada
deserta appena fuori il bosco, dove si teneva il falò per la
notte della
cometa, in qualche modo, ogni giorno, mi ritrovo vicino lui con quel
sorrisetto
sghembo e impertinente che ha un effetto letale sul pulsante
immaginario di
controllo delle mie buone maniere.
“Ce
la faccio da sola, grazie”
Mormoro
bofonchiando le ultime parole, guardandolo solo
un attimo, il tempo che basta a chiedermi come sia possibile notare
tante
sfumature di blu in una sola iride.
“Mio
fratello deve proprio annoiarti a morte se
preferisci passare il tuo Sabato pomeriggio chiusa in biblioteca
piuttosto che
con lui”
“Non
che siano affari tuoi ma a me serve impegnarmi per
poter realizzare qualcosa in un prossimo futuro, non tutti siamo
così fortunati
da riuscire a vincere una prestigiosa borsa di studio ‘off
limits’ per noi
comuni mortali”
“Pensi
sia stato in qualche modo agevolato?”, mi chiede
sorpreso e annoto mentalmente un punto a mio favore.
“Parole
tue, non mie…adesso se non ti dispiace.”
Mi
concentro definitivamente sui miei fogli dedicando
loro l’attenzione che meritano, sperando di averlo colpito
nell’orgoglio tanto
da convincerlo a girare i tacchi e tornarsene da dove è
venuto.
Sto
per esultare quando sento lo stridore della sedia
sul pavimento ma è un attimo prima che la sua mano mi
afferri per il polso
spingendomi ad alzarmi.
“Sei
impazzito!?”, cerco di mantenere la voce bassa
mentre, guardandomi intorno, ricevo già occhiatacce poco
amichevoli.
“Vieni
con me”
“No
che non vengo con te, devo studiare. Quest’esame
vale tutta la mia carriera scolastica, non posso perdere tempo con un
presuntuoso, saccente figlio di papà
che…”
“Sta
zitta e ascolta.”
Mi
trascina velocemente giù per le scale e
all’improvviso
siamo fuori, nel cortile della scuola sotto la pioggia battente.
“Dovresti
farti curare, sai?”
Non
mi da ascolto e, tirando fuori dalla tasca della
sua inseparabile giacca di pelle, dei gessetti colorati, inizia a
tracciare
delle lunghe linee in terra come se stesse creando uno schema.
“Li
hai rubati in biblioteca, quelli?”
Alza
lo sguardo solo un attimo sorridendomi sbilenco e
non posso credere di essere qui ad assecondare questo folle nel bel
bezzo del
diluvio universale.
“Io
torno dentro…”
“Quattro
fazioni!”
Urla
mentre sto per raggiungere la porta e mi volto di
nuovo, curiosa di sapere cosa diavolo stia blaterando.
“La
guerra di secessione americana ha coinvolto sia
l'esercito che la
Marina e quattro sono
stati i fronti su cui è stata combattuta la guerra:
Uno: Il
Teatro Orientale, o più
semplicemente Virginia, Maryland, Pennsylvania, il Distretto di
Columbia e la
costa della Carolina del Nord” dice tracciando il primo
insieme in rosso.
“Due:
Il Teatro Occidentale, l'area a est del fiume
Mississippi, la catena degli Appalachi, e ciò che nel 1864
venne ridefinito, includendo
poi la Georgia e la Carolina. Faresti bene a segnarlo perché
questo di solito
non lo ricorda mai nessuno e qualcosa mi dice sia informazione nuova
anche per
te”.
Lo guardo
sinceramente confusa e stupita, incapace di
comprendere ciò che stia facendo e con un gesto, che risulta
quasi naturale,
gli dico di non avere nulla qui con me su cui segnare ciò
che neanche il
professor Parker ha mai descritto così bene.
Gli scappa
una risata e piega leggermente la testa
indietro abbandonandosi ad essa ed è sinceramente un suono
così piacevole,
davvero difficile da associare a lui sempre così
maledettamente sicuro e pieno
di se.
Si riprende
subito scuotendo la testa con un sorriso
divertito.
“Beh,
allora ti consiglio di prestare attenzione Miss
Gilbert.”
Mi fa
l’occhiolino recuperando il gessetto giallo per
tracciare il terzo gruppo.
“Tre:
Il
Teatro Trans-Mississippi,
che sarebbe Missouri, Arkansas, Texas, Territorio Indiano e parte della
Louisiana…oh e anche qualche Territorio del Nuovo Messico a
sud del 34º
parallelo. Per finire…Quattro: Il
Teatro della Costa Pacifica,
costituito dal Nevada California e Oregon e dai Territori di
Washington, Utah e
Idaho.”
Finisce il
suo improbabile disegno, un grande ammasso
di nomi e Stati che però, incredibilmente, riesco bene a
decifrare adesso.
Si rialza
guardandomi in attesa senza mascherare il
suo sorriso e, muovendomi lentamente, faccio l’unica cosa che
mi viene in mente
in questo momento.
“Sul
serio? Non è stata fatica inutile, allora. Posso
davvero sperare che in questo modo qualcosa rimanga impresso in quella
zucca.”
Ripongo il
cellulare nella tasca posteriore dei jeans
dopo aver scattato foto a sufficienza e non posso fare a meno di
sorridere
davanti a tanta presunzione.
“Non
dare troppo credito a te stesso, Salvatore. Il
tuo disegnino sta sparendo.”
Faccio
segno verso quella che ormai è solo una
pozzanghera colorata e ridacchio, perché non posso fare a
meno di pensare a
quanto folle sia l’attuale situazione e a me, bagnata
fradicia ma, quando alzo lo
sguardo Damon è più vicino del previsto e i suoi
occhi sembrano più scuri sotto
la pioggia.
Maledizione,
quando si è avvicinato tanto?
Allunga
lentamente un dito sfiorandomi la guancia,
quasi non toccandomi nemmeno e quel gesto, che non riesco a fermare
perché troppo
concentrata ad osservare ciò che sta accadendo, gli
addolcisce
impercettibilmente lo sguardo mentre sposta dal mio viso la solita
ciocca
ribelle, ormai completamente bagnata.
Soffoco un
respiro in gola perché non cosa dire o come
andare avanti da qui in poi ma il momento viene spezzato dallo squillo
del mio
cellulare che goffamente recupero dalla tasca dei jeans.
Il nome di
Stefan lampeggia con insistenza sullo
schermo.
Quando lo
guardo di nuovo, Damon è distante di qualche
passo, il sorriso sbieco a increspargli le labbra.
“In
bocca al lupo per il tuo esame, Elena. I non
privilegiati si affidano a te per il prosieguo della specie”
“Idiota!”
Dico un
po’ più forte mentre si allontana, alzandomi
sulle punte per scandire bene il concetto.
La sua
risposta è un fastidioso occhiolino e la
classica espressione saccente, mentre lo guardo allontanarsi
completamente
zuppo.
Solo in
quel momento mi ricordo del fatto che il mio
telefono sta ancora squillando.
“Ehi
Stefan.”
Mystic
Falls, 14 Febbraio 2014
Sento Charlie
ridere a crepapelle per
poi vederla spuntare in cucina ad un metro e mezzo da terra, dondolando
a
destra e sinistra sostenuta dalle mani di Stefan.
“Atterraggio
di emergenza, signori.
Allacciate bene le cinture!!”
La deposita
dolcemente sulla sua
seggiola non prima di un’altra piroetta che la fa strillare
di gioia mentre
cerca di recuperare fiato.
Stefan intanto
soffoca le ultime risate
prima di rivolgersi a me, battendo leggermente la tazza sul bancone.
“Siamo
affamati”
“Si
mamma siamo affamati!”
Caroline
dovrebbe già essere qui, non
so se riuscirò a reggere la maschera del –va
tutto bene- con Stefan, ho paura possa leggermi in faccia
quanto sia
maledettamente turbata dalla telefonata di ieri sera con la mia
migliore amica,
dal fatto che Damon sia in città e che, probabilmente,
questa sarà una notizia
per lui difficile da digerire, tanto quanto lo è per me.
“Elena!”
Sussulto
visibilmente e la moka mi
scivola dalle mani cadendo rumorosamente sul lavandino, mi volto con un
sorriso
di scuse verso Stefan che inarca un sopracciglio in modo curioso.
“Stai
bene?”
“Si,
si sto bene. Mi sono solo
distratta un attimo.”
“Alex
ti ha chiesto di uscire, stasera?”,
mi chiede impertinente e con fare pettegolo.
“Cosa?
No…è solo un collega Stefan, lo
sai.”
Alza le mani in
segno di resa e lo
colpisco con lo strofinaccio da cucina.
“Sai
com’è, pensavo approfittasse di
San Valentino per farsi avanti. Ma la giornata è lunga,
magari ti ha preparato
una sorpresa.”
Mi mordo la
lingua evitando di dirgli
che la sorpresa è già stata fatta e Alex non ha
niente a che fare con tutto
ciò, né San Valentino per quello che mi riguarda.
E’
solo l’inizio di un incubo da cui
vorrei svegliarmi già adesso.
“Mamma
ho fame!”
La vocina
spazientita di mia figlia mi
riporta nuovamente alla realtà e mi muovo goffamente dietro
il bancone per
prepararle i suoi due pancake ricoperti di crema al cioccolato
accompagnate dal
frullato di banane.
“Ok
signorine, devo scappare al lavoro.
Piccola se muoio di fame sappi che è colpa della
mamma”
“Oddio
Stefan scusami, rimani altri
cinque minuti ti preparo qualcosa al volo”
“Non
posso bellezza, devo correre”.
Bacia Charlie in
fronte e da un pizzico
a me sul fianco prima di volare verso la porta.
“Dobbiamo
ancora affrontare la
questione del gelato, noi due”, gli urlo dietro ricordandomi
dell’episodio di
ieri e la piccola mi lancia un’occhiata assassina.
“Gelato?
Non so di cosa tu stia parlan…oh
hey Caroline.”
Li sento
scambiarsi qualche saluto
imbarazzato e poi la porta d’ingresso si chiude, la bionda
arriva in cucina
poco dopo sorridendo e con le guance arrossate.
“Qualunque
cosa stia succedendo tra
voi, dovreste portarla fuori casa mia”, le dico con una
linguaccia e lei sgrana
gli occhi, spalancando la bocca in modo quasi comico.
“Elena!
Sto per sposarmi per l’amor del
cielo, non insinuare mai più una cosa simile,”
aggiunge indignata per poi
rivolgere la sua completa attenzione a Charlie, “buongiorno
cucciola!”
La riempie di
baci e la piccola si
attacca a lei come una ventosa, ridacchiando contenta quasi fosse a
corto di
coccole.
Le stacco a
forza servendo Charlie,
incitandola a finire la colazione e trascino la mia amica
nell’altra stanza,
affamata di dettagli che preferirei non conoscere.
“Buongiorno
anche a te!”
“Quando…”
Lei sospira
pesantemente, afferrando al
volo ciò a cui mi riferisco.
Si gratta la
testa e mi guarda
colpevole.
“Mercoledì
mattina. E’ arrivato qui
mercoledì mattina”
“E rimarrà tre settimane?”
“Almeno
fino all’uno Marzo. Ti ho detto
che Klaus lo vuole al matrimonio.”
“Io proprio non lo capisco quell’idiota del tuo
fidanzato. Non immagina la
catastrofe che potrebbe abbattersi anche su di lui se Damon
sapesse…”, abbasso
la voce e sporgendomi do un’occhiata a Charlie che, in
cucina, è intenta a
finire la sua colazione.
“Cavolo,
sta sbrodolando tutto”, mi
passo una mano in viso e sospiro sconfitta.
“Elena
andrà tutto bene”.
Caroline mi
afferra per le spalle
guardandomi dritta negli occhi e, per un solo istante, mi lascio
confortare da
quelle parole.
“Però
devi dirlo a Stefan”
“Come
faccio a dirlo a Stefan, Care?
Come? O a mio padre per quello che conta. Dio è un tale
casino, pensavo davvero
Damon Salvatore avesse rinunciato a rovinarmi la vita anni
fa”.
“Finito!”
Sobbalzo presa
alla sprovvista quando
mia figlia arriva dall’altra stanza con un salto,
aggrappandosi ai miei jeans.
“Oh
no, guardati. Sei una maschera di
cioccolato.”
Caroline sorride
guardando intenerita
il suo viso pasticciato da cioccolata e briciole di pancakes. Sto per
prenderla
in braccio ma la mia amica mi precede afferrandola con decisione e
stringendola
al petto.
“Mi
prendo io cura della piccola peste.
Scendiamo pulite e sistemate tra dieci minuti, tu occupati della cucina
e chiama
Stefan. Invitalo a cena stasera, al resto penseremo insieme.”
Si volta mentre
mia figlia si sporge
nelle sue spalle pregandomi con le mamine giunte di trattare bene zio
Stefan e
perdonarlo per il barattolo di gelato.
Quando il mio
sorriso scompare,
entrambe sono già al piano di sopra.
Pulisco il
pasticcio combinato da
Charlie annotando mentalmente il fatto di non lasciarla più
da sola durante la
colazione e, poi invio un messaggio a Stefan con la scusa di farmi
perdonare
per stamattina, preparandogli la cena.
La sua risposta
arriva immediata.
-Ok,
ma solo se posso riporre scudo e armatura. La mia vita è
molto più preziosa di
un barattolo di gelato, Gilbert.-
Sorrido amara e
getto senza cura il
cellulare sul bancone della cucina.
Sei in
città da tre giorni e devo già pensare
a come proteggerci da te, Damon.