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Autore: Bloody Alice    15/06/2014    1 recensioni
| oneshot | ambientata durante la Guerra Fredda |
Ricordava il caldo di quella giornata come nessun’altra. Gli era entrato nelle ossa e abitava ancora lì, un inferno persistente e continuo, la solitudine che gli bruciava dentro come fiamme. Era quello il punto più caldo d’Europa, quella mattina d’agosto, secondo Lothar, e da quel momento iniziava un’altra guerra, perché la politica alla fine era solo un altro modo per darsi battaglia.
Genere: Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento, Dopoguerra
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Il muro dipinto di sogni.

 
Ricordava il caldo di quella giornata come nessun’altra. Gli era entrato nelle ossa e abitava ancora lì, un inferno persistente e continuo, la solitudine che gli bruciava dentro come fiamme. Era quello il punto più caldo d’Europa, quella mattina d’agosto, secondo Lothar, e da quel momento iniziava un’altra guerra, perché la politica alla fine era solo un altro modo per darsi battaglia.
Quando la città si svegliò, era già troppo tardi.
Lothar non si scompose più di tanto, passò in silenzio tra le persone che vagavano, sconvolte: in quel frangente parve che nessuno conoscesse l’altro, ognuno era solo, vagavano tutti dentro uno spesso strato di nebbia che non si vedeva, ma c’era, era là, davanti a loro, intorno a loro.
Lothar si appoggiò al muro di un’abitazione per ammirare meglio ciò che i lupi avevano creato per tenere in trappola le pecore.
Alto più di tre metri, quello davanti lui era mostro di cemento armato che divideva il mondo in una guerra silenziosa, pulita, combattuta senza colpi di cannone e mitragliatrici.  
Fu in quella giornata d’agosto che nacque la prigione di Berlino e Lothar appuntò la data nella sua testa, si ripromise di non dimenticarla mai. E non l’avrebbe fatto.
Nemmeno Jörg, dall’altra parte di quella gabbia, avrebbe dimenticato.
Entrambi erano ragazzi soli che guardavano un muro. E ragazzi soli che guardano un muro sono semplicemente ragazzi soli e nulla di più.
Si ridusse a quello in breve tempo. Jörg che guardava la sua parte di muro in silenzio, Lothar guardava la sua fetta di muro con i soldati dall’altra parte, anche lui zitto.
Se quel muro non ci fosse stato si sarebbero visti, chissà, magari avrebbero anche iniziato a parlare, ma fino a quel momento ad entrambi importava solo di rimanere tranquilli, isolati da mondo: era quella l’unica libertà che era loro concessa, l’unica cosa che potevano permettersi.
Così i giorni passarono e passò anche un anno, dopo due, tre e prima Jörg e poi Lothar si accorsero che anche quella che prima pareva la condizione di serenità e felicità ideale si stava lentamente trasformando in una routine vuota, una prigione che li incatenava alla parete a cui erano appoggiati per la maggior parte del tempo. E nonostante il silenzio dell’isolamento li appagasse ancora, il desiderio di vedere quel muro crollare diveniva ogni giorno più intenso.
Il tutto divenne definitivamente insopportabile nel gennaio del 1989. Lothar avrebbe voluto avvicinarsi al muro, contare i passi che lo separavano dal resto del mondo, ma non poteva, da lui c’erano i soldati, così rimaneva attaccato alla parete del vecchio condominio alle sue spalle.
Dall’altra parte anche Jörg si immaginava la medesima cosa, però lui era riuscito a camminare e contare.
Erano ventisette i passi che lo dividevano dal resto, che lo rinchiudevano in quel posto che aveva provato a farsi piacere, ma non c’era riuscito davvero.
Così decise di superare quella barriera, in un modo o nell’altro.
Il primo fuoco d’artificio lo lanciò in pieno giorno ed era rosso. Lothar lo vide e vide anche quello che seguì, verde, e quelli che furono lanciati di notte, gialli come il sole, a rischiarare la notte senza stelle.
Pensò che allora forse non era il solo a sentirsi così, che la persona dall’altra parte doveva saperlo. Per la prima volta nella sua vita trovò ciò che poteva essere in qualche modo paragonato ad un hobby: si diede alla pirotecnica e sul tetto del condominio dietro di sé preparò un vero e proprio spettacolo, perché lui adorava esagerare per certe cose. Durò tutta la notte, mentre le guardie russe impazzivano gridando che una cosa simile non era permessa.
Jörg si ritrovò ad amare il rumore assordante degli scoppi più di qualsiasi altra cosa, più del silenzio che aveva iniziato ad apprezzare dopo la costruzione del muro.
Fu un concerto di colori e suoni che durò quella notte e quelle a venire.
Erano ancora loro, si comportavano nella stessa maniera e vivevano nella stessa solitudine e indifferenza per il mondo che gli aveva accompagnati negli anni, ma qualcosa era comunque cambiato.
Ora c’era la luce dei fuochi d’artificio e il chiasso prodotto dai soldati. Ora c’era Lothar da una parte con i russi e Jörg dall’altra con gli americani, ma che fosse Berlino Est od Ovest non importava più, in realtà.
Importava che adesso erano due uomini che guardavano un muro. E due uomini che guardavano un muro era il principio dell’evasione. Così non ci sarebbero state più guerre, non ci sarebbero stati più muri.
Un mondo unito, pensava Jörg. Chissà se era possibile, si domandava Lothar.
Il 9 novembre 1989 fu di gran lunga uno dei giorni più rumorosi nella vita di Lothar e Jörg, ma anche uno dei migliori.
Gli abitanti dell’Est trascorsero la giornata ad arrampicarsi sul muro e raggiungere l’altro lato, in una frenesia generale che Lothar, ancora solo appoggiato a quel palazzo, trovò quasi divertente. Lui se la prese più comoda. Aspettò il momento giusto. Era una delle cose che quell’isolamento, nel corso degli anni, gli aveva insegnato a fare a regola d’arte. E lo stesso valeva per Jörg. 
Accadde una sera. Lothar contò i passi. Erano uno, due, tre … ventinove … trentuno … quarantaquattro ed ecco, finalmente, quarantacinque, davanti a quello che rimaneva del mostro in cemento, che in quel momento pareva più un muricciolo alto appena trenta centimetri.
Nessuno dei due seppe come, né Jörg né Lothar, ma si riconobbero subito, come se si conoscessero da una vita anche se, ne erano certi, non si erano mai visti.
Sorrisero e la prima parola fu il congedo a quel silenzio durato più di vent’anni.




 




/Nota/ 
I nomi dei protagonisti sono un piccolo tributo a due bambini, Lothar Schleusener (di 13 anni) e Jörg Hartmann (di 10 anni), uccisi entrambi il 14 marzo 1966 a colpi di arma da fuoco dai soldati russi di confine, in un tentativo di fuga che avevano intrapreso insieme.
La vicenda fu occultata e i due bambini vennero cremati a Baumschulenweg. Alla famiglia di Jörg si fece sapere che il ragazzino fosse annegato in un lago, mentre alla madre di Lothar si fece credere che il figlio fosse morto vicino Lipsia, folgorato.





 
   
 
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