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Autore: Maya98    16/06/2014    3 recensioni
"È una dissonanza prodotta tra due voci, o parti, e può avvenire fra due note con lo stesso nome, suonate in successione che siano una naturale e l'altra alterata, ma in parti differenti."
Sherlock capisce che c'è solo un modo per battere Moriarty, e questo modo è fingersi dalla sua parte, con tutte le conseguenze e i sacrifici che questa scelta comporta. Ovviamente, John ne è totalmente all'oscuro.
Note: Johnlock, accenni pesanti di Jary e "Sheriarty" senza sentimento, e qualche cosa di Sherlock&Mary. Cammei vaticani, P.O.V. di Sherlock, Post-HLV.
Avvertimenti: Non è non-con perché è consensuale, ma sicuramente non voluto.
 
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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4. Polonaise
F. Chopin – Polacca op. 40 n. 2

La porta è silenziosa nell’aprirsi, quando lui varca la soglia.
La chiave non ha emesso un lamento, nell’aprire la serratura. Una copia delle chiavi di una casa non sua. Uno copia delle chiavi di una casa non sua, affidatigli dalle due persone che ora sta per tradire (per salvarne una sola). Una dannata chiave, che non emette un lamento; scivola dentro e fuori così facilmente, e l’uscio si schiude con un breve sospiro. I suoi passi sono così leggeri – i passi di un ladro, presto di un assassino – e le sue scarpe non producono alcun ticchettio, frenate dalla consistenza soffice del tappeto. Uno spettro (lo è sempre stato).
Lei è in cucina. Può udirlo chiaramente: sente la sua voce allegra borbottare tra sé e sé e un rumore trafficato di tazza e teiera. Se chiude gli occhi riesce anche a vederla, ancora in camicia da notte, le maniche arrotolate su per gli avambracci, le pantofole infilate a fatica per via del grosso pancione che le impedisce la vista dei piedi; i capelli biondi e corti ancora scompigliati perché si è appena alzata, gli occhi scavati per l’ennesima notte insonne causata dai movimenti sempre più frequenti della bambina, l’odore di caffè forte e di sapone, in attesa che una doccia faticosa lo lavi via.
Esita, prima di scivolare silenzioso verso la stanza prescelta.
Respira piano, sulla porta. Ma sa che lei lo sente: l’udito finissimo e ben addestrato di un’agente dell’Intelligence è impossibile da ingannare, soprattutto quello di uno così in gamba come Mary.
È esattamente come se l’era immaginata: i bordi svolazzanti della vestaglia verde aperti, per far scorgere il ventre rigonfio, coperto appena dalla camicia da notte bianca come il latte. Delle mollette le tengono ancorate alla testa i ciuffi ribelli; le occhiaie violacee sotto gli occhi grigi sono più che eloquenti.
I borbottii si interrompono, mentre lei appoggia bruscamente la tazza sul bancone della cucina, immobilizzandosi.
-Sherlock, Sherlock, Sherlock,-dice, e la sua voce è una stilettata nel ventre di lui, più potente di una pallottola, all’idea che probabilmente quelle sono tra le ultime parole che le sentirà pronunciare:-lo so che sei qui, smetti di indugiare sullo stipite della porta.
Si volta, lentamente, appoggiandosi al ripiano per sostenere il peso della sua pancia. Il suo sorriso è radioso come sempre, un sorriso bellissimo. Sherlock pensa che esiste solo un altro sorriso al mondo che ama più di questo.
Se solo sapesse. Per lei è una giornata come le altre.
Sente qualcosa sul suo volto incrinarsi.
-Che sorpresa!-non si muove perché non può, ma Sherlock sa che lo farebbe. Ogni qualvolta lui arriva lei è lì, lo fa sedere, gli caccia giù per la gola qualche tazza di tè in attesa di John, gli fa parlare del caso che sta per seguire, fa qualche battuta sui drogati di adrenalina e poi lo lascia andare, ma non senza strappargli una promessa di tornare da loro per cena. Sa come farlo sentire il benvenuto, accettato: sa giocare le sue carte per illuderlo di far parte di quella nuova famiglia. Cosa che formalmente è scorretta, ma Mary fa costantemente in modo che sia realmente vera.
Sherlock lo vorrebbe tanto.
-Non ti aspettavo, soprattutto così presto e in una giornata così noiosa.-lo scimmiotta allungando un braccio verso di lui, per fargli cenno di avvicinarsi e di accomodarsi, se desidera:-John è in ambulatorio, non dovrebbe tornare prima di mezzogiorno.
Avanza di qualche passo, Sherlock, con circospezione. Mary non distoglie mai lo sguardo da lui, arricciando il naso e le labbra come se fosse infastidita da qualcosa, ma amichevolmente; inclina la testa e lo osserva meglio, con gli occhi analitici di uno scienziato, la precisione della diagnosi di un medico (lo è):-C’è qualcosa che non va.-asserisce, e finalmente smette di ancorarsi al piano cucina per sedersi al tavolo con lui.
Sherlock estrae lentamente la mano dalla tasca, appoggia ciò che sta tenendo sul tavolo e lentamente lo fa scivolare verso Mary. Lei guarda la pistola con occhi improvvisamente seri, allungando la mano per sfiorarla, e poi sollevando lo sguardo su Sherlock in un’implicita domanda.
-Per John.-è la prima cosa che Sherlock riesce a dire da quando è entrato, mentre ricambia lo sguardo:-È per salvare John.
Ora anche l’espressione sul suo volto è seria, compunta. Mary continua a fissare la pistola, in silenzio, facendoci scorrere le dita leggere sopra, come in una carezza. Sherlock riesce a vedere la metafora: una donna che accarezza il suo passato con amore, conscia che esso sarà anche il futuro che la ucciderà (1).
Ed è tremendo.
-Moriarty?-chiede Mary, dimostrandosi come al solito all’altezza delle aspettative. Sapeva che avrebbe capito con la minima spiegazione indispensabile; anche se questo fa quasi più male.
John non capirebbe. Per questo non saprà nulla.
Sherlock immagina la sua espressione quando tornerà a casa dal lavoro e si sente male.
-Io e te siamo i suoi problemi. E userebbe John per arrivare ad entrambi.-dice a bassa voce, tenendo lo sguardo incollato alla mano di lei, mentre continua a passare dolcemente le dita sulla canna della pistola, come incantata:-In questo modo John sarà in salvo. Ma ad un prezzo.
Mary annuisce lentamente, continuando a guardarlo. Poi, lentamente, spinge di nuovo la pistola verso di lui. Gli occhi le si fanno rossi, ma non piange, non ancora. Mary Watson rimane una donna forte fino alla fine.
Sherlock rimane fermo, senza prenderla:-Lo fai così? Semplicemente?
Non è incredulo. Ma sa quanto sia difficile giocare con una vita, e ormai ha imparato che ogni occasione è importante e se persa causa rimpianti. Quindi non tocca ancora la pistola, esitando. Alza finalmente lo sguardo su Mary, che gli sorride.
-Gli ho detto tutto quello che gli dovevo dire.-risponde tranquillamente, gli occhi azzurro-grigi solo leggermente lucidi:-L’ho salutato questa mattina. Avrò da te tutto il tempo che vorrò per fare qualsiasi cosa, ma non mi lascio indietro niente. Quindi fallo.
-Mary…-inizia Sherlock, senza neanche sapere perché. È più facile così. Eppure gli pare così ingiusto. Mary non merita di essere un’altra vittima di quella partita a scacchi. Lei è la Torre, così importante, così indispensabile, sempre accanto all’Alfiere per coprire le mosse di cui lui manca.
-Quando ci siamo conosciuti,-lo interrompe lei bruscamente, allungando una mano verso il tavolo e sfiorando la sua, esattamente come prima aveva fatto con l’arma:-eravamo entrambi dei bugiardi per il bene di John Watson. Tu eri pronto a morire per lui, e lo hai fatto. Io ero pronta ad uccidere per lui, e l’ho quasi fatto.
Sherlock sente la cicatrice da pallottola che ha sul torso iniziare a bruciare.
-Adesso la situazione si ribalta. Tu sei pronto ad uccidere per lui, e lo farai. E io, finalmente, sono pronta a morire. Per John.
Sherlock abbassa lo sguardo sulla mano di lei, lasciando che gli occhi scivolino sulla fede che le cinge l’anulare. Qualcosa, da qualche altra parte, prende dolorosamente a divampare come un incendio.
-Non ho mai voluto che questo accadesse.-mormora, chiudendo gli occhi.
-Nessuno di noi ha mai voluto che niente di tutto questo accadesse,-gli risponde Mary, con la labbra strette:-Ma qui non si è mai trattato di me e te, Sherlock.
-Sarà veloce. Non sentirai niente.-le dice lui, con gli occhi persi, guardando da nessuna parte per non dover guardare lei:-È il massimo che ti posso assicurare. Ti darò il tempo di chiamare John, se vuoi, per dirgli…
-Ho detto addio a John il giorno stesso in cui l’ho conosciuto,-sussurra Mary in tono confidenziale, sporgendosi verso di lui quanto la pancia glielo consente:-Perché sapevo che sarebbe finita in questo modo.
-Dimmi cosa vuoi.-dice Sherlock, con gli occhi chiusi, serrati, le dita che si arricciano attorno a quelle di lei, in un accenno ad una presa. Sente di nuovo quel sorriso sfiorargli le labbra, un sorriso triste, accordato con gli occhi rossi. Sembra benevola come se fosse lui quello che ha bisogno di aiuto, anche quando lei sta per morire.
-Mi prenderò cura di Sheridan, se tu ti prenderai cura di John.-sussurra lei, a voce bassissima.
Sherlock alza di scatto la testa, per specchiarsi nei suoi occhi chiari e trovarsi improvvisamente impreparato:-Sheridan?-chiede, in un bisbiglio.
Mary sorride di nuovo, accarezzandosi il pancione con la mano libera. È una bambina, una bambina e già un’adulta, una madre affettuosa. Così forte, così come lui mai lo sarà. E straordinariamente donna in tutta la sua essenza:-Ho insistito io. Sheridan Amanda Watson. John ha protestato per un po’ di tempo, ma alla fine ha ceduto.
Senza parole. Di nuovo. E terribilmente vuoto.
La solitudine che una volta era la sua droga ora gli pesa più di un macigno.
-Prenditi cura di John.-dice di nuovo Mary, in tono perentorio.
-Non posso prometterlo.
Ed è vero. John ti odierà. Avrà salva la vita e il cuore spezzato; come una volta, di nuovo e ancora.
-Sì invece. È molto incline al perdono. Ma ha bisogno di qualcuno che lo metta nei guai.-Mary gli strige più forte la mano, mentre con l’altra spinge di nuovo la pistola verso di lui.
Non può. Non può. Non vuole. Non Mary.
Ma deve.
(Per John).
-Prometti.
(Ne vale la pena?).
-Prometto.
(Così cieco).
-Addio, Sherlock.-dice Mary, regalandogli l’ultimo sorriso.
Sherlock si concentra sugli occhi. Solo sui suoi occhi. Poi impugna la pistola e mira alla fronte.
 
( Continua )
 
 
 
 
 

 
  1. Rielaborazione della metafora di The Fault in Our Stars.
 
 
 
Note:
Ho pianto. Scrivendo ho pianto. Lo giuro. Mary è il mio personaggio preferito.
Spero che il calo di recensioni non sia dovuto ad un calo di scrittura! In caso, fatemelo sapere, cercherei di migliorare.
Devo dirlo: questo è l’ultimo aggiornamento di qui a un mese, perché partirò dove non ci sarà abbastanza wi-fi per postare. Nel frattempo però scriverò, quindi una volta tornata non dovrebbe passare molto tra capitolo e capitolo. Vi chiedo di pazientare un po’.
Un bacio e buona estate!

 
  
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