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Autore: KikiShadow93    16/06/2014    12 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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Questo magnifico disegno è stato fatto da Yellow Canadair. GRAZIE DI CUORE!

 
Piccolo avvertimento: siccome ho deciso di fare dei tagli (sennò veniva fuori la storia infinita e non mi pare proprio il caso xD), quando vedrete in mezzo alla pagina diverse “x”, vuol dire che c'è stato un breve salto temporale di una settimana, sennò dovevo scrivere due capitoli di passaggio... non mi pare proprio il caso, no?
Spero che questa scelta vi piaccia :3 buona lettura!

 
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Scuote con forza la testa, facendo oscillare la lucente coda nera.
Si porta le mani ai lati della testa, stringendola con forza, sforzandosi con tutta sé stessa per non cadere in ginocchio per la disperazione.
«Continuo a non capirti, babbo...» mormora, cominciando a camminare nervosamente per l'ampia stanza del capitano, trattenendosi dal distruggere ogni cosa che la circonda.
«Ho dimostrato più volte di essere un soggetto instabile e pericoloso per gli altri: perché mi fai restare qui?!» sbotta poi tutto in un fiato, snudando istintivamente le lunghe e affilate zanne per la rabbia.
L'uomo la guarda con aria indecifrabile. Sta provando troppe emozioni per poterne esprimere solo una: rabbia, delusione, fierezza, tristezza, amore... queste sono solo la punta della tempesta di emozioni contrastanti che invadono prepotentemente il suo cuore.
«Perché sei mia figlia, Akemi.» risponde semplicemente, dopo interminabili minuti di silenzio, indurendo lo sguardo di fronte all'espressione sorpresa della ragazza.
«Non ti prometto che in futuro non ti picchierò di nuovo, semmai tu dovessi comportarti nuovamente a quel modo, se tu dovessi attaccare un alleato o peggio...» afferma subito dopo, provando a rilassare il volto, sorridendole appena per provare a calmarla «Ma non posso neanche concepire l'idea di allontanarmi da te, bambina mia.» conclude, sperando che la folle ragazza trovi la forza per andare da lui ed abbracciarlo come faceva quando era più piccola.
Akemi però rimane immobile come una statua, lo sguardo perso nel vuoto, la mente impegnata ad assimilare le sue parole. Non riesce a credere che la consideri ancora sua figlia dopo tutti i macelli che ha fatto, dopo tutti i passi falsi. Non riesce a credere che non voglia lasciarla andare, che la ami così tanto.
Barbabianca sembra capirlo dalla sua espressione disorientata e, guardandola con più dolcezza, allunga un braccio per poterla toccare, per riportarla con lui in quella stanza.
«Tu sei mia figlia. Sei la mia bambina. Lo capisci?» le domanda con tono gentile, tanto che se ne vergogna. Se chiunque altro lo vedesse in questo momento, probabilmente perderebbe completamente la sua reputazione su cui ha lavorato per anni.
«Si...» mormora Akemi in risposta, guardandolo finalmente negli occhi, beandosi di quel tocco così caldo e familiare.
«Capisci anche che non posso neanche immaginare l'idea di vederti andare via, per poi non tornare mai più, vero?»
Akemi rimane in silenzio per qualche secondo, guardandolo adesso con più mansuetudine, riflettendo attentamente alla sua domanda, trovando velocemente la risposta giusta.
«Si.»
«Allora per quale ragione mi hai implorato di cacciarti?» le domanda il gigante, passandole una mano sulla testa con delicatezza.
Akemi però scansa quel contatto, richiudendosi nel suo dolore, nella sua idea folle e malata che la sta consumando.
Le lacrime non tardano ad inumidirle i dolci occhi di ghiaccio, prepotenti come non mai.
«Perché vi amo così tanto che l'idea di potervi fare del male mi fa impazzire.» ammette con angoscia la corvina, passandosi entrambe le mani sul viso.
Pensa per un breve istante al fatto che quella mattina, quando il Sole era appena sorto, il suo volto fosse ricoperto del suo stesso sangue. Uno scatto d'ira, così l'ha definito Týr, mostrando una lieve preoccupazione nella voce. Akemi però non gli ha creduto; quando si è resa conto di essersi graffiata il volto, tanto da rischiare di perderci gli occhi, ha capito pienamente quanto sia realmente instabile, quando sia pazza.
Adesso che ci pensa, l'angoscia sale ancora di più dentro di lei, piegandola sempre di più.
«Questo non accadrà.» afferma con tono sicuro l'Imperatore, afferrando una bottiglia di sakè da sotto il comodo letto su cui siede.
«Come fai a dirlo?» gli domanda con voce tremante la ragazza, cercando disperatamente di regolarizzare il respiro.
L'uomo sorride con aria beffarda, tirando giù in pochi sorsi buona parte di quel liquido che tanto gli piace, per poi puntare gli occhi nei suoi, sicuri e forti come sempre «Sono Barbabianca, ragazzina.» afferma con un tono che non ammette repliche «Vedi di non scordartelo.»
Akemi, per la gioia del genitore, non riesce a trattenere una lieve risata a quell'affermazione e, per un breve istante, dimentica ogni cosa.
«Lo terrò a mente...»
Barbabianca, fiero di quel piccolo risultato, sorride felice e, dopo poco, le punta contro l'indice, guardandola con allegria.
«Adesso vai ad aiutare i tuoi fratelli nelle cucine a pelare le patate, muoviti.» ordina con tono scherzoso, convinto di essere riuscito a ristabilire il fragile equilibrio che la tiene ancora sulla retta via.
Purtroppo, però, l'uomo non ha completamente idea di quanto la breve conversazione sia sbagliata: lui è Barbabianca, è vero, ma non può niente contro un Destino già predetto nel dettaglio.
Akemi gli sorride felice, di nuovo piena di energia, tanto da poter affrontare a testa alta il compagno, con cui non parla da quasi ventiquattro ore.
«Agli ordini, capitano!»
Esce velocemente dalla cabina del genitore ed imbocca velocemente il lungo corridoio che porta al sottocoperta. Fiuta con attenzione l'aria per trovarlo, sicurissima del fatto che di certo non è andato a pelare le patate con gli altri.
Dopo qualche sniffata all'aria pregna di mille e più odori, lo trova. Come pensava non si trova al simpatico raduno, ma bensì nella sua stanza, probabilmente a leggere qualche suo libro mentre si beve qualcosa di fresco.
Si affretta ad andare alla sua porta e subito comincia a bussare piano, guardandosi furtivamente attorno per essere sicura di non essere vista.
Quando poi l'uomo apre la porta, freddo e serio come poche volte, il sangue le si gela nelle vene.
Pensava che sarebbe stata una rabbia momentanea, un qualcosa che in qualche ora di passa, invece no. È arrabbiato, parecchio. Pure troppo per i suoi gusti.
«Ehi...» mormora imbarazzata, abbassando la testa, come intimorita.
«Ehi.» risponde secco Marco, guardandola con espressione dura, tenendo le braccia ben strette al petto per evitare di tirarle un pugno per sfogo.
«Possiamo chiarire?» domanda con un filo di voce Akemi, tenendo sempre la testa bassa.
Non si era mai sottomessa a nessuno, ma adesso proprio non ci riesce.
Così come Marco non riesce a cacciarla via, come non riesce a chiuderle la porta in faccia. Semplicemente si fa da parte, piegando la testa per la frustrazione, permettendole di entrare nel suo piccolo alloggio, seguendone di nascosto i movimenti.
Solo ora, poi, si rende conto di quanto gli sia mancata, di quanto il suo comportamento sia stato stupidamente infantile.
«Mi dispiace Marco. Sul serio.» afferma di colpo Akemi, voltandosi di scatto per poterlo guardare in volto «Però devi capire che è una cosa successa molto prima che noi due ci... avvicinassimo
Marco si lascia sfuggire un lievissimo sorriso. Malgrado si frequentino da quasi un mese, malgrado il loro strettissimo rapporto, ancora non riesce a dire che stanno insieme.
Certo, anche per Marco non è semplice ammetterlo, ma almeno nella sua mente lo pensa sul serio. Pensa che si appartengano, che siano una coppia a tutti gli effetti, cosa che non ha mai fatto con nessun'altra.
Fa un paio di passi verso di lei, senza interrompere neanche per un secondo il contatto visivo.
«Ci sei andata a letto?» le domanda a bruciapelo, incrociando le braccia al petto e guardandola con quanta più freddezza può. Perché per quanto gli manchi stringerla a sé, per quanto sia consapevole che si sia comportato da ragazzino, lui deve sapere.
«No.» risponde secca Akemi, imbronciandosi perché l'uomo che ha di fronte pare essersi dimenticato tutto in un colpo la loro prima volta sotto la doccia.
Marco le sorride sollevato, avvicinandosi ulteriormente fino a poterle mettere le mani sui fianchi e avvinarla a sé.
«Bene.» afferma poggiando la fronte sulla sua, guardandola dritto nei suoi occhi di ghiaccio che tanto gli piacciono.
«Sei mia?» le domanda dopo qualche secondo di silenzio, durante il quale Akemi gli ha poggiato le mani sul petto e si è sciolta tra le sue braccia, sospirando sollevata.
«E tu sei mio?» gli domanda di rimando la ragazza, sorridendogli in modo beffardo.
Marco le sorride dolcemente, carezzandole i fianchi snelli. Traccia delle linee immaginarie sulla sua pelle fredda, facendola fremere.
La bacia di slancio quando comincia ad accarezzargli il petto, passando lentamente un dito sul suo torace, partendo dallo sterno e scendendo lungo la linea retta che porta all’ombelico.
Akemi risponde immediatamente al bacio, stringendolo con forza a sé, lasciandosi sollevare da terra e poggiare sul morbido materasso dell'uomo.
Marco le mordicchia il collo, per poi succhiarlo forte. Lo sente sospirare, come un segno che ciò che stava facendo era gradito, e subito si sfila la camicia di dosso e prova a far lo stesso con quella che Akemi tiene legata sotto al seno, senza però riuscirci.
La ragazza infatti lo ferma, sorridendo beffarda di fronte alla sua espressione scocciata.
«Sai, al contrario tuo ho delle faccende da sbrigare; se tu magari mi lasciassi andare...» afferma con tono divertito, baciandogli poi la punta del naso. Sa bene infatti quando Marco detesti quel gesto e, dopo averlo interrotto, non poteva proprio resistere dal fargli un altro dispetto.
Si scosta bruscamente dal corpo della compagna, frustrato, guardandola con aria di rimprovero.
«È colpa tua...» soffia, pensando bene di accendersi una sigaretta per dispetto. In realtà non gli va per niente, ma dopo questa sua simpatica trovata, non può fare a meno di provare a farla innervosire.
Akemi storce il naso, infastidita da quell'odore che tanto detesta. Scatta di colpo in piedi, dirigendosi piano verso la porta.
«Andrò ad espiare le mie colpe nella cambusa con gli altri.» afferma voltandosi un poco col busto per poter vedere la sua espressione sempre più infastidita.
«Sei davvero perfida.» sbuffa il comandante, facendola sorridere «Ti detesto.» aggiunge subito dopo con il tono più duro che riesce a trovare.
Akemi si lascia scappare una risata, poggiandosi con la schiena contro la porta. Lo guarda attentamente, non riuscendo a trovare in lui alcun difetto, eccetto giusto il suo viziaccio che ostinatamente non vuole mollare.
Gli sorride dolcemente, e le parole escono dalla sua bocca ancora prima di essere passate dal filtro pensiero-parola.
«Beh, è un vero peccato, perché io ti amo.»
Il sangue le si gela nelle vene quando si rende conto di cosa ha appena detto. Guarda il compagno con aria spaventata, notando quanto la sua espressione sia diventata sorpresa tutto in un colpo.
«Devo andare...» afferma di colpo, uscendo alla velocità della luce da quella stanza, diventata improvvisamente troppo opprimente per i suoi gusti.
Marco è rimasto steso sul letto, gli occhi ancora fermi nel punto in cui fino a pochi secondi prima stava Akemi.
Si sente strano, come stordito, e lentamente elabora la cosa.
Gli ha detto di amarlo, cosa che mai nessuno prima di allora aveva fatto. Sente il cuore battere più velocemente, una sensazione di leggerezza pervaderlo dalla testa ai piedi, insieme alla sgradevole sensazione di smarrimento, per non dire proprio paura.
Comincia rimuginare su come poter affrontare quell'argomento con lei, arrivando poi alla conclusione che è meglio far finta di niente.
Se mai se lo sentirà, glielo dirà anche lui, ma fino a quel momento pensa bene che sia meglio provare a mantenere le cose come sono.

Akemi pela le patate con fare nervoso, mentre, al suo fianco, Halta la guarda con la bocca spalancata e con un'enorme sorpresa negli occhi chiari.
Apprendere cosa è successo poco prima tra lei e Marco l'ha shockata a morte, tanto da indurla a buttare a terra il tubero che stava sbucciando con tanta attenzione. In fondo, tagliarsi un dito non rientra proprio nei suoi piani.
«Glielo hai detto sul serio?» bisbiglia vicino al suo orecchio per non farsi sentire dai presenti, intenti a chiacchierare dei fatti loro.
«Mi è venuto così!» afferma Akemi, voltando la testa di scatto e guardandola con aria disperata.
Non voleva aprirsi in quel modo, dichiararsi così apertamente, e invece l'ha fatto.
Si sente in imbarazzo da morire, ed anche incredibilmente confusa. Da un lato è vagamente felice di essersi tolta quel peso, ma dall'altra è fermamente convinta di aver incrinato ancora di più il loro già instabile rapporto.
«La merda...» commenta Halta, passandosi le mani sul viso, sospirando forte. Poteva aspettarsi tante cose da lei, ma non certo che le venisse a dire che dopo un litigio simile andassi a dirgli che è innamorata di lui.
Lei, infatti, non l'avrebbe mai fatto. Già sentirselo dire da Izo e rispondendogli che ricambia l'ha scombussolata parecchio, ma alla fine ha pensato che sia una cosa normale, considerato che si conoscono da anni e che hanno un rapporto tanto stabile.
«Non hai altro da dire?» sibila Akemi, tagliuzzando distrattamente il tubero che tiene stretto in mano.
«Proprio no...» risponde sbuffando Halta, voltando di nuovo la testa verso l'amica «È una cosa grossa...»
«È una cosa enorme!» involontariamente strilla, e dopo pochi istanti si rende conto di quanto sia stata una mossa a dir poco stupida, considerato che adesso tutti gli occhi sono puntati su di lei.
Rimane immobilizzata per qualche secondo, in cerca di una di una spiegazione intelligente da dare per quella sua affermazione, trovando solo una scusa da usare.
«Questa patata. Mai vista una patata simile.» afferma facendo loro un falso sorriso, assai teso.
I vari uomini si scambiano degli sguardi incerti, per poi fare spallucce e decidere che è meglio sorvolare sulla cosa. Tanto, quando quelle due sono insieme, parlano sempre di argomenti assai frivoli per i loro gusti, quindi è inutile provare a capire.
«In effetti è grossina eh.» commenta Halta, togliendole il tubero dalle mani e cominciando a sbucciarlo al posto suo.
Akemi si lascia scappare un leggero risolino, che placa un poco la sua agitazione.
«Seriamente, cosa ne pensi?» le domanda con tono malinconico, afferrando un'altra patata dal mucchio e cominciando a sbucciarla distrattamente.
«Penso che Marco non se lo aspettasse minimamente.» afferma a bassa voce, in modo da farsi udire solo da lei «E che forse dovresti far finta di niente e non forzarlo. Probabilmente lo sai anche meglio di me che Marco è un tipo... poco emotivo, ecco.»
Akemi annuisce piano con la testa, osservando le gocce di sangue che le colano dal dito. Le guarda con estrema attenzione, trovandole incantevoli.
Si porta quindi il dito ferito alla bocca, assaporando con gioia quella linfa vitale dal sapore metallico e allo stesso tempo incredibilmente delizioso. Lo trova dolce come se fosse latte caldo misto al miele, tanto da indurla a mordersi il polpastrello per poterlo assaporare ancora e ancora.
«Che fai?» le domanda incuriosita Halta, guardandola con la testa piegata di lato e con un'espressione incerta.
Akemi la fissa dritto negli occhi, facendo uscire lentamente il dito dalla bocca. Lo guarda solo per un brevissimo istante, trovando la ferita perfettamente rimarginata.
Sente ancora in sapore delizioso del sangue sulla lingua, cosa che glielo fa desiderare ancora di più.
Solo quando Halta le dà una lieve pacca sul braccio torna a guardarla con aria persa e confusa, di nuovo a contatto con quella realtà che comincia ad andarle stretta.
«Niente, mi ero solo tagliata.» afferma frettolosamente, tornando a pelare con attenzione il tubero.
Halta la osserva con attenzione, notando l'espressione contratta e concentrata, i movimenti bruschi e meccanici delle mani, i muscoli delle spalle tese.
Capisce al volo che questo suo strano cambiamento d'umore non è dovuto a quel piccolo “incidente” con Marco, ma a qualcosa di molto più grosso, che non fa altro che infittire il mistero che l'avvolge.
«Ehi...» la richiama con un filo di voce, provando a carezzarla un braccio, venendo però scansata in malo modo.
Sente di impazzire, Akemi.
L'odore del sangue è incredibilmente forte in quella stanza, tanto da farle girare la testa e bruciare la gola.
Ne vorrebbe ancora, ma non può di certo dilaniarsi un braccio di fronte a tutti.
Sente una forte rabbia montarle nel petto, tanto da farla piegare in due.
Le ossa fanno di nuovo male, così come i denti. Le pare di avere una tempesta nel cervello, che la scombussola completamente
«Ricordati, giovane immortale: il sangue è la vita e, se lo vorrai, sarà tuo.» le sussurra dolcemente Týr, per poi scoppiare in una risatina isterica, cosa che la confonde ulteriormente.
«Lo voglio...» mormora con un filo di voce, stringendo la patata fino a ridurla in poltiglia.
Alza di scatto lo sguardo, facendo saettare gli occhi da un uomo all'altro. Per un breve istante sente come una nuova voce in testa che le dice di attaccare, di farli a pezzi uno dopo l'altro e, per questo, si alza di scatto dalla propria sedia e scappa fuori.
Si sente estremamente strana e l'unica cosa che può riportarla con i piedi per terra e distrarla da quell'insopportabile desiderio è un po' d'aria fresca.
Si arrampica senza difficoltà sull'albero maestro e si rannicchia su un pennone, tenendo le braccia ben avvolte attorno alle gambe.
Il corvo che da sempre la segue e che ormai la considera la sua nuova padrona le volteggia attorno, gracchiando allegro.
Akemi alza gli occhi su di lui e sorride debolmente, allungando un braccio verso di lui.
Lo guarda con attenzione, non trovando in lui alcun tipo di difetto.
'Sei perfetto.'
«È stato solo un momento, vero Marcolino?» gli domanda con tono malinconico, sperando con tutta sé stessa che trovi il modo di esprimersi in modo a lei comprensibile e la rincuori.
Questo ovviamente non succede e, stranamente, si ritrova a ridacchiare da sola per quel suo assurdo pensiero, carezzandolo delicatamente sul petto.
«Passerà tutto. Andrà tutto alla grande.»
 
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In una settimana possono cambiare tante cose.
Può succedere che una persona diventi sempre più felice, come Satch. Il suo umore sembra infatti essere tornato quello di un tempo: niente musi lunghi, niente ore passate in solitudine a piangersi addosso.
Il perché di questo suo cambiamento ha una spiegazione anche molto semplice: le sempre più frequenti visite dell'eccentrica compagna. Il loro rapporto infatti si è fatto sempre più profondo e vero, tanto da spingere il quarto comandante a sorvolare completamente su tutti gli aspetti più strani e talvolta dolorosi della ragazza.
Può succedere che un tipo come Marco si calmi, dimostrandosi sempre più tranquillo e sorridente di quanto chiunque si potesse aspettare. Anche a questo c'è un perché, ovvero il riavvicinamento con Akemi, anche se dopo la sua dichiarazione entrambi si mostrano sempre un po' in imbarazzo.
Può succedere anche che una persona peggiori, però. Può succedere che diventi sempre più schiva, che tenda ad attaccar briga con chiunque, che si allontani da quelli che da sempre sono i suoi più grandi amici.
Questo è quello che è successo ad Akemi.
È infatti diventata aggressiva con i suoi compagni, ha allontanato Halta ed Ace senza una ragione specifica, non parla molto con l'adorato genitore, ed è diventata schiva nei confronti di tutti.
Passa spesso il tempo appollaiata su uno dei pennoni dell'albero maestro e che guardi tutti quanti con aria diffidente, che li tenga a debita distanza, sempre seguita dall'inseparabile corvo. Solo Marco può ancora avvicinarla senza dover temere che gli si rigiri contro.
Anche per questo suo improvviso e radicale cambiamento c'è un perché ben specifico: il suo tempo è infatti scaduto. Manca solo un giorno allo scadere dei ventotto giorni, e la sua rabbia non ha fatto altro che aumentare, così come la sua forza e la sua aggressività.
Adesso sta appollaiata sul pennone di trinchetto, gli occhi fissi sulle figure dei compagni intenti a lavorare.
Munnin sta comodamente appollaiato davanti a lei, intento anche lui a fissare i vari uomini che ha imparato a conoscere. Anche lui però pare cambiato in qualche modo: i suoi starnazzi sono cessati, la sua vena giocosa è sparita, e ha dimostrato una certa aggressività nei confronti di chiunque osi avvicinare la sua nuova padrona.
Akemi alza per un brevissimo istante gli occhi su di lui e una nuova fitta allo stomaco la fa ringhiare, tanto da indurre l'animale a spostarsi per non correre inutili rischi.
Munnin fu reso immortale moltissimi anni prima da il suo precedente padrone, ma di certo non vuole testare se la forza bruta della ragazza può togliergli questo grande potere.
Akemi ghigna divertita dalla sua reazione immediata, e di scatto riabbassa gli occhi, puntandoli sul quarto comandante che, senza pensarci, si è tolto il foulard per trovare un minimo di sollievo dal caldo afoso che lo sta buttando a terra.
L'immortale aguzza lo sguardo, notando i vari tagli che ha sulla pelle abbronzata, e di scatto si butta giù, andandogli in contro a grandi falcate.
L'uomo la guarda incerto mentre si rilega il foulard al collo, non riuscendo a capire perché lo stia guardando con tanto disprezzo.
«Cos'hai fatto al collo?» gli domanda a bruciapelo la corvina, cominciando a girargli intorno come un predatore famelico.
Dentro di lei si è acceso qualcosa di pericoloso, che adesso potrebbe addirittura risultare fatale al comandante della quarta flotta.
«Come, scusa?» le domanda di rimando, guardandola con aria perplessa.
Tutti si fermano e li osservano, pronti ad intervenire nel caso che la compagna scatti preda di un nuovo attacco di cieca rabbia.
«Ti ho chiesto... cosa hai fatto... al tuo fottutissimo collo!!!» sibila con voce roca, snudando le zanne e tendendo le dita, mettendo così in mostra i lunghi artigli neri in segno di minaccia.
«Datti una calmata.» soffia innervosito Satch mentre porta una mano alla spada che porta al fianco, guardandola con rabbia crescente.
«Non puoi darmi ordini...» mormora la ragazza, piegando la testa di lato e guardandolo con un'aria da spiritata, cosa che un poco lo mette in soggezione.
«Sono il tuo comandante, certo che posso!» le urla contro, inconsapevole del fatto che il tono troppo alto della sua voce risulti come una sfida per Akemi.
La ragazza infatti gli ringhia contro, mettendo sempre ben in mostra i denti improvvisamente aguzzi come quelli di un animale.
Tutti la osservano con la bocca aperta, non riuscendo a spiegarsi come la sua dentatura possa essere cambiata così improvvisamente.
Marco si dirige verso di loro, intenzionato a separarli e a costringere la compagna a darsi una calmata. Solo lui infatti ha questo enorme potere su di lei.
«Cos'hai fatto al collo?!» gli urla contro Akemi, afferrandolo per la camicia e avvicinandolo pericolosamente a sé.
Satch rimane impassibile di fronte a questa sua sfrontatezza, alle sue poco velate minacce, mantenendo un'aria forte e seria.
«Non sono affari tuoi.» le sibila a pochi centimetri dal suo viso, stringendo i pugni per la rabbia crescente che lo sta avvelenando velocemente.
Akemi arriva al punto critico e, senza che nessuno potesse prevederlo, gli salta aggressivamente addosso, atterrandolo.
«Dimmelo!» gli urla addosso, stringendogli una mano attorno al collo.
Marco affretta il passo e l'afferra senza tante cerimonie per i capelli, staccandola in malo modo dall'amico che annaspa in cerca d'aria.
«Si può sapere cosa cazzo ti è preso?!» gli urla contro, mentre tutti si avvicinano per trattenerli ed evitare una nuova rissa. Il capitano non reggerebbe un altro scontro tra i suoi adorati figli, e loro di certo non vogliono dargli altri motivi per preoccuparsi di più.
Akemi rimane a terra in cerca d'aria, adesso stranamente più lucida.
La presenza di Marco, infatti, ha il sorprendente potere di farla calmare di colpo. La paura di potergli fare del male è così forte da costringerla a calmarsi.
«Cosa ha fatto al collo?» ringhia a denti stretti, girando un poco la testa verso Satch, che gli altri stanno aiutando a rialzarsi.
«Cosa t'importa di cosa ha fatto al collo?!» le urla contro Marco, fuori di sé.
Per quanto sia innamorato di lei, non può tollerare che si comporti in questo modo e che osi attaccare i suoi compagni e grandi amici per motivi così idioti.
Akemi si rialza a fatica. I muscoli e le ossa le fanno sempre più male, la gola le brucia come se avesse dei tizzoni in gola, il suo istinto le urla di attaccarsi alla gola del primo idiota che stupidamente osa avvicinarla. Le urla di farli tutti quanti a pezzi, di prendersi le loro vite nelle mani e di stroncarle senza pietà.
«È stata la tua puttana a farti quei tagli, non è vero?» domanda ghignando malignamente a quello che è stato come un padre, facendolo impietrire «Ahhh, loro non sanno che continui a scoparti quella stronzetta con i capelli tinti, vero? Ebbene, cari compagni, è così: il vostro adorato Satch fa montare la sua puttana sulla nave durante la notte. A quanto vedo, inoltre, direi che lo fanno sadomaso.» aggiunge subito dopo, sorprendendo tutti quanti «La prossima volta che oserà portare il suo culo secco su questa nave, la ucciderò, Satch. Le strapperò i denti uno per uno e poi glieli farò ingoiare... le strapperò la lingua, gli occhi e le amputerò gli arti uno alla volta, lentamente. Solo quando mi implorerà di finirla le taglierò la testa.»
«VATTENE!» le urla contro Satch, furioso oltre ogni limite.
Non credeva che un giorno sarebbe arrivato ad un punto critico come quello con la sua adorata Akemi, ma a quanto pare si sbagliava di grosso.
Akemi gli sorride malignamente, reclinando la testa di lato e guardandolo con occhi fiammeggianti.
Senza tante cerimonie, poi, si allontana lentamente, lasciandosi sfuggire anche una risata acuta e piena di arroganza, che fa saltare i nervi a tutti quanti.
Halta le si piazza davanti, decisa a farla ragionare e tornare quella di un tempo, ma la corvina non sembra aver voglia di fare conversazione: la sposta con cattiveria, buttandola a terra.
«Spostati.» le ringhia contro, riprendendo a camminare con calma verso la propria stanza.
Sul ponte della Moby Dick regna il silenzio, interrotto solo dallo scrosciare dell'acqua contro i fianchi dell'imbarcazione.
Nessuno emette un fiato, troppo sconcertati da quanto appena successo e dalla bomba che ha lanciato Akemi.
Satch è furente dalla rabbia. Vorrebbe seguirla per picchiarla a sangue, ma sa che questo non risolverebbe assolutamente niente. Dovrebbe ucciderla per risolvere la situazione e tenere al sicuro Mimì dalla sua furia, ma non ci riuscirebbe mai.
«E così...» Ace rompe quel silenzio, grattandosi con un certo imbarazzo la testa, per poi lasciarsi andare ad una risata che scioglie un poco la tensione che si è venuta a creare «Hai la ragazza, eh?!»
Alla sua seguono altre risate, mentre Satch si tende ancora di più. Non voleva che nessuno sapesse non solo per il fatto che la ragazza riesce a montare inspiegabilmente sulla nave, ma anche per evitarsi quei discorsi e le loro risate.
«Fatti gli affari tuoi.» soffia indispettito, cercando di ricomporsi fingendo di riprendere il lavoro che ha interrotto, venendo però preso inevitabilmente di mira dalle battute idiote dei compagni.
Pure Marco si lascia sfuggire una lieve risata, che però muore con il gracchiare innervosito dell'animale ancora appollaiato sulla trave.
Alzando lo sguardo lo vede sbattere le ali con forza, come se stesse cercando di lanciare un allarme, e subito dopo spicca il volo, allontanandosi ad una velocità assai sorprendente.
«Dove starà andando?» domanda più a sé stesso che a chi ha intorno, ricevendo una risposta da un attento Jaws, che come la Fenice non si è perso quello strano comportamento.
«Se non fosse impossibile, direi che sta andando a riferire quanto accaduto a qualcuno.»
Marco lo guarda sorpreso, non riuscendo però a scartare la sua assurda ipotesi.
«Se dovesse far ritorno, sparategli.» ordina semplicemente, dirigendosi verso il sottocoperta con passo svelto.
Deve assolutamente parlare con Akemi, capire cosa diavolo le sia preso, perché ha osato attaccare Satch, perché sia così incredibilmente strana.
Una volta giunto davanti alla sua porta, si blocca. Poggia piano l'orecchio sulla superficie liscia e ascolta i risolini isterici della compagna, sentendo di tanto in tanto qualche parola detta in un'altra lingua.
'Parla pure da sola adesso?!'
Respira profondamente e dopo una manciata di secondi entra, richiudendosi subito la porta alle spalle, chiudendola a più mandate. Nessuno deve intromettersi, non quando la ragazza è in uno stato così preoccupante. Infatti si è già procurata svariati tagli sul corpo, impregnando le coperte e gli abiti di sangue scuro, i capelli le coprono parte del volto, contrastando perfettamente con la carnagione pallidissima, gli occhi fuori dalle orbite screziati d'oro e un sorriso inquietante che mette in mostra le zanne affilate.
Le si avvicina piano, guardandola con attenzione mentre continua a ridacchiare e affettarsi il braccio con nervosismo.
«Che ti è preso?» le domanda col tono più calmo che riesce a trovare, raggiungendo molto lentamente il letto. Malgrado non gli si sia mai rigirata contro, è ben consapevole che una mossa sbagliata potrebbe mandarla in bestia, e picchiarla è l'ultima cosa che vuole fare. Probabilmente, per colpa dei suoi forti sentimenti nei suoi confronti, non ci riuscirebbe nemmeno.
«È mio.» afferma con voce leggermente acuta Akemi, facendo saettare gli occhi da Marco al proprio braccio martoriato «È tutto mio. Quella puttana non può venire qui. Non può prendersi le mie cose.»
«Quali cose sono tue?» le domanda cautamente Marco, prendendole una mano e togliendole il pugnale dall'altra, giusto per non dover assistere di nuovo ad una scena del genere.
«Tutto.» risponde secca, guardandolo torva in volto «La ciurma. La nave.»
Marco si passa una mano tra i capelli, incapace di capire cosa diavolo le sia preso. Non ha mai fatto discorsi tanto insensati, non è mai stata cattiva con i suoi compagni.
«Primo: la nave e la ciurma non sono di tua proprietà. Ok?» alza di nuovo gli occhi su di lei e prova ad avvicinarla piano, mettendole una mano sulla guancia e carezzandola piano «Secondo: concordo con te sul fatto che Satch non dovesse far salire un'estranea sulla nave, ma non puoi fare così. Dovevi prenderlo da parte e parlarci con calma, non minacciare la sua donna di fronte a tutti e sputtanarlo in questo modo. Lo capisci, vero?»
Akemi piega la testa di lato, sorridendo in maniera inquietante.
«È tutto mio. Nessuno deve azzardarsi a toccare ciò che è mio.» afferma convinta, poggiando a sua volta una mano sulla guancia della Fenice «Ucciderò chiunque ci provi. Sarà lento, doloroso... e presto tutti capiranno.»
«Akemi-»
«Io sono speciale, Marco. Io ho diritto di vita e di morte su chiunque. Nessuno può prendere quello che è mio.» ribadisce con tono impaziente, ridacchiando nervosamente «Lo capisci?»
Marco sospira frustrato, non riuscendo a trovare nessuna soluzione per aiutarla. L'unica cosa che può fare è farla stendere e provare a calmarla. Certo, la sua assenza darà molto nell'occhio questa volta, ma non può certo lasciarla da sola in questo stato.
Le passa una mano attorno alla vita e la fa stendere al suo fianco, tenendole l'altra mano poggiata sulla testa, in modo tale che l'appoggi sul suo petto e magari si calmi un po'.
«Dormi un po' adesso, ok? Se dovrai uccidere così tante persone, dovrai essere in forma.» la convince così, dicendole una buffonata.
Lentamente sente i muscoli della compagna rilassarsi sotto le sue mani e il respiro diventare regolare.
Le carezza piano la schiena, seguendo la linea della spina dorsale.
Guarda il suo volto rilassato e sereno, la bocca dischiusa, le mani affusolate poggiate contro il suo torace.
Il cuore gli si stringe in una morsa dolorosa. Non riesce assolutamente a capire cosa l'abbia ridotta tanto male, perché sia scoppiata in quel modo. Peggio ancora, non sa assolutamente come aiutarla a star meglio.
La stringe ancora di più a sé, immergendo il viso nei suoi capelli scompigliati, beandosi del loro profumo.
«Dimmi che hai...» mormora con voce incerta, consapevole che non riceverà alcuna risposta «... non posso perderti.»


Nel frattempo, a molte leghe di distanza, il velocissimo Munnin è finalmente giunto alla sua nuova dimora, l'isola Helheimr.
Gracchia con tutta la potenza che può, avvertendo i vari immortali che lì vi abitano e il suo caro fratello del suo ritorno, cercando pure di trasmettere loro le preoccupazioni che lo stanno corrodendo velocemente.
Sulla spiaggia candida stanno a bivaccare Freki, Sakura e un ridestato Kakashi. Fino a pochi minuti prima c'era anche Geri, compagno da più di una vita di Kakashi, che però si è dovuto assentare per svolgere alcuni mansioni di routine.
«Quello non è Munnin?» domanda vagamente interessato Freki, rigirandosi a pancia all'aria sulla spiaggia calda. Il tatuaggio è stato ritoccato e riportato all'antico splendore, e adesso lo sfoggia con fierezza in qualsiasi momento.
«Che gli è preso? Non l'ho mai visto così agitato...» domanda Kakashi, tirandosi in piedi e allungando un braccio verso l'animale che, senza farselo ripetere, vi si appoggia e riprende fiato, osservando il cielo limpido alla ricerca disperata del fratello. Se c'è qualcuno che può capirlo subito e riferire al suo padrone quello è lui.
«Ehi, piccolo...» Sakura si alza a sua volta e sfiora con la punta delle dita il petto piumato dell'animale, sperando di riuscire a calmarlo «Che è successo?»
Un'imprecazione assai colorita attira immediatamente l'attenzione del trio, che di scatto si volta verso quello che viene ormai considerato il nuovo Re delle Tenebre, Wulfric.
Cammina con passo molto svelto e nervoso. I suoi abiti generalmente immacolati sono ricoperti di sangue, così come la sua pelle candida e i capelli argentei.
«Wulfric, che ti è successo?» domanda subito con apprensione Sakura, scattando in sua direzione, venendo però ignorata dal diretto interessato.
«Dov'è quell'altro idiota?!» ringhia furioso oltre ogni limite, cosa che mette in guardia il trio. Sono ben consapevoli della sua innaturale potenza, e non vogliono certo rischiare di rimetterci le penne contraddicendolo.
«È nella sua reggia, con la Regina.» lo informa con tono rabbioso Freki, pronto ad attaccare in caso di bisogno. Perché qualsiasi immortale reagisce estremamente male se si sente minacciato in qualsiasi modo, e un tipo aggressivo come lui lo fa in modo particolare. È già un miracolo che non sia scattato e non si sia avventato come un animale rabbioso contro di lui.
Wulfric li abbandona velocemente, spingendo bruscamente Sakura che cade sulla sabbia rovente.
«Sakura!» Kakashi scatta verso di lei e l'aiuta a rialzarsi, notando distintamente un'immensa tristezza nei suoi occhi di ghiaccio.
«Certo che te lo sei scelta proprio male, eh?» prova a sdrammatizzare con una battuta, notando però una lacrima scarlatta solcare la guancia magra della sorella «Perché non lo lasci, scusa?»
«Perché Wulfric non fa mai così.» risponde per lei Freki, che da molto più tempo ha a che fare con lo spietato Mietitore «Deve essere successo qualcosa di grave se si comporta così.» aggiunge subito dopo, sdraiandosi di nuovo a pancia in giù sulla sabbia calda, crogiolandosi sotto i forti raggi del Sole che gli baciando la pelle bronzea.
Nel frattempo, Wulfric ha già raggiunto la reggia al centro dell'isola ed è entrato prepotentemente, ignorando i richiami delle varie persone che vi hanno preso residenza senza che nessuno li invitassi. Incontra sul suo cammino anche Killian, che però ignora malgrado gli sia pure attaccato ad un braccio per fermarlo.
Non gli importa di niente a Wulfric. È troppo fuori di sé, tanto da fregarsene anche di darsi una ripulita o di non essere notato da nessuno nel viaggio di ritorno.
Si dirige senza incertezze verso lo studio di Fenrir. Sente chiaramente i loro battiti cardiaci e il loro inconfondibile odore per sbagliarsi.
Apre di scatto la porta, fregandosene delle buone maniere e del fatto che avrebbe potuto beccarli in flagrante, trovandoli fortunatamente stesi su uno dei divani a chiacchierare tranquilli, come se niente di quello che sta succedendo nel mondo esterno li riguardasse minimamente.
Tira una sonora bestemmia e sfascia un tavolino contro il muro, mandando in frantumi anche tutto quello che vi era depositato sopra.
«Buon giorno, Wulfric.» lo saluta Fenir, trattenendo a stento le risate. Era da tempo immemore che non lo vedeva così incazzato e la cosa non può far altro che rallegrarlo. Per un momento aveva avuto paura che si fosse rammollito.
«Qualcosa ti turba?» gli domanda con una vena di sarcasmo Astrid, tenendo una mano davanti alla bocca carnosa per trattenere le risate.
«QUELLA PUTTANA MALEDETTA!» urla in preda alla collera, quasi strappandosi i vestiti impregnati di sangue per liberarsene. Gli fa schifo solo l'idea che le ultime tracce di quella traditrice possano sfiorarlo ancora.
«Ti siedi e mi dici cosa è successo?» gli domanda con più serietà l'Imperatore, guardandolo torvo.
Wulfric ricambia lo sguardo, snudando le affilate e candide zanne per zittirlo.
Killian assiste confuso a tutta la scena, non azzardandosi però ad intromettersi. Se lo facesse, scatenerebbe un sicuro scontro all'ultimo sangue tra tutti i presenti, e la cosa non gli va per niente.
«Quella veggente del cazzo...» sibila Wulfric, portandosi le mani tra i capelli scompigliato «Quella vecchia troia ha parlato con Peter! Gli ha rivelato ogni cosa, usando la scusa che è il suo lavoro, che non poteva rifiutarsi con lui... MALEDETTA STRONZA!»
I due sovrani lo guardano con attenzione, adesso entrambi in piedi pronti per qualsiasi evenienza.
«Gli ha detto delle armature, delle nostre mosse passate e future... gli ha detto dove si trova e quando andare a prenderla.» aggiunge col fiato corto, mentre la gola gli brucia terribilmente per il desiderio di sangue che lo dilania.
«La data la sappiamo anche noi, quindi interverremo prima.» afferma sicuro Fenrir, indurendo lo sguardo.
«La data è cambiata.» afferma sempre più furioso Wulfric «Prima di ammazzarla come un cane, insieme a tutta la sua famiglia di sporchi traditori, mi ha rivelato che la data non è più quella prestabilita. Ha detto che la bestia è pronta a liberarsi... e che ciò accadrà domani notte.»
Astrid si volta a guardarlo con gli occhi fuori dalle orbite, il cuore che le galoppa nel petto.
«Che cosa?!» urla furiosa, venendo agguantata per un braccio prima che compia qualche idiozia dal fedele compagno.
«Domani notte la bestia si libererà dalle sue catene.» ribadisce il Mietitore, guardandola con rabbia «Peter sarà già sulla sua rotta. La porterà via e le racconterà qualsiasi cosa pur di averla dalla sua parte. Questo, ovviamente, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore la ucciderà smembrandola e bruciando i pezzi uno alla volta.»
Astrid si volta di scatto verso Fenrir, ringhiandogli sommessamente «Me l'avevi promessa.»
«E l'avrai.» volta la testa verso Killian, guardandolo duramente «Raduna gli altri e partite immediatamente. Se la mattina seguente non sarà ancora qui, metterò le vostre teste su un palo d'argento e lascerò il resto delle vostre carcasse ai corvi.»
Killian annuisce e scatta senza esitazioni fuori dalla stanza, urlando per richiamare quelli che sono diventati i suoi nuovi compagni, costringendoli così a mettersi tutti in moto.
«Questa non ci voleva...» mormora Fenrir, buttandosi a sedere sul comodo divano alle sue spalle, passandosi una mano sul volto.
'È mai possibile che non si può avere un attimo di pace?!' si domanda frustrato, sospirando rumorosamente mentre gli altri due litigano furiosamente.
Li guarda per un breve istante con l'unico occhio che gli rimane, e sente il mondo crollargli sotto ai piedi.
'Che vita di merda...'


 
Angolo dell'autrice:
In ritardo come al solito, ma eccomi di nuovo! :D Vi ero mancata, vero? (Da mori', guarda!!)
Scusatemi infinitamente per averci messo così tanto ad aggiornare, ma passo tipo ¾ della giornata al mare a lavorare (sono abbronzata, se Dio vuole!), la sera arrivo a casa semi-distrutta per colpa dei mocciosi che non mi mollano neanche per un secondo (perché devono adorarmi così?! -.-), e di conseguenza trovo sempre pochissimo tempo per scrivere, motivo per cui è venuto solamente 14 pagine.
Il prossimo è già in parte scritto (da molto, a dire il vero), così come parte di quello dopo. Vi dico subito che ho preferito separarli per descrivere al meglio tutto ciò che succederà, anche se così forse la storia potrebbe risultarvi pesante... perdonatemi!!! ç.ç
Ah! Già che ci sono, vi annuncio subito che tra tre capitolo vi darò quasi tutte le delucidazioni che vi avevo promesso! :D Spero che abbiate la pazienza di attendere >.<
Beh, detto questo, che ve ne pare di questo capitolo? Akemi che dà fuori di matto... me gusta! Finalmente esce fuori quello che realmente è, cioè una creatura nata per uccidere e distruggere, con un forte senso di possessività e quindi una distruttiva gelosia.
Povero Satch però :( tutte a lui le faccio succedere! Tranquilli comunque: Mimì saprebbe difendersi a dovere. Non è certo ai livelli di Freya, ma rimane comunque molto più veloce di lei. Scappare sarebbe una bazzecola! :D

Ringrazio di tutto cuore ankoku, Aliaaara, Chie_Haruka, Okami D Anima, Monkey_D_Alyce, Keyra Hanako D Hono, Law_Death, Yellow Canadair, KuRaMa faN e Phoenix_Sarah per le magnifiche recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo. Siete dei tesori! ♥♥♥ È solo grazie al vostro appoggio e di tutti quelli che mi seguono che riesco a trovare la forza per rimanere sveglia la notte e scrivere! :D

Spero di riuscire ad aggiornare il prima possibile, perché davvero giro attorno a questo capitolo da mesi! ;)
Adesso vi lascio allo special, dove troverete quello strafigo di Shanks (dico bene, Yellow Canadair? XD) e il sadico Peter.
A presto, un bacione
Kiki ♥

 
 
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Un'imponente nave da guerra si avvicina lentamente al vascello del Rosso Imperatore.
La ciurma è in fermento, pronta a buttarsi nello scontro a lama tratta, a spedire gli sciocchi aggressori nell'aldilà.
Shanks osserva dalla polena quella grossa nave dalle vele nere avvicinarsi. Lo stemma che troneggia su quel lugubre colore gli è familiare, ma proprio non riesce ad associarlo ad un nome.
Si tratta di un meta-lupo argentato che salta in un cerchio dorato, con le fauci spalancate. Ricorda di aver letto o quantomeno sentito qualcosa sul conto di quelle bestie ormai estinte e sulla loro ferocia, e ricorda anche che qualcuno usava l'immagine di quell'antico animale come vessillo. Ricorda in particolare il motto che urlavano prima di attaccare e distruggere, quello si: “Ciò che è morto non muoia mai.”
Il suo vice gli si avvicina velocemente, informandolo che a quanto sembra non hanno intenzione di attaccarli, ma bensì vogliono solo conversare con il capitano.
Shanks acconsente, spinto dalla curiosità di scoprire cosa si cela dietro a tutte le stranezze che stanno stravolgendo l'equilibrio mondiale.
Quando poi la nave è vicina e gli invasori montano sulla sua nave, non riesce minimamente a mostrarsi cortese come vorrebbe, ma bensì rimane con il volto contratto da rabbia e riluttanza.
Un uomo grassoccio, vestito con un'armatura di mirabile fattezza, gli si avvicina impavido e lo fissa dritto negli occhi, rimanendo però in completo silenzio.
Dal suo collo, Shanks vede pendere un ciondolo assai riconoscibile: un serpente che si mangia la coda, attorcigliato ad una grossa croce, indice che questi uomini fanno parte dell'Ordine del Dragone.
«Cosa volete?» domanda in tono duro, mentre i suoi uomini sono pronti ad intervenire alla prima mossa falsa.
«Noi niente. Il futuro Imperatore ha insistito per avere un colloquio con voi.» risponde secco l'uomo, nascondendo come meglio può l'agitazione.
Perché lui ha accettato l'alleanza con quel folle, ma proprio non riesce a fidarsi di lui.
Troppo folle, imprevedibile e lunatico. Come si può dar fiducia ad un mostro come lui?
«Legno eccellente, non c'è che dire.» si voltano tutti di scatto verso quella voce estranea, impugnando saldamente le armi, pronti a dar battaglia all'intruso. A dire il vero non riescono neanche a capire come abbia fatto a montare a bordo senza farsi vedere da nessuno, ma non hanno intenzione di fermarsi a chiederglielo.
Quando lo vedono, rimangono interdetti di fronte alla sua espressione beffarda ed estremamente arrogante.
È un ragazzo poco più che ventenne, dai profondi occhi neri come la pece, i capelli sfilati neri con le punte rosse come il sangue rivolte verso l'alto, tenuti più lunghi da un lato, la pelle chiara e un sorriso enigmatico e vagamente derisorio gli increspa le labbra sottili. Ha un corpo muscoloso e slanciato, fasciato da abiti neri adornati con delle borchie sulle spalle della giacca e sul colletto, e un ciondolo tribale gli pende dal collo.
«Riponete le armi, pirati. Non ho fatto tanta strada per uccidervi.» afferma con tono divertito, inclinando un poco la testa di lato «Sono qui per proporvi un'alleanza.»
«E tu saresti?» gli soffia contro Shanks, senza lasciare neanche per un istante l'impugnatura della spada che gli pende dal fianco.
«Non osare rivolgerti a lui con questo tono di sufficienza!» gli ringhia contro il primo uomo salito a bordo, quello grassoccio e timoroso.
Con quell'uscita era convinto di aver guadagnato dei punti, di poter essere messo sotto la giusta luce dal suo nuovo Signore, ma a giudicare dallo sguardo torno che l'altro gli rivolge si sbagliava di grosso.
«S- signore?» domanda titubante, abbassando il capo in segno di rispetto.
«Tagliati la gola.» ordina secco il ragazzo, guardandolo con disprezzo.
Perché lui li odia. Tutti quanti. Sono solo dei pedoni da sacrificare come agnelli, inutili fantocci che lo porteranno al potere.
«Co- cosa?» balbetta il poveretto, facendo un passo indietro, venendo però bloccato dai compagni, ben più fedeli al nuovo Signore.
«Tagliati la fottuta gola! Non posso sopportare che tu respiri la mia stessa aria, inutile sacco di merda!» gli urla contro, preda di un suo solito attacco d'ira «Adesso tagliati la gola, o te ne pentirai amaramente.»
Quello che succede dopo quell'ordine, inorridisce oltre ogni modo Shanks: l'uomo, con mano tremante, si porta un vecchio coltello arrugginito alla gola, preme con forza la lama tagliente sulla pelle sottile e la lacera in profondità, lasciando così che il sangue sgorghi come un fiume in piena.
«Molto bene... stavo dicendo?» cambia argomento così, come se niente fosse successo, mentre i suoi subordinati buttano in mare il corpo esanime del loro compagno.
«Chi sei?» ringhia Shanks, stringendo maggiormente la presa sull'impugnatura della sua arma.
«Consiglio vivamente al tuo amico di togliermi quella pistola dalla faccia.» lo avverte con tono canzonatorio il ragazzo, guardando con aria beffarda Benn che lo guarda senza capire «Se solo provasse a premere il grilletto, nessuno di voi avrà l'onore di poter raccontare in giro di avermi incontrato.»
Shanks soppesa con attenzione le parole di quel folle e, dopo attenta riflessione, pensa bene di non voler far correre nessun rischio al suo equipaggio, così fa cenno al suo vice di riporre l'arma.
«Bravo, moccioso.» ghigna felice, tamburellando con la punta delle dita sottili e pallide il legno del parapetto su cui è placidamente seduto.
«Io sono Peter Bàthory e sono venuto fin qui da Foosha, in cerca di alleati in grado di eliminare una volta per tutte Barbabianca e la sua ciurma.»
Sulla nave cala un improvviso silenzio, rotto infine dalla risata più che allegra di Peter. Questo giochino per lui si sta rivelando più coinvolgente del previsto, con così tante sfaccettature non calcolate che lo mandano fuori di testa.
«Tu sei un pazzo.» sentenzia Shanks, guardandolo torvo.
Lo vuole fuori dalla sua nave, immediatamente. E vuole anche correre ad avvertire il vecchio dell'imminente minaccia. Perché lo sa bene, Shanks, che questo Peter Bàthory non è tipo da sottovalutare.
«Non sei il primo che me lo dice.» ammette con indifferenza il nemico, scendendo dalla balaustra e camminando con passo calmo, quasi strascicato, per il ponte della nave. Quando però si avvicina di un passo di troppo a Shanks e lo vede sguainare la spada, si blocca, guardandolo con delusione «Da questo gesto devo dedurre che non vuoi allearti con me, giusto?»
Sorride appena e si volta, dandogli tranquillamente le spalle mentre si dirige verso la propria nave «È un vero peccato... sarebbe stato tutto molto più divertente.» mente, senza abbandonare l'enigmatico sorriso. In realtà non vuole allearsi con Shanks a caso, ma perché desterebbe abbastanza scandalo e quindi l'Imperatore non sospetterebbe la sua mente dietro l'attacco.
«Ti invito caldamente ad andartene.» ringhia a denti stretti Shanks, che nel frattempo prova a ricordare quale sia la possibile rotta dell'Imperatore Bianco.
«Ricordati il mio nome, Rosso. Lo sentirai parecchio a breve.» lo avverte, sorridendogli cordialmente, prima di montare sulla propria nave «Adesso muovetevi, inutili idioti. Ho fame.» ordina subito dopo, facendo scattare tutti i presenti, più che spaventati all'idea di non riuscire a soddisfarlo in tutti i suoi capricci.
Dall'alto della Red Force, gli uomini di Shanks li guardano allontanarsi con un brutto presentimento nel cuore.
«Cosa facciamo, capitano?» gli domanda Benn, affiancandolo.
«Invertiamo la rotta.» ordina secco l'Imperatore, dirigendosi verso la piccola zona adibita a biblioteca «Trovate la Moby Dick. Dobbiamo avvertirli.» aggiunge prima di sparire, più che intenzionato a scoprire dove abbia già visto quel vessillo e, soprattutto, quale può essere il vero piano di quello psicopatico.
'Spero soltanto di riuscire ad arrivare prima di loro...'


Ps: ecco a voi Peter!! http://it.tinypic.com/r/2hzn045/8
  
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