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Autore: GingerHair_    16/06/2014    5 recensioni
Vorrei rispondergli, dirgli che anche lui mi è mancato, ma non nel modo in cui mi manca il Galles o la mia famiglia. Mi è mancato nel modo in cui ai girasoli manca il sole di notte, e li vedi sui campi, con tutti i petali rivolti all’ingiù. Vivono, eppure sono incompleti, qualcosa manca loro e nonostante siano dei fiori bellissimi guardandoli non si può percepire altro se non tristezza e abbandono. Solo il giorno dopo, quando il sole compare, essi tornano nel pieno del loro splendore, osservandolo e seguendolo sempre, facendo tacere il loro muto grido di solitudine, grati a questo di esistere, per avere qualcuno per cui essere magnifici. (...) Fortunatamente Liam è un ragazzo intelligente e pare abbia capito quella cosa del girasole, anche se sono semplicemente scoppiata a piangere senza parlargli.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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IV.
 
« La morte si sconta vivendo »



 
Liam è morto.
La verità mi colpisce in pieno, lasciando lividi violacei sul mio corpo che nessuno vede. Sogno specchi che si infrangono, le schegge cadono a terra, il mio riflesso è diviso in tante piccole parti e, al di là dei frammenti, c’è lui, Liam. Il suo viso è bianco, è spaventato e si guarda intorno freneticamente: sta cercando me. Sa che ho rotto la nostra promessa, non ho trascorso la vita con lui, non sono lì ad aspettarlo, probabilmente mi odia.
Lo specchio non c’è più, eppure una lastra di vetro mi intrappola, non posso raggiungerlo, né parlare con lui, ho solo la certezza che sia morto. Spettatore della nostra sofferenza c’è il più terribile degli angeli: le sue piume sono macchiate di sangue e un sorriso crudele è stampato sul suo volto.
L’angelo si nutre del mio dolore ed io non so come reagire: sono intrappolata fra due mondi; vorrei essere morta, raggiungere Liam, ma non ho la forza necessaria per porre fine alla mia vita; allo stesso tempo rimango qui, in vita ma non proprio, con la consapevolezza che non riuscirò a vivere senza di lui.
Sono incastrata fra due muri e mi manca l’aria. I muri si avvicinano sempre di più fra loro, stringendomi nella loro morsa, ma non mi permettono di morire. Devo continuare a farlo, devo soffrire, è la mia punizione per aver pensato di poter vivere felice con Liam. L’ossigeno continua a diminuire, così chiudo gli occhi e attendo qualcosa, qualsiasi cosa, che riesca a risvegliarmi dai miei incubi, ma c’è solo il buio che mi circonda.
 
Mi sveglia mia madre, la sua fronte è percorsa da una ruga che, sono sicura, non c’era prima. È preoccupata per me in quel modo in cui solo le madri lo sono. Vede quanto soffro, sa che non può far nulla, se non aspettare che mi passi: il tempo cura le ferite, ma le cicatrici restano, il dolore è sempre in agguato, un avvoltoio che non aspetta altro che il nostro corpo vuoto per poterlo consumare. Posso guarire, ma posso anche morire dissanguata.
«Delilah, come va oggi?» mi chiede con dolcezza, accarezzandomi il viso. Pronuncia il mio nome con leggerezza: l’ha scelto lei, anche mia nonna si chiamava così e mia madre la amava molto. Ogni volta che mi chiama sento il peso di quell’amore.
Vorrei provare a dirle che sto bene, che non vale la pena preoccuparsi per me, perché non penso che la mia vita valga qualcosa. Non dovrebbe rovinarsi per me, non dovrei essere la causa delle sue rughe. Dovrei dirle che oggi mi sento meglio, ma non sono più sicura che ci sia un ‘oggi’ o che ci sia stato un ‘ieri’, né tantomeno che ci sarà un ‘domani’, sono solo una persona che si è fermata nella nebbia. I giorni sul mio calendario hanno smesso di essere importanti quando Liam è morto.
Mia madre continua a guardarmi preoccupata, mi poggia una mano sulla fronte, mi accarezza.
«Forse hai bisogno di dormire un altro po’, bambina mia».
Amo mia madre e la amo ancora di più quando mi chiama in questo modo, come se fossi ancora la sua bambina, quella che a tre anni si era sbucciata un ginocchio per imparare ad andare in bici, che giocava nella casetta sull’albero, faceva lunghe escursioni a cavallo e proponeva storie impensabili alle sue bambole. Ai suoi occhi sono ancora lei, e forse lo ero, fino a quando Liam era con me. Forse la sua morte mi sta dicendo che devo abbandonare l’idea che avevo di me, ma non ci riesco. Non è che non voglio crescere, solo non voglio farlo in un mondo senza Liam.
Mia madre continua ad accarezzarmi e la sua mano calda sembra essere l’unica cosa che riesce a scaldare la mia anima fredda di questi tempi. Il calore mi fa chiudere gli occhi e una stanchezza che non mi ero resa conto di sentire si impossessa di nuovo, facendomi cadere nel mio mondo di incubi, sensi di colpa e sangue.
 
Non so che ore sono quando mi sveglio di nuovo, il sole sta tramontando dietro le montagne e mia madre non è più sul letto accanto a me. Decido che voglio smetterla di compiangermi distesa sul letto, meglio farlo al bagno. Mi alzo in piedi troppo velocemente, la mia testa gira e un sacco di puntini neri mi coprono la vista per qualche secondo.
Cammino a passo svelto verso il bagno, entro e chiudo la porta a chiave. Mi fisso allo specchio, ho un aspetto orribile: i miei capelli sono diventati ormai un groviglio indomabile, i miei occhi sono gonfi e rossi e sembra che non dorma da settimane, nonostante gli ultimi giorni li ho passati a fare solo quello. Prendo la spazzola e, lentamente, pettino tutti i miei capelli, ciocca per ciocca, fino a quando posso passarci in mezzo le dita senza che questi mi si intreccino. Prendo la mia misera trousse dal mobile sotto il lavandino e tiro fuori tutti i pochi trucchi che ho. Spremo tutto il tubetto di fondotinta liquido che ho e ne passo il più possibile sul mio viso, fino a quando non sembro avere quasi una seconda faccia. Quello che mi avanza lo getto nel lavandino e apro l’acqua: molteplici strisce color marrone scivolano verso il centro dal lavandino prima di essere risucchiate dallo scarico.
Lascio l’acqua aperta, perché ho appena scoperto che se ho qualche rumore a distrarmi i miei pensieri sono meno udibili alle mie orecchie. Ci sono, ma sono flebili borbottii, cose di poco conto.
Prendo l’eyeliner e traccio una linea storta, le mie dita tremano, ma non m’importa. Continuo a farla sempre più spessa, fino a quando non mi copre metà della palpebra, poi faccio la stessa cosa con l’altro occhio. Mi metto così tanto mascara che le mie ciglia sembrano finte. Il mio viso non è più il mio, cambia, appartiene a qualcuno che non riconosco. Delilah non c’è più, quella allo specchio è l’assassina di Liam. Perché se non l’avessi chiamato Liam non sarebbe tornato, non si sarebbe mai imbarcato su quell’aereo e ora non sarebbe morto. È colpa mia se lui non c’è più, solo mia.
Per ultima cosa prendo il mio rossetto, quello rosso, comprato in un momento di vanità quando avevo diciotto anni, ma che avevo messo solo due volte. Una di queste era per il mio primo appuntamento con Liam. Lo premo con forza sulle mie labbra, lentamente osservo la linea rossa che si traccia e non posso fare a meno di pensare quanto questo colore sia simile al sangue. Non m’importa essere precisa o andare dritta, voglio solo imprimermi un marchio, un avvertimento. Voglio che tutti sappiano quanto sia colpevole, quanto il sangue innocente di Liam sia su di me, quanto io sia sporca in confronto alla purezza che era lui. Esco dal bagno e indosso un vestito nero e corto, senza calza sotto. Apro la scarpiera di mia madre e prendo un paio di stivali neri con il tacco. Non ho mai camminato con scarpe con il tacco, mi hanno sempre dato l’impressione di essere scomode e dolorose, ma mi sembra già di camminare sui frammenti di vetro, un altro po’ di dolore è quello che mi merito. In casa non sembra esserci nessuno, per cui non mi è difficile prendere la prima giacca dall’appendiabiti e uscire, per dirigermi verso il centro del paese. Ormai il solo è calato, la notte è scesa fredda e silenziosa, come accade solo nei piccoli paesi di montagna. In giro non c’è nessuno, il vento è soffia nella direzione contraria alla mia, rendendomi ogni passo più difficile e facendomi stringere nella mia giacca. Non mi rendo conto che sta piovendo fino a quando non mi tocco il viso, accorgendomi che è bagnato. Il mio trucco si sarà sicuramente sfasciato, ma non m’importa più di tanto. Non voglio piacere, voglio spaventare.
Quando finalmente arrivo in centro, entro nel pub locale, senza pensarci due volte. Non credo che qualcuno mi conosca, non ho mai frequentato posti del genere e sono due anni che non torno più qui. Per la gente di qui sono solo ‘la figlia di’, il mio nome si potrà trovare solo in qualche vecchio registro scolastico, ma non sono un ricordo, non sono impressa nel loro cuore. 
Mi siedo su un sgabello vicino al bancone, ignorando i fischi e i commenti delle persone già presenti. So che tutti mi hanno guardato appena sono entrata, qualsiasi cosa abbiano pensato di me, qualsiasi sia il loro giudizio, mi hanno guardata. C’è molto peso negli sguardi ed io sono una persona debole per sopportarlo, ma non m’importa, è solo altro dolore che si aggiunge al carico già esistente.
Indico gli alcolici dietro al barista per fargli capire che sono quelli che desidero. Lui mi guarda e alza un sopracciglio, ma mi versa ciò che chiedo nel bicchiere senza fare troppe storie. Annuso il liquido trasparente e poi lo buttò giù tutto d’un fiato: il sapore è tanto pessimo quanto l’odore.
Ne ordino un altro e lo bevo come il primo.
Poi un altro.
E un altro.
Ancora uno.
Più ne bevo più ne vorrei.
Ne chiedo un altro al barista, ma lui scuote la testa, dicendomi che ho bevuto abbastanza per oggi, vorrei dirgli che non è mia madre e non può dirmi cosa posso e non posso fare. Sono una donna adulta ormai e mi uccido come voglio. Tiro fuori i soldi dalla mia tasca e li sbatto sul bancone, poi alzo il dito medio e sorrido falsamente al povero ragazzo, che prende i soldi borbottando quanto io sia maleducata.
Non m’importa di ciò che la gente pensa di me, ormai. L’unico parere che mi interessava è quello di una persona ormai morta, che ho ucciso e tradito. Sono colpevole, colpevole oltre ogni misura. Ognuno paga per le proprie colpe e il dolore che sento è il mio prezzo. È qualcosa che mi opprime e lo farà per tutta la mia vita. La pioggia scende, sempre più copiosa, apro le braccia e butto indietro la testa, lascio che questa mi bagni, anche se nemmeno l’acqua può lavare via i miei peccati. Sono piena di ferite, piena di cicatrici, porto il mio peso in silenzio e nessuno se ne accorge. Scivolo fra la gente, la testa leggera, ormai completamente bagnata, col cuore che vorrebbe smettere di battermi in petto e il sangue che cola dalla mia bocca. Tutto intorno a me sembra opaco, nulla è reale, c’è solo dolore e nebbia. Le stelle e la luna non sono in cielo, le nubi le coprono; le strade sono ormai fango e impronte. Metto il mio piede sopra una di essere, per vedere dove queste tracce mi portano, se la vita di un altro essere umano potrà mai adattarsi alla mia, ma è tutto inutile: alcune sono troppo grandi, altre troppo piccole, i miei tacchi affondano nel fango e mi fanno cadere.
Ormai non cammino più, gattono, sono sporca, bagnata e colpevole. Mi stendo sul fango e lascio che la pioggia mi copra. Voglio sparire, voglio essere inghiottita dalla terra e passare tutta l’eternità con Liam. Respirare mi diventa sempre più faticoso, i battiti del mio cuore rallentano e il petto mi fa male ogni volta che inalo aria. Forse se smettessi sarebbe tutto più facile.
Il dolore cresce in modo esponenziale dentro di me e, in tutto questo, non posso far altro che chiudere gli occhi, attendere e sorridere.
Liam, aspettami, sto arrivando da te.


 


 
Salve gente, eccomi qui con questo nuovo capitolo. So che non aggiornavo da due settimane, ma la settimana scorsa ho avuto impegni per via della fine della scuola e, quando finalmente mi sono liberata, ci ho messo tanto a scriverlo. È stata dura per me scrivere della morte di Liam (incolpate Irene per questo), non avevo mai fatto morire un personaggio principale e davvero mi sono messa a piangere mentre scrivevo la vita di Delilah (vi piace il suo nome?) senza il suo amore.
Questo, comunque, è il penultimo capitolo, ho già deciso come andrà a finire la storia e non ci sarà nessun epilogo. Spero davvero di non avervi deluso, posso capire che questo capitolo e molto introspettivo e con molti sensi di colpa, spero che non lo troiate noioso, mi sono impegnata al massimo per non risultare banale e far capire davvero quanto Liam fosse importante per lei.
Ora vi saluto perché ho già detto troppo, la citazione all'inizio del capitolo è di Ungaretti e ci vediamo al prossimo e ultimo capitolo.

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