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Autore: Chains_    16/06/2014    29 recensioni

N= {a, i, l, n} A= {a, i, l, n}
Allin guardò il pezzo di carta passatole dal suo compagno di banco e si accigliò, non capendo subito le sue intenzioni.
“A meno N...” Sussurrò Niall scrivendo l'operazione d'insiemistica.
“Uguale insieme vuoto.”
“I nostri nomi!” Esclamò sorpresa la ragazza.
“Sì, sono composti dalle stesse lettere.”
“E se uno viene sottratto all'altro...”
“L'altro si annulla.” Concluse Niall sorridendo.

Quando Allin ebbe la possibilità di frequentare il liceo di Mullingar, non avrebbe mai pensato che la sua vita sarebbe stata sconvolta dalla presenza di un ragazzo. Per sfortuna gitana, acrobata nel circo di famiglia, non avrebbe voluto né potuto innamorarsi di un irlandese. Eppure fu grazie a Niall che Allin iniziò a credere in un futuro in cui essere zingara sarebbe stato solo un ricordo. Ma il peggio doveva ancora venire. I due dovevano ancora esser separati.

"Sai cosa c'è, cugina? C'è che è sempre stato A-N, non N-A. Chi vieni sottratto a chi? Ora lui sta ad XFactor ed io qui, distante chissà quanto!"

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=t652GzFXWqc
La Fanfiction prende ispirazione dal vero.
[Personaggisecondari: LittleMix, 5Sos...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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From the inside.

Ed eccoci qua. In ritardo, perché la tanta pioggia aveva mandato temporaneamente a quel paese il collegamento Wi-Fi, spero possiate perdonarmi. Arriviamo a noi, un capitolo colmo di anticipazioni nascoste, nuovi personaggi, nuovi risvolti. Credo sia stato uno dei più impegnativi, nonché uno dei miei preferiti. Concludo dicendo che per anticipazioni, tempo di aggiornamento e commenti, c'é lo spazio a fine capitolo. 
Confido nel leggere un vostro parere,
Buona lettura! C:



«Per sempre resterà un solo nome sulle mie labbra.»
-Dal diario di Allin

 

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre

Ottobre

Novembre

Dicembre



Ed i mesi erano passati. Dall'estate all'inverno. Dal caldo afoso al freddo rigido. Dal sole alla pioggia. Cielo azzurro diventato costantemente grigio, ricoperto da una coltre di nubi. L'aria natalizia era nell'aria, da circa un paio di settimane. Le strade illuminate da lucine, i negozi colmi di decorazioni, il rosso a far da sovrano, le giostre montate nelle piazze, i bambini felici, in vacanza, a giocarvici su con i genitori, gridando dalla gioia. Forse era proprio questa atmosfera allegra a rendere Allin altrettanto di buon umore. Decisamente. Quel pomeriggio di diciotto Dicembre, la ragazza aveva indossato il suo impermeabile rosso fuoco, quindi era uscita in strada. Con il passare del tempo, l'appartamento che aveva preso in affitto non era diventato affatto più ospitale di quel poco che le era parso il primo giorno, quindi evitava di rimanervici a lungo. Appena poteva, scappava.

Attenta a non finire con i piedi in una delle numerose pozzanghere creatosi a causa del precedente temporale, la bionda camminava lentamente sul marciapiede, guardandosi intorno. Quella brutta sensazione che aveva provato la prima volta mesi fa era perdurata nel tempo. Allin continuava a sentirsi costantemente osservata, senza tregua. Questo la terrorizzava, erano rare le notti in cui riposava tranquilla, senza svegliarsi di colpo dopo un incubo. Comprensibile, se si considera che, fino ad allora, ogni suo timore si era rivelato essere veritiero. La bionda sbuffò, sperando con tutta se stessa che, almeno quella volta, sarebbe andata diversamente da come pensava. Una goccia di pioggia le cadde sul naso. Prontamente, si coprì la testa con il cappuccio. Ormai poteva dirsi abituata al tempo di Londra e sapeva che, con molta probabilità, da lì a breve, sarebbe scesa tanta di quella pioggia da rendere invisibile ogni cosa al di fuori del raggio di due metri di distanza. Nel compiere quel gesto, rivolse lo sguardo alla strada. Si corrucciò quando notò una Mercedes nera in doppia fila, dai finestrini scuri. Dopo essersi fermata un secondo per osservarla, riprese a camminare, con gli occhi puntati sul marciapiede. La macchina seguiva il suo andamento, senza mai accostarsi. Fu allora che più ricordi le riaffiorarono per la mente. Quel veicolo lo aveva già visto, numerose volte. La prima pochi giorni dopo essersi trasferita a Londra, fuori dall'istituto di fotografia. Ripensandoci, avrebbe potuto giurare a chiunque di averlo vista anche il giorno successivo, ad attenderla sotto l'appartamento. E il giorno dopo, e quello successivo.
Allin si voltò un'ultima volta verso la strada, chiudendo a pungo le mani infilate nelle tasche della giacca, nervosa. La Mercedes, intanto, non si decideva proprio ad accostare. Fu in quel momento che le venne un'idea che decise di realizzare, se non la pensò così decisiva. La bionda quindi svoltò d'improvviso in una strada secondaria, nella quale l'accesso di veicoli era vietato. Alcuni istanti, poi anche la macchina si fermò. Allin sentì il rimbombare del suo motore cessare. Brividi le percorsero la schiena. Mancavano giusto due svolte per arrivare al palazzo in cui abitava, pochi passi e sarebbe stata al sicuro. Così si affrettò ad accelerare la sua camminata. Il destino, però, aveva altro in serbo per lei. Passò neanche un minuti che il rumore dei suoi passi si mischiò con quello di altrettanti. Spaventata, l'irlandese poté percepire i battiti del proprio cuore accelerare, farsi sempre più martellanti. E l'origine di quel pulsare non era di certo simile all'emozione di quando Niall la baciava, bramando il suo corpo, né tantomeno alla fatica di quando usciva per correre, evitando così di pensare ad altro che non fosse la musica che risuonava nelle sue orecchie. In quel momento, unico e sadico burattinaio del suo cuore era la paura. Non a caso, due o tre passi ancora e le cedettero le gambe. Allin crollò. Palmi e ginocchia sbucciate, a contatto con l'asfalto freddo di quella strada desolata. La giovane decise di arrendersi, sentendo di non potercela fare, incredibilmente sola. Allora chiuse gli occhi, fremendo. Quella sarebbe stata la sua fine? Si ripeteva spesso di non aver paura di morire e che, in fin dei conti, vivere era più doloroso. Perché allora tratteneva a stento le lacrime?

«Io devo tornare da Niall» mormorò tra i denti.

A quel punto, tornò il silenzio. Allin, in cuor suo lo sapeva: si trattava solo della quiete subito prima della tempesta.

«Ciao Allin» sibilò canzonatoria una voce di uomo, a lei sconosciuta. Hego Martinez, trentacinque anni, era stato ingaggiato tempo prima da Tacho insieme ad altri scagnozzi, per tenere sotto controllo Gonzalo, del quale il ragazzo non si fidava poi tanto.

La bionda si voltò, terrorizzata. Provò ad alzarsi. Fu inutile. Cadde. Non solo al primo, ma anche a quello doveva essere stato il terzo o il quarto tentativo. Chi era quello sconosciuto? A fatica, dal basso, riuscì a vederlo in volto.

«Cosa vuoi...» mormorò lei balbettante. «Cosa vuoi da me?»

L'uomo sghignazzò, così fragorosamente da ricordarle una di quelle antipatiche iene che tanto odiava ne 'Il re leone', uno dei cartoni preferiti della sua infanzia. «Io niente, ma penso proprio che Tacho non sia dello stesso parere» le rivelò, quindi si le avvicinò, facendola sua deliziosa preda, stringendole il braccio destro con una mano callosa.
«Sei stata brava, sai?» sussurrò al suo orecchio, con voce così viscida da farla rabbrividire, fino alle ossa.


«Un nuovo nome, una nuova età, un nuovo volto persino!» continuò, sfiorandole il corpo, eccitandosi.

Allin, inerme, continuava a cercare senza risultati la forza, il coraggio, per alzarsi. Non capiva. Cosa l'aveva tradita, o meglio, chi l'aveva imbrogliata?

«Mh...» mugolò sguaiatamente lo zingaro.

«Ora che ci penso, sarebbe un tale spreco lasciare un bocconcino come te alla mercé di Tacho, senza averlo prima provato...» La giovane irlandese strabuzzò gli occhi. Sentì le mani di Hego, fredde sulla sua pelle, a carezzarle l'interno coscia, addentrandosi sempre più verso i suoi slip.

«Vattene!» esclamò improvvisamente qualcuno alle loro spalle.

La bionda ebbe un tuffo al cuore. Avrebbe distinto la voce autoritaria di Gonzalo tra altre mille.
Ma, evidentemente, lei non fu l'unica a riconoscerlo.
«Anche tu qui?» domandò lo zingaro, cui mano stringeva ancora fortemente il suo braccio.

Così il domatore di tigri uscì allo scoperto. «Vattene» esordì. Un fuoco ardente illuminava i suoi occhi color pece.

Ma quello no, non spaventava l'altro uomo che fece alzare Allin con un veloce scatto, tenendola ancora intrappolata nella sua stretta. «Gonzalo, non venire a fare il buono della situazione. Lei serve anche a te.»

«Vattene».

Una risata ruppe il silenzio creatosi nell'aria, così forte da rimbombare tra i vecchi palazzi disabitati. «E non approfittare di un bel fiorellino come lei?» domandò Hego, non facendosi scrupoli ad infilare le mani nel maglione della diciottenne che serrò gli occhi, schifata.

Fu allora che Gonzalo non ci vide più, perdendo il senno. «Vattene, cazzo, vattene!» urlò, correndo senza apparente motivo verso Allin.

Appena la raggiunse, la scaraventò a terra, cercando di dosare la propria forza per non farle male. Poi ebbe il via libera, quindi prese per la gola lo zingaro. Si crogiolò, godendo nel sentirlo respirare a fatica, di sentire la saliva mancargli in gola, sotto i propri polpastrelli. «Sparisci» sibilò, fronte contro fronte, stringendo con una mano il tagliacarte in metallo che aveva in tasca, per ogni evenienza.

«Non riporterai mai Allin da Tacho». Lo zingaro rise, liberandosi dalla sua presa.

«Questi non sono affari tuoi» si limitò a rispondergli, ritrovando, seppur momentaneamente, la calma.

«Glielo dirò a Tacho. Ti farò rovinare».

«Sta zitto!»

«Tu finirai tra le sbarre con tuo fratello e io potrò riportare vittorioso Allin in Spagna, ricavandone pure un bel gruzzolo!» Hego lanciò un'occhiata alla ragazza tremante sul marciapiede, poi si mise una mano nella tasca del giubbotto, estraendone un pugnale.

«Non accadrà!» Spaventato dalla possibilità che l'uomo davanti a lui potesse anche solo sfiorare Allin con quella lama fredda, Gonzalo non poté evitare di afferrare anche lui la lama.

Allin sgranò gli occhi, così notò il luccicore di quelle armi risplendere nel buio della sera che stava arrivando, quindi chiuse gli occhi. «Gli zingari uccidono, spesso non se ne fanno neanche un problema» continuava a ripetersi, chiudendosi a riccio con la testa tra le ginocchia. Sapeva che solo uno dei due l'avrebbe scampata e che se quello non si sarebbe rivelato Gonzalo lei avrebbe rimpianto di essere scappata. Incapace di far nulla, consapevole che non avrebbe potuto né dovuto fermarli, aspettò in silenzio il rumore di un corpo cadere a terra, poi quello di un trascinamento, quindi riaprì gli occhi. Vide l'uomo che aveva creduto per anni essere suo padre avvicinarsi, vincitore senza gloria di quel duello. Probabilmente, pensò la ragazza, nei suoi occhi vi vide terrore, perché dopo aver incrociato il suo sguardo infilò repentinamente pugnale e tagliacarte in tasca, portandosi le mani vicino alla testa, in segno di innocenza. «Non ti farò del male» sembrava gridare, senza emettere suono alcuno.

 
* * *

Un vicolo cieco. Il cielo diventato tetro, con i colori rosati del tramonto che stavano gradualmente lasciando il posto al buio del crepuscolo. Allin, nervosa, ancora scossa da ciò che era appena accaduto, girava in tondo, senza fermarsi mai.

«A cosa ti è servito ucciderlo, eh? Ci penseranno i suoi uomini a trovarmi» disse, sedendosi su una panchina improvvisata da un vecchio tavolino da thé, lasciato a se stesso vicino ad alcuni secchioni dell'immondizia.

Gonzalo, accasciato sul marciapiede, si prese la testa tra le mani, tirandosi assiduamente qualche ciocca di capelli brizzolati tra le dita.

«Allin, non voglio portarti da Tacho» dichiarò, con le lacrime agli occhi.

La giovane allora si alzò. Di pietra davanti a quell'uomo che tanto sentiva di odiare, schioccò la lingua al palato. «Non vuoi, certo, ma lo farai».

Gonzalo alzò allora la testa, incrociando i suoi occhi azzurri. «Mio fratello è finito in carcere e, in questi mesi di reclusione, tua zia sta impazzendo, sempre più» spiegò. Nel pronunciare quelle parole il muro di indifferenza che aveva posto tra sé e il resto del mondo, sembrò iniziare a sgretolarsi. I suoi occhi, così freddi da quasi vent'anni, non riuscirono a trattenere più le lacrime, serbatoi ormai troppo colmi per non esplodere.

Allin notò subito le guance dello zingaro bagnarsi, luccicanti dal pianto, quindi si girò di spalle. «Come stanno Leena e Hannah? E gli altri?» chiese, con voce tremante. Non era certa di voler sapere la risposta.

Gonzalo chiuse gli occhi. «Penso che tu lo possa immaginare. Leena, soprattutto all'inizio, era caduta totalmente in depressione. Non mangiava, non parlava... Niente» le raccontò.

Allin strinse gli occhi, infastidita dal nodo che il magone le stava creando sempre più in gola, non permettendole di deglutire. «Tacho ti ha proposto i soldi necessari per scagionarlo?» provò ad indovinare, cambiando tutt'a un tratto argomento, per evitare di piangere dopo mesi in cui si era riuscita a trattenere.

«Mi sento una bestia» mormorò Gonzalo, in agonia.

«Quanti ne servono?» domandò la ragazza, visibilmente schifata da quel mondo a cui aveva creduto a lungo di appartenere.

«Tanti».

«Dimmi un numero» insistette, piegandosi verso l'uomo, per incrociare il suo sguardo.

«Trentamila» le rispose lui.

Allora Allin rivolse gli occhi al cielo. «Quanta cazzo di droga aveva tra le mani?» chiese scocciata, sapendo che mai avrebbe ricevuto risposta.

«Ad ogni modo» continuò. «Ho ancora alcuni soldi che mi ha lasciato segretamente mamma come eredità, me ne sono rimasti circa diciassettemila, forse poco più».

«Allin...» sussurrò flebilmente Gonzalo, con una strana, quanto nuova, voglia di abbracciare quella gracile, giovane donna.

Lei si allontanò, sentiva la rabbia montare. «No, ascolta piuttosto» disse, digrignando i denti.

«Intanto prenditi quelli, li ho conservati in un conto in banca, poi dì a zia che entro qualche mese riuscirò a guadagnare qualcosa di più, di stare tranquilla. Con i soldi del circo, anziché fare altre cazzate, pagateci tutti i debiti che sicuramente avrà fatto».

Gonzalo lasciò che un sospirò fuoriuscisse dalle proprie labbra, formando una nuvola di vapore nell'aria fredda. «Se non ti porto via con me... Lo faranno gli altri».

Allin borbottò, quindi si accasciò vicino all'uomo, forse per pietà, forse per stanchezza o chissà.

«Ce la posso fare. Tu resta qui in zona, dì che non mi hai ancora trovata e guardami le spalle. Se devi uccidere, uccidi, non farti scrupoli come sembrava te ne stessi facendo poco fa. Infondo hai ucciso anche me, giorno dopo giorno, per anni» mormorò, con gli occhi tanto velati di lacrime da non vederci più nulla.

«Sei così cambiata» biascicò incredulo Gonzalo, con il cuore stretto in una dolce morsa. Che fosse stato orgoglioso di lei? Di certo avrebbe avuto buon motivo per esserlo.

«Sono dovuta cambiare».

«Mi odi».

Allin scosse la testa, credendosi stupida, perché consapevole che non gli avrebbe mai risposto 'Sì'. «Dammi il tuo numero: non voglio vederti fin quando non ti chiamerò, quindi ci incontreremo qui e poi sarà come se io non fossi mai esistita nella tua vita».

Gonzalo incassò il colpo, quindi si affrettò ad estrarre il coltello, ancora sporco del sangue zingaro di Hego, per incidere il proprio numero di cellulare su una tavoletta di legno, trovata vicino ai secchi della spazzatura.

Allin afferrò l'improvvisato bigliettino e ne carezzò la superficie intagliata, prendendo il portamonete dalla piccola tracolla che dondolava sul fianco destro.  Senza ripensamenti, estrasse la carta di credito. «Spero non rinchiudano anche te in gattabuia».

Il circense afferrò la tessera, ma non aggiunse altro. Sapeva che anche lei, in cuor suo, era consapevole che mai nessun uomo in divisa lo avrebbe preso.

«Allin, mi dispiace» mormorò invece, alzandosi quando anche la ragazza fece lo stesso, «credimi, mi dispiace» ribadì, perdendosi negli occhi chiari di quella che avrebbe voluto fosse stata davvero sua figlia.

Questo incrociarsi di sguardi ebbe, suo malgrado, vita breve. Allin gli voltò le spalle, allontanandosi da lui a grandi falcate. Le preoccupazioni la iniziarono a consumare, dall'interno, perché aveva impiegato mesi per costruire una nuova vita che il suo passato con un attimo era riuscito a porre sul filo del rasoio. Rivolse lo sguardo, ancora una volta, al cielo buio, privo di stelle. Il mondo parve crollarle addosso, mentre si sentì avvolgere dal vuoto assoluto, dalla paura di essere riportata in Spagna. Fu un attimo però. Un unico attimo di confusione scemò, passo dopo passo, diventando solo un'ennesima delusione.

 
* * *

Si era fatta ormai del tutto sera quando la ragazza raggiunse il bar ad un solo isolato di distanza dal piccolo appartamento in cui abitava. Proprio per la sua vicinanza, Allin lo frequentava spesso, passandovi molti pomeriggi, sola o in compagnia di Jamie e Margaret, sue compagne di corso con cui, in pochi mesi, aveva instaurato una solida amicizia.

Appena entrata, la ragazza non perse tempo a fermarsi per vedere se ci fosse stato qualche tavolino libero, avvicinandosi direttamente al bancone. In effetti, poteva vantarsi con tranquillità di avere a disposizione uno sgabello unicamente riservato a lei.

«Hey, Irlanda!» Alex, ventitré anni, studente di medicina la mattina e barista la sera, uscì dalla cucina del locale, salutando la bionda con un sorriso sghembo. Lei ricambiò il gesto, entusiasta di vedere l'amico, anziché il vecchio a cui spettava di norma il turno serale. Alex, riservato, con la battuta squallida sempre pronta, si era rivelato essere uno dei suoi primi appigli in quella vivace metropoli.

Allin si appoggiò con i gomiti sul bancone, prendendosi il mento tra le mani. «Al, meno male che ci sei tu stasera» mormorò, evitando di ridere nell'osservarlo intento a pulire una tazzina da caffè, con tanta goffaggine da risultare ridicolo, causata della grandezza delle proprie mani. Qualche secondo e il ragazzo imprecò. Un'allegra risata collettiva si diffuse nel locale. A questa si aggiunse subito quella la sua che ebbe la capacità di catapultare Allin quasi letteralmente al loro primo incontro. La ragazza lo avrebbe potuto raccontare perfettamente, tanto si era rivelato decisivo per lei.
Era passata sì e no una settimana da quando si era sistemata a Londra e, così, del tutto libera da impegni, aveva deciso di farsi un giro lungo le vie a lei più vicine. Quando era entrata in quel piccolo bar, vedendo il giovane per la prima volta non aveva potuto evitare di soffermarsi ad osservarlo. I suoi piercing, uno sopracciglio destro e l'altro sul labbro inferiore, così come i numerosi tatuaggi di cui aveva le braccia ricoperte lo avevano reso immediatamente un tipo curioso, ai suoi occhi attenti. Per non parlare poi di quei capelli castani, storpiati dalla tinta azzurra e lilla, decisamente in contrasto con il pallore della sua pelle, ma in armonia con i suoi occhi color ghiaccio che la luce del locale rendeva quasi bianchi. La giovane irlandese ricordava poi alla perfezione lo stupore nel saperlo futuro dottore e teneva a cuore la sua risposta al proprio, quasi scandalizzato, «Davvero?»: «L'apparenza non conta. Non sono tatuaggi, piercing, dilatatori o magliette di famose band anticonformiste a fare di una persona un delinquente» le aveva detto, sorridendo.

Il rumore metallico dei cucchiaini che iniziò a sistemare nell'apposito cassetto destò Allin dal suo breve viaggio nel tempo.

«Ti vedo strana, cosa succede?» Il castano la squadrò con attenzione.

Sapeva per certo di non essere ancora a conoscenza del suo intero passato, ma, infondo, gli andava bene così. Non era mai stato un curioso, o un impiccione e credeva che per conoscere le persone non occorresse vederne la radiografia.

La bionda lo guardò, mordendosi preoccupata il labbro inferiore, sperando che non le rivolgesse domande a cui non sarebbe riuscita a rispondere. «Devo trovare un lavoro» spiegò facendo di un nonnulla tutto ciò che l'aveva sconvolta nelle ultime ore, stringendo tra le mani la sua cioccolata calda, preparata proprio come piaceva a lei, con un cucchiaino di zucchero e un po' di latte di troppo.

Alex si asciugò le mani allo strofinaccio. «E per questo stai così?» le domandò, sedendosi vicino a lei su uno degli sgabelli.

La bionda sospirò. «Non hai capito» mormorò.

«Devo trovare un lavoro piuttosto ben pagato».

«Del tipo?»

«Ho un anno di tempo, su per giù, per rimediare una quindicina di sterline. Non posso abbandonare l'accademia e un part-time come il tuo non basta.» Allin cominciò a tremare dall'angoscia, tanto che che Alex dovette sfilarle la tazza di cioccolato dalle mani per evitare di farla cadere.

«Clary, è una follia» esordì poi, scuotendo la testa accigliato.

La bionda gli passò una mano tra i capelli coloriti. «Ale, mi servono questi soldi, non chiedermi perché, ti prego».

Lui allora sospirò, impotente. «Dovrei specificare che, qualunque cosa, io sarò sempre pronto ad aiutarti? Potrei cederti un po' del mio stipendio, io...» La ragazza, alle sue parole, abbozzò un dolce sorriso, posandogli una mano sulla bocca. Sapeva che lui era dovuto andare a vivere da solo, perché il proprio stile e sogno di vita non era stato apprezzato dai genitori che lo avrebbero voluto psicologo, come loro. Non gli avrebbe spillato neanche un penny.

In quel momento un uomo sulla sessantina, uno di quelli che, di esperienze, sembrava averne vissute parecchie, si avvicinò ad Alex. «Ragazzo mio, non so quanto ti piacerà vedere la tua amica fare la puttana!» sghignazzò infine, probabilmente ubriaco.

 
* * *

Niall si sarebbe ricordato per sempre di quella sera. Lo aveva urlato ai ragazzi, non appena il loro primo concerto si era concluso e si erano rintanati nel tour bus, per festeggiare.

'Up All Night'.

Nessun nome fu più azzeccato, sia per l'album che per il tour. Quante notti avevano passato insonni, rinchiusi negli studi di registrazione, in quell'ultimo periodo? Neanche lo stesso, incoraggiante, Simon Cowell si sarebbe mai aspettato che quei cinque giovani cantanti avrebbero ottenuto così tanto successo da dover accelerare di molto i tempi di produzione del primo CD.

«Niall, quando viene Hollie?» domandò Liam, una volta ritrovatosi solo con l'irlandese. Gli altri tre ragazzi, difatti, patiti come erano per il divertimento, avevano deciso di andare a fare le ore piccole in un Bowling nelle vicinanze.

Niall, che intanto si stava cambiando frettolosamente, si voltò verso l'amico. «Tra poco, verso mezzanotte e mezzo».

«Sei felice, con lei?»

«Non dovrei?» Il volto di Hollie figurò nella mente di Niall. L'aveva conosciuta a Settembre, la sera del suo compleanno, quando, insieme ai ragazzi e ad alcuni suoi amici di Mullingar, aveva deciso di festeggiare andando a bere qualche alcolico, seppur grazie solo alla presenza di Louis. Hollie, diciott'anni appena compiuti, l'Inghilterra fatta persona, -capelli biondi, occhi chiari, qualche chilo di troppo a donarle delle morbide curve- si trovava lì con alcune sue amiche, per passare la serata in compagnia. Tutto era nato a causa di un semplice autografo. I due poi avevano optato di unire le loro comitive, chiacchierando per svariate ore. Così avevano continuato a sentirsi, lei di sua spontanea volontà, lui perché incoraggiato dagli amici, in particolare -neanche a dirlo- da Zayn. Niall aveva deciso di provarci: si era buttato in quello che sapeva si sarebbe rivelato uno di quei giochi in cui sai di perdere, ma a cui partecipi lo stesso. A tre mesi di distanza da quel primo approccio, la loro relazione stava andando avanti, tra alti e bassi. E forse sì, sarebbe perdurata nel tempo se solo quella sera la giovane non avesse avuto un'idea fissa sul da farsi che si rivelò non condivisa.

«Niall, c'è Hollie!» A bussare all'entrata del bus fu Paul, bodyguard della band, un uomo di fiducia, cui volto non nascondeva il suo essere scherzoso, al contrario della stazza prorompente.

Liam lanciò un'occhiata d'intesa all'amico, andando ad aprire alla ragazza, mentre lui finiva di sistemarsi. Così, appena Hollie entrò, fu pronto ad accoglierla con un bacio a fior di labbra.

Il castano, malgrado la castità di quel contatto, arrossì, sentendosi di troppo. «Ragazzi, divertitevi. Io raggiungo gli altri al Bowling, credo torneremo tra un paio d'ore» disse, quindi scomparve.

«Quando pensi di rendere ufficiale la nostra relazione?» chiese la bionda, non appena lei e il cantante furono finalmente soli.

Niall la guardò, di sbieco. «Appena sarà davvero ufficiale» le rispose poi, con una punta di ovvietà nel tono di voce.

«Cosa intendi?» insistette lei.

«E' ancora presto, non ti sembra?»

La bionda sfoderò un sorriso malizioso, avvicinandoglisi. «Tu credi?» chiese soavemente, quasi fosse un gatto, pronto a conquistarsi l'affetto del padrone con un po' di fusa.

«Ho un'idea» sussurrò. Niall strabuzzò gli occhi. Non fece in tempo a farle capire di star ferma che già si ritrovò con la schiena poggiata al divano del salotto -se così lo si poteva intendere- del tour bus.

Hollie lo raggiunse subito dopo, impedendogli di parlare,con un umido bacio sulle labbra. La ragazza, presa dalla foga del momento non si curò della reazione del biondo. Lui cercò di allontanarla, facendo leva con le braccia sul suo petto. Ma, inesorabilmente, questo suo gesto non fu capito, affatto, passando come un sonoro 'voglio di più'. Hollie, allora, strinse tra le mani i lembi della felpa che indossava, tirandogliela su, scoprendo quindi il suo torace, così chiaro da sembrare perlato. E, se nella sua mente tutto andava come aveva sperato, in quella di lui riaffiorarono troppi ricordi.

Allin.

Come avrebbe voluto rivivere con lei quell'unica sera in cui si erano amati davvero. La ragazza lo baciava su quel letto sfatto, l'estate prendeva una piega di nuove speranze e c'erano così tante stelle ad illuminare la notte da far sembrare che il cielo stesse dando il meglio di sé, come se quello fosse stato il proprio ultimo soffio di vita.

Così, preda del passato, mentre Hollie gli carezzava l'addome, lui percepiva ancora bruciare i baci, i succhiotti e i lievi morsi di Allin sulla propria pelle. Concentrandosi, parve capace di udire ancora il rumore assordante della propria risata soffocata nel petto dell'acrobata.

Era così diversa da quella attuale, molto più vera, e fu il colpo di grazia per l'irlandese.

Chiuse gli occhi. Perché la testa sembrava essere sul punto di esplodergli? Perché sentiva la terra scomparire sotto di lui?

D'improvviso li riaprì. «Tu non sei Allin!» gridò, senza contenersi. Lacrime amare presero a scorrere lungo le sue guance. Era strana, come cosa, a pensarci. Insomma, da piccolo aveva rischiato mille volte di rimanerci secco, a causa delle tante bravate, sue e del fratello maggiore, poi gli era bastato innamorarsi per la prima ed unica volta per sgretolarsi in mille pezzi, cenere al vento.

 

«Ho il tuo nome conficcato nel cuore.»
-Dal diario di Niall


 

 
Spazio autrice

Insomma, un po' deprimente come capitolo, ne sono consapevole. Come avete notato, ultimamente sto aggiungendo alcune frasi a fine ed inizio capitolo. Tenetele bene a mente, non sono casuali, fidatevi. Vi anticipo che nel prossimo leggerete aggiornamente su Allin, che forse ci sarà una parte molto introspettiva che darà il via ad un nuovo evento che segnerà particolarmente l'avanzare della storia. Per quanto riguarda Niall, vorrei venisse messo ben in evidenzia il suo blocco emotivo nel andare oltre al bacio. Bene, concludo informandovi che aggiornerò lunedì prossimo, massimo mercoledì, dipende da come riesco a suddividermi il tempo. Come sempre vi ringrazio per seguirmi, davvero e, se volete, vi invito ad usare un minuto del vostro tempo per recensire. 
Lots of love, 
Giorgia.
 
 
 
   
 
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