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Autore: sabre    16/06/2014    17 recensioni
La piccola mano bianca stringe la sua e una voce sussurra al suo orecchio “Eccomi Andrè, sono tornata da te…. ”
Ripercorriamo l'adorata storia originale seguendo il sentimento che li lega, che è come una catena, che lega due individui rendendoli un’unità, forte come il più debole dei suoi anelli. Gli anelli di questa catena sono tanti: comprensione, affiatamento, complicità, condivisione, fiducia, pazienza, dedizione, passione… Ognuno è stato forgiato da quello che sono, da quello che hanno vissuto insieme e da quello che hanno portato delle loro esperienze personali…
Questa idea, probabilmente un po’ balorda, di rilettura della storia mi è venuta leggendo una recensione, in cui si sottolineava come la storia di Oscar e Andrè non fosse solo la storia di due innamorati separati dal destino.
Da tutto questo l’idea di questa raccolta di OneShot, ogni capitolo un anello, a partire ovviamente dal primo: “Amicizia”
P.S. Ho modificato il rating del capitolo solo per correttezza a causa di qualche dettaglio storico e espressione nei dialoghi
Fanart in cap1 e cap2.
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa dell’autore
Prima di tutto ringrazio chi ha dedicato il tempo a recensire e chi ha inserito la storia nelle preferite/seguite/da ricordare. Mi scuso tanto per i lunghi tempi di pubblicazione, ma purtroppo, il tempo disponibile è poco e il mio modo di scrivere parecchio anarchico (e questo capitolo non ha la dolcezza dell’altro per cui scriverlo non è stato altrettanto rasserenante). Il capitolo come al solito è piuttosto lungo… armatevi di pazienza.

Anello 2: Crescere


Sono immersa
nel flusso
di ciò che ancora deve essere

Sono incatenata
nella prigione
che deve ancora esistere

Senza aver ancora giocato
la partita
sono già in scacco

Senza aver ancora assaggiato
una sola coppa del tuo vino
sono già ubriaca

Senza essere ancora arrivata
sul campo di battaglia
sono già ferita e uccisa

Non più
conosco la differenza
tra apparenza e realtà

Come l’ombra
sono
e
non sono.


Mewlana Jalaluddin Rumi




Mercoledì 18 Aprile 1770 (*), Palazzo Jarjayes

Il verde degli occhi di André che la fissano, la accoglie come ogni giorno all’ingresso dell’orangerie. La luce di una splendida mattina di primavera, libera di fluire attraverso le grandi vetrate intervallate da candide colonne, inonda l’ambiente, facendo risplendere come gioielli le foglie degli aranci e dei limoni che troneggiano in grandi vasi.
Tra qualche settimana le vetrate verranno spalancate e le piante cominceranno a fiorire, e il profumo degli agrumi renderà quasi magica l’atmosfera di questa stanza. Come la prima volta che ci è entrata con André: erano i primi di Luglio, lui era arrivato da poche settimane, loro erano diventati inseparabili da pochi giorni e, durante una delle loro esplorazioni, erano approdati in quel luogo. Lui era rimasto senza parole, si era guardato intorno stupito, prima di girarsi verso di lei, con un sorriso radioso, a tenderle la mano. Così lei aveva visto per la prima volta lo splendore di quel luogo, attraverso gli occhi di André, che erano verdi come i frutti acerbi che cominciavano a fare capolino tra le foglie brillanti e i fiori candidi.
Erano luminosi e sorridenti i suoi occhi, esattamente come questa mattina, che la salutano da sotto in su, mentre lui si esibisce in un profondo inchino con la mano destra al petto e il braccio sinistro teso.
“Buongiorno Madamigella Oscar. Spero Vossignoria abbia riposato bene!”
Lei ride, avviandosi verso il tavolo in ghisa a volute, vicino alla parete vetrata.
André si alza e la segue.
“Benissimo, grazie, Grandier!”
Ha deciso di assecondarlo in questo gioco e ride ancora, di una risata chiara e argentina, mentre si appresta a scostare la sedia per poi accomodarsi, quando lui la anticipa.
“Per carità Madamigella, lasciate fare a me, il vostro umile servitore.”
Sorride ancora André mentre scosta la sedia e la invita a sedersi con un gesto enfatico della mano.
Lei si accomoda mentre lui accosta la sedia al tavolo e prima che possa allungare il braccio per prendere il tovagliolo, lui ancora la previene e, dopo averlo spiegato, glielo adagia in grembo.
“Va bene André, molto divertente, ma non esageriamo con questo gioco.”
“Ma come Madamigella! Non sono forse perfetto? Non sono forse diventato il vostro perfetto servitore?”
Esclama lui con un’espressione indecifrabile, tra lo stupito e l’offeso.
Lei sta cercando di capire il perché di questo strano scherzo, proprio questa mattina, e lo scruta con gli occhi a fessura e arricciando le labbra in un broncetto.
“Ci deve essere lo zampino di tua nonna in tutto questo. Ha forse rinunciato alla sua anima immortale e ti ha fatto un incantesimo?”
Lo prende in giro.
“… o ha minacciato di strapparti le orecchie questa volta?”
“Fortunatamente alle mie orecchie non ci arriva più da un po’… ma ha minacciato di farmela pagare se non mi comportavo a dovere in questi giorni… ed era estremamente seria!”
“E non lo è sempre forse? Ma lo sa anche lei che mi mette a disagio… per favore André siediti e fai colazione con me.”
Sorride lei, serenamente, e con la mano tesa gli indica la sedia di fronte.
André sospira in maniera teatrale lasciandosi cadere a sedere.
“Ai vostri ordini Madamigella, sfiderò le ire di mia nonna per voi.”
Non riesce a trattenere una risata mentre si aggiusta anche lui il tovagliolo sulle ginocchia.
“Questa volta potrebbe anche decidere di avvelenarmi la cena temo…”
Alza la testa e fa un cenno verso la cameriera in abito blu all’ingresso della sala, che si avvicina reggendo un vassoio d’argento, ingombro di ceramiche bianche a decori blu e oro.
“Vorrà dire che dovrò proprio accorrere in tuo soccorso!”, lo asseconda, “Non capisco però come mai tanta solerzia proprio questa mattina.”
La cameriera ha appoggiato il vassoio sul tavolo e versato nella tazza un denso liquido scuro. Lei ne inala l’aroma con un’espressione compiaciuta.
“Mi spiace dover rovinare il quotidiano idillio dei sensi tra te e la tua cioccolata, Oscar, ma… ”, adesso è lui che ha un’espressione compiaciuta, “… mi pare d’intendere che ti sia dimenticata del grande evento!”
Gli occhi di lei improvvisamente si spalancano, mentre ha le labbra già appoggiate al bordo della tazza, che abbassa velocemente sul piattino.
“Oh, mio Dio! È oggi?”
“Eh, sì mia cara. Oggi arrivano il Conte e la Contessa di Clermont: la tua cara sorella e il suo augusto marito!”
Ora è lui che si porta alle labbra la tazza, che è appena stata riempita, e si rivolge alla cameriera sorridendo gentile “Grazie Sandrine, ora qui ci penso io, puoi andare.”
Sandrine gli risponde con un timido sorriso di rimando, fa una veloce riverenza a Oscar e si allontana.
Lei adesso ha un’aria sconsolata mentre sbocconcella un biscotto.
“Oh, lo avevo completamente rimosso… mi toccherà sopportare le facezie di mia sorella e il suo sciocco marito per tutta la sera … senza considerare che le loro chiacchiere metteranno mio Padre di pessimo umore.”
“Oscar! Il Conte di Clermont fa parte della nobiltà di sangue! Potresti quasi essere accusata di tradimento per una simile affermazione.”
Ridacchia lui mentre lei sbuffa.
“Comunque, trovo che l’aggiornamento sulle novità da Parigi sia l’aspetto più positivo di questa visita, quello che mi sta facendo impazzire è mia nonna. È da ieri che corre in giro per la casa impartendo ordini a tutti per sistemare le camere per gli ospiti, organizzare i pasti e approntare l’accoglienza per lo stuolo di servitori che si porteranno dietro per due giorni.”
“Il solito pettegolo… se sei così eccitato per le nuove chiacchiere, non vedo cosa tu abbia da lamentarti!”
“Di cosa? Che voi, Madamigella, mi rendete impossibile, in queste circostanze, mantenere il giusto contegno, confacente a un perfetto servitore quale io sono! … ed è solo per amor vostro, che mi trovo a incorrere nelle ire di mia nonna!”
Ora sta ostentando un’espressione di rassegnata sofferenza.
Tutta l’agitazione che regna in casa sembra aver ravvivato la sua indole da teatrante, e questo la diverte. L’allegria di André la contagia sempre e diventa anche la sua allegria, è sempre stato così e questa mattina non può fare a meno di partecipare alla sua piccola recita.
“Beh, questo servitore non è poi così perfetto, visto che non si è ricordato dei programmi fatti per questa giornata!”
“Non credo che Teniamoci alla larga da Marie-Suzanne e suo marito possa essere definito un programma.”
“Così intuitivo, ma così poco intraprendente …”
Fa una smorfia lei, incrociando le braccia al petto e distendendo le gambe sotto il tavolo.
“è una sfida dunque!”
André si è alzato in piedi e, con un sopracciglio sollevato, sta sistemando tazze e piattini sul vassoio con aria intenta.
“Beh, allora … tra mezz’ora nelle scuderie… non farti seguire da nessuno.”
Bisbiglia.
Si gira e si allontana con il vassoio tra le mani.
In fondo lei sa benissimo dove la porterà e cosa faranno… ma quel gioco la diverte. Comodamente appoggiata allo schienale della sedia lo osserva allontanarsi, mentre ha ancora sulle labbra il sapore della cioccolata e un sorriso luminoso come quella bellissima giornata di primavera.

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Aveva aspettato un po’ nella penombra delle scuderie che André la raggiungesse, portando con sé le spade e una bisaccia, ne aveva approfittato per fare qualche coccola e dare uno zuccherino a Julius e Golia. Da più di un anno i due pony non vengono più montati, non ci sono più bambini in quella casa; solo Jean-Luc e André ogni giorno li liberano nei grandi recinti annessi alle stalle per farli correre e pascolare.
Il giorno del suo tredicesimo compleanno, il Generale aveva fatto trovare nelle stalle, a lei e André, le loro nuove cavalcature: un candido stallone purosangue inglese e un irish hunter dal manto scuro, due cavalli per due bambini oramai cresciuti.
Avevano sellato Caesar e Alexander quella mattina ed erano scappati dalle scuderie senza avvertire nessuno. Raggiunto il limitare della boscaglia li avevano lanciati al galoppo, fino a che non erano stati abbastanza lontani da palazzo. Allora si erano riportati al passo e avevano cominciato a vagare, come sempre, alla ricerca di qualche nuovo angolo di quel loro piccolo mondo perfetto. Alla fine erano arrivati al loro laghetto, come sempre loro due.

Ora strizza gli occhi e porta una mano a proteggerli dai raggi del sole, che, avanzando nel pomeriggio, cominciano a inclinarsi e riflettendosi sulla superficie dell’acqua la abbagliano.
“Esci di lì! Ti prenderai un accidenti! L’acqua è ancora troppo fredda.”, le urla André, che è sdraiato all’ombra della grande quercia e si regge sui gomiti seguendola con lo sguardo.
Non ha saputo resistere lei, alla fine si è sfilata stivali e calze ed è andata a immergere, per la prima volta nella stagione, i piedi nell’acqua del laghetto.
“Non è fredda, è corroborante!”, risponde tornando ad avvicinarsi a lui, attraversando i nastri di luce che filtrano tra le foglie, fino ad allungare un piedino per toccargli l’avambraccio lasciato scoperto dalla manica arrotolata.
“Sei gelata!”, strilla scostando il braccio come se lo avesse scottato, “Tu sei matta, siediti subito e dammi quei piedi.”
Glielo ordina quasi, mentre si mette a sedere e le avvolge i piedi in un canovaccio che ha sfilato dalla bisaccia aperta sull’erba. Comincia a strofinarglieli con foga, facendola quasi cadere mentre tenta di sedersi.
“Non hai idea di quanto somigli a tua nonna quando fai così!”, ridacchia, appoggiando i palmi aperti sui verdi fili teneri, e poi continua con tono forzatamente serio, “Non lo sai forse che io sono l’erede della nobile stirpe militare dei Jarjayes? Nelle mie vene scorre il sangue di grandi condottieri, cosa vuoi che mi faccia un po’ d’acqua fredda”, fa una breve pausa, perché fatica rimanere seria, “Tu piuttosto, sei il solito mollaccione apprensivo!”
“Certo! Il mollaccione che verrà ucciso dalla nonna a bastonate se ti viene il raffreddore…”, le rivolge uno sguardo rassegnato mentre le infila le calze, “… ovviamente, solo dopo essere stato debitamente torturato per averti tenuto fuori di casa tutto il giorno, impedendoti di accogliere degnamente gli ospiti!”
“Non vedi le cose nella giusta prospettiva!”, gli risponde scuotendo la testa mentre lo aiuta e infilarle gli stivali.
“Ah, no? Vi prego illuminatemi!”
Sembra divertito adesso, mentre si lascia di nuovo cadere sull’erba incrociando le mani dietro la testa.
Converrete che l’arrivo degli ospiti ci ha costretto a interrompere le nostre solite lezioni con l’istitutore e il maestro d’armi!”, si sistema prona accanto a lui, sostenendo il mento con le mani.
“Ne convengo…”
L’espressione di lui adesso è attenta. Lei sa che deve essere curioso di capire dove voglia andare a parare, e che lo diverte quando fa il verso al tono grave di suo Padre, il Generale.
“… e converrete che noi siamo estremamente coscienti dell’importanza della nostra educazione…”
“si….”
“… e che essendo estremamente responsabili abbiamo deciso di dedicare la giornata ad allenarci nell’equitazione e nell’uso della pistola e della spada! … e il lungo ed estenuante allenamento a cui ci siamo sottoposti, ha richiesto che rimanessimo fuori tutto il giorno, portando con noi solo un pasto frugale!”, conclude con un’aria sempre più convinta.
“Complimenti Oscar, dicevi di non ti era piaciuta la lezione sui sofisti, e invece sei piuttosto brava a cambiare il nome delle cose!...”
Si è alzato su un gomito e rovista nella bisaccia.
“… io però, in favore di retorica, sorvolerei sul discorso delle armi da fuoco, visto che nessuno ci aveva autorizzato a prenderle… e anche sul pranzo, dato che me lo ha passato di nascosto Annette, e non vorrei metterla nei guai con mia nonna proprio adesso che è finalmente diventata aiuto-cuoca…”
Ha tirato fuori una mela e gliela porge, “… è l’ultima, la vuoi tu?”
Lei alza lo sguardo verso il frutto ed esita un attimo prima di rispondere.
“Me ne basta un morso.”
Si allunga fino a morderla mentre lui ancora la tiene in mano, poi si gira sulla schiena masticando.
Deglutisce il boccone e lecca il labbro inferiore per catturare una goccia di succo che sta fuggendo verso il mento. Afferra il braccio di Andrè e se lo sistema a sostenere la nuca. Ridacchia quando lui mugugna continuando a masticare la sua mela, fingendosi contrariato.
“In questo caso diciamo che sono motivata dalla necessità…”, sospira, “… di sopravvivere e di rimandare il più a lungo possibile il supplizio che sarà la cena di stasera,…”, esita, ”…ma effettivamente, no… non mi piacciono i sofismi, che senso hanno? Le cose sono ciò che sono, a prescindere da come le chiami: questo albero era una quercia anche quando non ne sapevamo il nome! (1)
Andrè non riesce a trattenere una mezza risata, “quando sei così… tassativa sei proprio identica a tuo padre… le cose sono spesso più complicate di come appaiono al primo sguardo… il nome che gli dai non sempre esprime tutto quello che sono…”, parlando la sua espressione si fa sempre più seria, come se la sua mente stesse vagando altrove, “… e non sempre un nome ha lo stesso significato per tutti… le cose non sono sempre così… nette e definite…”
Si è girata sul fianco e adesso lo guarda perplessa, arriccia il naso.
“… mi pareva che noi due dessimo lo stesso significato alle parole… ma forse non è così per tutto…intendi … poco definite come quella cosa che tu chiami… barba?”
Ridacchia afferrandogli il mento.
André è arrossito.
“Ehi… un po’ di rispetto…”
Sembra quasi imbarazzato mentre sposta la mano dal suo viso e sfila il braccio tirandosi a sedere.
“… è tutta invidia la tua!”
Si frega il mento lui, sforzandosi di sdrammatizzare, e torna a sdraiarsi mentre lei continua a ridere.
Rimangono in silenzio per un po’, a godersi la luce che filtra tra le foglie e la brezza leggera.
“Comunque… la tua storia non convincerà mai mia nonna… ma tuo padre farà sicuramente finta di crederci…”, lo dice continuando a guardare le foglie stormite dal vento.
“Mio Padre che finge?”, è perplessa.
“Certo! Non sopporta il Conte e neanche il comportamento di tua sorella da quando gli è andata in moglie.”
“Il loro pettegolezzi e i loro modi affettati lo rendono nervoso, ma come fai a dire che non gli piace? Lo ha scelto lui come marito per Marie-Suzanne!”
“Non credo che la sua scelta abbia avuto molto a che fare con il gradimento della persona… di Suzanne o anche suo… Ti ricordi la lezione di strategia militare del mese scorso? Quella sull’aggiramento doppio?... è un po’ che ci penso…”
Lei si è messa a sedere adesso, e lo guarda con aria interrogativa.
“Non vedo cosa abbiano a che fare le strategie militari di Annibale contro i Romani con i matrimoni delle mie sorelle!”
“Pensaci bene Oscar…”
Anche lui si è seduto adesso e la fissa con un’espressione furbetta.
“… considera la posizione a corte derivante dal titolo di Conte acquisito da tuo nonno (2) come il territorio di recente conquista da difendere, e i matrimoni delle tue sorelle come… una strategia ad aggiramento non doppio ma multiplo, come se ogni matrimonio fosse un’ala del suo schieramento: Marie-Suzanne con la nobiltà di sangue, Marie-Anne con l’aristocrazia amministrativa, Adelaide con quella di toga, Louise-Antoinette con la nobiltà di spada…”
Mano a mano che vengono snocciolati i nomi delle sue sorelle, gli occhi blu di Oscar si spalancano.
“… ed Emilie-Laure sposata con Monsieur de La Pouplinier (3), che non è nobile ma è un ricco finanziere… la banca per garantire gli approvvigionamenti…”, continua lei con l’espressione di chi ha ricevuto un’illuminazione.
“… strategia militare classica applicata alla vita quotidiana! Il vero talento di tuo padre.”
“Dici che gli somiglio tanto… ma alla fine sei tu quello che lo capisce meglio…. E io in questo piano di attacco sarei?… “, rimugina un po’ prima di dire,”… la sua testa di ponte!”
André osserva con la sua espressione perplessa alzandosi in piedi, mentre con una mano tiene la bisaccia e con l’altra si scrolla l’erba dai pantaloni. Quando le è di fronte, le tende la mano per aiutarla ad alzarsi.
“Forza … testa di ponte!”, le sorride, “… muoviamoci, che se non ti riporto a casa in tempo per la cena … mi chiudono nelle segrete per tradimento!”
Lei afferra la sua mano e si tira su. Senza dire una parola s’incammina con lui verso i cavalli, che pascolano poco lontani, legati per le briglie a dei bassi cespugli.
Lei lo sa che quello che le ha detto ha perfettamente senso, che è proprio da suo Padre, in qualche modo lo capisce anche! Lo ha sempre saputo che la sua vita era stata programmata in un certo modo. Alza gli occhi su André, che si gira verso di lei … ha uno sguardo un po’ triste… almeno così le sembra. Continuano a guardarsi camminando fino a che lui interrompe il momento. Le passa un braccio intorno alle spalle e la stringe un po’ a sé…
“Oscar, Oscar… pensa se avesse deciso che gli serviva in famiglia un … Cardinale!”
“Oh, sei il solito buffone!”, lo dice ad alta voce divincolandosi dal suo abbraccio e lo spinge a terra. Ride lui adesso, e anche a lei, nonostante tutto, viene da ridere, mentre a grandi passi procede verso i cavalli, sicura che lui si sia alzato e la stia seguendo.

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Un garofano, un giglio e una rosa, smaltati in blu su fondo bianco. Ecco cosa c’è sul fondo del piatto, sotto i brandelli di pernice arrosto che sta spostando da un lato all’altro con la forchetta, per analizzare il decoro delle fini porcellane in cui mangiano quando hanno ospiti. Stranamente stasera le risulta attraente in modo irresistibile.

Nel tardo pomeriggio lei e André erano rientrati a palazzo dalle cucine tra gli strepiti della nonna, che aveva spedito ognuno in camera sua a rendersi presentabile, senza prestare alcuna attenzione alle loro giustificazioni. Lei aveva così raggiunto i suoi appartamenti seguita da Colette, che le aveva fatto trovare il bagno pronto e gli abiti per la cena ordinatamente disposti sul letto. La cameriera aveva raccolto i vestiti che si era tolta e le aveva spazzolato i capelli mentre era nella vasca, infine era stata congedata dopo averla avvolta in un grande telo di lino.
Una volta vestita, André aveva bussato alla sua porta, con i capelli ordinatamente raccolti in una coda e indosso la sua livrea migliore, per avvertirla che la stavano aspettando da basso per sedersi a cena. Quando si erano trovati davanti alla porta, prima di bussare e annunciare il suo arrivo, le aveva lanciato uno sguardo d’intesa.
“Pronta ad affrontare il nemico?”
Gli aveva sorriso annuendo.
Entrando nel salotto attiguo alla grande sala da pranzo a piano terra, l’immagine che le si era parata davanti era stata quella di sua Madre e sua sorella sedute sulle due poltrone di legno dorato, foderate in seta turchese, ai lati del basso tavolino da caffè davanti al camino di candido marmo, il Generale e il Conte in piedi alle spalle delle rispettive mogli con un bicchiere di cristallo tra le mani.
Le coppie sarebbero sembrate l’immagine speculare l’una dell’altra, se Marie-Suzanne e il marito non fossero stati così immensamente più chiassosi di sua Madre e suo Padre. Chiassosi prima di tutto nell’aspetto: l’abito rosa acceso di sua sorella era talmente gonfio da costringerla a tenersi in equilibrio sul ciglio della poltrona, una sovrabbondanza di candidi pizzi, nastri gialli, ricami floreali e spille di diamanti ricoprivano la pettorina, le maniche e il collarino in una cascata variopinta, a coprire completamente le braccia e il collo, lasciando però procacemente scoperto il seno, il tutto era sormontato da un’acconciatura incipriata alta almeno due spanne, decorata con gli stessi nastri e gioielli, oltre a delle rose di seta; la giacca e il panciotto del conte erano perfettamente intonati alla toilette della moglie nei colori e nei decori, con l’aggiunta di due ricchi polsini di pizzo a ricoprire quasi completamente le mani e una ricciuta parrucca incipriata adornata da un nastro di un giallo sgargiante.
Al suo ingresso, sua Madre stava assistendo passivamente, con un garbato sorriso, al garrulo vociare e al gesticolare di Marie-Suzanne, mentre l’espressione compita del generale sembrava attraversata da un’ombra scura mentre il Conte… lo stava veramente intrattenendo dissertando della fattura dei bottoni del suo panciotto!? (4)
Quando si erano accorti di lei, la sorella si era alzata e le era andata incontro, con un gran sorriso e le braccia aperte.
“Oscar, cara, quanto mi sei mancata!”, aveva declamato prima di stringerla in un abbraccio, mentre lei spalancava gli occhi per quel comportamento del tutto inaspettato. Le esternazioni d’affetto, fisiche in particolare, non erano mai state parte dell’etichetta di palazzo Jarjayes!
Era impressionante quanto fosse cambiata sua sorella da quando, per fidanzarsi con il giovane rampollo dei Clermont, quattro anni prima, era tornata a casa dal convento, dove era andata per essere istruita appena smessa la balia come tutte le sue sorelle.
Anche lei aveva quattordici anni al tempo, era timida e riservata come si conviene a ogni educanda, composta e controllata nella sobria divisa del collegio. Benché Oscar avesse solo nove anni, se la ricordava mentre osservava quasi spaventata lei e André che si rincorrevano azzuffandosi come due scalmanati in giardino.
Quando era andata in sposa, sei mesi dopo, era diventata un po’ più vivace, entusiasta in modo infantile per la festa, i fiori, gli invitati, i begli abiti e le scarpine con il tacco. Da allora l’aveva vista un paio di volte l’anno, sempre in occasione del trasferimento dalla residenza di Parigi a Versailles nel periodo estivo. A ogni visita era stato come osservare una fase della metamorfosi di Marie-Suzanne de Jarjayes nella Contessa, che sembrava avere non più solo il nome ma anche il sangue dei Clermont.
“Marie-Suzanne, è un piacere vederti.”, aveva detto divincolandosi dalla sua stretta nel modo più naturale possibile e scostandosi.
“Conte di Clermont…”, all’altro ospite piegandosi in un inchino cui lui aveva risposto con lieve sorriso e un cenno del capo.
Poi, sull’onda di tanta familiarità aveva osato, “Cara, ricordi Andrè vero?” indicando il suo attendente, che chinava il capo in segno di saluto.
Suzanne si era voltata leggermente verso di lui e gli aveva prestato la stessa attenzione che realisticamente avrebbe riservato… a una pianta, prima di tornare a sorridere a Oscar e a sedersi sulla sua poltrona.
Certo non si era aspettata chissà quale esternazione di affetto visto il ruolo di André, ma persino suo Padre rispondeva con un cenno al suo saluto!
“André, grazie. Per stasera ti puoi congedare, Oscar non avrà più bisogno di te.”, sua Madre era intervenuta tempestivamente, anche se sempre con il suo tono e la sua espressione dolce.
Mentre lui salutava tutti con un inchino e rivolgeva a lei uno sguardo comprensivo prima di uscire chiudendosi dietro la porta, si era trovata a riconsiderare come, per quanto a prima vista potesse non sembrare, le competenze di gestione tattica di sua Madre non avessero niente da invidiare a quelle del Padre, con il valore aggiunto di una grande capacità di dissimulazione. Così garbata ma sempre attenta era il complemento perfetto delle rigide spigolosità del Padre, era sempre stato così. Ora però, alla luce della trasformazione della sorella, si chiedeva se anche lei fosse veramente sempre stata così o se il suo fosse stato solo un altro processo di adattamento.
“Se Lor Signori desiderano accomodarsi, la cena è servita”, aveva annunciato Marie materializzandosi attraverso una delle porte di collegamento con la sala da pranzo.

“Oscar, non sei tremendamente eccitata anche tu per il grande evento di domani?”
Il richiamo di Marie-Suzanne la costringe a tornare a prestare attenzione alla compagnia abbandonando l’accurata analisi dei decori delle porcellane.
“Per… l’evento di domani?”, dubita si riferisca al fatto che finalmente lasceranno palazzo Jarjayes.
“Oh, mia cara, se non fosse per l’amore che ti porto, dovrei rimproverarti per la tua ignoranza!”, cinguetta roteando gli occhi, “Il matrimonio per procura del Principe! Domani la Principessa d’Austria diventerà la Delfina e partirà da Vienna per raggiungere la Francia! Perché credevi fosse stato necessario anticipare così tanto il nostro trasferimento a Corte!”, rivolge alla Madre uno sguardo sconsolato.
Effettivamente deve ammettere che non si è minimamente soffermata a pensare alla data, così come a molti altri aspetti di quella visita.
Senza attendere il sollecito di nessuno, Suzanne continua imperterrita.
“Non potete avere idea del lavoro immane che sia stato dover organizzare il viaggio per la permanenza estiva con così largo anticipo!”, un altro sguardo alla Madre, che risponde con un’espressione comprensiva, “… le direttive per gli acquisti, l’organizzazione dei bagagli, la gestione della servitù… per la fretta siamo dovuti rimanere qui a palazzo con solo il cocchiere, due lacchè, due delle mie cameriere e l’attendente e il valletto del mio adorato Marito. C’è da chiedersi come sia riuscita a vestirmi per la cena stasera! Viste le scadenze abbiamo dovuto mandare il resto del personale direttamente a Versailles per approntare i nostri appartamenti!”, rivolge nuovamente gli occhi al cielo Suzanne, mentre Oscar si chiede se non sia perché è affascinata dal gigantesco lampadario di cristallo appeso proprio al centro della sala sul tavolo da quaranta sedute a cui stanno cenando, le decine di candele fanno brillare in giro per la stanza gli argenti, la cristalleria e gli immensi specchi alle pareti.
“Generale, non potrò mai esservi sufficientemente grato per il dono di una tale sposa.”, interviene il Conte, con un sorriso controllato ma cordiale sulle labbra, mentre torna ad appoggiare il bicchiere, ”Mia Madre, la Contessa, è estasiata da come in questi anni vostra figlia abbia attentamente seguito e appreso il suo esempio e le sue indicazioni in società, fino a padroneggiarle in maniera tale da raccogliere il manifesto apprezzamento di tutti…”
Il Generale rivolge al Conte un necessario cenno di ringraziamento mentre solleva leggermente la mano, perché l’attendente alle sue spalle gli riempia il bicchiere.
“… e certo non è cosa facile, muoversi con tale grazia nell’adempiere a un oneroso impegno come quello di rispondere alle necessità della buona società di Parigi!”, continua rivolgendo uno sguardo di approvazione alla moglie, che risponde con un sorriso compiaciuto.
“Certo è stato merito anche di una così dotata e dedita maestra”, Suzanne tributa l’omaggio richiesto alla suocera, “se dite che ho sviluppato una qualche capacità nel destreggiarmi in un compito così arduo!”, un altro sorriso accompagnato da uno svolazzo della mano, e rivolgendosi a Oscar spalancando gli occhi, ”Non è certo semplice districarsi in una tale la rete di impegni e rapporti: le serate all’Operà, a Palais Royale e al Tempio, il salotto di M.me du Deffand e quello, di M.lle de Lepinasse, senza però incorrere nelle ire di nessuna, vista la loro rottura, quello di M.me Geoffrin il lunedì ogni due settimane e poi la gestione della cucina e dei rinfreschi, che devono sempre essere pronti qualora gli ospiti decidano di farci il piacere di una loro visita!”
In effetti a Oscar sembra che la sorella stia descrivendo una campagna militare, anche se gliene sfugge il senso.
“Inoltre è necessario curare la conversazione, nella forma, ma anche nei contenuti per risultare interessanti, mai sgradevoli. Non è certo auspicabile che si dica che si è noiosi quanto M.me Necker, benchè il suo salotto sia così ben frequentato, la sua incapacità di parlare di altro che non sia il marito è cosa dolorosamente nota. Dio solo sa quanto si senta la mancanza dei bollettini di M.me Doublet! Il suo encomiabile lavoro consentiva a tutti di discernere tra le notizie e quelli che erano volgari pettegolezzi. Non si può certo rischiare di danneggiare la reputazione di una persona per la voce di un amante inopportuno perché non al suo livello...”
“… e non si può nemmeno condannare ingiustamente chi ha cercato l’amore nella migliore società! Si sa … in amore solo l’inizio è incantevole. Non c’è da stupirsi se ci si diverte a ricominciare spesso… (5)”, continua il Conte con fare da uomo di mondo guardando il Generale, che alza nuovamente la mano per farsi versare da bere.
Il Padre non beve mai più di un bicchiere di vino a cena, si trova a considerare Oscar.
“… caro suocero, mia moglie, con l’amore che vi porta, si addolora che voi conduciate una vita così ritirate e non siate un uomo a la mode, ma io le faccio sempre notare che avete precorso i tempi delle più moderne idee di questo secolo per come avete educato vostro figlio Oscar! Meritereste di entrare all’Academie per come avete scientemente e metodicamente piegato la sorte ai vostri voleri!”
L’espressione di suo padre è indecifrabile mentre rivolge al conte un segno di ringraziamento dovuto alla cortesia delle sue parole.
Si raddrizza sulla sedia mentre si chiede cosa c’entri lei con quelle insulse discutibili chiacchiere di salotti, ricevimenti e amanti, mentre Suzanne incalza nuovamente con voce flautata.
“Mio Marito, che sicuramente è in grado di giudicare meglio di me, ha indubbiamente ragione nell’apprezzarvi Padre… ma converrete che averle messo a fianco un attendente la espone al rischio di chiacchiere quanto mai sgradevoli, che potrebbero danneggiare irrimediabilmente la sua reputazione!”
Di nuovo Jerome di avvicina per riempire il bicchiere alla richiesta del Generale, quando sua Madre interviene tranquilla, quasi non curante.
“La condotta di Andrè è sicuramente irreprensibile e svolge i suoi compiti con la massima responsabilità e dedizione!”
“… ma sicuramente non svolgerà tutti i compiti che il vostro attendente Padre o quello di mio Marito svolgono per i loro padroni…”
Lo sguardo che il Generale rivolge a Marie-Suzanne sembra andare a segno, lei esita un attimo prima di voltarsi nuovamente a guardare Oscar e continuare.
“… e poi … sta troppo all’aria aperta e al sole… finirà con il rovinarle l’incarnato! Cara, dovresti avere maggiore cura di te… ti farò portare dalla mia cameriera un’ottima crema di zoccolo di pecora (6) per mantenere il biancore del tuo bel viso…”
“Oscar è stato educato per essere e sarà un soldato! Che importanza volete che abbia il colore del suo incarnato…”, sbotta alla fine il Generale, che viene interrotto dall’improvvisa risata del Conte verso il quale si gira sbigottito.
“oh, caro suocero, la purezza del vostro rigore militare è ammirevole quanto impagabile. L’incarnato di vostro figlio è d’importanza fondamentale! Tutti sanno che a Corte una pelle candida e una conversazione interessante possono consentire di acquisire le più alte onorificenze…”, la sua voce assume un’inflessione come se stesse spiegando una cosa ovvia a un bambino, e voltandosi a guardarla negli occhi, “… così eccentrica e così bella se curasse maggiormente la conversazione potrebbe addirittura diventare Ministro!”
Prima che chiunque possa aprire bocca, Marie si fa avanti nella sala schiarendosi leggermente la voce con il capo chino.
“Per la comodità di Lor Signori il caffè, gli spiriti e i dolci saranno serviti nel salotto. Se volete fare l'onore di accomodarvi...”
Se sua Madre è un ottimo comandante in seconda, la nonna di Andrè è indubbiamente il migliore degli attendenti di campo.

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Finalmente le prime luci cominciano a filtrare al di sotto delle pesanti tende di broccato, che qualche cameriera avrà slegato per coprire le finestre preparando la camera per la notte la sera precedente. Si rigira ancora e osserva le nuove ombre che si vengono a formare tra i panneggi del baldacchino che ricopre il suo immenso letto, si aggiusta i cuscini sotto la testa, scalcia le lenzuola che le danno l’impressione di costringerle le gambe oramai libere anche dalla camicia da notte, che è arrotolata intorno alla vita per il continuo agitarsi. Non le sembra di avere fatto altro da quando si è infilata nel letto dopo essersi spogliata la sera prima: studiare la forma delle ombre negli angoli più nascosti della stanza e combattere con la biancheria del letto, alla ricerca di una posizione abbastanza comoda, che le facesse passare quel senso di costrizione, così da potersi finalmente abbandonare al sonno e sgomberare la mente.
Appena si erano alzati da tavola per spostare l’intrattenimento nel salotto, si era congedata. Aveva chiesto il permesso al Padre di ritirarsi nelle sue stanze, adducendo la stanchezza per la lunga giornata. Il Generale non aveva esitato a lasciarla libera, forse credendo alla scusa della stanchezza, forse sperando di poter fare lo stesso il prima possibile, forse reputando che i discutibili argomenti di conversazione della figlia più grande e del marito non fossero adatti a Oscar, l’erede designato della onorevole stirpe militare degli Jarjayes.
Qualunque fosse stata la ragione, per la quale era stata autorizzata ad abbandonare la piacevole compagnia, aveva provveduto a ringraziare e salutare il Padre con un inchino, analogo a quello che aveva rivolto al Conte, con l’auspicio di avere al più presto l’onore di incontrarlo nuovamente, a baciare la madre su entrambe le guance augurandole la buonanotte, e infine a fare lo stesso con la sorella, che però l’aveva trattenuta più del necessario abbracciandola e ripetendo per l’ennesima volta, in modo teatrale, quanto l’amasse. Si era quindi diretta verso la porta con passi lunghi ma composti, si era nuovamente girata con espressione distesa per rivolgere un cenno di saluto alla compagnia, dopo di che aveva girato la lucida maniglia di ottone, aperto la porta intarsiata, varcato la soglia.
Appena richiusa la porta alle sue spalle, ci si era appoggiata con la schiena e aveva respirato profondamente affondando lo sguardo nel buio della galleria, rischiarato solo dalla tenue luce della luna che filtrava attraverso le finestre. Poi si era spinta nuovamente in piedi e aveva cominciato a camminare con passi sempre più lunghi e veloci fino a ritrovarsi a correre alla ricerca di un posto in cui ritrovare il mondo come lo conosceva lei.
Si era trovata così davanti alla porta di André, nell’ala della servitù. Era da quando aveva nove anni che non ci andava più di sera, dall’ultima sfuriata di Marie, dall’ultima volta che li aveva trovati a dormire insieme al mattino, l’ultima d’innumerevoli volte che era andata a rifugiarsi in camera sua a giocare, a mangiare dolci, a leggere un libro a loro proibito, e avevano finito con l’addormentarsi insieme.
Come sempre quell’ultima volta Marie li aveva svegliati strillando e li aveva travolti con tutte quelle motivazioni fondamentali che, secondo lei, avrebbero dovuto capire, espresse con parole come madamigella e servo, che per loro erano semplicemente la loro normalità da sempre. Le grida della nonna non li avevano sconvolti più di tanto, oramai ci erano abituati, ma quella volta lei aveva insistito con il Generale perché comminasse loro una punizione esemplare. Come risultato non erano riusciti a sedersi o a cavalcare per una settimana.
Da allora era sempre stato André a sgattaiolare in camera sua la sera e, tutto sommato, si erano chiesti perché non ci avessero pensato prima: i suoi appartamenti erano tanto grandi da permettere loro dei giochi molto più interessanti che non doversi accartocciare nel letto di André. Se poi gli capitava di addormentarsi, il tappeto o il divano erano sufficientemente scomodi da farli svegliare abbastanza presto da tornare per tempo nei rispettivi letti.
Quando erano diventati troppo grandi per i giochi e i furti di biscotti, André aveva semplicemente cominciato a salire in camera sua, con la scusa di portarle qualcosa di caldo da bere dopo cena, per poi rimanere lì a chiacchierare o semplicemente a farsi compagnia mentre leggevano un libro; allora era stata addirittura sua nonna a chiedergli di farlo. Evidentemente il fatto che lui entrasse nella sua camera portando un vassoio rendeva il tutto assolutamente accettabile, la cosa l’aveva fatta sorridere la prima volta che ci aveva pensato.
Quella sera, il fiume di parole con cui sua sorella e il marito l’avevano travolta a cena l’aveva trascinata di nuovo lì, davanti alla porta di André, dopo tanto tempo.
Nel buio dello stretto corridoio aveva esitato un attimo prima di bussare, poi aveva scrollato la testa dandosi della stupida e aveva battuto con le nocche leggere sulla superficie di legno grezzo. Ci era voluto un po’ perché da dentro la voce di André rispondesse “Avanti” con una nota interrogativa, così che lei si sentisse autorizzata ad abbassare la maniglia e finalmente mettere dentro la testa, nella stanza illuminata dalla luce di una lampada a olio.
“Oscar... Cosa ci fai qui?”, aveva esclamato alzandosi a sedere sul letto e appoggiando, aperto su una coscia, il libro che aveva in mano. Evidentemente non si aspettava visite, era scalzo, con i capelli sciolti e la camicia mezza sfilata dai pantaloni, “… pensavo saresti rimasta a fare compagnia agli ospiti. Potevi mandarmi a chiamare, ti avrei portato un tè in camera …”, mentre si legava i capelli con il nastro blu preso dal comodino.
Lei intanto si era chiusa la porta alle spalle, appoggiandovisi contro, con le mani dietro la schiena.
“Oh, cielo, no… non sarei riuscita a sopportare quella tortura un secondo di più… e non credo che nelle mie stanze sarei stata più al sicuro…”, si era avvicinata al letto tenendo lo sguardo basso, “… molto meglio qui, non credo che a Suzanne verrebbe mai in mente di cercarmi qui… e nel caso … non credo che si avventurerebbe in quest’ala della casa…”, incurvando gli angoli della bocca verso l’alto, “…come un demone su suolo consacrato.”
Si era seduta sul letto accanto a lui.
“Cosa leggi?”
Aveva allungato la mano per vedere meglio la copertina del libro e aveva alzato un sopracciglio leggendo il titolo ad alta voce “Le diable amoureux(7)
Aveva trattenuto a stento una risatina.
“Un romanzetto d’amore? Che lettura da donnicciole... ne hai approfittato perché stasera credevi di essere solo!”
“La solita saputella…”, aveva ripreso il libro, scostando la sua mano, e glielo aveva sventolato davanti al viso con aria di finta sfida, “… si dà il caso che questa sia una delle famose novità da Parigi che tu disprezzi tanto… e non è un romanzetto d’amore, parla di spiriti e demoni!”
Lo aveva guardato in faccia con un’espressione ostentatamente dubbiosa.
“Mah, e chi ti avrebbe fornito questo… capolavoro?”
“Mai detto che sia un capolavoro, solo una novità. Me l’ha prestato Jacob, il valletto personale del Conte, glielo devo rendere prima che partano per Versailles domani mattina.”
“Mmmm,…”, si era sfilata le scarpe,”... vediamo allora di capire se questa novità…”, aveva ripreso il libro dalle sue mani, “… sia dunque un capolavoro!”, si era spostata sul letto fino a sedersi con la schiena appoggiata alla testata e aveva cominciato a sfogliare le pagine.
Lui non si era mosso, rimanendo in silenzio a osservarla come in attesa di qualcosa. Dopo poco lei aveva alzato lo sguardo, e gli aveva fatto cenno di venire a sedersi a fianco, con aria un po’ spazientita, come aspettandosi che lui lo facesse senza essere invitato o addirittura esortato.
Allora le si era affiancato, aggiustandosi il cuscino dietro la schiena per stare più comodo. Spalla a spalla avevano cominciato a leggere il libro ad alta voce, una pagina per uno, come facevano da bambini.
A venticinque anni ero capitato nelle guardie del re di Napoli….”, aveva cominciato lui.
Avevano continuato così per poco più di un’ora, cambiando più volte posizioni per stare più comodi, fino a ritrovarsi più stesi che seduti, con le teste appoggiate sullo stesso cuscino, proprio come quando erano piccoli.
 


 
“… E se colei che terrete per mano dovesse avere grazie e talenti celesti, non sarete mai tentato di scambiarla per il diavolo.”, aveva concluso lei la lettura, chiudendo infine il libro con un sonoro schiocco.
Erano rimasti un attimo in silenzio, poi lei si era girata quel tanto da incontrare gli occhi di lui che la fissavano, come in attesa di un qualche responso.
“Dunque…”, aveva interrotto lei il silenzio con tono serio, “… credo possiamo convenire che non si tratti certamente di un capolavoro, anche se…”, una pausa significativa, “… posso capire che tu ti sia identificato con questo giovincello che rischia di vendersi l’anima per un rinfresco a base di dolciumi e vino di Cipro! (8)
Aveva appoggiato il libro sul comodino e mentre tornava a girarsi verso di lui, le veniva da ridere, immaginava già l’espressione di finta offesa sulla sua faccia, senza averla ancora vista.
“Non posso negare di identificarmi abbastanza con Alvaro… anche se …”
Non sembrava affatto offeso, piuttosto compiaciuto, come se stesse tramando qualcosa che lei non si aspettava.
“… è più per la convivenza con un demonio dai capelli biondi, cara la mia Biondetta…”
Una cuscinata, all’improvviso l’aveva colpita in pieno volto!
Era rimasta spaesata per un attimo, prima di impossessarsi del cuscino, l’unica arma a disposizione, che lui le aveva incautamente ceduto, e partire con la controffensiva.
“Brutto impudente!”
Si era trovata così a sovrastarlo, in ginocchio sul letto, mentre lui rideva e sdraiato cercava di ripararsi dalla raffica dei suoi colpi, fino a quando era riuscito a strapparle il cuscino dalle mani. Lo aveva lanciato lontano e l’aveva afferrata per i fianchi, tirandola giù sul letto e cominciando a farle il solletico.
Da quel momento era stata la confusione: risa e gridolini isterici, mani sulle mani a tentare di liberarsi, calci in aria e gambe intrecciate a cercare di frenarli.
Avevano riso e gridato, tanto da chiedersi come mai nessuno fosse accorso per vedere cosa stesse accadendo, fino a quando tutta quell’agitazione si era spenta gradualmente e le risa erano scemate in singhiozzi, che interrompevano a tratti il respiro affannato di entrambi.
Si era trovata così sdraiata su un lato di fronte a lui, le mani a stringere le sue, ancora aggrappate ai suoi fianchi, le gambe intrecciate, mentre il sorriso sfumava in un’espressione disorientata sul viso di entrambi.
Era rimasta immobile, con il respiro spesso, il cuore accelerato, la testa vuota, quel calore che le invadeva il viso e il petto, fino a che lui non si era scostato un po’ alzandosi su un gomito, le aveva scostato una ciocca di capelli dal viso e se l’era passata tra le dita più volte, osservandola con aria intenta.
“Si è fatto tardi, è meglio se vai adesso Oscar.”
Lo aveva detto guardandola negli occhi, la voce bassa, un tono dolce, forse un po’ triste.
Dopo un attimo si era riscossa, seduta sul letto dandogli le spalle, infilata le scarpe e alzata incamminandosi verso la porta. Solo quando era stata sulla soglia con la maniglia in mano, si era girata e l’aveva guardato.
“Buonanotte, André.”
Lui era ancora sul letto, appoggiato sul gomito, che la osservava con un’espressione indecifrabile. Le aveva risposto con un lieve sorriso.
Aveva chiuso la porta alle sue spalle e si era ritrovata nuovamente al buio, lungo un corridoio stretto che la riportava verso i suoi appartamenti.

“Stupida, stupida, stupida!”
Se lo dice da sola ad alta voce, mentre scalcia definitivamente lontano le lenzuola e si alza dal letto. Nessuno è ancora passato per aprire le tende e svegliarla, ma oramai è chiaro che non riuscirà a riposare, per cui tanto vale prepararsi e scendere.
“Una notte insonne per essermi fatta riempire la testa dalle insulse sciocchezze di mia sorella. Sono proprio una stupida!”
Apre il portoncino a fianco della testata del suo letto che, mimetizzato dal broccato a righe celesti che tappezza le pareti, conduce allo spogliatoio. Qui le tende sono state lasciate aperte, e la prima tenue luce di un sole non ancora sorto rischiara l’ambiente dando a tutto una sfumatura grigiastra, anche alla vasca in rame sistemata alla sinistra della finestra. Si sofferma un attimo a osservarla, pensando che forse un bagno caldo le restituirebbe un po’ di tranquillità, ma la poca servitù già alzata sarà tutta ancora nei dintorni delle cucine, e se si mette a suonare rischia di svegliare tutta la casa prima di ottenere qualcosa. Decide allora di ripiegare sul lavabo posto all’angolo opposto e mentre vi si avvicina si sfila la camicia da notte, abbandonandola a terra. Si china a sollevare la brocca, sistemata sul supporto più basso della struttura metallica che sostiene il catino. È pesante, piena di acqua pulita, ne versa una parte a riempire il bacile e poi la posa a terra. Si rimanda indietro i capelli con le dita senza prestare troppa attenzione al proprio riflesso nello specchio tondo fissato sul lavabo, quindi si china e si sciacqua più volte il viso prima di afferrare l’asciugamano appeso sul lato e incamminarsi tamponando le guance verso la parete opposta alla finestra, dove si trova una grande cassettiera sostenuta da piedi di leone.
Nessuno le ha preparato i vestiti disponendoli ordinatamente sul letto ancora, per cui si deve arrangiare questa mattina. Apre il cassetto più in alto e comincia a rovistare alla ricerca di una camicia: fazzoletti… calze, nessuna camicia, ma le calze le serviranno e ne appoggia un paio sul mobile. Passa allora al cassetto sottostante: camice! Ne prende e spiega una, ma è più lunga di una camicia normale, è una camicia da notte, la ripiega in modo approssimativo e la rimette sulla pila da cui l’ha presa prima si passare a quella a fianco. Apre il nuovo fagotto di tessuto bianco, ma non trova nessuna manica, nessuna cucitura, quella che ha in mano è solo una lunga striscia di tessuto.
La riconosce come una di quelle fasce che Marie si era affrettata a recuperare dopo che una mattina era entrata mentre usciva dalla vasca, mentre Colette le si avvicinava, tenendo aperto il telo con cui l’avrebbe avvolta. La governante si era allora fermata a osservarla, o meglio, a fissare un punto preciso del suo corpo a un’altezza intermedia tra la gola e l’ombelico, con una sguardo tra il rassegnato e il meditabondo. Senza prestare alcuna attenzione alla sua espressione interrogativa, aveva sospirato e si era allontanata, per tornare poco dopo, prima che lei si fosse finita di vestire, con una di quelle fasce (9). Alle sue richiesta di spiegazioni aveva sbrigativamente risposto che oramai era tempo, senza meglio specificare, e le aveva mostrato come avvolgerle e fermare intorno al torace. A poco erano servite le sue rimostranze sulla scomodità di quel nuovo pezzo di vestiario; per quella giornata le aveva dovute tenere addosso, sotto la camicia, così da avere tutto il tempo per constatare che … no, non ci si sarebbe mai abituata!
Tutto questo era successo circa un anno prima, e da allora tutte le mattine aveva trovato una di quelle fasce stesa sul letto, insieme agli abiti per la giornata, e tutte le mattine lì l’aveva lasciata. L’unica cosa che era cambiata da allora era che aveva cercato di capire meglio il significato di quel lapidario “Oramai è tempo!”. Aveva osservato quindi con maggiore attenzione la porzione tra la gola e l’ombelico delle persone che la circondavano, constatando che in alcune persone aveva subito cambiamenti decisamente più drastici che in altre.
Alza gli occhi dalla fascia srotolata tra le sue mani, per dirigerli verso l’angolo alla sua destra, incontrando l’immagine intera del suo corpo nudo riflessa nella grande specchiera a tre ante. Si sistema meglio di tre quarti e raddrizza la schiena, portando il petto in fuori. Certo il suo petto è cambiato più di quello di André, soprattutto negli ultimi mesi, da quando una mattina, dopo una notte di mal di pancia, era stata presa dal panico ritrovando le lenzuola macchiate di sangue… e in quell’occasione le poco comprensibili direttive di Marie erano state provvidenziali. Ma sicuramente quei delicati rilievi sormontati di rosa, che le riempiono a mala pena il palmo della mano, non sono minimamente paragonabili al prosperoso seno di Marie-Suzanne! Lascia cadere a terra la fascia e si piega ad aprire l’ultimo cassetto, dove finalmente trova una camicia. Se la infila e apre le ante dell’armadio a sinistra della cassettiera, dove recupera i suoi pantaloni e il suo lungo gilet color salvia, che è sicuramente più che sufficiente per farla apparire in ordine. Indossa tutto, recupera le scarpe sistemate a fianco della specchiera, passa le dita tra i capelli controllando velocemente nel suo riflesso che tutto sia a posto, e si avvia con passo deciso attraverso la camera da letto, il salotto e l’anticamera, fuori da suoi appartamenti e poi giù dallo scalone verso le cucine.

È il vociare allegro proveniente dalla sala da pranzo della servitù, il cui ingresso precede quello della grande cucina lungo il corridoio senza finestre che sta percorrendo, a porla davanti all’evidenza, che in molti sono già svegli e operativi in casa a quell’ora per lei così inusuale.
Si ferma in ombra, sporgendo appena la testa dietro lo stipite della porta e osserva la scena: sono una decina, seduti sulle panche ai due lati del lungo tavolo che occupa quasi interamente la stanza lunga e stretta illuminata dalla fila di basse finestre disposte al limite superiore delle pareti. Il posto di Marie a capotavola è vuoto, anche se il tovagliolo spiegazzato e qualche briciola nel piattino rivelano che la colazione è già stata consumata. Anche gli altri commensali hanno finito di mangiare, si stanno solo attardando in chiacchiere: le ragazze con la loro uniforme da cameriera, gli uomini in maniche di camicia e panciotto, le giacche delle livree appese a un gancio al muro dietro a ognuno.
Riconosce Colette, che tutte le mattine si occupa di salire a svegliarla e prepararle il bagno e gli abiti, Vivianne, che è diventata la cameriera personale di sua madre da un paio di anni, e Jerome, l’attendente di suo Padre. Sembrano divertiti dai racconti degli altri commensali, che non riconosce. Deve essere il personale di sua sorella, anche a giudicare dalla fattura degli abiti: non ha mai visto delle uniformi e delle livree con tanti nastri e ricami a palazzo Jarjayes. La narrazione di un qualche aneddoto su un tale ospite del Conte a Parigi si conclude con una sonora risata della comitiva, mentre Jerome si alza e si aggiusta la giacca dopo essersela infilata.
“Mi spiace interrompere, ma sono quasi le sei e mi devo occupare della sveglia del Generale.”
Le viene da sorridere pensando che suo Padre non deve essersi svegliato tardi al mattino un solo giorno in vita sua, probabilmente considera una grandissima concessione avere disposto che lei possa dormire fino alle sette.
Tutti si sono alzati e si sistemano per andare a dedicarsi ai loro compiti. È Colette che parla adesso “Anche io è meglio che vada, devo approntare il bagno per quando si sveglierà Madamigella Oscar…”, dicendo questo gira lo sguardo verso l’ingresso della sala e la vede, “Ma… Madamigella, oddio… potevate suonare… mandarmi a chiamare…”
L’allegria di un attimo prima si è dileguata, adesso hanno tutti assunto un’aria rigida, un’espressione vagamente spaesata e la fissano. Si sente strana, in imbarazzo… probabilmente è così che si sentirebbe se dovesse ritrovarsi improvvisamente nuda in piedi in mezzo al tappeto a fiori, mentre suo Padre le fa uno dei suoi discorsi nel suo studio… e suo Padre assumerebbe probabilmente la stessa loro espressione!
“Vi prego, continuate pure quello che stavate facendo. Non ti preoccupare Colette … io…”, le serve una scusa plausibile per giustificare la sua presenza lì a quell’ora, “… io stavo cercando André…”
“Credo lo troviate in cucina, Madamigella.”, tiene le mani raccolte in grembo e la testa bassa mentre le parla, “Posso esservi utile in qualche modo?”
“Grazie Colette, non mi serve nulla, anche in camera ho fatto da sola questa mattina.”
“Vi ringrazio, Madamigella”, risponde Colette facendo la riverenza (10).
Dopo l’imbarazzante intermezzo torna a dirigersi verso la cucina, mentre tutti la salutano con un rispettoso inchino.
Quella che stia cercando André è una cosa detta per togliersi d’impaccio, perché suppone che sia ancora a letto, ma è proprio la sua voce quella che sente avvicinandosi alla meta.
“Ecco vedi… devi farlo scorrere così, e poi lo puoi inclinare per riempire i secchi…”
Le parole le arrivano sempre più distinte, mano a mano che si avvicina, e quando attraversa la soglia finalmente lo vede. È in camicia, le maniche arrotolate, in piedi accanto al camino, e sta mostrando come movimentare il paiolo di rame per avere l’acqua calda a una ragazzina in abito grigio. Lei avrà undici o forse dodici anni, non gli arriva neanche alla spalla ed è tanto magra che sembra perdersi dentro all’uniforme da sguattera. Ha un’espressione estremamente concentrata mentre osserva l’acqua che scorre dentro i secchi, con le mani nascoste sotto al grembiule.
“Allora Nanà (11), non è adorabile il nostro André?”, la voce argentina che pronuncia queste parole è quella di Annette, che sta impastando qualcosa sul tavolo antistante i fornelli, “… ma è sempre stato un bambino adorabile, dalla prima volta che ha messo piede qui dentro, non è vero Agnes?”, chiede girando il capo verso le pentole che sobbollono.
“Oh, sì, un frugoletto adorabile, … che è diventato anche più bello di quello che ci saremmo aspettate!”, esclama con la sua vocina squillante prima di esplodere in una risatina acuta e sonora.
Si è sempre chiesta Oscar, come quella voce così acuta e sottile potesse fuoriuscire da un mastodonte come Agnes. Se possibile con il tempo è diventata ancora più massiccia. Sicuramente non la si può definire bella, ma Jean-Luc non si stanca mai di decantare il buon carattere di sua moglie.
Gli ultimi anni sembrano essere invece stati molto generosi con Annette. Cominciare a occuparsi della cucina sembra aver ammorbidito anche le sue forme, ma solo nei punti giusti. Probabilmente Jerome avrà apprezzato anche questo oltre al suo colorito roseo e al temperamento dolce, quando l’ha sposata l’anno prima.
“Come sempre le signore sono troppo gentili con me”, è la risposta di André a tutti quei complimenti, accompagnata da un profondo inchino e dal suo sorriso da furfante.
La ragazzina intanto si è messa a fissarlo con un sorriso incerto, le sue guance sembrano avere preso fuoco.
Mentre continua ad avvicinarsi, André si tira su e finalmente si accorge si lei.
“Oscar! Cosa ci fai qui a quest’ora?!”
“Non riuscivo a dormire, così ho deciso di alzarmi”, risponde sorridendo semplicemente quando lo raggiunge.
“Allora non possiamo che fare le presentazioni! Questa è Nanà, che si occuperà delle mansioni che fino a qualche mese fa erano di Annette.”, dice allegro indicando la piccola.
“Piacere di fare la tua conoscenza, Nanà.”
Si è girata quel tanto che serve per guardarla in volto e quella che scorge è un’espressione di puro… terrore!
“Ma-ma-madamigella…”, balbetta facendo una tremante riverenza, mentre sul suo viso si alternano il panico per lei e un’espressione di speranzosa supplica per André.
Ecco cosa il mostro marino deve aver visto sulla faccia di Andromeda incatenata allo scoglio….”, pensa Oscar mentre la vede allontanarsi in tutta fretta (12).
“… scu-scusate devo andare a sparecchiare…”, la frase scema mentre si dirige di fretta verso la sala da pranzo.
“Ecco… con questa inaspettata apparizione l’hai spaventata…”, la voce di Andrè è vagamente divertita, mentre segue con lo sguardo la ragazzina che si allontana prima di puntare lo sguardo su di lei e sfoggiare uno dei suoi radiosi sorrisi, “… e tu Oscar? Perché non riuscivi a dormire? … dopo le letture di ieri sera i demoni ti tormentavano?”
“Mah, quali demoni… dopo le letture di ieri sera mi ha tormentata solo l’idea che ti devo proprio dare una lezione!”
Adesso è lei ad avere un’aria compiaciuta mentre gli dà le spalle e s’incammina verso l’esterno.
“Vai a prendere le spade André”
“Ma io ho fame….”, ribatte lui lamentoso mentre la segue.
Mentre lo aspetta sullo spiazzo, contemplando la luminosità brillante del primo mattino, si sofferma a pensare che qualunque cosa l’abbia tormentata dalla sera prima si sia improvvisamente dileguata.

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Va tutto bene finché giochi e corri, ma poi quando diventi più grande e devi scegliere diventa tutto più difficile, cominci a chiederti perché…. perché nel giro di un paio di giorni può succedere che … tutto il tuo mondo si trasformi in quello che hai sempre saputo sarebbe stato…
Questo pensiero le rimbomba in testa mentre fissa la sua espressione vuota riflessa nello specchio.
Il suo piccolo mondo sembrava essere tornato in equilibrio la mattina di due giorni prima, dopo il trambusto della sera precedente. André l’aveva raggiunta nello spiazzo sul retro del palazzo portando le spade, le aveva chiesto perché non andasse anche lei a Versailles, aveva liquidato l’argomento in modo sbrigativo; si erano scambiati qualche battuta da sbruffoni, come sempre, poi si erano affrontati e lei aveva potuto dare sfogo a tutta quella frustrazione che le covava dentro dalla cena con sua sorella. Aveva parato i suoi assalti e si era avventata su di lui per allentare quella tensione, come sempre, fino a che Marie non si era affacciata a una delle finestre del piano terra per riprenderli, strillando come un’aquila che era pericoloso, che André era solo un servo, che doveva chiamarla Madamigella… tutto negli schemi della sua familiare quotidianità, … tutto, nella sostanza, quello che le aveva dato tanto fastidio dalla bocca di sua sorella.
Avevano così concluso il loro duello mattutino, per buona quiete della nonna e perché i loro stomaci avevano cominciato a brontolare rumorosamente reclamando la colazione. La giornata era proseguita secondo una rassicurante consuetudine: cioccolata e biscotti nell’orangerie, lo studio in biblioteca, il pranzo nella sala piccola al piano terra… fino quando, nel pomeriggio, suo Padre era tornato dalla reggia e l’illusione di quel rassicurante ritorno alla normalità si era definitivamente infranta.
L’aveva convocata nel suo studio e lei si era trovata a fissare nell’ombra, adagiata su una delle poltrone vicino al camino, la concretizzazione delle aspettative di una vita, il risultato di un’esistenza programmata nella forma materiale di qualche metro di stoffa bianca, bottoni e mostrine dorate: un’uniforme militare.
“Stai per diventare Capitano delle Guardie Reali e dovrai proteggere sua Altezza Reale la principessa Maria Antonietta.”
Glielo aveva comunicato con tono neutro, non come un ordine, piuttosto come la constatazione ovvia di quello che doveva necessariamente essere.
“… ma prima dovrai affrontare in duello il giovane Girodelle. Io non ho dubbi sull’esito di questo scontro, infatti sei stato addestrato per quattordici anni a questo scopo… e ora vorrei indossassi questa divisa”
Le era andato incontro e forse per la prima volta gli aveva letto negli occhi la gioia dell’aspettativa di condividere la soddisfazione per la realizzazione della comune aspirazione.
Non si era dunque sorpresa della sua reazione quando gli aveva risposto.
“… io non ho alcuna intenzione di difendere una donna… ”
Con una reazione violenta e disperata l’aveva spinta fuori dallo studio e poi giù dalle scale, se la aspettava, la capiva, aveva chiesto perdono prima di allontanarsi, aveva bisogno di pensare.
“… difendere una donna… una donna…”
Non sapeva veramente perché le fosse venuta fuori una risposta del genere. Aveva sempre saputo di essere stata allevata per diventare un militare; avere addirittura il compito di difendere la Delfina era il più grande onore per un membro di una famiglia da sempre al fedele servizio della famiglia reale. Ma non aveva detto “la Delfina”, aveva detto “una donna…”. Una donna, come quella che, per quanto bella, non avrebbe voluto affrontare Girodelle il pomeriggio successivo e invece si era trovato costretto a fronteggiare, ingoiando il suo orgoglio e avendo alla fine la peggio, mentre il suo attendente fuggiva per andare ad avvertire il Re.
Come diavolo le era saltato in mente di aspettarlo e sfidarlo, disobbedendo a un esplicito ordine del Re?!
Disobbedire al Re è un atto di tradimento, lo sapeva, lo ha sempre saputo, non c’era certo bisogno che il Padre glielo ricordasse che la conseguenza di un simile gesto è il disonore e potenzialmente la morte.
Certo che lo sapeva, e nonostante tutto lo aveva fatto… tutto per non difendere “una donna”.
Una donna come sua Madre, una donna come sua sorella, una donna plasmata sulle aspettative dell’uomo a cui è andata in moglie.
Potrebbe essere una donna così lei? ... Certo che no… ma non è certo neanche un uomo! Anche questo lo sa da tempo, anche se nessuno lo ha mai detto in quella casa. Ma se fosse stata un uomo avrebbe avuto un attendente a passarle l’asciugamano dopo il bagno tutte le mattine e non una cameriera personale, quale è Colette, anche se nessuno la chiama così; se fosse stata un uomo Marie non sarebbe andata su tutte le furie perché dormiva nella camera di André.
“… fermati e diventa una donna…”
Questo le aveva urlato André quella mattina, mentre lei fuggiva a cavallo, dopo che le aveva stretto la mano dicendo che preferiva lasciarla libera di scegliere, mentre sdraiati a terra respiravano affannati e lei sentiva quel calore oramai così familiare dentro. Lo aveva aggredito quella mattina al lago, dopo la cavalcata, dopo esserselo trovato nelle stalle all’alba. Lo aveva colpito perché lo sapeva che doveva cercare di convincerla, che glielo aveva ordinato suo Padre, che il Re l’aveva perdonata e quindi doveva obbedire e diventare Capitano delle Guardie Reali per difendere una donna. Lo aveva colpito perché era confusa e furiosa, perché voleva sentirlo addosso … se era vero che lui capiva cosa provava.
“… fermati e diventa una donna…”
Cosa voleva dire? Una donna come sua Madre? Una donna come sua sorella? Una donna come quella che non avrebbe voluto affrontare Girodelle?
Lei era Oscar, era sempre stata Oscar, che tirava di scherma, che aveva un attendente, che era libera di passare le giornate a scorrazzare in giro con André e le serate con lui a bere davanti al camino, ma che aveva una cameriera personale… davvero André le stava dicendo di diventare altro da Oscar?
Lo scatto della serratura e il cigolio dei cardini di una porta che si apre la riscuotono dai suoi pensieri. Si gira verso la sua sinistra, una piccola figura in grigio compare dietro l’armadio dello spogliatoio portandosi dietro un secchio.
“Nanà…”
La piccola alza di scatto lo sguardo verso di lei.
“Oddio…. Mi scusi Madamigella…”, è spaventata, la sua voce trema, “io non sapevo, pensavo che… ero venuta per… ”, guarda il secchio… guarda il mobiletto che contiene il pitale… si gira nuovamente verso di lei con aria incerta.
E’ entrata dal portoncino della servitù, quel piccolo ingresso nascosto che lei non attraversa mai, e che permette alla sguattera e alle cameriere di far si che ci sia sempre acqua fresca, biancheria pulita, il pitale svuotato, così che lei possa beneficiare di quelle comodità senza preoccuparsi di cosa è stato necessario fare per ottenerle.
“Non ti preoccupare Nanà, fai quello che devi, ti ringrazio.”
Cerca di sorriderle in modo rassicurante.
La ragazzina dopo la prima esitazione si muove e si avvia a svolgere le sue mansioni.
Lo sguardo di Oscar la segue e poi scivola poco lontano sull’uniforme appoggiata in bella mostra sul servo muto accostato al muro, suo Padre deve averla fatta mettere lì.
Fare quello che è necessario… per assecondare le aspettative di un Padre?
Fare quello che è necessario per continuare a essere Oscar… per avere quello che è importante per Oscar.
Si sfila la camicia con un unico gesto, va verso la cassettiera e dal secondo cassetto estrae una delle fasce.
“Nanà ti prego, aiutami.”
Lo dice avvolgendosi il primo giro intorno al petto.
“… ma io non…Madamigella vi chiamo Colette…”
“No, aiutami tu, ti prego…”
La piccola le si avvicina, ha le mani nascoste nel grembiule, la guarda dubbiosa.
“Aiutami, tienila ben tesa… stringi…”
Un giro poi un altro.
“Oddio,… Madamigella scusate… vi… vi ho fatto male?”
“No, non mi fai male…”
“Ma… state piangendo…!”
Lo dice in un sussurro, e i suoi occhi diventano lucidi mentre li alza verso i suoi.
Allora si guarda nello specchio Oscar e con una mano porta via la lacrima che le riga la guancia.
“Non è niente, non ti preoccupare…”
Continua a guardarsi mentre le fasce l’avvolgono e le lacrime adesso rigano le guance di Nanà, che non capisce,… forse.

Percorre a grandi passi la galleria che conduce allo scalone principale, chiusa nelle fasce, chiusa nell’uniforme, la spada al fianco e lo sguardo altero. I colpi regolari dei suoi stivali sul marmo riempiono l’aria fino a quando in lontananza è la voce stentorea del Padre che richiama la sua attenzione “… non può essere… non è così…”, seguita da quella di Andrè “Signore, aspettate…”
Ora li vede, la fissano, sono rimasti bloccati in fondo alla scala e fissano il Capitano delle Guardie Reali.
Nessuno dice niente mentre scende le scale, mentre dall’espressione di stupore di suo Padre emerge la soddisfazione, potrebbe quasi dire che le sembra commosso. Neanche Andrè, poco più in la dice nulla, ma il suo sguardo si è fatto serio, non è triste, non è arrabbiato… sembra solo… compito, nessuna emozione, lo sguardo che ci si aspetta da un bravo servitore… si gira e si allontana André, senza aspettare che lei raggiunga la fine delle scale.

Le ha detto che lo sapeva il Generale, che sapeva che avrebbe fatto la cosa giusta, lei ha ringraziato suo padre, lo ha salutato e si è diretta verso l’uscita. Deve andare alla Reggia, obbedire al Re, prendere servizio e diventare quello che ha sempre dovuto essere.
André la aspetta nello spiazzo antistante il palazzo, i cavalli sellati, l’espressione composta. Le fa un leggero inchino passandole le redini, l’aiuta a salire in sella poi monta a sua volta.
“Andiamo André.”
Lei parte al passo, lui la segue.
Mi vedi vero Andrè? La vedi Oscar chiusa qui dentro?
Se lo chiede mentre lo sente da quel familiare calore nel petto il verde degli occhi di Andrè che la fissano.



E ora
tocchi l’acqua con i tuoi piccoli piedi,
con il tuo piccolo cuore,
e non sai che fare!

Son migliori
certi viaggi notturni,
certi scompartimenti,
certe divertentissime passeggiate,
certi balli senz’altra conseguenza
che continuare il viaggio!

Muori di paura o di freddo,
o di dubbio;
io, con i miei grandi passi,
la troverò,
dentro di tè,
o lungi da tè,
e lei mi troverà,
lei che non tremerà davanti all’amore,
lei che sarà fusa
con me
nella vita o nella morte!


Da “Le Ragazze” di Pablo Neruda



(*) Lo so che all’inizio della puntata “La grande scelta” dicono che è il ’69 … ci ho rimuginato un po’ e sinceramente alla fine ho deliberato per la primavera del 1770. Un po’ per alcuni riferimenti che mi facevano gioco, un po’ perché nella primavera del 1969 Oscar aveva 13 anni e non 14 come viene detto (13 per diventare capitano erano pochini anche per l’epoca… in realtà anche 14), inoltre nella primavera del ’69 il fidanzamento di Maria-Antonietta non era ancora ufficiale (l’annuncio è di metà giugno) e con il tasso di mortalità delle principesse Asburgo … Torna su
  1. è un po’ una che tende a tagliare le cose con l’accetta la nostra Oscar! Romeo e Gulietta parlano di rose… la giovane Oscar fa quel che può e parla di querce. Torna su
  2. Questo dettaglio è preso dalla storia del vero Conte Francois Augustin Reynier, che ha ereditato il titolo di Conte di Jarjayes dal padre, che lo aveva ottenuto grazie all’acquisizione della proprietà e al conseguente reintegro nel Secondo Stato. Titolo piuttosto recente nonostante la lunga tradizione militare a servizio della casa reale, nella storia vera il Conte “stabilizzò” la propria condizione tramite il fedele servizio a corte e un secondo matrimonio con una giovane contessa vedova prediletta dalla regina. Torna su
  3. In realtà il vero La Pouplinier non c’era più da mo’… ipotizziamo un discendente, sempre finanziere e sempre estremamente ricco. Torna su
  4. La conversazione circa i bottoni dei loro panciotti era molto alla moda tra i gentiluomini settecenteschi (da cui l’espressione “attaccare bottone”) Torna su
  5. Frase vera d’epoca presa da “Guida pettegola al settecento francese”, Bonci, Ed. Sellerio. Con i coniugi di Clermont volevo dare uno scorcio della società francese dell’epoca, dato che a Palazzo Jarjayes i costumi non sembrano essere stati aggiornati da prima dell’avvento di Luigi XIV! Non era mio intento farli sembrare solo fatui e stupidi. Diciamo che sono un super-bignami di una serie di concetti di base della società dell’epoca con cui sicuramente Oscar non ha nessuna familiarità (oltre che emotivamente è anche socialmente un po’ disadattata): l’esistenza ha una dimensione sociale e non individuale; la promiscuità sessuale è assoluta, l’amore è una cosa divertente non qualcosa per cui valga la pena struggersi e sicuramente non rovinarsi o morire, per cui abbi tutti gli amanti che vuoi, purchè socialmente accettabili se non addirittura graditi e gestiti con l’opportuno garbo; attraverso una buona gestione della sua vita sociale, una donna poteva acquisire un grande potere; puoi dire le peggio cose a chiunque, purchè tu lo faccia con in modo apparentemente amabile ed elegante. Spero che nella sintesi siano riusciti a fare entrare un po’ di leggerezza a palazzo. Torna su
  6. Nell’autobiografia dell’abate di Choisy, “Storia di un abate vestito da donna”, parla continuamente di questa crema miracolosa con cui lui mantiene un incarnato come quello di una giovinetta, non ho resistito e infilarcela. Torna su
  7. “Il diavolo innamorato” di Jacques Cazotte in realtà è stato pubblicato la prima volta nel 1772 ed è uno dei primi romanzi gotici. Mi prendo la licenza di farglielo leggere con due anni di anticipo, ma mi piaceva l’idea d metterli a fare qualcosa di comparabile a guardare un film horror di nascosto e la trama mi pareva particolarmente azzeccata (il diavolo tenta di sedurre il giovane Alvaro prendendo la forma di una bellissima ragazza bionda che all’inizio si presenta spacciandosi per un paggio, a un certo punto poi Biondetta, il nome che viene dato alla ragazza-demone, fa tutto un panegirico sulla difficoltà di gestire le percezioni della forma di femmina che ha deciso di assumere). È una storiella un po’ stupida, ma l’ho preferita a quei polpettoni dei romanzi gotici inglesi (tipo The mistery of Udolfo .. bleah) ed è stato ripubblicato insieme a una novella di Camilleri Ref. “Il diavolo. Tentatore. Innamorato”; Camilleri, Cazotte; ed. Feltrinelli Torna su
  8. Il primo desiderio che nella storia Alvaro, il protagonista, esprime quando invoca il demone è appunto quello di avere da mangiare e bere per lui e i suoi compagni. Torna su
  9. Secondo me sono assolutamente un’idea di Nanny. Vuoi che il Generale si sia messo a dare indicazioni sulla gestione degli acerbi seni della figlia!? Dei quali sicuramente preferisce ignorare l’esistenza. Non potendo mettere in nota spese l’ordine di un corsetto a una bustaia… Torna su
  10. Chissà se Colette se lo immagina il casino che le ha lasciato Oscar nello spogliatoio mentre la ringrazia… Colette è ovviamente la cameriera personale di Oscar, anche se a palazzo non è permesso chiamarla così. Jerome è l’attendente del Generale, quindi si occupa personalmente di lavarlo e vestirlo… mentre non è André che passa l’asciugamano a Oscar quando esce dalla vasca… anche se probabilmente… suppongo lui avrebbe apprezzato una maggiore coerenza del Generale nell’imporgli di occuparsi anche di questa mansioni previste per un qualsiasi altro attendente. Torna su
  11. Mi piaceva solo il suono del nome, niente a che fare con quello schifo di donna del romanzo di Zolà Torna su
  12. Va da se, che in questo quadretto André avrebbe il ruolo di Perseo! … avevo ipotizzato di far formulare anche questo pensiero a Oscar… ma poi ho realizzato che era ben al di la delle sue capacità di presa di coscienza. Torna su



Angolo dell’autore:
Come detto questa raccolta è una rilettura, quindi il mio intento è di rimanere fedele alla storia originale (prevalentemente dell’anime, a volte del manga che in certi passaggi mi pare più… logico). Ho rimuginato parecchio se includere questo passaggio nella raccolta, ma alla fine l’ho ritenuto necessario perché: “crescere” insieme è un punto essenziale della costruzione di qualunque rapporto; è una svolta fondamentale nella vita di entrambi. Mi sono interrogata parecchio sull’opportunità di inserire questo stralcio di vita anche per la recente pubblicazione della bellissima ff di trilli75 “Un destino d’amore” che ripercorre proprio “La grande scelta” completando in modo fedele l’anime. Alla fine ho deciso che avevo bisogno di includerla per tutta una serie di aspetti complementati che volevo includere (con la mia testa bacata) e spero che siano risultati comprensibili, dovendoli esporre dal punto di vista di Oscar, che, come sappiamo, è la campionessa assoluta dello sport tradizionale della famiglia Jarjayes: se le cose non le chiami con il loro nome, puoi fare finta che siano qualcos’altro. Se razionalizzasse quello che vede e sente non sarebbe lei… per cui … spero non ne sia uscito solo un grande guazzabuglio.


“Come possiamo intenderci se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e il valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro?” (cit. Pirandello)
   
 
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