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Autore: sabre    25/05/2014    27 recensioni
La piccola mano bianca stringe la sua e una voce sussurra al suo orecchio “Eccomi Andrè, sono tornata da te…. ”
Ripercorriamo l'adorata storia originale seguendo il sentimento che li lega, che è come una catena, che lega due individui rendendoli un’unità, forte come il più debole dei suoi anelli. Gli anelli di questa catena sono tanti: comprensione, affiatamento, complicità, condivisione, fiducia, pazienza, dedizione, passione… Ognuno è stato forgiato da quello che sono, da quello che hanno vissuto insieme e da quello che hanno portato delle loro esperienze personali…
Questa idea, probabilmente un po’ balorda, di rilettura della storia mi è venuta leggendo una recensione, in cui si sottolineava come la storia di Oscar e Andrè non fosse solo la storia di due innamorati separati dal destino.
Da tutto questo l’idea di questa raccolta di OneShot, ogni capitolo un anello, a partire ovviamente dal primo: “Amicizia”
P.S. Ho modificato il rating del capitolo solo per correttezza a causa di qualche dettaglio storico e espressione nei dialoghi
Fanart in cap1 e cap2.
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chiedo anticipatamente venia per il primo capitolo, che è venuto di una lunghezza assurda ed ha un tono decisamente naif. Ma il piccolo Andrè vede e racconta tutto… anche se non sempre lo capisce subito.

Anello 1: Amicizia

Domenica 14 Giugno 1761, dintorni di Parigi

La piccola mano bianca stringe la sua e una voce sussurra al suo orecchio “Eccomi Andrè, sono tornata da te…. ”. La mano stringe e scalda fino a far quasi male, fino quasi a bruciare. Alza lo sguardo dalla mano verso la voce e… uno scossone! Uno scossone lo sveglia di soprassalto… la carrozza deve aver preso una buca.

Mugola “Mmmmh”, tende le braccia, le gambe, tutto il corpo come un gattino, fino quasi a scivolare dal sedile e si stira, si stira e la schiena scrocchia come se qualcosa si sbloccasse e ancora mugola “Mmmmh”, che sensazione piacevole.

Si è addormentato tutto rannicchiato su in fianco, con la testa appoggiata alla parete della carrozza e adesso si sente indolenzito, non ne può più!

È più di un giorno intero che è in viaggio, sballottato da una carrozza all’altra o pigiato tra i passeggeri della diligenza, e adesso veramente non ne può più! Per la miseria, lui è un bambino! Ha sei anni, e per quanto tutti negli ultimi mesi gli abbiano ripetuto che oramai è grande e deve imparare a comportarsi di conseguenza, adesso vorrebbe solo scendere da quella dannata carrozza e correre, correre a perdifiato fino a lasciarsi cadere sfinito nell’erba alta dei prati che vede scorrere dal finestrino, e lasciare che il sole gli scaldi il viso e il vento gli scompigli i capelli.

Come quando stava con mamma e papà ad Apremont-sur-Allier: papà lavorava nella sua bottega di falegname sul retro della loro casetta nel borgo; mamma si prendeva cura della casa, di papà e di lui; lui era libero di scorrazzare tra i prati, e la vita era perfetta. Un sorriso gli affiora sulle labbra al ricordo ma subito svanisce... Poi papà era morto in quel brutto incidente poco prima del suo quinto compleanno, e lui e la mamma erano rimasti soli.

La mamma allora aveva deciso di vendere le loro poche cose e trasferirsi a Bourges.

“In una grande città le signore ci tengono alla moda! Una buona sarta può trovare lavoro. Non sarò abbastanza brava per le gran signore di Parigi, ma per Bourges lo sono sicuramente, non credi piccolo mio?”, gli aveva chiesto accarezzandogli la testa mentre aspettavano di salire sul carro di un vicino, che, dovendosi recare in città per una consegna, si era offerto di accompagnarli con i loro pochi bagagli. Lui aveva annuito con convinzione. Papà gli mancava tanto, ma, quando la tristezza diventava troppa, la mamma se ne accorgeva sempre e lo stringeva baciandolo sulla testa e sussurrandogli “Andrà tutto bene…”.

Adesso era diventato lui l’uomo di casa ed era suo compito sostenere la mamma, e comunque… la sua mamma aveva sicuramente ragione.

E infatti, la sua mamma aveva avuto ragione! Nel giro di un paio di giorni aveva trovato lavoro presso Madame Durier, che aveva una grande negozio di confezioni proprio vicino alla cattedrale di Saint Etienne. La padrona le aveva concesso di alloggiare in una delle stanze sopra il negozio, in cui ospitava buona parte delle altre ragazze che lavoravano per lei, trattenendo la pigione dal salario.

Così era cominciata la nuova vita: lui e la sua mamma si alzavano presto la mattina, facevano colazione con le altre lavoranti nella sala comune sul retro del negozio, poi lui andava a scuola. La mamma versava un contributo del suo salario perché lo ammettessero come esterno alle lezioni del collegio nel vicino convento di Saint Pierre, sede di una congrega di Oratoriani.

“Sei un bambino sveglio, piccolo mio”, gli aveva detto, “impara bene a leggere, a fare di conto e tutto quello che ti insegneranno, e quando sarai grande potrai essere libero”.

Questa cosa in realtà non l’aveva proprio capita, ma era sicuramente vera, visto che glielo aveva detto la sua mamma, e poi andare a lezione e studiare gli piaceva. Imparare cose nuove gli piaceva, i compagni erano simpatici, quasi tutti figli di proprietari di piccoli negozi nel centro della città. I frati erano severi, ma per certi versi tanto buffi, ognuno con la sua piccola mania: come fratello Charles, che non parlava d’altro che delle piante officinali a chiunque lo incontrasse in qualunque situazione.

La mattina dopo colazione andava a lezione, pranzava in refettorio con i frati e suoi compagni, nel pomeriggio le lezioni continuavano per altre tre ore e poi tornava al negozio. Mamma lavorava ancora; lui prima faceva i compiti, su uno sgabello in un angolo del laboratorio, e poi aiutava spostando le ceste con le pezze da un tavolo di lavoro all’altro, o andando a prendere le rocche di filo dal magazzino per le ragazze che lo chiedevano. Così arrivava l’ora di cena. Quella vita non era proprio perfetta come quella di prima, ma a fine giornata lo era lo stesso, perché si addormentava con la sua mamma, e il suo profumo lo faceva sentire al sicuro e felice.

Poi però anche quella nuova vita perfetta era finita. Quando a gennaio la sua mamma si era ammalata, Madame Durier era stata gentile e le aveva permesso di non lavorare per una settimana intera, ma non era servito a nulla e la sua mamma una mattina non si era svegliata. Lui aveva cercato di scuoterla e chiamarla ancora e ancora, ma non c’era stato niente da fare. L’avevano sepolta nel cimitero del convento una grigia e fredda mattina. Fratello Charles gli aveva dato un mazzetto di fiori bianchi da mettere sulla sua tomba. Gli aveva detto che venivano chiamate rose di natale… delle strane ‘rose’, ma così semplici e delicate erano belle come la sua mamma.

“La madre era tanto delicata, poverina”, aveva detto Madame Durier quando lo aveva portato all’orfanotrofio. Lui era un povero bambino sfortunato, ma lei proprio non se ne poteva occupare, e non poteva neanche tenerlo a lavorare nel suo negozio con tutte le ragazze! La madre aveva speso tutto il suo salario e i suoi risparmi per permettergli di andare a scuola e adesso non se ne poteva certo curare lei.

Così era finito all’orfanotrofio, un posto grigio e freddo, dove passava le giornate pensando solo che la sua mamma gli mancava tanto, e piangeva tutte le notti sul suo pagliericcio nel lungo sottotetto con altri quaranta bambini tristi. Fino a quando giugno aveva portato un po’ di luce e di calore, e l’arrivo di Monsieur Condè, due giorni prima, aveva interrotto quel grigio. Una mattina era stato portato nell’ufficio del direttore, Monsieur Larousse, un ometto basso e grasso, che indossava sempre una parrucchetta unta e giallastra sulla testa pelata. Lì aveva trovato quel signore alto e magro con un’espressione tanto seria. Gli aveva chiesto se lui fosse Andrè Grandier, se suo padre si chiamasse Jacques e se il nome di sua nonna fosse Marie Grandier. Lui aveva confermato con un incerto “Si signore!”, rivolgendo uno sguardo dubbioso a Monsieur Larousse e questo, per tutta risposta, gli aveva detto che lui era un bambino tanto fortunato. “Se lo dice lui!

Monsieur Condè era un … amministratore, o qualcosa di simile, del Conte Jarjayes, il padrone della sua nonna, ed era venuto a prenderlo per portarlo a palazzo, dove sarebbe stato “allevato come compagnia dell’erede del casato”. Monsieur Condè aveva poi dato una borsa con del denaro a Monsieur Larousse, “per la sua generosità e il suo disturbo” aveva detto.

La generosità di Monsieur Larousse … la sentiva ancora tutta sul palmo della mano la sua generosità, nei segni rossi che gli aveva lasciato la sua bacchetta in quei mesi ogni volta che apriva bocca, o camminava un po’ più veloce, o faceva qualunque cosa che per le regole dell’orfanotrofio non fosse quello che consideravano “comportarsi come si deve”.

L’ultima volta era successo il giorno prima della sua partenza, e la mano gli brucia ancora mentre passa il pollice sul palmo. I segni della bacchetta di Monsieur Larousse non sono una piccola mano bianca, e quella voce non era la voce della sua mamma. Sente le lacrime che spingono ancora, allora fa un gran sospiro per rimandarle indietro e alza lo sguardo su Monsieur Condè, che seduto nel sedile di fronte al suo sonnecchia con le braccia incrociate sul petto e la nuca appoggiata all’indietro. In quel momento la carrozza con un sussulto si ferma, Monsieur Condè apre gli occhi sorprendendolo mentre lo sta osservando, si china leggermente in avanti e gira la testa per guardare fuori dal finestrino. Dopo un breve silenzio dice “Beh, giovanotto, finalmente siamo arrivati!”.

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È in piedi in mezzo al grande spiazzo sul retro del palazzo e regge tra le mani il fagotto che contiene le sue poche cose. Sa che quello è il retro perché glielo ha detto Monsieur Condè e si domanda stupito come possa apparire l’ingresso principale! Quello che sta osservando con gli occhi spalancati è l’edificio più spettacolare che abbia mai visto: è enorme, non grande come la cattedrale di Saint Etienne certo, ma è la casa più grande che abbia mai visto, ed è così bianca e piena di enormi finestre, che splendono al sole del primo pomeriggio, da far sembrare che emetta luce.

“Andreeeè! Oh, tesoro mio, finalmente!” il richiamo lo fa riemergere dal suo stato di assorto stupore e, abbassando lo sguardo dalle finestre verso la voce, vede una signora rotondetta con una cuffietta bianca su un abito lavanda, che, reggendo le gonne con le manine tonde, gli corre incontro. In un attimo si trova avvolto nel suo abbraccio.

“Oh, nonna…” è l’unica cosa che riesce a dire mentre lei lo stringe al petto tanto da togliergli il fiato, e, tra un bacio sulla fronte e l’altro, ringrazia Monsieur Condè con la voce quasi rotta dal pianto.

“Oh, grazie, grazie…. Sono stata così preoccupata per il mio piccolo, non so come avrei fatto senza di voi e la generosità del Generale”. E Monsieur Condè senza scomporsi minimamente: “Posso vedere il Generale?”.

“Oh, certo! Vi sta aspettando nel suo studio.”

La nonna lo lascia e, cambiando improvvisamente il tono da commosso ad autoritario, chiama “Jerome! Accompagna Monsieur Condè nello studio del Generale. Lo sta aspettando.”

“Buona fortuna e piacere di avere fatto la vostra conoscenza giovanotto.”

E’ l’ultima cosa che Monsieur Condè gli dice prima di voltarsi senza attendere la sua risposta e seguire un ragazzo che indossa una giacca rossa con alamari e porta sulla testa una piccola parrucca.

La nonna lo ha liberato dal suo abbraccio e adesso lo sta tirando per la mano verso un’entrata del palazzo, e, mentre stanno superando la soglia, chiama con la voce autoritaria “Annette, è tutto pronto per il bagno?”

Il passaggio dal cortile illuminato dal forte sole del primo pomeriggio alla penombra gli ha offuscato per un attimo la vista, ma adesso si rende conto di essere nelle cucine. In realtà delle cucine così non le ha mai viste in vita sua, ma sulla sua destra c’è un lungo e massiccio tavolo in legno sul quale si trova un enorme cesto pieno di verdure, due pile di ciotole in ceramica bianca di diverse misure e quattro fagiani ancora da spennare con la testa penzoloni; sopra al tavolo è appesa all’alto soffitto a volta, con delle catene, una struttura rettangolare in ferro dalla quale pendono una miriade di pentole in rame lucide come specchi; dietro al tavolo, lungo la parete, c’è una lunga stufa in muratura con sportelli in ferro, sulla quale sono posizionate una serie di pentole in cui sta cuocendo qualcosa; alla sua sinistra un altro tavolone di legno un po’ più piccolo, sul quale si trovano un cesto pieno di pane e un paio di pasticci, e dietro al tavolo una larga cappa attaccata al muro sovrasta un girarrosto a tre bracci, sul quale sta arrostendo un grosso pezzo di carne, e un forno a legna; infine in mezzo alla stanza campeggia un gigantesco camino, dove, sul fuoco acceso, è appeso a un grosso gancio un enorme paiolo. Nonostante le dimensioni si trova certamente in una cucina.

Palazzo grande, cucina grande! Ma a quanta gente dovranno dare da mangiare per avere una cucina così!... a tutta Parigi!?” pensa, mentre fermo sulla soglia segue con gli occhi la nonna, che si è allontanata da lui e ora sta aiutando una ragazza mingherlina, in cuffietta e grembiule bianchi su abito grigio, prima a sistemare un grande telo di lino in un catino di zinco posizionato vicino al camino e poi a riempirlo, facendo scorrere lungo un binario il gancio e poi inclinando il paiolo per farne defluire l’acqua calda.

Improvvisamente sente due grosse mani che gli circondano il viso e lo girano afferrandogli le guance. Attonito, si trova a fissare la faccia tonda e rubizza di un donnone vestito di bianco su cui si apre un largo sorriso mentre cinguetta:

“Oh, ma che angioletto delizioso! Tu devi essere il nipotino di Marie!”, con una vocina che contrasta nettamente con il suo aspetto decisamente imponente.

Poi, girandosi verso il fondo della cucina, il donnone chiama “Ragazze correte! Venite a vedere che carino il nipotino di Marie!”.

Per quel poco che gli consentono le due manone che gli stanno stritolando le guance, gira anche lui il viso nella stessa direzione, dalla quale vede arrivare, rispondendo al richiamo, quattro ragazze in abito blu, cuffietta e grembiule bianchi. In un attimo si trova anche loro addosso, chi gli scompiglia i capelli, chi lo abbraccia, chi riesce a strizzare un pezzetto di guancia lasciato stranamente libero dalle altre.

“Ma che carino!”

“Ma guarda che angioletto moro!”

“E che occhioni verdi!”

“E guarda questi ricci meravigliosi!”

“Oh, quando sarà grande causerà almeno venti svenimenti al giorno!”

“Oh, Marie il tuo nipotino è proprio adorabile!”

Chiocciano le ragazze mentre continuano a stringerlo, strizzarlo, accarezzarlo e pizzicarlo.

E basta! Ma che problemi hanno anche queste…. femmine?” pensa, ma non ha il coraggio di dire “Anche qui, come quando sono arrivato al negozio di Madame Durier!

La però le ragazze almeno avevano paura di Madame Durier, e quando c’era lei lo lasciavano stare, e poi la mamma le teneva a bada!

“Via sciocche! Smettetela! Christine e Claire, c’è la biancheria stesa da ritirare, deve essere stirata per stasera; Sandrine, va a controllare che ci sia acqua pulita nelle camere; Viviane, porta due calici di vino nello studio del Generale per lui e Monsieur Condè. Forza muovetevi!” tuona la nonna “E tu Agnes! La cena non si preparerà certo da sola non credi? Al lavoro! ”

La nonna con pochi ordini è riuscita a disperderle tutte e a ‘salvarlo’.

Cavolo! Certo che non la si può giudicare dall’aspetto!”

In realtà ricorda di aver visto la nonna solo una volta al funerale di papà, prima era troppo piccolo probabilmente per ricordare, la conosce più che altro grazie alle lettere che si scambiava regolarmente con i suoi genitori e che la mamma gli leggeva.

Certo che è proprio bassa!” Nonostante lui abbia solo sei anni, lo supera in altezza solo di poco più della testa, ma, a quanto pare, quando usa il suo tono autoritario tutti obbediscono immediatamente! In effetti, fa quasi un po’ paura anche a lui, quel tono chiaramente non ammetteva repliche.

Mentre massaggia le guance dolenti per il brutale trattamento appena subito, è la nonna che si rivolge di nuovo a lui sorridendo:

“Piccolo mio, adesso farai un bel bagno e mangerai qualcosa, poi ti porterò dal Generale. Ha espresso il desiderio di vederti appena fossi arrivato.”

Posandogli una mano sulla spalla lo conduce verso il camino.

“Il generale?”

“Certo, il Generale, il Conte De Jarjayes, il Padrone!”

Intanto prende il fagotto e lo posa a terra.

“Il Padrone è stato tanto generoso. Appena ha saputo che ero l’unica persona rimasta per prendersi cura di te ha acconsentito a che ti portassi qui…”

Gli slaccia e sfila la giacca e il panciotto e li posa sul fagotto.

“… ha espresso il desiderio che tu venissi cresciuto in questa casa ed educato insieme a Oscar…”

Oscar? Oscar, chi?

“… che grande onore caro! Devi essergliene grato!”

Lo fa appoggiare a uno sgabello e gli sfila gli scarponcini e poi le calze.

“Sono stata così preoccupata in questi mesi…”

Via la camicia e i pantaloni.

Cavolo!

Adesso è nudo in mezzo alla cucina, e con tutto il via vai delle cameriere si sente le guance andare a fuoco.

“Annette, vieni, aiutami!”

Eh, adesso ci manca solo Annette, ma come fa la nonna a non capire?

La ragazzina con l’abito grigio si avvicina, lei e la nonna lo sollevano tenendolo una sotto ogni braccio e lo fanno entrare nel grande catino di zinco foderato con il telo. Che meraviglia la sensazione dell’acqua tiepida sulla pelle! Non ricorda più l’ultima volta che ha potuto fare un vero bagno, sicuramente prima di andare a vivere a Bourges con la mamma.

“Oh, una tale preoccupazione! Quando a gennaio Monsieur Condè mi ha accompagnato per venirti a prendere dopo che tua madre mi aveva scritto della sua malattia… e la proprietaria della sartoria ci ha detto che Juliet era morta e che tu eri scappato… Oh il mio povero cuore!”

Come!? Cosa!? Io scappato?! Quando?

La nonna adesso lo sta sfregando violentemente con una pezzuola insaponata.

“Ahi… nonna!”

“Oh, buono! Dovrai essere più che presentabile quando ti riceverà il Generale. Non vorrai mica che pensi che non sei una compagnia adatta per Oscar!”

Ancora questo Oscar… deve essere quello di cui parlava Monsieur Condè…

La nonna ha preso a insaponargli con vigore i capelli e lui si mette le mani sugli occhi per evitare che il sapone ci vada dentro, dato che non crede di poter dire nulla per fare in modo che la nonna ci stia attenta.

“Comunque… per fortuna quando abbiamo scritto al Generale, questi ha autorizzato Monsiuer Condè a rimanere a Bourges per cercarti! I frati del vicino convento, dove Juliet ti mandava a scuola, non potevano credere che tu fossi scappato… oh, povero piccolo… e stai fermo… ”

“Ahia!”

Ma come fa la nonna a passare magicamente dall’essere sul punto di piangere a gracchiare ordini?”

“… così ha continuato a indagare, e alla fine è riuscito a parlare con una delle lavoranti del negozio, attendendola quando ha avuto il permesso di andarsi a confessare. Così le ha fatto ammettere di aver visto Madame Durier che ti portava via una mattina all’alba! Oh, i miei poveri nervi…”, sospira e continua, “Grazie all’influenza del Generale, Monsieur Condè ha ottenuto che intervenissero le guardie, e, dietro la minaccia di essere imprigionata, lei ha ammesso che non eri scappato, ma che ti aveva portato all’orfanotrofio … oh, povero il mio piccolo ….”

“Ahia nonna, mi stai stritolando!

“Oh, povero caro... Sicuramente lo ha fatto per intascare il denaro che tua madre le aveva lasciato per il tuo mantenimento fino al mio arrivo… eh, ma non credeva di dover fare i conti con il Generale quella… ”

… è come se dentro la nonna … di nonne ce ne fossero due!” pensa osservandola con un sopracciglio alzato, non riuscendo ancora a credere alla velocità con cui può cambiare umore e tono di voce.

“Annette… acqua!”

“Cosa...”

Non ha il tempo di concludere la frase, che una secchiata d’acqua tiepida lo ricopre dall’alto rendendo vani tutti i suoi sforzi di tenere lontano il sapone dai suoi occhi.

“Forza, in piedi!”

Mentre ancora si sfrega gli occhi con le mani dopo essersi alzato, la nonna lo avvolge in un telo di lino e Annette la aiuta a farlo uscire dalla vasca e a sistemarlo su un piccolo sgabello vicino al camino.

Mentre la nonna comincia a sfregargli vigorosamente i capelli con un altro telo, Annette si china sulle ginocchia per guardarlo negli occhi e chiede con voce sottile e un sorriso dolce:

“Hai fame Andrè?”

Lui dopo un attimo di esitazione sorride e fa di sì con la testa. Annette allora si allontana verso il tavolo più piccolo, prende un piatto e un bicchiere da una credenza vicina e li riempie.

Intanto la nonna continua imperterrita:

“… se penso poi quanto tempo ci è voluto per riuscire a riportarti a casa pur sapendo dove eri rinchiuso!... una persona influente come il Generale può far imprigionare una persona dall’oggi al domani, ma è impotente davanti alle lungaggini di avvocati e burocrati. È inaudito!”

La nonna parla ininterrottamente e non pare molto preoccupata dal fatto che lui abbia detto sì e no quattro parole dal suo arrivo, ma ora deve proprio interromperla: “… aaaah, nonna se continui a sfregare così i capelli me li stacchi!”

“Oh, non dire sciocchezze! Poi, non vorrai mica presentarti dal Generale con i capelli bagnati… Comunque, adesso sbrigati a mangiare che dobbiamo finire di prepararti.”

Annette è tornata e, con il solito sorriso dolce, gli porge il piatto e il bicchiere: pane, formaggio, carne in gelatina e mezza mela, accompagnati da un bicchiere di latte. Non beve del latte da quando viveva ancora ad Apremont, “Che buono!”, la carne in gelatina invece gli fa un po’ senso, il resto è più che sufficiente.

Sta bevendo il latte per riuscire a mandare giù il pane e formaggio che ha divorato, quando sente Annette chiedere:

“Madame Marie, di questi cosa ne devo fare?”

Si gira a guardarla. Ha in mano i suoi vestiti e il suo fagotto.

“Portali pure via, cara.”

“No!” Appoggia il piatto e il bicchiere sul bordo del camino, si alza muovendosi velocemente verso Annette, per quello che il lungo telo in cui è avvolto gli consente, e la afferra per le sottane, “No, sono i miei vestiti!”

Annette osserva prima lui poi la nonna con aria interrogativa.

“Ma tesoro, sono vestiti vecchi, non sono adatti alla tua vita qui a palazzo, ne avrai di nuovi!” gli dice la nonna con voce calma accarezzandogli la guancia.

“No, sono i miei vestiti, li ha cuciti la mia mamma, sono miei!”, gli viene quasi da piangere e si sente da come adesso gli trema un po’ la voce.

La nonna sospira, lo guarda un attimo e poi:

“Va bene tesoro, Annette li laverà e stirerà e poi li porterà nella tua camera.”

Guarda Annette, che annuisce e fa per allontanarsi.

“No, questa no!”

Ha afferrato la piccola giacca di panno che la ragazza sta portando via con il resto.

“Questa ha l’odore della mamma.”

Ancora un sospiro e uno sguardo dolce.

“Va bene piccolo, la giacca la metteremo direttamente in camera tua senza lavarla. Hai capito Annette?”

La ragazza annuisce.

La nonna gli carezza nuovamente la testa, mentre lui, passandosi la lingua sul labbro superiore per pulire un baffo di latte, segue con lo sguardo attento Annette che porta via le sue cose.

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“Oooohh … che fastidio!”

Si è fermato in mezzo alla lunga e ampia galleria, coperta di marmi e fregi dorati, e illuminata da una fila di grandi finestre su un lato, lungo la quale la nonna lo sta trascinando per una mano in tutta fretta, e ha allargato un po’ le gambe per cercare di aggiustarsi i pantaloni sul sedere. Pantaloni… se così si possono chiamare quelle brachette corte e lucide che la nonna gli ha infilato e che gli tirano da tutte le parti! E gli tira anche il panciotto stretto sul petto, e sulle spalle la giacca, che poi gli batte sulle gambe allargandosi fino quasi alle ginocchia… e lo infastidisce tutta quella stoffa che pende sul davanti dalla camicia e lo soffoca in uno stretto fiocco che la nonna gli ha legato sotto il mento… e i polsini che si allungano quasi a coprirgli le mani… e gli danno fastidio quelle calze bianche e lische che scivolano dentro quelle strane e scomode scarpe lucide con delle grandi fibbie di metallo. Ridicolo! Si sente scomodo e ridicolo, a dispetto del fatto che la nonna gli abbia detto che è bello come un signorino e si sia quasi messa a piangere per la commozione e la soddisfazione, contemplandolo tutto agghindato in quel modo.

“Muoviti! E stai dritto!”

La nonna lo strattona richiamandolo con tono brusco.

“Il Generale ti sta aspettando, e non si fa aspettare il Generale!”

Di malavoglia si rimette a camminare, lasciandosi sempre un po’ trascinare, ruotando le gambe in modo strano, sempre alla ricerca di una posizione più comoda dentro a quelle maledette brachette.

Arrivati davanti alla terza porta lungo la galleria la nonna si ferma, lo fa girare e con il volto rivolto alle ante, si ferma e aspetta.

Sembra agitata! Che cosa sta aspettando? Deve fare veramente paura il generale se fa diventare così nervosa la nonna!” pensa, mentre osserva prima lei, che continua a sfregare i palmi delle mani sulle sottane, e poi le gigantesche ante della porta, lucide e decorate dalle venature del legno e dalle modanature dorate, “Mai viste porte così!

Come se si fosse sentito addosso il suo sguardo, si gira nuovamente verso la nonna e la trova a fissarlo con aria corrucciata, come se ci fosse qualcosa di estremamente sbagliato nei suoi capelli, fino a quando, senza troppi complimenti, gli fa girare la testa per aggiustare il nastro che gli ha legato al ciuffetto sulla nuca e poi, afferrandogli il mento tra pollice e indice, lo gira nuovamente verso di se, lecca le dita dell’altra mano e gliele passa sulla frangia portandola indietro.

Hei, che schifo! Allora cosa me li hai lavati a fare?

Di nuovo la nonna lo esamina, gli lascia il viso, gli poggia una mano sulla spalla e la stringe, fa un profondo sospiro, bussa e dopo un attimo annuncia attraverso la porta chiusa:

“Signor Generale, sono Marie! Ho portato mio nipote Andrè, come avete chiesto.”

“Avanti!”

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Lo studio del generale è enorme: la parete opposta alla porta è quasi completamente costituita da grandi finestre che danno su un immenso parco; alla destra un grande camino di marmo bianco supporta un elaborato orologio in oro, e due poltrone in seta azzurra e fregi dorati sono sistemate ai lati di un tavolino da gioco; sulla sinistra, di fronte alla scrivania in un legno lucido, adorno di venature e ori, si trovano due sedie nello stesso stile, e dietro la scrivania una libreria, piena di testi rilegati in pelle, ricopre l’intera parete. In mezzo alla stanza, sopra un grande tappeto a motivi floreali, sta in piedi lui, dopo aver salutato con un inchino, eretto come un bravo soldatino, e guarda il generale, che, sprofondato in una grande poltrona di pelle dietro la scrivania, lo sta esaminando.

Sta aspettando che la nonna torni, dopo che le è stato ordinato di andare a chiamare Oscar e portarlo lì. Dopo un silenzio che gli è parso interminabile sotto lo sguardo severo del generale, questo gli rivolge la parola:

“Ragazzo, tua nonna mi ha detto che sai leggere e scrivere.”

“Si signore!” conferma, con voce ferma, anche se un po’ il generale gli fa paura, con quello sguardo così severo, che lo fissa come se lo stesse soppesando.

“Bene, questo ti permetterà da subito di seguire le lezioni con il precettore insieme a Oscar! Come dovrebbero averti già spiegato, sei qui per accompagnare mio figlio Oscar nel suo percorso di formazione.”

Percorso di formazione?” non capisce bene cosa il generale intenda dire, ma non si sente sufficientemente a suo agio per chiedere spiegazioni, soprattutto dopo tutte le raccomandazioni che gli ha fatto la nonna, per cui continua a stare fermo e zitto, facendo finta di capire quanto gli viene detto.

“L’istitutore si occuperà della formazione accademica, mentre io supervisionerò il maestro d’armi nell’insegnamento della scherma prima e nell’uso delle armi da fuoco poi.”

A… armi? Nessuno gli aveva parlato di armi!”

Mentre formula questo pensiero, il generale si alza dalla poltrona, aggira la scrivania e gli si para di fronte.

Lo sta osservando dall’alto al basso con le mani allacciate dietro la schiena e il dover guardare in alto sopra di lui per vederlo in faccia, lo mette ancora più a disagio. “Lo farà apposta?

“Oscar sarà educato per essere l’erede dell’antico casato dei de Jarjayes e dedicarsi, come da nostra tradizione, alla carriera militare. Non potendo essere educato in collegio, per lui è importante crescere con una compagnia maschile, per sperimentare lo spirito cameratesco tipico della vita militare. Ti è chiaro quindi quale sarà il tuo compito?”

Ehm, assolutamente no.”, ma risponde, “Certo signore!”

“Ottimo, credo non ci saranno problemi….”

L’attenzione del generale è attratta da qualcuno che sta bussando alla porta e senza attendere risposta la apre.

“Ah bene! Ecco Oscar!”

Andrè si gira verso la porta per guardare. Come atteso è la nonna, che tiene l’anta aperta per far passare qualcuno prima di lei. È un bambino un po’ più piccolo di lui che varca la soglia con passo deciso, guardando dritto di fronte.

Non ha mai visto un bambino ‘nobile’. Ad Apremont i suoi compagni di giochi erano tutti figli di braccianti e contadini, mentre a Bourges i suoi compagni di scuola erano tutti figli di … ‘borghesi’, così li aveva chiamati Madame Durier; avevano vestiti un po’ più belli, ma non erano molto diversi dai compagni di giochi di Apremont.

Sì, sicuramente è per questo che non ha mai visto un bambino così... bello! Il bambino che adesso è in piedi di fianco a lui e guarda impettito il generale, come in attesa di ordini, è semplicemente… bellissimo! Non avrebbe mai creduto di poter pensare una cosa simile di un altro bambino, ma i suoi capelli sono così biondi, i suoi occhi così azzurri e limpidi e la sua pelle così candida … da farlo sembrare uno degli angeli dipinti nei quadri che erano appesi alle pareti del convento.

Se i bambini nobili, sono così… allora è proprio vero che sono diversi!

“Oscar, questo è Andrè, il nipote di Marie. E’ mio desiderio che da ora ti affianchi e sostenga negli studi e nella tua formazione militare.”

“Come desiderate, Padre!” risponde Oscar, scandendo con una vocina acuta.

“Forza Andrè, cosa fai lì imbambolato! Saluta Oscar!”

Le parole della nonna lo riscuotono, mentre sta ancora fissando con gli occhi spalancati e la bocca un po’ aperta, quello strano bambino che ha sulla testa quell’incredibile massa di boccoli dorati, che adesso si è girato e lo sta fissando con quegli altrettanto incredibili occhioni azzurri. Guarda la nonna e poi di nuovo il biondino, deglutisce un paio di volte fregandosi il palmo della mano destra sulla gamba dei pantaloni, e poi la stende di fronte a se, porgendola in segno di saluto.

“Io sono Andrè Grandier, piacere di fare la vostra conoscenza!”, la nonna si è tanto raccomandata che rispettasse … l’etichetta!

Mentre lui è ancora lì con la mano sospesa, Oscar lo guarda dritto negli occhi con aria interrogativa, poi fissa la mano, di nuovo il suo viso, fa spallucce e gliela stringe con un mezzo sorriso.

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“La mia stanza…”, lo dice ad alta voce mentre, seduto sul letto con i piedi penzoloni, si guarda intorno con aria seria. Non ha mai avuto una stanza tutta sua, ha dormito in camera con mamma e papà, poi solo con la mamma, e poi nella camerata con i bambini dell’orfanotrofio, mai da solo e forse la cosa gli fa un po’ paura.

Annette lo ha accompagnato in quella stanza nell’ala della servitù quando è uscito dallo studio del generale, perché la nonna doveva accompagnare Oscar ‘nei suoi appartamenti’.

Il letto su cui è seduto è di solido legno scuro, ha la testata appoggiata al muro ed è grande, più grande di quello che era dei suoi genitori; alle sue spalle ha la porta, e di fronte una finestra che affaccia sul retro del palazzo; sotto la finestra, appoggiato al muro, c’è uno scrittoio con una sedia sempre in legno scuro; ai lati della testata del letto un comodino e un piccolo armadio, dove, Annette gli ha fatto vedere, è sistemato il resto del suo nuovo guardaroba, prima di rassicurarlo dicendo che appena pronti avrebbe sistemato lì anche i suoi vecchi vestiti.

La stanza è dotata di un piccolo camino al centro della parete ai piedi del letto, di fronte al quale si trova una vecchia poltrona. A completare l’arredamento c’è un cassettone, appoggiato alla parete alle sue spalle, alla destra della porta d’ingresso, sopra il quale è appeso uno specchio tondo. Non solo il letto è più grande, ma forse quella stanza ha più mobili di quanti ne avesse la casa dei suoi genitori, per non parlare della stanzetta in cui stava con la mamma a Bourges.

Sa che dovrebbe essere contento di avere una stanza tutta sua, gli hanno detto che è un bambino molto fortunato, la nonna gli ha detto che deve essere molto onorato, ma lui si sente lo stesso così strano: vorrebbe che la nonna fosse lì con lui e non a prendersi cura di quello strano bellissimo bambino biondo; vorrebbe almeno che tornasse presto per accompagnarlo a cena, come gli ha detto Annette, ma soprattutto, mentre si sdraia sul letto adagiandosi su un fianco, vorrebbe che la sua vecchia giacca, che sta stringendo tra le mani, profumasse veramente ancora della sua mamma.

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“A differenza del francese e dell’italiano, la lingua latina, oltre al genere maschile e femminile, presenta il genere neutro…”

La voce di Monsiuer Douffort, l’istitutore, risuona nello studio allestito a fianco della biblioteca, in cui tutte le mattine sono impartite a lui e Oscar le lezioni da due settimane, sin dalla mattina dopo il suo arrivo.

Oggi in programma c’è l’introduzione alla lingua latina, ma Andrè non riesce a concentrarsi sulla lezione e sulle parole che Monsieur Douffort sta scrivendo sulla grande lavagna posta di fronte alla scrivania che lui e Oscar condividono, seduti su due sedie con le gambe più lunghe del normale.

I suoi occhi vagano in giro per la stanza, scorrendo sul grande mappamondo appollaiato su un alto tavolino a sinistra della lavagna, sugli animali impagliati che intervallano i libri nelle scaffalature sulle pareti, sulle serpi e le salamandre che galleggiano dentro grandi vasi di vetro in un angolo vicino alla porta d’ingresso; i suoi occhi vagano fino ad approdare al piccolo abaco di fronte a lui sulla scrivania, con cui si sofferma un attimo a giocherellare, muovendo le palline con l’indice. Gli occhi vagano, ma non guardano niente veramente, così come le orecchie sentono le parole di Monsieur Douffort ma non le ascoltano, perché la sua testa è affollata da un solo pensiero, che lo assale, come sempre da due settimane ad oggi, ogni qual volta non è abbastanza concentrato per scacciarlo:

Oscar è una bambina!... una bambina… una femmina!

Glielo ha detto la nonna la prima sera, quando finalmente lo ha raggiunto in camera per accompagnarlo a cena. Si era seduta sul letto accanto a lui, gli aveva preso la mano e gli aveva detto:

“Piccolo mio devi essere molto grato per l’occasione che ti viene data. Dovrai dimostrare la tua gratitudine mostrandoti sempre educato, corretto e studioso. Ma soprattutto dovrai essere gentile e prenderti sempre buona cura di Madamigella Oscar!”

“Madami… gella?” aveva ripetuto aggrottando la fronte senza capire perché la nonna chiamasse così quel bambino per quanto bello e strano.

“Si caro, Madamigella Oscar! Perché Oscar, nonostante il padre abbia deciso di allevarla come un maschio, in realtà è una bambina!”

Dopo un attimo di smarrimento per assimilare il significato di quelle parole che gli sembravano così strane, il senso di quanto detto lo colpì tutto in una volta, dandogli una sensazione molto simile a quella che aveva provato nel lavarsi la faccia la prima mattina all’orfanotrofio con l’acqua del bacile in fondo alla camerata, per accedere alla quale avevano dovuto rompere lo strato di ghiaccio con un bastone.

Da allora quella frase aveva cominciato a rimbalzargli in testa:

Oscar è una bambina!... una bambina… una femmina!

La nonna poi si era dilungata a spiegargli che la famiglia Jarjayes aveva da sempre una tradizione militare, che veniva perpetuata in ogni generazione dal primogenito maschio, che il generale aveva avuto cinque figlie femmine prima di Oscar, che quando lei era nata il medico aveva sentenziato che la madre non avrebbe potuto avere altri figli e che pertanto il generale aveva deciso di allevarla come un maschio, facendo di lei il degno erede della famiglia. Se Dio non aveva voluto dargli un maschio, il generale avrebbe fatto di Oscar il suo figlio maschio.

Questa lunga spiegazione lo aveva lasciato un po’ perplesso, contrastando nettamente con tutti i discorsi sulla felicità derivante dall’accettazione per fede della volontà di Dio, che si era sentito riproporre fin dalla più tenera età prima a messa e a catechismo, poi a scuola, e poi ancora, nei giorni seguenti, lì nelle omelie del cappellano di palazzo. Dopo averci pensato a lungo, aveva formulato l’ipotesi che il generale fosse più che altro un grande sostenitore del libero arbitrio, o almeno del suo libero arbitrio.

Sempre quella prima sera, la nonna gli aveva spiegato che non era stato possibile mandare Oscar in un collegio appena lasciata la balia, così come era stato fatto per le sue sorelle prima di lei, e come sarebbe stato fatto se fosse stata un maschio. Per perseguire i propositi del generale non la si poteva certo mandare dalle suore, come le ragazze, e neanche in un collegio maschile. Per questo il generale aveva deciso di occuparsi personalmente della sua istruzione e del suo addestramento, ingaggiando i migliori istitutori e i migliori maestri d’armi. In questo modo però Oscar non avrebbe avuto modo di frequentare suoi coetanei, come invece sarebbe stato in collegio. Per cui, quando il generale aveva saputo di lui, aveva deciso di farlo diventare la compagnia maschile di cui Oscar aveva bisogno per crescere come lui voleva.

Questa storia così complicata lo aveva lasciato ancora più confuso e silenzioso, quando la nonna aveva deciso di portarlo finalmente a cena. Aveva passato così tutta la sera a cercare di mettere ordine in tutte quelle informazioni e dargli un senso, mentre, seduto sulla panca della lunga e stretta sala da pranzo della servitù attigua alla cucina, masticava pensoso il suo stufato di coniglio con le patate, dondolando i piedi.

“Che bambino buono!” Aveva esclamato Agnes, la cuoca, rivolgendosi alla nonna, che mangiava al suo fianco e aveva risposto solo con un sorriso compiaciuto. Lui aveva guardato l’una e l’altra continuando a masticare senza dire nulla, ma pensando che lui non era buono, era solo impegnato! Impegnato a riassumere tutto quanto gli era stato raccontato in pochi concetti chiari.

Tutto questo sforzo di sintesi, durante quella cena e nei giorni successivi, lo aveva portato a concludere che:

  • Oscar era una femmina;
  • il generale voleva un maschio;
  • il generale aveva deciso di fare diventare Oscar un maschio;
  • per far diventare una femmina un maschio non la si poteva mettere con delle altre femmine, ma neanche con tanti maschi;
  • per fare diventare una femmina un maschio, secondo il generale, bisognava tenerla da sola, dirle tutti i giorni che era un maschio e per imparare come comportarsi da maschio, … comprarle un maschio!

Questa era la conclusione cui era arrivato: il generale aveva comprato a Oscar lui, così come all’età di quattro anni, per farla diventare un ottimo cavaliere, le aveva comprato un bellissimo pony bianco con la criniera argentata.

Il pony di Oscar lo aveva potuto ammirare già il pomeriggio del primo giorno, quando dopo pranzo erano stati portati entrambi in un grande recinto vicino alle scuderie per la lezione di equitazione. La prima per lui, sicuramente non la prima per Oscar, che, dopo essere stata aiutata a salire in groppa da Jean-Luc, il vecchio stalliere, aveva cominciato a portare la sua cavalcatura prima al passo e poi al trotto, battendo con naturalezza la sella, e guidandola lungo il perimetro del recinto. Lui era rimasto imbambolato a guardarla fino a quando Jean-Luc, gli si era avvicinato e gli aveva detto “E questo è per te!”, indicando un altro pony già sellato e imbrigliato.

“È un Connemara, un morello come puoi vedere. È un po’ più alto e robusto del Welsh del signorino Oscar, ma anche tu sei più alto, no?”

Glielo aveva detto dandogli una pacca sulla spalla e sogghignando sotto i baffi, probabilmente a causa del sorriso ebete che gli correva da un orecchio all’altro.

“Il Generale lo ha scelto per te. È una bestia dal cuore d’oro, generosa e sincera. Non potresti cominciare a cavalcare su un animale migliore.” aveva continuato mentre lo aiutava a salire, sostenendo con le sue grandi mani la sua gamba sinistra avvolta negli stivali nuovi.

Era talmente entusiasta e motivato da quella novità, che nel giro di una settimana aveva imparato a cavalcare a tutte le andature, non era certo aggraziato come Oscar, ma in compenso aveva imparato a strigliare e sellare il suo pony da solo anche se con il rialzo di un panchetto. Questo Oscar non lo sapeva fare, ma d’altra parte nessuno si sarebbe aspettato che Oscar si attardasse nelle scuderie a farsi istruire da Jean-Luc. Al contrario, se ne rendeva conto, probabilmente tutti si aspettavano che, prima o poi, lui avrebbe dovuto strigliare e sellare non solo il suo cavallo, ma anche quello di Oscar.

Il generale aveva comprato, per fare di Oscar un uomo, un pony, un maschietto e un altro pony per il maschietto, e questo maschietto avrebbe dovuto occuparsi del pony di entrambi.

In realtà l’essere stato ‘acquisito’ non gli dà particolarmente fastidio, a prescindere dal fatto che la nonna gli dica sempre che deve essere grato, sa benissimo da solo che a un ragazzo o a un bambino può capitare una sorte orribile: lo ha visto capitare al villaggio, in città e se lo è sentito raccontare dai ragazzi all’orfanotrofio. Anche Annette, che fa la sguattera a palazzo, ha una vita di gran lunga più invidiabile delle lavoranti di Madame Durier. Si rende conto che essere allevato un quel luogo e ricevere un’istruzione di prim’ordine è molto più di quello a cui un bambino come lui possa aspirare.

Quello che gli dà veramente fastidio è … Oscar! E non perché è una femmina, benchè non riesca a smettere di pensare quanto quella situazione sia incredibile. Non ha mai avuto molto a che spartire con delle bambine in vita sua, ma non ha mai avuto problemi con le sorelle e sorelline dei suoi amici al villaggio. Non facevano gli stessi giochi, ma erano sempre carine e simpatiche con lui. Oscar invece… è insopportabile! E non perché è una femmina, è insopportabile perché a mala pena gli parla, oltre a non perde mai occasione di colpirlo e ridere di lui.

La prima volta è successo la mattina del primo giorno, stava scendendo per andare a fare colazione quando aveva sentito un rumore alle sue spalle, non aveva fatto neanche in tempo a girarsi per capire chi fosse, che lei gli era saltata addosso facendolo cadere in avanti e facendogli sbattere il mento a terra (1). Quando lui si era girato, lei era già scattata in piedi, e lo guardava ridacchiando, coprendosi la bocca con una mano, mentre lui portava la sua mano al mento sanguinante. Non aveva fatto in tempo a dirle niente che lei era subito corsa via e lui era rimasto lì a terra incredulo, ascoltando la sua risata che si allontanava. La mattina poi a lezione si era comportata come se nulla fosse successo, rimanendo seria e impettita, come sempre, davanti al precettore. Era sempre così, non erano quasi mai soli, davanti alla nonna, al precettore, alle cameriere, allo stalliere, al maestro d’armi, Oscar era il perfetto soldatino disciplinato che aveva visto la prima volta nello studio del generale. Appena rimanevano un attimo soli, le compariva quel mezzo sorriso sulla faccia e a lui arrivava un pugno sulla spalla, o un calcio, o una spinta. Le poche volte che lui aveva provato a dirle qualcosa, lei aveva distolto lo sguardo ridendo ed era scappata via.

Oscar è una femmina! Una bambina insopportabile!

Questo continua a pensare adesso, mentre Monsiuer Douffort sta illustrando le diverse declinazioni.

Si è girato verso di lei e osserva il suo profilo serio e intento nel seguire quello che il precettore sta scrivendo sulla lavagna dando loro le spalle.

Oscar deve essersi accorta di qualcosa, perché ora si è girata verso di lui e lo sta fissando con un’espressione interrogativa, poi all’improvviso sul suo viso compare quel mezzo sorriso, che ha imparato a conoscere e sa non promettere niente di buono, e all’improvviso gli arriva una spallata. La sua sedia si sbilancia sul lato e lui finisce sul pavimento di legno con un tonfo e un urlo.

Monsiuer Douffort si gira di scatto e tuona: “Cosa sta succedendo?!”

Andrè è a terra e si massaggia la spalla dolorante per l’impatto con il pavimento. Monsiuer Douffort gli si avvicina a grandi passi, lo afferra per un braccio e lo costringe ad alzarli senza troppi complimenti.

“Mi ero accorto che non stavi prestando alcuna attenzione, ma avevo deciso di lasciar perdere, perché non ci si può certo aspettare un comportamento perfetto da un bambino come te, ma questo è veramente troppo! Stendi la mano davanti a te.”

“No!”, grida Oscar, mentre Andrè aspetta con il braccio teso e la mano aperta con il palmo girato verso l’alto.

“Non intervenite Signorino Oscar, bisogna che questo ragazzo impari un po’ di disciplina per il suo bene, così che impari a essere grato del grande onore che gli viene fatto.”

La sua bacchetta fende l’aria e colpisce con violenza il suo palmo, una, due, tre volte.

“Dopo questo increscioso evento, direi che possiamo considerare conclusa la nostra lezione per oggi.”

Monsiuer Douffort è uscito dalla stanza. Andrè lancia una veloce occhiata a Oscar che è ancora ferma sulla sua sedia con gli occhi sbarrati, poi stringe il pugno, gira sui tacchi e si dirige verso la porta, mentre sente le lacrime che premono e non vuole farsi vedere da Oscar. Non gli sta venendo da piangere per le bacchettate, a quelle bene o male si è abituato in orfanotrofio, sono lacrime di rabbia. È colpa sua quello che è successo, è arrabbiato con lei, non la sopporta più!

“No! Non te ne puoi andare!”, grida lei.

Ha appena superato la soglia quando si sente trattenere per la manica della camicia. Oscar è saltata giù della sedia, ha corso per raggiungerlo e lo ha afferrato.

Lui si gira e la fissa, è furioso. Anche lei ha aggrottato la fronte adesso, ma la sua espressione non è altrettanto sicura, con gli angoli della bocca rivolti in basso mentre si morde il labbro inferiore.

“Io non volevo… tu non puoi…”

“Io non posso?! Io non posso andare? Perché? Perché sennò mi dai un'altra spinta?”, libera il braccio dalla sua stretta con violenza, spingendola indietro e facendola cadere a terra.

“Si può sapere cosa sta succedendo? … Andrè!”

La nonna è accorsa, allarmata dai colpi e dalle grida. Vedendo Oscar a terra, le si avvicina per aiutarla a rialzarsi.

“Andrè, cosa ti è saltato in mente! Chiedi subito scusa a Madamigella Oscar!”

“No! È stata tutta sua la colpa!” risponde secco lui guardando la nonna china su Oscar.

“Io non… tu non… non è così… Io volevo… Mio Padre ha detto che tu saresti stato mio…” non riesce a finire una frase, non sembra più tanto sicura adesso; forse è anche lei sul punto di piangere adesso, per la rabbia, forse.

“Andrè, vieni subito qui e chiedi scusa per il tuo comportamento a Madamigella Oscar, ho detto!”

“No! Io non chiedo scusa, non ho colpa. Io non sono suo… non importa cosa ha detto il generale. Lei ha tutto e a te importa solo di lei… lei ha tutto, ha anche la mia nonna. … ma io non sono suo…” grida lui tutto d’un fiato, oramai le lacrime hanno traboccato. Si gira e corre via, mentre la nonna gli urla di tornare subito indietro.

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Non c’è niente per me in questo posto, a nessuno importa di me.

Questo pensiero di forma chiaro nella sua testolina mentre si gira per l’ennesima volta nel letto. È tardi oramai, ma lui non riesce a dormire, è ancora troppo arrabbiato.

Dopo essere corso via e si è rintanato in camera sua, saltando sul letto a colpendo il cuscino per sfogare tutta la rabbia fino a che le lacrime non hanno smesso di scendere e si è gettato esausto a pancia sotto sul materasso.

È passato un po’ di tempo prima che la nonna arrivasse, sicuramente si sarà occupata prima di Oscar. L’avrà accompagnata nei suoi appartamenti, l’avrà consolata e coccolata, le avrà sicuramente anche fatto portare una tazza di cioccolata per farla contenta, anche se non hanno ancora pranzato!

Quando alla fine era arrivata, aveva l’aria estremamente seria, si era chiusa la porta alle spalle e lo aveva sgridato, esattamente come si aspettava. Non gli aveva chiesto nessuna spiegazione su quello che era successo: Oscar era per terra e lui aveva urlato, la colpa era sua e avrebbe dovuto chiedere scusa a Oscar e basta. Per fortuna il Generale era via e sarebbe tornato solo il giorno successivo, altrimenti Dio solo sa che punizione gli sarebbe toccata! Invece così sarebbe rimasto chiuso nella sua stanza senza mangiare tutto il giorno, per pentirsi del suo comportamento, e l’indomani mattina avrebbe chiesto scusa a Oscar. Lei, che era una bambina buona, lo avrebbe sicuramente perdonato, così sperava che le cose sarebbero andate a posto.

Così era rimasto tutto il giorno nella sua stanza saltando il pranzo e la merenda, rannicchiato sul suo letto con le guance rigate dalle lacrime asciugate, ma non si era per niente pentito.

Non si era pentito neanche quando la nonna era tornata dopo il tramonto, portando un vassoio con qualcosa da mangiare, che aveva posato sul comodino. Mentre lo aiutava a spogliarsi e a infilarsi la camicia da notte, aveva visto che la sua espressione era più triste che arrabbiata, ma gli aveva ripetuto che la mattina successiva lo avrebbe portato da Oscar subito dopo colazione perché le chiedesse scusa. Glielo aveva detto mentre lui sbocconcellava una mela, seduto sul letto con lo sguardo rivolto a terra. Lui non aveva detto nulla, allora la nonna gli si era seduta accanto e accarezzandogli i capelli aveva cominciato a parlare con voce calma.

“Andrè, io capisco che tu abbia nostalgia e che per te questa situazione sia strana, ma questa è una grande occasione per te!”, aveva sospirato, “Oscar è una buona bambina, ma è tanto sola. Non ha mai avuto nessun bambino con cui giocare, per cui forse non sa bene come comportarsi con te, ma era tanto contenta quando ha saputo che saresti arrivato. Cerca di essere paziente con lei e vedrai che andrete d’accordo.”

Oscar, Oscar, sempre Oscar. Alla nonna non importa niente di me, solo di Oscar!” aveva pensato lui senza risponderle, mentre gli rimboccava le coperte e gli dava un bacio sulla fronte, augurandogli la buona notte prima di lasciarlo solo.

Certo che Oscar era contenta, non vedeva l’ora di avere un nuovo giocattolo!

“Non c’è niente per me in questo posto.” Lo ripete a voce alta mettendosi a sedere e scostando le lenzuola. Guarda i primi bagliori che compaiono all’orizzonte attraverso la finestra aperta mentre salta giù dal letto. Si sfila la camicia da notte e la getta via, prende il cuscino e lo estrae dalla federa. In un angolo in fondo all’armadio prende i suoi vecchi vestiti, quelli che aveva quando è arrivato, non vuole niente che appartenga a quel luogo. Vuole dimenticare il palazzo, Oscar e … sì, anche la nonna, tanto lei interessa solo di Oscar ormai.

Indossa camicia e pantaloni, e si infila gli scarponcini che teneva sotto il letto. Infila tutto il resto nella federa, tiene fuori solo la giacca. Prende il tovagliolo che copre il vassoio sul comodino, lo stende sul letto e lo riempie con tutto il cibo che gli aveva portato la nonna la sera prima per cena, è un sacco di roba! Gli basterà fino a sera, se non addirittura fino a domani. Annoda i capi del fazzoletto a due a due, e infila il fagotto nella federa.

Si infila infine la giacca, di cui saggia l’interno delle tasche. Ritrova così tutte le toppe ricolme che ci ha cucito la mamma quando stava male, mostrandogli cosa ci avrebbe trovato: nella fodera della tasca destra le fedi dei suoi genitori, il suo anello di fidanzamento con un piccolo smeraldo verde (2), e un medaglione d’argento (3) al cui interno sa esserci i suoi capelli intrecciati a quelli dei genitori; a sinistra tre sacchettini con cinque lire di Tours e dieci soldi. La mamma gli ha spiegato bene che le lire di Tours valgono più di quelle di Parigi, che venti soldi fanno una lira, con cinque soldi può pagare un pasto con pane e carne in un’osteria o comprare una libbra di carne, mentre due soldi bastano per una libbra di pane (4). Mentre ripete mentalmente la lezione della mamma, si butta la federa a modi sacco su una spalla e si dirige verso la porta.

“Farò il garzone per un falegname!” esclama come se avesse ricevuto un’illuminazione, mentre dondola seguendo l’andatura della cavalcatura in mezzo alla boscaglia. In fondo sono sei mesi che tutti gli dicono che è diventato grande e deve comportarsi di conseguenza, e suo padre gli aveva detto che, appena fosse stato abbastanza grande, lo avrebbe preso a bottega.

Non ha incontrato nessuno lungo il percorso dalla camera alle stalle, tutti dormivano ancora. Come gli ha insegnato Jean-Luc, ha sellato e imbrigliato Golia, aiutandosi con il rialzo di uno sgabello, è salito in groppa e si è diretto lontano dal palazzo. È ancora convinto di non volere nulla che abbia a che fare con Oscar, e certo non è un ladro! Golia gli serve solo per allontanarsi il più possibile da quel luogo prima di procedere a piedi, sa bene che altrimenti lo ritroverebbero troppo facilmente. Quando sarà abbastanza lontano, lo lascerà andare e lui tornerà alla sua stalla.

Sono diverse ore che sta cavalcando e il sole è ormai alto nel cielo, la luce brillante filtra tra le foglie degli alberi che si vanno mano a mano diradando. Ha raggiunto un’ampia radura e poco lontano vede un grande albero che lambisce le sponde di un laghetto, la cui riva è punteggiata da bassi cespugli. È lontano dal palazzo e da un po’ lo stomaco ha cominciato a brontolare, può permettersi di fermarsi per un po’ e fare colazione, d’altra parte non ha mangiato nulla dalla mattina del giorno prima, fatta eccezione per la mela smangiucchiata in compagnia della nonna.

Raggiunto il laghetto, scende da Golia e lo lega per le briglie ai rami di un arbusto, quindi si siede all’ombra dell’albero, si toglie gli stivaletti e poggia i piedi nudi sull’erba fresca; sorride, si sente libero ed euforico. Tira fuori dalla federa il tovagliolo annodato, lo stende sull’erba e si sofferma un attimo per decidere cosa mangiare delle sue provviste.

Sta per addentare un pezzo di focaccia quando sente un rumore alle sue spalle: un legnetto che si rompe come se qualcuno lo avesse calpestato. Rimane incredulo con gli occhi sbarrati e la bocca spalcata quando, girandosi, vede chi ha causato quel rumore.

Oscar è sbucata dai cespugli! Deve essersi vestita da sola, perché ha ancora addosso la camicia da notte, che ha infilato alla bene e meglio nei pantaloni e uno degli stivali è parzialmente arricciato sulla caviglia. La manina è appesa alla lunga criniera argentata di Julius, che non ha né briglie né sella.

“Non ci sono riuscita…” dice con un filo di voce. Deve essersi accorta che lo sguardo di Andrè è passato da lei al pony.

“Cosa ci fai qui? Vattene!”

È saltato in piedi e si è allontanato da lei, fino a finire con i piedi in acqua.

“Io voglio andare via, non ti voglio più vedere!”

Lei ha lasciato andare la criniera e gli è corsa incontro.

“Mi ero alzata… non riuscivo a dormire … ti ho visto andare via… io non voglio che tu vada via!”

Ha allungato una mano verso di lui, ha la fronte corrugata e la voce un po’ tremante. Lui si è allontanato ancora, adesso l’acqua gli arriva alle ginocchia.

“Per continuare a farmi dispetti? Non m’importa nulla di quello che vuoi! Vai via!”

“Io non volevo che ti picchiasse… io sono contenta che anche tu stai a palazzo…”

Anche lei adesso ha raggiunto la riva, ma si è bloccata e guarda titubante l’acqua che lambisce le punte dei suoi stivali.

“Io invece non sono contento!... Cosa c’è Oscar, hai paura dell’acqua?... Cosa direbbe tuo padre se lo sapesse?” sa di averla punta sul vivo. Lo ha fatto apposta.

“Io non ho paura!” risponde con tono deciso, alzando la testa di scatto con lo sguardo scuro e la fronte aggrottata. Adesso avanza verso di lui a grandi passi e l’acqua le sta inghiottendo le gambe.

Lui si gira, le dà spalle e si allontana ancora. L’acqua adesso gli arriva alle spalle.

“Mio Padre ha detto che tu saresti stato mio…”

“Io non sono tuo! La mia nonna è già tua, non ti basta?... E non importa cosa dice tuo padre.” urla, adesso è veramente arrabbiato. Di nuovo.

Niente, nessuna risposta. Gli pare strano che non risponda, che non gli urli ancora che è suo e quindi deve restare. Dopo un attimo d’indecisione, si gira aspettandosi ti vederla infuriata sulla riva. Niente, … nessuna Oscar!

Dov’è finita? Deve essere scivolata con gli stivali sulle pietre limacciose.

“Oh, porc….”

La rabbia è defluita tutta in una volta, adesso è solo spaventato. Arrancando nell’acqua cerca di correre indietro verso la riva. Improvvisamente vede la testa bionda di lei riaffiorare dal pelo dell’acqua e altrettanto improvvisamente riaffondare, lasciando una scia di bolle.

“Andr….”

Deve essere scivolata di nuovo. Arrivato nel punto in cui l’ha vista affiorare si guarda intorno, attraverso la superficie dell’acqua, resa torbida dalla fanghiglia alzata dai loro movimenti. Quando finalmente la intravede, si abbassa e cerca di afferrarla, ma è finita in una buca, non ci arriva. Allora inala una grande boccata d’aria e s’immerge per raggiungerla (5).

Respira, ansima, fa una gran fatica a riempire nuovamente i polmoni d’aria sdraiato sul fianco sinistro sull’erba fresca della riva. Oscar ha appeno smesso ti tossire, anche lei ha il respiro grosso mentre se ne sta rannicchiata, con la mano ancora aggrappata alla sua camicia.

Ha faticato a portarla a riva, lei era pesante e si agitava talmente tanto da trascinare anche lui verso il fondo. Alla fine però ci è riuscito, ha riguadagnato il fondo basso e l’ha tirata fuori.

“Sei matta? Cosa credevi di fare?” si è alzato su un gomito.

La mano di lei è ancora stretta alla sua camicia e, ancora rannicchiata, nasconde lo sguardo.

“Non voglio che vai via… Mio padre ha detto che saresti stato mio…”

“Come te lo devo dire, io non sono…”

“… amico. Io non ho mai avuto un amico.”

Quella parola e la voce incerta di lei lo hanno bloccato.

“Hai detto che ti ho fatto dei dispetti. … scusa io non volevo. Io non sono mai stata con degli altri bambini. La tua nonna e le cameriere sono gentili con me, fanno quello che chiedo, ma lo so che è perché lavorano per mio Padre.”

Continua a parlare guardando in basso, ma la voce si sente un po’ meglio.

“Io non ho mai avuto un amico, ma se tu non vuoi essere mio amico… se vuoi… io posso essere tua… amica. Non so come si fa, ma se tu me lo spieghi farò meglio. Se me lo spieghi…”

Ha girato un pochino la testa e adesso lo sta guardando negli occhi di sbieco.

“… io imparo.”

Lo guarda ancora, la sua espressione è come sospesa in una muta domanda.

Lui non risponde nulla, stacca molto delicatamente la sua manina dalla sua camicia, si alza e si incammina verso l’albero, dove ha lasciato le sue cose.

Lei si alzata a sedere e lo guarda allontanarsi.

“Tieni!”

È tornato ed è in piedi davanti a lei. Ha preso il pezzo di torta che aveva nel fazzoletto, lo ha diviso in due e gliene sta porgendo una metà. Lei lo guarda prima negli occhi, poi con la stessa aria interrogativa guarda la sua mano tesa. Allunga lentamente la sua manina fino a prendere il pezzo di torta. Lo guarda di nuovo negli occhi, sorride e inghiotte la sua porzione in un solo boccone. Sorridono ancora i suoi occhi mentre continua a guardarlo masticando con le guance gonfie. Anche lui sorride adesso mangiando il suo pezzo di torta.

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Sono appena sbucati nello spiazzo sul retro del palazzo da un sentiero tra gli alberi. Alla fine sono tornati insieme, Andrè l’ha aiutata a risalire in groppa a Julius e lui è salito sul suo Golia sfruttando il rialzo di una roccia. Hanno riso e scherzato portando i pony al passo lungo la via di ritorno, hanno mangiucchiato il resto delle provviste. Adesso che sono arrivati il sole è alto nel cielo, deve essere passato mezzogiorno.

Scendono entrambi da cavallo, in lontananza vedono che c’è un gran movimento tra la servitù, che sembra correre avanti e indietro, dentro e fuori dal palazzo. È strano! Dovrebbero essere quasi tutti dentro, essendo ora di pranzo, chi a mangiare, chi a rassettare le camere e la cucina.

Mentre si avvicinano, è Jean-Luc il primo a vederli e a corrergli incontro.

“Oh, grazie a Dio siete tornati! Signorino Oscar! Eravamo tutti così preoccupati, è tutta la mattina che vi stiamo cercando!”

Prende i loro cavalli e si gira urlando.

“Signora Marie! Sono qui, sono tornati!”

Oscar ha afferrato la sua mano, insieme avanzano verso l’ingresso della cucina. Vedono la nonna che corre loro incontro.

“Oh, mio Dio! Dove eravate finiti? Voi volete farmi morire!”

Oramai li ha raggiunti ed è quasi ferma di fronte a loro.

“Oh, signore! Mah… come siete conciati?!”

Sentendo quelle parole si gira e guarda Oscar. In effetti, oltre ad essere ancora in camicia da notte, è tutta coperta di macchie di erba e terra e sulla destra i suo capelli e il suo viso sono impiastricciati di fango. Probabilmente lui è conciato nello stesso modo.

“Si può sapere dove eravate finiti?”.

È Oscar che risponde.

“Siamo andati a fare il bagno al lago!”

“Un… un bagno al lago? Mah, sentila lei…”

La nonna si è insinuata in mezzo a loro, li ha afferrati saldamente sotto il braccio e li sta trascinando velocemente verso le cucine.

“Una gita al lago! Vedrete quando il Generale tornerà e saprà cosa avete combinato!” borbotta prima di urlare “Annette! Prepara il bagno!”

Quando varcano la soglia delle cucine Annette sta già aspettando a fianco del catino pieno d’acqua. La nonna lascia un attimo Oscar per raggiungerlo, gli sfila giacca, scarpe e pantaloni, gettandoli vicini al camino e lo consegna alla giovane sguattera, che lo aiuta a entrare in acqua con tutta la camicia. Marie si dirige quindi verso Oscar, la afferra per il braccio e fa per portarla in camera.

Lei lancia uno sguardo verso il bambino, poi s’impunta e libera il braccio con uno strattone.

“No!” grida “io voglio fare il bagno qui con Andrè!”

“Oh, signorina! Dopo quello che hai fatto questa mattina, non è proprio il caso di fare altri capricci!”

La nonna sta per afferrarla di nuovo per il braccio, ma gli occhi di Oscar si sono fatti lucidi e il suo labbro inferiore ha preso a tremare.

“Oh, bambina…” la nonna si è fermata e la voce suona quasi commossa.

La mossa di Oscar è fulminea, si sfila gli stivali e i pantaloni e si lancia di corsa nel catino sotto lo sguardo attonito della nonna.

Saltando in acqua la bimba scivola, finendo con la testa sotto e facendo riversare un’ondata a terra. Riemerge tirando indietro i capelli e ride guardando il moretto.

“Bravi! Ci penserà il Generale a rimettervi in riga quando saprà cosa avete combinato!” brontola la nonna mentre nella cucina risuonano le risa dei due bambini.

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In fondo non è colpa di Oscar se è strana. È la figlia del generale, e il generale è molto strano!

Il generale era tornato nel pomeriggio, tutto in casa era tornato alla normalità. Lui e Oscar si erano trovati, come il giorno del suo arrivo, in piedi al centro del grande tappeto nello studio, mentre la nonna, che li aveva accompagnati, faceva un attento resoconto di quanto avvenuto con aria grave. Il generale aveva ascoltato con la solita aria severa, ma quando la nonna aveva cominciato a profondersi in scuse, si era lasciato andare a una sonora risata!

“Vedi Marie! Ho avuto ragione a voler mettere tuo nipote a fianco di Oscar. È già impavido come si addice a un valoroso soldato! Bisognerà lavorare ancora un po’ sulla disciplina, ma che mio figlio abbia cercato di partire per il suo grand tour a soli cinque anni va al di la delle mie più rosee aspettative!”

Il generale non aveva comminato loro alcuna punizione, peccato che invece la nonna non fosse stata dello stesso avviso!

Il sole è tramontato e lui è sdraiato prono sul suo letto, dopo che la nonna ha spedito Oscar nei suoi appartamenti e lui a letto senza cena dopo una sonora sculacciata.

Guarda il cielo fuori dalla finestra con la testa appoggiata sul cuscino mentre si massaggia una natica dolorante, quando sente la porta cigolare e il rumore sordo di piedi scalzi sul legno. Quando si gira, la porta si è già richiusa e Oscar è ferma in camicia da notte, tiene le manine unite davanti a sé e regge un tovagliolo bianco a formare un fagotto.

“Cosa ci fai qui?” domanda lui sorpreso, mettendosi in ginocchio sul letto.

“Ho portato questo, pensavo avessi fame!” risponde lei allungando le braccia a mostrargli quello che ha in mano.

Fissa il pacchetto ora, poi batte due volte la mano sul materasso per dirle di raggiungerlo e arretra un po’ per farle spazio. La biondina non aspetta altro, corre verso il letto, gli allunga il tovagliolo rigonfio, si arrampica sul materasso e s’inginocchia di fronte a lui.

Il tovagliolo bianco aperto sul letto rivela ora il suo contenuto: tanti biscotti alle mandorle e delle sfere lucide e arancioni che sembrano gioielli.

“E questi cosa sono? Mai visto niente di simile. Si mangiano?”

“Sono mandarini canditi (6)! Ho preso tutto nello studio di mio padre, ne riempiono sempre due ciotole sul tavolino, ma lui non mangia mai dolci.”

“Mandarini canditi…”

Lo ripete come per memorizzarlo, mentre s’infila in bocca fissandolo uno di quei dolci gioielli.

“Buono! Ma credo di preferire i biscotti.” dice mentre se ne infila in bocca due.

Sta ancora masticando quando vede comparire un sorriso furbetto sulla faccia di lei e gli arriva un deciso pugno sulla spalla.

“Ahia! Sei troppo manesca!” risponde lui sorridendo, sputacchiando briciole e tirandola giù sul materasso.

“Grazie!” le dice dopo un attimo, allungando la mano verso di lei.

“Prego” gli risponde mettendo la sua manina nella sua.

In silenzio continua a sgranocchiare biscotti, fino a quando si accorge che Oscar ha chiuso gli occhi, si sta addormentando.

“Oscar, svegliati, non puoi dormire qui, la nonna ci punirà di nuovo!”

Ma lei è già addormentata, la voce ha solo l’effetto di farla sbadigliare mentre si infila la mano libera sotto la guancia e avvicina l’altra stretta alla sua, fino a che le dita di lui non sfiorano la pelle morbida sulle palpebre.

Si lascia andare anche lui sul cuscino, le palpebre sono pesanti e la possibile punizione della nonna non gli fa poi tanta paura mentre gli occhi si chiudono e scivola nel sonno. Oscar ha un profumo così buono, sa di latte, la sua pelle è così liscia sotto le dita, ed è così calda la piccola mano bianca che stringe la sua.




Nelle acque della purezza, mi sono sciolto come sale

Né eresia, né fede, né convinzione, né dubbio sono rimasti.

Al centro del mio cuore è apparsa una stella

E tutti i sette cieli si sono persi in essa.

Mewlana Jalaluddin Rumi

NOTE:

(1) Mi servivano un po’ di questi aneddoti dell’insopportabile piccola Oscar e non ho potuto fare a meno di prendere in prestito questo da “Perduto per sempre” di Hipopo http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=660816&i=1

(2) Omage a “Il mio Andrè” di Mina7Z http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=976609&i=1

(3) Omage a “La villeggiatura” di Macchia Argentata http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=688360&i=1

(4) Guida pettegola al Settecento Francese, F.S.Bosi, ed. Sellerio

(5) Evento a cui si fa riferimento nell’episodio “La scelta”

(6) Ne “La donna del XVIII secolo” dei fratelli Goncourt, pare che il massimo della golosità da regalare ai bambini all’epoca fossero le arance. Usanza innegabilmente molto sana! Però per renderlo un po’ più goloso all’occhio contemporaneo ho pensato a questa soluzione.

Angolo dell’autore:

Onore agli eroi che sono arrivati in fondo a questo interminabile capitolo! Spero non sia stato un supplizio e che le scelte stilistiche fatte, per il POV del piccolo Andrè (tono Naif e frammentarioe inizio un po’ “Senza famiglia”) e il mantenimento di strutture “ad anello”, non siano risultate troppo forzate.

Per il POV ho principalmente cercato di semplificare e schematizzare, ma purtroppo mi rendo conto di non essere Frank McCourt.

Grazie a chiunque abbia impiegato sul tempo per leggere e chi vorrà recensire.

Sabre

I MIEI DISEGNI: SABREdeviant
   
 
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