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Autore: Nephilim13    17/06/2014    0 recensioni
Una figlia speciale, nata ancora prima di Clary e Jonathan, riuscita a scappare da suo padre dopo anni di torture e violenze, fisiche e psicologiche, da parte dei suoi scagnozzi Pangborn e Blackwell.
Ivy ha poteri che nessuno immagina, ma potranno questi salvarla dal destino oscuro che incombe su di lei? Riuscirà ad allontanarsi definitivamente da suo padre?
|Clace|Malec|Sizzy|NuovaCoppia
Deviai in un vicolo buio e mi lasciai cadere con il sedere per terra stremata, sudata e ansimante. Il vicolo era talmente stretto che non potevo nemmeno stendere le gambe, così le portai al petto e cercai di far tornare il respiro regolare. Avevo i polmoni in fiamme: non avevo mai corso così tanto e così veloce. Un grande cerchio bianco si stagliava nel cielo scuro della notte, e in quel momento la luna era l'unica luce che avevo a disposizione. Una lacrima di gioia mi rigò la guancia, mentre un leggero sorriso soddisfatto cominciava a nascere sulle mie labbra. Sollevai la testa di scatto: qualcosa si era mosso. Feci scivolare la mano nel cappotto e tirai fuori il pugnale che ero riuscita a sottrarre a mio padre.
Genere: Azione, Dark, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Jace Lightwood, Jonathan, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Valentine Morgenstern
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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«Siamo a casa!» gridò Alec al vuoto. Ci avviammo verso la fine del corridoio, dove mi trovai davanti un enorme ascensore, le quali porte si aprirono non appena Jace premette il pulsante apposito. Li seguii all'interno; Alec premette un tasto, le porte si chiusero e l'ascensore cominciò la sua corsa priva di uno stralcio di conversazione. 
Arrivati a quello che presumevo fosse il primo piano, le porte si spalancarono nuovamente, ed io ebbi un giramento di testa più forte degli altri non appena fui uscita. Poggiai entrambe le mani contro una parete e chiusi gli occhi, respirando profondamente e lentamente. 
«Credo che tu debba stenderti.» disse Alec.
«Giusta osservazione. Sai, non ci avevo proprio pensato.» ribattei con un'ironia fredda, gli occhi ancora chiusi. Mi pentii subito di come avevo risposto: non avrei voluto trattarlo in quel modo, in fondo mi stava soltanto dando un consiglio. Ma ero cresciuta in mezzo a commenti fin troppo sarcastici e spesso molto bruschi, io stessa ci ero abituata.
«Scusa. Non volevo risponderti così male.» mi scusai mentre aprivo gli occhi per guardarlo in faccia. Sembrava che il mio commento non lo avesse nemmeno sfiorato. 
Forse anche lui era abituato a sentirli dire ogni giorno.
«Non preoccuparti.» disse infatti. Mi staccai dal muro e mi lasciai guidare lungo un lungo corridoio, decine di porte per ogni lato. Per chi non conosceva quell'ambiente, sarebbe stato molto facile perdersi. Fortuna che la mia era una memoria alquanto fotografica. Ci fermammo e Jace aprì una porta che, a mio parere, aveva scelto con l' "ambàrabàcìcìcòcò".
Mi fece segno con la mano di entrare.
La stanza non era altro che la fotocopia della camera dove avevo vissuto fino a qualche ora prima, vale a dire un letto, dei mobili per tenerci i vestiti e oggetti personali vari, uno specchio e un bagno. 
Non appena entrai mi lasciai ricadere sul letto, stremata. 
I ragazzi entrarono e chiusero la porta dietro di loro. 
«Preferisci vedere Hodge adesso o vuoi prima riposarti?» chiese Jace, anche se sembrava conoscere già la risposta. 
«Hodge Starkweather?» chiesi sorpresa guardandoli dritto in faccia. Loro annuirono, confusi. Mi misi seduta con un sorriso amaro stampato in faccia: scappavo via da uno, e me ne ritrovavo un altro. 
«E' lui che ha la guida dell'Istituto?» domandai togliendomi la giacca e gettandola dall'altra parte della stanza. 
«No, sono i miei genitori ad averla, Maryse e Robert Lightwood.» rispose Alec. «Hodge è soltanto il nostro tutore.»
Avrei dovuto immaginarlo. 
Ricordavo vagamente che una volta Valentine mi aveva raccontato che i Lightwood non avevano ricevuto come punizione la stessa maledizione di Hodge, ovvero non poter mettere piede fuori dall'Istituto, soltanto perchè loro avevano delle conoscenze all'interno del Conclave. 
A Hodge era semplicemente toccata la pagliuzza più corta. 
Bene, non me ne sarei ritrovata soltanto uno, ma tre. Sembrava proprio che fossi costretta dal fato crudele a dover convivere sotto lo stesso tetto di Cacciatori che avevano aderito al Circolo, la "squadra segreta" che mio padre aveva fondato.
«Voglio vederlo adesso, grazie.» Mi stesi nuovamente sul materasso morbido che attirava le mie palpebre stanche a chiudersi come una calamita. Avrei resistito. 
Jace e Alec uscirono, lasciandomi sola. Hodge non sapeva nulla di me, non sapeva nulla di un'altra figlia di Valentine.
A dirla tutta nessuno lo sapeva, oltre Magnus e gli uomini di mio padre.
Pensandoci, avrebbe di sicuro voluto sapere il mio cognome, visto che avrei alloggiato per un bel pò in quest'Istituto, se tutto fosse andato secondo i miei piani. Già, ma quale sarebbe stato il mio cognome? Non avrei certo rivelato che mio padre era Valentine Morgenstern, questo era ovvio. Ma se fosse andato a riferire al Conclave il cognome falso che avrei fornito, questi ultimi avrebbero di sicuro riscontrato delle incompatibilità. 
Un'idea mi attraversò la mente non appena la porta si aprì.
Mi alzai lentamente, attenta a non fare movimenti troppo bruschi per evitare un nuovo mancamento.
«Ciao. Io sono Hodge.» disse. Strinsi con forza la mano che mi stava porgendo. 
Rispetto alle foto che mi avevano mostrato, Hodge era invecchiato tantissimo. 
La pancetta, i capelli e la barba bianchi gli conferivano un'aria da Babbo Natale, donandogli un nonsochè di compassionevole.
No, di compassionevole c'era soltanto l'espressione afflitta dei suoi occhi stanchi.
Non doveva essere facile continuare a trattare con Valentine, perchè era ciò che stava facendo, lo sapevo. Per la Coppa Mortale.
«Io sono Ivy.» mi presentai a mia volta. 
Il mio cognome restò sospeso nell'aria e volteggiava intorno a noi, bisbigliando alle nostre orecchie come diavoletti dispettosi.
«Da dove vieni, Ivy?»
«Da Londra, in realtà.» mentii. «La mia è una storia un tantino lunga.»
«Ho tempo.» rispose dolcemente Hodge, sedendosi sul letto accanto a me. A quel punto indossai la mia maschera da bugiarda, quella che avevo imparato a perfezionare nei minimi dettagli nel lasso di tempo della mia vita: impassibile, fredda, distante. 
«In realtà non lo è tanto, e cercherò di abbreviarla comunque. Sono stanca.»
«Capisco. Ma, se vuoi, possiamo tranquillamente parlare domani con calma...» iniziò l'uomo.
«No, no. Preferisco togliermi questo peso. Sono cresciuta in una famiglia di Mondani fino a due anni fa, quando sono morti entrambi per un incidente stradale. Allora, qualche mese dopo la loro morte, scoprii che loro due non erano i miei veri genitori, ma che mi avevano adottata.» Interruppi per sbadigliare. Ne approfittai per fare uscire una lacrima, che mi asciugai subito. Lo sguardo di Hodge s'intenerì ulteriormente. Raziel, quanto ero falsa. 
«E tu scopristi di essere una Cacciatrice.»
«Esattamente.» ripresi. «Con l'aiuto di Magnus Bane, non so se lo conosce...»
«Oh, per favore, dammi del tu. Mi fai sentire vecchio.» disse ridacchiando. «Comunque, certo che lo conosco.»
«Bene. Con il suo aiuto riuscii a scoprire la vera identità di mio padre. Non ho mai saputo chi fosse mia madre.»
Non era in parte una bugia: non sapevo nulla di nulla per quanto riguardava il mio lato materno, sapevo soltanto che mia madre non era la moglie di Valentine, una certa Jocelyn Fairchild. Ogni volta che avevo provato a estorcere qualche informazione a Valentine, lui si era chiuso come un riccio, trovando subito un pretesto per cambiare argomento.
«E chi è tuo padre, dunque?» chiese Hodge, impaziente di conoscere la morale della favola.
«Mio padre era Stephen Herondale.»
   
 
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