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Autore: Mela Shapley    17/06/2014    2 recensioni
Marzo, 1943: la Camera dei Segreti libera per la prima volta i suoi orrori, e mentre il panico dilaga alcuni studenti di Hogwarts rimangono vittima di misteriose pietrificazioni. Ma quello di Salazar Serpeverde potrebbe non essere l'unico mostro a vivere nel castello...
Dalla storia:
I suoi occhi ora erano rossi, iniettati i sangue. Le vene del suo viso erano in risalto come nuove cicatrici. Ringhiava minacciosamente, mettendo in evidenza i denti innaturalmente allungati e appuntiti.
[…]
“Cosa sei?”, balbettò.
“Sono la stessa cosa che ora sei anche tu,” rispose, e poi alzò un sopracciglio. “Sono un vampiro.”
Genere: Drammatico, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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Dal capitolo precedente:

Era la prova che collegava l’Erede di Serpeverde all’attentato del corridoio al settimo piano, disse qualcuno; era ridicolo pensare che nella stessa sera ci fossero stati ben due incidenti separati. Il secondo attacco era inequivocabilmente collegato alla Camera dei Segreti, ergo doveva esserlo anche l’esplosione.
La vittima, le dissero, era una Corvonero del quarto anno; sopra il suo cadavere freddo, ritrovato in un bagno al secondo piano, campeggiava in rosso la scritta ‘Per la gloria dell’Erede di Serpeverde’.
Si chiamava Mirtilla.
Katerina guardò intorno a sé i suoi compagni di Casa sconvolti, e sentì qualcuno dall’altro capo della stanza sussurrare a un vicino che sì, Mirtilla era stata la prima a morire a causa della Sindrome, ma chissà quanti ne sarebbero seguiti.
Non è stata la prima, pensò amaramente Katerina. E forse non sarebbe nemmeno stata l’ultima. [...] Si rendeva conto solo in quel momento di aver ricevuto la responsabilità di fermare quella serie di attacchi, e di aver fallito. Peggio, non aveva neanche provato. Quel discorso funebre ne era la triste prova.


 
* * *


Dopo la morte di Mirtilla, la vita ad Hogwarts mutò radicalmente.
Il pericolo era rimasto sottinteso per mesi, nascosto sotto un apparenza ostentatamente tranquilla. Le strane pietrificazioni avevano messo a disagio la popolazione della scuola, ma era stato un disagio simile a una giornata di pioggia: una faccenda provvisoria che, se ignorata sufficientemente a lungo, sarebbe passata da sola, fino a che non fosse giunto il momento di godersi i primi raggi di sole e dimenticarsi del vecchio grigiore. Ma la pioggia non era passata; anzi, si era trasformata in un disastroso uragano che aveva gettato nel panico gli studenti e massacrato la loro fiducia nelle autorità scolastiche.
 
Il sentimento predominante era la paura, per sé e per i propri amici. Percorrere corridoi deserti significava occhieggiare nervosamente ogni angolo per chiedersi se ci sarebbe stato qualcuno nascosto dietro; salutare i compagni di Casa per poi dirigersi verso la Guferia a spedire una lettera voleva dire leggere nei loro occhi il dubbio che non saresti più tornato indietro; lo scetticismo dipinto sui visi di chiunque incrociassi per strada chiedeva a gran voce se eri tu, proprio tu, lo psicopatico che voleva sterminare chiunque non gli andasse a genio.
Ciò che rendeva la situazione ancora più terrificante era che il colpevole non aveva occhi, non aveva faccia, non aveva un corpo; aveva solo mani che scrivevano sui muri frasi del colore del sangue, un potere antico che dispiegava contro la scuola, e un’ideologia che – sebbene condivisa da molti – non era sufficiente per mascherare l’orrore di cui era capace.
L’intolleranza verso i Mezzosangue e i Nati Babbani era aspra e vivida: lo era sempre stata, ma negli ultimi decenni la politica mondiale, con i maghi che si immischiavano nelle guerre Babbane, aveva contribuito a peggiorare le cose. Era un odio che veniva fatto fermentare per anni nelle menti dei Purosangue fin da quando erano piccoli; i loro genitori insegnavano a temere e disprezzare tutto ciò che proveniva dal lercio mondo Babbano, e quando ad essi subentrava l’educazione scolastica quella convinzione veniva solamente esacerbata. I Mezzosangue erano diversi da loro, lo si notava subito; i loro sguardi si meravigliavano fastidiosamente per le cose più banali, come se fossero bestie ignoranti. Facevano domande che mai nessun buon mago si sarebbe sognato di porre. Costringevano i loro compagni Purosangue ad adeguarsi al loro lento passo durante le lezioni. Avevano una mentalità estranea, un paio d’occhi che guardavano il mondo in modo diverso, sbagliato. Avevano meno potere, meno magia nelle loro vene, meno possibilità di trovare la loro strada presi com’erano dal tentativo di vivere in due mondi separati. Erano penetrati nella comunità magica di soppiatto, rubando un posto per cui non erano degni.
Che qualcuno avesse deciso di resuscitare il potere di Salazar Serpeverde per depurare la magia di Hogwarts da quella corrotta dei Nati Babbani e Mezzosangue era perciò crudele, ma non sorprendente. Ciò che invece destava il terrore dei Purosangue era che il ragazzo di Corvonero che era quasi rimasto ucciso nell’esplosione del quinto piano non aveva una goccia di sangue Babbano in corpo; proveniva, anzi, da una delle famiglie più nobili della comunità magica.
La cruda verità era quindi chiara a tutti: si trovavano davanti a un profeta che intendeva assicurare la caduta dei Sanguesporco nella polvere, ma che non si sarebbe fermato davanti a niente pur di raggiungere il suo obiettivo – nemmeno davanti al più puro dei Purosangue. Improvvisamente, la sua ideologia era diventata molto più pericolosa e meno condivisibile.
 
Nessuno usciva più dalle proprie Sale Comuni se non strettamente necessario, mentre alcuni ragazzi si rifiutarono addirittura di frequentare le lezioni in blocco. Ogni singolo studente doveva essere accompagnato da qualcuno, preferibilmente un professore, persino per andare in bagno.
Nonostante le parole di conforto, le autorità di Hogwarts non sembravano fare passi avanti nella ricerca dell’Erede di Serpeverde e della Camera dei Segreti. Correva addirittura voce che presto la Scuola sarebbe stata chiusa per garantire la sicurezza degli studenti.


* * *


Il giorno dopo gli attentati le prime lezioni furono cancellate, e Tom Riddle venne fino alla Torre di Corvonero per chiedere di Katerina.
Mentre si alzava per raggiungerlo, Katerina si ritrovò a pensare che doveva assolutamente prendere una decisione definitiva riguardo la loro relazione. Gli avvenimenti della sera precedente avevano gettato una nuova luce su tutto. Le facce serie dei suoi compagni di Casa le ricordavano costantemente che Mirtilla era morta, che era stata uccisa perché lei non aveva fatto nulla per fermare il suo assassino.
Era come essersi improvvisamente svegliati dopo un sogno meraviglioso e ricordare che la realtà è molto più difficile, intricata e pericolosa di quanto si è sognato.
Onestamente non sapeva se Tom fosse davvero l’Erede di Serpeverde, ma poteva davvero permettersi il lusso di restare con il dubbio? Per Merlino, una parte di lei aveva ricominciato a pensare che il suo ragazzo fosse responsabile di tutto ciò che stava accadendo, e lei continuava a stare con lui come se nulla fosse, senza fare nulla per accertarsene. Non era normale.
Il tarlo del dubbio le aveva infastidito la mente per settimane, nutrendosi delle sue insicurezze e dei suoi pensieri negativi, fino a trasformasi in un grasso mostro maligno che ora non poteva più far finta di ignorare.
D’altro canto, riflettè mentre allungava una mano verso il pomello della porta di ingresso della Sala Comune - se Tom era davvero pericoloso, allora nessuno meglio di lei poteva stargli vicino e tenerlo d’occhio: la sua natura di vampira la rendeva più forte, più veloce e più letale di qualunque altra ragazza attualmente a Hogwarts.
 
Se invece si fosse trattato di un malinteso, beh, un giorno forse gli avrebbe chiesto perdono.
 
Mentre apriva la porta, Katerina si chiese dove fossero finiti i sentimenti che fino a poco tempo prima aveva sentito bruciare per quel ragazzo. Erano esistiti, lo sapeva; se li ricordava come pennellate di un quadro dipinto da qualcun altro. Erano ancora da qualche parte dentro di lei, ma l’ansia per ciò che stava accadendo ad Hogwarts e il senso di colpa per la morte di Mirtilla sembravano averli spenti di colpo. Forse Louis aveva ragione: anche quando era ancora umana era sempre stata fredda nei confronti delle altre persone, ma la vita da vampiro la stava trasformando in una persona crudele e insensibile.
 
Se qualcuno, pochi mesi prima, le avesse rivelato che di lì a poco Tom Riddle sarebbe diventato il suo ragazzo, lei ci avrebbe riso su. Eppure eccolo lì, fermo alla base della Torre con le spalle dritte e il viso rivolto verso l’alto, a osservarla attentamente scendere le scale. Ora capiva; ora si rendeva conto di cosa fosse in lui ad attirare la gente, come se vederlo dall’alto aiutasse a diramare la foschia che si infilava nella mente di chi gli parlava da vicino.
Anche in quella semplice posa, la sua postura rivelava una eleganza e una sicurezza di sé raramente riscontrabile in ragazzi della loro età; ma erano soprattutto gli occhi a colpire. Non si trattava di semplice carisma: il potere che si riversava dal suo sguardo faceva correre brividi nelle schiene di coloro su cui si posava; li rendeva consapevoli che tutto ciò che desideravano dalla vita era vedere la sua bocca distendersi in un sorriso di approvazione, e i suoi occhi illuminarsi di benevolenza nei loro confronti. Era come se Tom, con la sua sola presenza, promettesse un mondo colmo di magiche meraviglie di cui tutti volevano avere almeno un assaggio.  
 
Quando finalmente lo raggiunse, Tom non esitò a sfiorarle i capelli con una mano, per poi stringerla a sé in un abbraccio. Rimasero così per qualche istante, in silenzio, fino a che Tom non abbassò lo sguardo su di lei.
“Katerina,” sussurrò, e in quelle poche sillabe c’erano mille sfumature di ansia, preoccupazione e – e qualcos’altro che lei non sapeva bene come identificare. Sentire il suo nome pronunciato in quel modo da lui era un Ardemonio acceso sotto la pelle.
“Come ti senti? Louis Henry mi ha riferito che sei rimasta coinvolta nell’attentato di ieri sera,” le chiese piano, riprendendo ad accarezzarle i capelli.
Katerina gli sorrise tristemente, assorbendo il conforto fornito dal calore delle sue braccia.
“Sto bene, non ti preoccupare. L’esplosione ci ha solo presi di striscio.”
“Sono terribilmente dispiaciuto per la tua compagna di Casa,” riprese Tom, guardandosi discretamente intorno. “Purtroppo nessuno sa cosa possa esserle accaduto. Noi Prefetti abbiamo solamente ricevuto l’ordine di stare più attenti che mai. I Capiscuola non sanno cosa consigliarci, e i professori sono nel caos. Dicono che forse la scuola verrà chiusa.”
“Ho sentito,” ammise lei. “Forse è la scelta giusta. E’ pericoloso lasciare tutti questi ragazzi in balia di un pazzo.”
Tom annuì, pensieroso.
“Hai ragione. Se penso a quanto sei andata vicina a restare ferita, o peggio, io –“
Non terminò la frase, ma lei vide il suo volto impallidire lievemente. Gli strinse una mano come per rassicurarlo.
“Non hai notato nulla?”, continuò di getto il ragazzo. Lei scosse la testa, rammaricata; la stessa domanda le era già stata posta da molte persone. “Chi ha lanciato l’incantesimo doveva essere molto vicino. E poi, perché ha preso di mira proprio voi, e perché in quel modo?”
Perché vuole dimostrare che sa che siamo vampiri, era la risposta che avrebbe dovuto dargli.
“Perché Mirtilla?”, fu invece ciò che disse Katerina, in un tono che le uscì più veemente di quanto avesse voluto. “Perché uccidere una ragazzina sola e indifesa, che si era solamente nascosta in bagno per piangere?”
Gli occhi di Tom brillarono di un sentimento indefinito.
“L’hai detto tu stessa,” fece lui dolcemente. “E’ un pazzo, e non saremo al sicuro fino a che non verrà fermato. Katerina, perdona la mia insistenza – so che è un momento molto difficile per te, ma cerca di riflettere su ogni dettaglio che riesci a ricordare a proposito di quanto è accaduto ieri sera. Tu, Henry e Hopkins siete le uniche vittime ancora in grado di parlare, e oltretutto questo vi rende un bersaglio a rischio. Non mi interessa se la scuola viene chiusa – l’unica cosa che voglio è sapere che tu stai bene.”
La sua voce era pura musica che si insinuava nella mente, più carezzevole della mano calda posata sui suoi capelli.
Lei gli sorrise, di un sorriso triste.
“Non temere, Tom,” gli disse guardandolo negli occhi. “Sono sicura che tutto si risolverà per il meglio. Il colpevole potrebbe aver lasciato dietro di sé qualche traccia di cui non si è ancora reso conto.”
Sapeva benissimo che non era così, ma il colpevole invece non poteva averne l’assoluta certezza, di chiunque si trattasse. Attese di vedere una qualsiasi reazione nel volto di Tom che fosse diversa dall’ansia che ostentava per lei, ma non accadde nulla.
“Spero che tu abbia ragione, tesoro,” si limitò a sorriderle, e poi appoggiò delicatamente le labbra sulle sue. Era un bacio casto, ma la vicinanza e il profumo di Tom lo rendevano incredibilmente seducente, carico di promesse taciute.
 
Osservandolo allontanarsi, Katerina si chiese se la sensazione di aver appena avuto una conversazione a doppio senso fosse solo un parto della sua mente. Scosse la testa, cercando invano di scacciare la confusione che le annebbiava i pensieri.
 
 
* * *
 
 
La questione da sistemare con più urgenza era Flora, l’unica altra abitante nota della scuola a conoscenza del segreto di Katerina e Louis. Katerina non aveva mancato di notare che nessuna folla urlante li aveva ancora assaliti con paletti di legno, e l’unica spiegazione possibile era che la ragazza dopotutto avesse rispettato il loro patto.
 
Katerina non sapeva quale fosse la ragione che aveva convinto Flora a non dire a tutti che ad Hogwarts c’erano due vampiri; forse si era resa conto che, con l’imperversare di quella caccia al colpevole, due capri espiatori non avrebbero avuto alcuna possibilità di sopravvivere al clima attuale. Forse i suoi sentimenti per Louis erano stati abbastanza forti da non volerlo gettare in pasto alle belve alla prima occasione; o forse si trattava di entrambe le cose. Qualunque fosse il motivo, Katerina ne era grata. Ma si sarebbe sentita molto più al sicuro non appena il problema fosse stato sistemato: così come ora stavano le cose, Flora era un rischio enorme, un peso nel petto che andava a sommarsi all’oppressione che avvertiva da quando Mirtilla era morta.
A tal proposito, due giorni dopo l’attentato Katerina si alzò dal tavolo di Corvonero in Sala Grande e si diresse a passo sicuro verso quello di Tassorosso. Individuò una nota testa bionda e le si chinò accanto, parlandole in modo che fosse l’unica a udirla.
“Louis ed io ti vorremmo parlare,” disse a Flora in un orecchio. “Potresti seguirmi? Di’ agli altri che mi stai accompagnando in bagno.”
Sentì Flora irrigidirsi. La ragazza aveva un’aria guardinga e molto meno solare del solito, e il suo viso era segnato da pesanti ombre scure sotto gli occhi come se negli ultimi giorni non avesse dormito a sufficienza. Rimase immobile per un momento, ma dopo la breve esitazione annuì brevemente e fece come Katerina le aveva suggerito.
 
Il bagno delle ragazze del secondo piano era chiaramente off-limits dopo il ritrovamento del cadavere di Mirtilla, e Katerina fece scena di dirigersi verso quelli del primo. Appena fu sicura di non essere vista, però, deviò verso un corridoio secondario poco frequentato. Louis era là ad attenderle, appoggiato al muro con le braccia incrociate.
“Ciao, Flora,” le disse quietamente. La ragazza alzò gli occhi dal pavimento e lo vide, guardandolo con più tristezza e meno rabbia dell’ultima volta che si erano parlati.
“Non ho detto a nessuno del vostro segreto,” disse subito, scuotendo la testa. “Non credo siate stati voi ad aprire la Camera dei Segreti, e anche se non mi piace l’idea di avere due vampiri in mezzo a dei ragazzi innocenti… non volevo che dessero la colpa a voi per quegli attentati.”
“Grazie. Sapevo di potermi fidare di te,” le disse pacatamente Louis.
“Allora perché mi avete portata qui?”, ribattè Flora, mentre un improvviso lampo di sfida le animava gli occhi.
Katerina e Louis si scambiarono uno sguardo veloce, senza rispondere alla domanda. Poi Katerina fece qualche passo verso il muro e si appoggiò ad esso con la schiena, per restare in disparte, mentre Louis al contrario si avvicinava lentamente a Flora, che non aveva staccato per un secondo lo sguardo da lui.
Guardami,” disse lui prendendole delicatamente il mento tra le dita, e Katerina vide il viso di Flora rilassarsi, le sue pupille dilatarsi e i suoi occhi guardare Louis con concentrata attenzione.
Il significato di quell’evento fece rilasciare a Katerina il respiro che non si era accorta di trattenere. L’effetto della verbena era svanito; la mente di Flora era di nuovo controllabile.
 
Louis sembrò giungere alle stesse conclusioni e strinse le labbra in una linea dura, mentre Flora sbatteva gli occhi come per liberarsi da un’allucinazione e faceva un passo indietro.
“Un momento,” disse nervosamente, alternando lo sguardo dall’uno all’altra. “Volete fare quello che non siete riusciti a farmi l’altro giorno, vero? Volete farmi dimenticare quello che ho visto.”
“E’ meglio per tutti,” le disse gentilmente Louis. “Non è prudente per te sapere queste cose.”
“Non è prudente per voi, intendi dire. E per quanto riguarda noi due?”, ribattè Flora, guardandolo negli occhi.
“Non ci sarà più nessun ‘noi due’. Non può continuare, Flora. Rischierei solo di farti del male. Non sono la persona giusta per te.”
“No,” sussurrò la ragazza. “Louis, ci ho pensato. Io – io non posso credere di non aver mai capito cosa sei. Mi dispiace. Avrei dovuto accorgermene prima, e forse mi ci vorrà tempo per accettare quello che sei, ma non voglio lasciar perdere tutto così.”
Davanti a quelle parole Louis esitò, e nei suoi occhi si infilò una traccia di dubbio.
 
Katerina sentì il suo stesso respiro accelerare, e appoggiò la nuca alla parete. Lo sapeva, sapeva perfettamente che Louis nel suo cuore sperava che Flora gli tendesse la mano e lo accettasse per quello che era; sapeva che non desiderava altro che il suo perdono. Batté nervosamente le dita sulle pietre fredde del muro, chiedendosi se, dopo quello che la ragazza gli aveva appena detto, lui avrebbe ceduto alla tentazione di lasciarle la memoria.
Katerina avrebbe voluto staccarsi da lì, avvicinarsi come una furia agli altri due e strappare via personalmente i ricordi dalla testa di Flora, perché sapeva che era la cosa migliore da fare – forse non la più giusta, ma la migliore per loro sì.
Ma non era suo diritto intromettersi. O forse sì? Il segreto era anche suo, dopotutto. Ma non se la sarebbe mai sentita di costringere l’altro vampiro a lasciar perdere Flora contro la sua volontà.
Louis avrebbe presto fatto la sua scelta, e lei in quel momento decise che l’avrebbe rispettata a qualunque costo, senza fare altro in proposito.
Scrutò attentamente l’espressione preoccupata di Louis, la sua bocca serrata, gli occhi grigi che a loro volta esaminavano il volto della ragazza davanti a lui. Era serio, quasi impassibile, ma si potevano ancora riconoscere gli indizi che rivelavano la sua indecisione.
 
Poi inaspettatamente i loro occhi si incrociarono, come se si fosse ricordato in quel momento che anche Katerina era lì, e lui la esaminò intensamente come se la risposta alla sua domanda fosse scritta nei lineamenti del viso di lei. Katerina gli restituì l’occhiata cercando di non lasciar trapelare nulla di quello che pensava, e dopo qualche eterno istante Louis distolse lo sguardo da lei e lo fissò nuovamente su Flora. In quel breve tragitto i suoi occhi sembravano aver guadagnato qualcosa di diverso, un’ombra di risoluzione.
Katerina lo vide avvicinarsi a Flora, e qualcosa in quella scena le fece inspiegabilmente stringere il cuore. Poi, dopo qualche secondo che le sembrò interminabile, osservò mentre Louis dava a Flora un bacio sulla fronte, e le si spezzò il fiato.
“Non è colpa tua. Non avresti mai potuto accorgertene,” lo udì sussurrare. Flora gli sorrise timidamente, e poi…
Dimentica che Katerina ed io siamo vampiri,” ricominciò il ragazzo, guardando Flora con fermezza. Lo sguardo della ragazza si rilassò di nuovo e Katerina chiuse gli occhi, ascoltando con sollievo le parole di Louis e cercando calmare il respiro.
Dimentica di aver visto la nostra trasformazione di due giorni fa. Non ricorderai di aver dubitato di noi. Oggi, io e te ci siamo lasciati di comune accordo perché ci siamo resi conto di non essere compatibili. Ti sentirai un po’ triste per la fine della nostra storia, ma poi volterai pagina e andrai avanti, sapendo che è stato meglio così.
 

Più tardi, dopo essersi assicurati che Flora ritornasse in Sala Grande sana e salva, Katerina si voltò a scrutare Louis.
“Stai bene?”, gli chiese con tono di voce un po’ incerto.
Il ragazzo scrollò le spalle.
“Sì, penso di sì. Sono contento che non sia più implicata in questa storia. Lei merita di avere al suo fianco una persona decente, qualcuno che non sia sempre sull’orlo di abusare del suo sangue e della sua mente – non uno come me. Chissà, forse, se non fossi mai diventato quello che sono, Flora sarebbe stata quella giusta. Ma non è così che è andata, no?”
 
Louis parlava in tono tranquillo, ma un sottile velo di tristezza gli scuriva gli occhi, e le sue ultime parole avevano una sfumatura di rimpianto. Katerina gli toccò delicatamente il braccio per fargli capire che non era solo, che lei capiva perfettamente quanto bruciava la sensazione di non poter più avere qualcosa che desiderava.
Louis sembrò rilassarsi impercettibilmente al suo tocco, e proseguì il discorso.
“Sai, da un lato so di aver preso la decisione più sensata, ma dall’altro comincio a capire perché non ti piace controllare la mente delle persone. Con gli estranei non mi è mai importato, ma Flora… cancellandole la memoria le ho completamente tolto la libertà di scegliere. Lei avrebbe voluto ricordare tutto,” continuò gravemente, lanciandole un’occhiata quasi colpevole.
Abbiamo,” lo corresse lei in tono fermo. “La responsabilità è anche mia. Louis, avremmo anche potuto decidere di lasciarle la memoria, ma sai bene che… che sarebbe stato un problema. Non solo per noi: anche per lei. Almeno da adesso sarà al sicuro da chi cerca di fare del male a noi.”
Alle sue parole, Louis prima fece una smorfia e poi le sorrise furbescamente.
“Da chi cerca di farci del male, eh? Già, tutte queste chiacchiere mi avevano fatto dimenticare che in circolazione c’è un Erede di Serpeverde sul piede di guerra. Per Merlino, il solo pensiero mi fa venire voglia di darmi all’alcool. Sai, una volta avevo una bottiglia di Firewhiskey del 1921, ma poi qualcuno l’ha buttata giù dal tetto. Proprio non riesco a ricordare chi sia stato; i miei ricordi sono un po’ confusi.”
Nonostante la situazione, Katerina rise. Louis la osservò con aria divertita, poi il suo sorriso si spense lentamente.
“In tutti questi mesi non ho mai trovato il coraggio di lasciare Flora perché ero convinto che, una volta arrivato il momento di scegliere tra lei e il mio segreto, avrei scelto lei. Invece stasera è stato difficile come pensavo, ma alla fine non ho scelto lei, ho scelto -”
Louis si bloccò di colpo con la bocca leggermente socchiusa, come se avesse improvvisamente realizzato qualcosa di così sorprendente da impedirgli di terminare la frase, e poi i suoi occhi corsero su di lei – sulle sue iridi scure, sul suo naso, sulle sue labbra – senza aggiungere nient'altro.
Katerina alzò un sopracciglio, cercando di nascondere quanto quel silenzioso esame la mettesse a disagio.
“Hai scelto il tuo segreto,” terminò lei, alla disperata ricerca di qualcosa da dire.
Per un istante fu come se non l’avesse sentita, ma poi Louis annuì piano.
“Il segreto, sì,” mormorò a voce più bassa, con qualcosa nella voce che assomigliava a ironia.
Inspiegabilmente, Katerina sentì un lieve rossore colorarle il viso.
 
 
* * *
 
 
Un paio di giorni dopo, Katerina stava camminando speditamente verso l’aula di Pozioni in disuso del terzo piano. Era tarda sera ed era riuscita senza troppi problemi a lasciare la Sala Comune di nascosto; stavolta si era accertata che Abigail e le altre fossero davvero addormentate.
Se qualcuno l’avesse trovata in giro a quell’ora sarebbe finita in guai seri, ma dubitava che sarebbe accaduto: ufficialmente la sorveglianza doveva essere più stretta che mai, ma avevano tutti talmente paura dell’Erede di Serpeverde che la maggior parte degli abitanti della scuola si guardava bene dal mettere piede fuori dalla zona sicura di notte. Al contrario, Katerina non era eccessivamente preoccupata; anzi, non le sarebbe nemmeno dispiaciuto troppo se fosse stata vittima di un attacco, perché in tal modo avrebbe avuto l’occasione per scoprire chi si nascondeva dietro quel clima di paura. Era uno dei vantaggi dell’essere vampiri, dopotutto: non puoi morire se sei già morto.
 
Nelle giornate normali Hogwarts pulsava di vita, come se la magia che permeava quelle sale la rendesse un essere senziente e felice di accogliere i suoi figli al sicuro dentro di sè. Lo si sentiva nella solidità nelle mura, nella lieve brezza che riempiva i corridoi come un respiro, nei guizzi di magia che crepitavano nell’aria.
Ma ora si era trasformata in una madre morente, lentamente uccisa da una malignità che strisciava nascosta agli occhi di tutti. La paura aveva indebolito la magia, incanutito la fredda luce che entrava dalle finestre e avvizzito l’aria, come mille nuove rughe di disperazione sul volto di una vecchia.
Ora Hogwarts sembrava solo un castello abbandonato.
 
Improvvisamente Katerina sentì il rumore di qualcuno di molto vicino a lei e, un istante dopo, un braccio la cinse da dietro.
Presa,” sussurrò una voce maschile a qualche millimetro dal suo orecchio.
Katerina non sussultò. Quasi scoppiò a ridere al pensiero che sì, era in attesa di un attacco, ma non certo di uno di quel genere. Il suo misterioso assalitore era invisibile, possedeva una voce e un profumo che in realtà conosceva benissimo e, cosa ancora più importante, non aveva battito cardiaco.
“Ciao Louis,” disse solo, cercando di resistere alla tentazione di appoggiarsi a lui in cerca di conforto.
Il ragazzo tolse lentamente il braccio, sfiorando la sua schiena un po’ più del necessario, e apparve di fianco a lei con un sorriso ironico. Nei suoi occhi c’era una luce divertita che Katerina non riuscì a interpretare.
“Per quale ragione te ne vai a spasso in piena notte senza Disilluderti, Miss Farley? Potresti attirare l’attenzione di qualcuno,” le disse alzando un sopracciglio in modo severo. Di tacito accordo, i due ripresero a camminare fianco a fianco lungo il corridoio.
“Magari è esattamente quello che voglio fare,” ribatté lei ricambiando il sorriso.
“Siamo temerari, uh? Non mi sembra un atteggiamento prudente.”
Il sorriso di Katerina si spense.
“Sono solo stanca di tutta quest’ansia, di dovermi preoccupare che qualcuno possa assalirmi con un paletto di legno da un momento all’altro. Vorrei solo che questa storia finisse.”
“Basta che tu dica una sola parola, mia cara, e taglieremo la corda verso lidi più felici. Nel caso, propongo che la prima tappa sia la Francia.”
“Magari Parigi? Molto romantico,” scherzò lei. “Io ho sempre desiderato andare in Bulgaria.”
“Bulgaria? Ah, è il Paese dove è nata tua madre, vero?”
Katerina annuì semplicemente.
“Affare fatto. Allora prima visiteremo ogni angolo della Francia e poi andremo in Bulgaria. Abbiamo tutta l’eternità davanti, tanto vale impiegarla viaggiando in lungo e in largo per il mondo,” continuò lui in tono scherzoso.
Erano ormai arrivati a destinazione. Katerina occhieggiò pensierosamente la parte di corridoio in cui era morta, mentre Louis apriva la porta della vecchia aula di Pozioni e poi si faceva galantemente da parte per farla passare. Lei roteò gli occhi per prendere in giro la sua finta aria da gentiluomo, poi si diresse verso un particolare punto della stanza, tolse l’Incantesimo di Occultamento e diede un’occhiata alla pozione che sobbolliva pacificamente.
 
“Direi che ci siamo,” annunciò. Louis si avvicinò per dare un’occhiata al contenuto del calderone.
“Quindi era questa la cosa che dovevi mostrarmi?”, chiese con interesse.
“Esatto. Dubito di riuscire a fare meglio di così, perciò incrociamo le dita. Louis, ti presento l’Antiessiccante numero sedici,” disse lei raccogliendo con cautela una cucchiaiata di liquido e riversandolo in un bicchiere. Porse il contenitore al ragazzo, che fece una smorfia e lo prese.
“Salute,” disse, e bevve la poca pozione tutto d’un fiato. Corrugò la fronte e fece una smorfia.
“Devo dire che come cuoca fai schifo. Questa roba ha un sapore davvero orribile,” dichiarò. “Però sento una sensazione di calore e la sete è leggermente calata. Il che non è male, visto che con tutte queste precauzioni anti-terrorismo è diventato pressoché impossibile trovare qualcuno da aggredire.”
Lei sospirò di sollievo e gli fece un sorrisone, iniziando a parlare a raffica.
“Le proporzioni tra gli ingredienti sono ben bilanciate, e ho aggiunto qualche seme di papavero per rendere gli effetti un po’ più duraturi. Se le mie stime sono corrette, bevendone ogni giorno almeno un quarto di litro saremo in grado di resistere alla tentazione di saltare al collo del primo che passa. Non avrà tutti gli effetti benefici del sangue umano, ma perlomeno è più efficace della Pozione Rimpolpasangue che mi hai dato il primo giorno.”
“Straordinario. Adesso puoi smettere di vantarti, geniaccio,” la prese in giro l’altro.
Lei gli fece la linguaccia, riempì due bicchieri e gliene restituì uno.
“Cin cin,” disse, e diede delicatamente un colpetto al bicchiere di Louis.
 
 “Ho visto Flora, oggi,” disse lei ad un certo punto. Erano seduti sopra i banchi, uno di fianco all’altra. Le loro braccia si sfioravano. “Ci siamo incrociate a pranzo e mi ha salutata in modo amichevole, come se non fosse successo niente. E’ stato surreale. Mi ha chiesto se avevo sentito della vostra rottura. Mi ha ripetuto esattamente lo stesso concetto che le hai detto tu: sai, ‘abbiamo capito di non essere compatibili, ho voltato pagina e sono andata avanti’. Era convinta che fossero parole sue, mentre invece gliele abbiamo messe in testa noi. Mi sono venuti i brividi.”
Louis sospirò e abbassò lo sguardo.
“Già, l’ho vista anche io. E’ venuta da me per restituirmi un braccialetto che le avevo comprato durante la nostra prima uscita a Hogsmeade. Anzi, dovrei averlo ancora qui con me.”
Cominciò a frugare nelle tasche fino a che non estrasse un sottile bracciale in argento. Glielo porse, e Katerina lo prese per esaminarlo. Il metallo brillò riflettendo la luce. Quando fece per restituirlo, Louis scosse la testa.
“Sai che ti dico? Tienilo, buttalo, fondilo per farne proiettili, quello che vuoi. Non lo voglio rivedere mai più.”
Katerina insistette e discussero per un po’, ma alla fine lei cedette e lo mise in una tasca della borsa.
“E come sta il tuo ragazzo-barra-maniaco omicida?”, le chiese Louis alzando un sopracciglio.
“Ultimamente l’ho visto solo a lezione, per ovvie ragioni. Non so cosa dirti, si comporta sempre in modo normale.”
“Non mi sembri molto entusiasta di sapere che il tuo ragazzo probabilmente non è il tuo assassino,” osservò l’altro corrugando la fronte. Katerina sorrise tra sé.
“Tom è irreprensibile, affascinante. E’ perfetto. Forse un po’ troppo,” meditò lei. “Quando sono con lui è come se non esistesse nient’altro al mondo. Poi, se non lo vedo per un po’, mi tornano in mente tutti i dubbi possibili e immaginabili. Mi piace, ma non credo di provare davvero qualcosa per lui - oh, non lo so. Forse non è il momento giusto. Ho troppe cose per la testa.”
Louis la ascoltò in silenzio, tenendo sempre lo sguardo fisso sul pavimento. Dopo qualche istante si girò per guardarla intensamente, le sue labbra piegate in una linea pensierosa. Durò solo un istante, però, perché appena vide la sua espressione preoccupata le mostrò un sorrisetto ironico.
“La metà femminile della scuola ti vede come la ragazza più fortunata di Hogwarts; lo sai, vero? E tu invece snobbi così il povero Riddle. Insensibile da parte tua, mia cara,” fece lui dandole una gomitata.
Katerina ricambiò con una spallata.
“Forse dovrei lasciarlo. Al di là di quello che provo quando sono con lui, mi sento in colpa a nascondergli che in realtà sono un vampiro. Lui crede che io sia una persona completamente differente, e non è giusto. Ma l’idea di raccontargli tutto…”
Katerina scosse la testa, senza completare la frase.
“Sì, beh, io te lo avevo detto,” fece subito Louis. Poi la guardò meglio e proseguì in tono più morbido. “Lo so, è difficile quando tieni a qualcuno che è totalmente diverso da te. In ogni caso sì.”
“Sì cosa?”
“Dovresti lasciarlo. Meriti di meglio di quel manichino impomatato.”
Lei si lasciò sfuggire una mezza risata, ma quando lo guardò non c’era nulla di scherzoso nei suoi occhi. Esitò un istante, non sapendo bene come replicare.
“Gli ho casualmente chiesto dove fosse la sera dell’esplosione,” disse velocemente, cambiando discorso. “Mi ha detto qualcosa a proposito di una sessione di studio in Sala Comune con i suoi amici.”
“Difficile dimostrare il contrario,” commentò lui. “I suoi amici sono Serpeverde della peggior specie, e vedono Riddle come il loro idolo. Non lo contraddirebbero nemmeno sotto tortura.”
“Stavo pensando di soggiogarlo per farmi dire la verità. Sarebbe la soluzione più semplice,” ammise Katerina.
“Te lo sconsiglio. Volevo farlo quella sera in cui abbiamo pattugliato i corridoi insieme, ma alla fine aveva un’aria così inalberata che ho avuto l’impressione che, se ci avessi provato, sarebbe stato lui a soggiogare me. Più il mago è potente, più è in grado di resistere al controllo mentale, e Riddle dispone indubbiamente di molto potere. Dal modo in cui si atteggia potrebbe essere addirittura un Occlumante. L’unica via per costringerlo a dire qualcosa e poi farglielo dimenticare è indebolirlo in qualche modo, ad esempio attaccarlo e privarlo di un po’ di sangue. No, è comunque rischioso. Però potremmo soggiogare un messaggero innocente, mandarlo ad accusare Riddle e poi vedere se torna indietro vivo.”
Katerina fece una smorfia.
“Mi immagino la scena. ‘Ehi, Tom, non è che la Camera l’hai aperta tu?’
“E fu così che la più grande strage del Mondo Magico fu evitata grazie a una semplice domanda. Diventeremo eroi. Parleranno di noi su Storia di Hogwarts.”
 
Dopo qualche tempo decisero di andarsene a dormire. Louis scivolò elegantemente giù dai banchi e le porse una mano per aiutarla a scendere. Camminarono silenziosamente fino al bivio in cui avrebbero dovuto separarsi, entrambi non Disillusi.
Al momento di salutarsi Louis si voltò verso di lei, un’espressione insolitamente seria sul viso. Era molto vicino, si rese conto d’un tratto Katerina. Se solo avesse allungato le dita avrebbe potuto prendergli la mano. Se si fosse alzata in punta di piedi e si fosse avvicinata con la testa avrebbe potuto sfiorargli le labbra con le sue…
Katerina sbattè gli occhi, sorpresa dalle immagini che si stavano formando nella sua stessa mente.
Era un tratto buio di corridoio e non riusciva a capire a cosa Louis stesse pensando, ma il ragazzo non si era mosso. Poi, improvvisamente, Louis alzò una mano e le scostò con delicatezza una ciocca di capelli dal volto.
“Stai attenta. Non metterti nei guai mentre sei distante da me,” le disse, fissandola intensamente.
“Vale anche per te,” sussurrò lei. La mano di Louis rimase ferma sulla sua guancia per qualche altro secondo. Il ragazzo annuì.
“Buonanotte,” mormorò.
Nel giro di pochi istanti se n’era andato, e Katerina ritornò verso la Sala Comune con una buffa sensazione nel petto.
 
 
* * *
 
 
Il giorno successivo era sabato e, dopo pranzo, più di metà studenti rimasero in Sala Grande per studiare. Il Preside aveva dichiarato la Biblioteca off-limits e aveva ordinato che i ragazzi studiassero solamente nelle proprie Sale Comuni oppure in Sala Grande, dove era più semplice tenerli tutti d’occhio. Era inusuale vedere la Sala Grande così piena e contemporaneamente così silenziosa, dato che normalmente risuonava delle chiacchiere e risate delle ore dei pasti.
Le misure di sicurezza avevano contribuito a mantenere la scuola aperta per quei pochi giorni, ma non era una soluzione definitiva; al contrario, se quella faccenda non si fosse risolta al più presto Hogwarts sarebbe inesorabilmente stata chiusa. Alcuni genitori avevano già ritirato i propri figli.
Anche la zia di Katerina, nella sua ultima lettera, si era offerta di venirla a prendere e riportarla a casa. Le aveva risposto di non preoccuparsi.
 
Quel pomeriggio, studiare in Sala Grande si rivelò particolarmente noioso. Katerina si limitava a fissare i libri davanti a lei senza davvero leggere nulla. Concentrarsi era impossibile: la presenza di così tante persone lì vicino la rendeva irrequieta. Fece vagare lo sguardo sugli altri tavoli, alla ricerca di facce note. Louis non c’era; stranamente, era dall’ora di colazione che non lo vedeva. Non si era nemmeno presentato a pranzo, ricordò improvvisamente.
Non voleva restare lì dentro un minuto di più; era solo una perdita di tempo. Mise via le sue cose e, approfittando della sua posizione isolata e della perenne distrazione del professore di Erbologia che doveva sorvegliare il suo tavolo, si Disilluse e sgattaiolò via dalla Sala Grande. Appena fuori, rimosse la Disillusione e si diresse verso le scale, pensando vagamente di andare a cercare Louis oppure di nascondersi in Biblioteca a leggere.
“Katerina?”, la chiamò una voce dietro di lei.
Era Tom, dall’arco d’ingresso che conduceva ai Sotterranei. Katerina si fermò sulle scale in attesa che l’altro la raggiungesse, chiedendosi come mai non avesse notato la sua assenza in Sala Grande.
Quando la raggiunse, il ragazzo aveva sul viso un’espressione decisamente contrariata.
“Dove stai andando da sola? E’ pericoloso,” esclamò il ragazzo in tono d’accusa.
“Sto tornando alla Torre. Ero stanca di studiare in Sala Grande,” si giustificò lei con un sorriso innocente. Tom le lanciò un’occhiataccia.
“Come sei riuscita ad uscire senza che nessuno ti vedesse? Non importa,” fece poi con un sospiro. “Avanti, ti accompagno io.”
Normalmente Katerina avrebbe esitato davanti all’idea di restare da sola con Tom nei corridoi deserti di Hogwarts, ma quella poteva rivelarsi l’occasione perfetta per una lunga conversazione onesta, perciò continuò a sorridergli come se non avesse per nulla in mente di aggredirlo e poi soggiogarlo.
“Ti ringrazio, Tom. Andiamo?”, gli disse. Lo prese per mano e insieme si avviarono verso il cuore del castello.
 
Stavano attraversando la scorciatoia segreta che dal secondo piano sbucava dietro ad un arazzo del quinto, quando Tom improvvisamente la bloccò.
Il cuore di Katerina fece un sussulto, ma prima di girarsi verso il ragazzo cercò di nascondere il sospetto e di mostrare solo una perplessa curiosità.
“Tom?”
Sempre tenendola per mano, l’altro l’attirò prepotentemente a sé. La luce della torcia appesa al muro illuminava il suo volto dai lineamenti nobili; i suoi occhi sembravano più scuri che mai. Mentre le osservava con concentrazione il viso, la sua espressione rimase indecifrabile.
Le scostò i capelli dal volto. A quel tocco, Katerina ebbe un vivido ricordo di Louis fare la stessa cosa la sera precedente. Al contrario di quella del vampiro, la mano di Tom era calda sulla sua fredda pelle.
“Mi sei mancata,” sussurrò dolcemente il ragazzo. “Ci siamo visti talmente poco, ultimamente, per colpa di questa faccenda della sicurezza. Senza contare che tra qualche giorno chiuderanno la scuola, e chissà quando potremo rivederci.”
Katerina lo guardò negli occhi, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia. Per quanto galante e premuroso, era raro che Tom si mostrasse così affettuoso con lei. E la sua gola era così vicina… era il momento giusto? Sarebbe bastato un morso sul collo.
La sola idea la faceva sentire una persona orribile.
“Ma forse ho la soluzione,” continuò il ragazzo con un sorrisetto.
“Cosa intendi dire?”
L’altro scosse la testa e poi, all’improvviso, chinò il capo per baciarla appassionatamente sulle labbra. Era un bacio da far perdere i sensi. Tutta quell’irruenza la colse alla sprovvista, e Tom le mise una mano su un fianco per stabilizzarla. L’altra mano, invece…
Di colpo Katerina sentì un dolore lancinante invaderle la schiena e lo stomaco, e lanciò un grido. Era una cosa atroce, qualcosa non aveva mai provato prima. La vista cominciò ad oscurarsi, mentre sentiva le forze abbandonarla; cadde sulle ginocchia, e sentì Tom fare qualche passo indietro.
Le sue mani corsero a coprirsi lo stomaco, in un disperato tentativo di arginare quel dolore, e toccarono una forma appuntito che non doveva essere lì.
Abbassò tremante lo sguardo, mentre il sangue le ricopriva le mani e i vestiti: profondamente impiantato nel suo stomaco, c’era un grosso paletto di legno.
 
Lo fissò intorpidita per qualche lungo secondo e poi, raccogliendo le ultime forze rimaste, impugnò il paletto rozzamente intagliato e cercò di estrarlo con mani tremanti. Il dolore divenne ancora più intenso, tanto da farla quasi svenire. Stringendo i denti, continuò a tirare e sentì l’oggetto uscire finalmente dal suo corpo e rotolare per terra. Lo sforzo la fece finire sul pavimento, mentre dal foro sulla pancia il sangue usciva copiosamente.
Fu solo allora che alzò gli occhi increduli verso Tom, che la stava osservando impassibile.
“Ah, Katerina,” le disse, mentre un sorriso crudele gli deturpava il volto. “Avresti dovuto davvero stare più attenta. Te l’avevo detto che era pericoloso.”
“Perché l’hai fatto?”, sputò Katerina, cercando disperatamente di fare pressione sulla ferita con una mano e di arginare la sensazione di tradimento che l’aveva invasa. Dov’era la sua bacchetta? La vide lontana, ai piedi di Tom.
“Perché io so cosa sei,” le rispose Tom gelidamente. “Dovresti ringraziarmi per non averti colpita all’altezza del cuore, cara la mia vampira.”
“Non avresti dovuto,” fece lei rabbiosamente. Si sentiva un animale in trappola. Cercò di alzarsi, ma le ginocchia cedettero.
“Ferma,” le ordinò il ragazzo in tono quasi carezzevole. Le puntò contro la bacchetta.
Incarceramus,” pronunciò, e Katerina fu immobilizzata da corde apparse dal nulla. Tom torreggiava su di lei, un sorriso tronfio sul viso.
“Vedi, io non penso che dei vampiri dovrebbero stare ad Hogwarts. E’ sbagliato permettere a dei mostri di girare liberi in mezzo a ragazzi innocenti. Qualcuno potrebbe finire per farsi male,” disse lui in tono noncurante.
“Cosa vuoi fare?”, gli chiese lei, tradendo un’inflessione di paura nella voce.
“Questo,” rispose Tom. Il ragazzo si chinò su di lei e le puntò allusivamente la bacchetta sul cuore. Katerina sgranò gli occhi e cercò disperatamente di spostarsi, ma le corde la tenevano bloccata.
Avada Kedavra,” sentì, e un lampo verde fu l’ultima cosa a riempirle gli occhi.





Note dell'Autrice: mancano ancora 2/3 capitoli per finire la storia. Nel frattempo, fatemi pure sapere cosa ne pensate.
Grazie per aver letto fino a qui e alla prossima.
  
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