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Autore: Momoko The Butterfly    18/06/2014    3 recensioni
Londra, 18XX. In una grigia giornata come tante altre, qualcosa di inaspettato sta per accadere; qualcosa che metterà a dura prova entrambe le fazioni coinvolte nella Guerra Santa. In seguito a una terribile tragedia, la piccola Gwen si risveglia come Noah. Ma qualcosa va storto...
Il freddo londinese le faceva battere appena i denti, generando un rumore che rompeva il glaciale silenzio che altrimenti l’avrebbe resa del tutto invisibile agli occhi della folla che, incurante, procedeva disinvolta lungo la strada avvolta in morbidi e soffici cappotti.
E lei invece per scaldarsi era costretta a rannicchiarsi come un verme tra la spazzatura, un cencio consumato a coprirla quel tanto per non farla morire assiderata. Il viso scavato, sul quale era caduta un’ombra cupa che mai essere vivo o morto aveva posseduto, fissava i propri piedi impalliditi per il gelo. E respirava, a malapena. Brevi ansiti costringevano il suo petto a sollevarsi pigramente e ad abbassarsi con cautela. Come se avesse paura che qualcuno potesse avvertire la sua presenza.
Perché lei era maledetta.
Era un mostro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Conte del Millennio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Into the Madness


Capitolo 5
Un sorriso inquietante



C’era calma.
Una calma quasi tangibile, come se l’atmosfera si fosse fatta improvvisamente più opulenta. Il fruscio degli alberi era anonimo, pesante, ponderato con cura perché il rumore fosse minimo e quieto. Sul terreno, brevi e fugaci tracce di battaglia diventavano, con l’avanzare verso il cuore della foresta, veri e propri disastri: smottamenti, crateri derivati da esplosioni e ustioni sulle cortecce deturpavano in un crescendo di distruzione quel luogo dall’aria perfetta e pacifica.
Un posto che mai aveva conosciuto la normalità a causa del frammento di Innocence nascosto nei suoi più remoti anfratti, e che ora saggiava situazioni nuove con impacciata contentezza. Gli animali tornavano nei loro cunicoli consci che non avrebbero più dovuto abbandonarli e perciò felici, eppure, per qualche strana ragione, inquieti.
Ma avrebbero avuto il resto della loro serena vita per abituarsi a quel radicale cambiamento e sicuramente lo avrebbero reputato migliore di qualsiasi altra cosa il destino avesse offerto loro.

Gli Esorcisti avevano abbandonato ormai da qualche ora il luogo, servendosi del gate generato da Allen attraverso l’Arca Bianca. Cosa semplice, in confronto al lungo viaggio che avevano dovuto sostenere per l’andata. Tuttavia, il potere dell’Esorcista albino presentava vantaggi e svantaggi, proprio come tutti. E materializzarsi in luoghi mai visti prima era logicamente impossibile. L’unica certezza era che il ritorno sarebbe stato fulmineo, e di questo i nostri Apostoli erano più che soddisfatti. In fondo, lamentarsi per qualcosa di immutabile era fiato sprecato sia per loro che per i membri della Scientifica, che di certo avevano problemi ben maggiori di quello, per i quali scervellarsi.

Eppure, nonostante la calma fosse ormai tornata, o per meglio dire finalmente approdata in quel luogo che normale non era mai stato, qualcuno ancora aveva evitato di abbandonarlo, e non per volere proprio.
Tyki dormicchiava contro un albero, silenzioso e impercettibile. Doveva aver perso i sensi a un certo punto dello scontro tra Allen e Gwen, per cui aveva mandato all’aria il suo proposito di raccogliere informazioni sulla Follia e prestare così attenzione allo svolgersi degli eventi.
L’effetto del potere della Noah sul suo corpo era svanito, ed ora la ferita al braccio, avvolta in stracci scuciti macchiati di cremisi che ne avevano fermato l’emorragia, era tornata ad assumere le colorazioni della cenere in maniera uniforme, senza un preavviso specifico: ad un certo punto della contesa, per cui il Piacere non avrebbe saputo indicare un’esatta collocazione temporale, ogni cosa era tornata come di consueto. L’incantesimo era svanito, così come era arrivato: nel silenzio.
Ma il portoghese non sarebbe rimasto a poltrire: benché potesse essere una valida opzione a ciò che sicuramente avrebbe passato se il Lord del Millennio avesse scoperto che la nuova sorella si era rivoltata contro di lui, i piani erano piani. E mancando di rispettare l’ora del rientro, ovviamente qualcuno sarebbe andato a recuperarlo.

Quando il piacere cominciò a rinvenire, sentì che qualcosa gli stava punzecchiando una guancia. Dalla propria flebile ed offuscata vista riuscì tuttavia a scorgere una sagoma tondeggiante a pochi centimetri dal suo naso.
Confuso a dir poco per quello strano modo di ritornare dal mondo dei sogni – e non ricordando nemmeno come ci fosse finito – strinse le palpebre per capire meglio e nel mentre un’esclamazione piena di energia fuoriuscì spontanea dalle sue labbra.

- Road!

La piccola Noah del Sogno era agghindata in maniera elegante e sfarzosa come sempre: lunghi e vistosi fiocchi sbocciavano come rosette deliziose sul suo abitino scuro e fanciullesco. Nella mano destra reggeva Lero e si divertiva a fare dispetti allo zio utilizzando la punta dell’ombrello parlante. Il sorriso sul suo volto di bambina era la manifestazione tangibile del compiacimento nel cogliere il parente in flagrante dopo un’amara sconfitta, consapevole quanto lui che gli eventi che sarebbero susseguiti a quel fallimento avrebbero portato alla luce risvolti assai interessanti per entrambi.
Tirando fuori la lingua, e simulando un’espressione comicamente concentrata, perpetrò nel suo stuzzicare il viso del Piacere con il golem, senza nemmeno rispondere o fornire spiegazioni alla sua presenza.

- Che cos’è successo? – Tyki ignorò i dispetti della nipote e si focalizzò sul recupero delle informazioni che lui, nella sua particolare posizione, si era lasciato sfuggire con un’ingenuità della quale ancora adesso si colpevolizzava.

Road accentuò il sorriso lasciandosi sfuggire uno sbuffo di soddisfazione. Fingendo di cantilenare un’ovvia filastrocca, spiegò in poche parole quanto successo.

- La piccola Gwen ha perso il controllo, ti sei fatto cogliere di sorpresa e hai poltrito… –  infine aggiunse, come se fosse ansiosa di dirlo – … Mentre il mio Allen e la sua amichetta sono tornati all’Ordine con lei.

E fu a quel punto che Tyki spalancò gli occhi, sorpreso e scandalizzato per quanto successo in appena poche ore. Fece per alzarsi ma scoprì di avere le vertigini a causa dell’ingente perdita di sangue. Barcollando appena, si lasciò scappare uno sbuffo scocciato mentre con occhi ormai abituati a vedere ogni genere di stranezza, osservava l’aprirsi del portale per l’arca: un varco scuro dalle parvenze fluide, come uno specchio d’acqua nera. Avanzando scompostamente, aiutato dalla nipotina ansiosa di assistere ai disastri che di lì a poco si sarebbero verificati, si trovò ad avere la mente straripante di domande e interrogativi senza soluzione.
Mai in vita sua era riuscito a comprendere quella che era la genialità del loro capo, fatta di intricati e a volte imperscrutabili ragionamenti che nessuno, a parte il loro creatore, aveva diritto di conoscere. E nelle rare volte in cui diventavano parole, profuse con concitata allegria, difficilmente se ne riusciva a comprendere appieno il senso. Perché il Conte del Millennio era una personalità astrusa, fatta di fraintendimenti, che partivano dall’aspetto per sfociare in un carattere macchinoso e unico, torbido; incomprensibile. Dipinti rovinati dal tempo, ecco cos’erano i suoi piani: opere scrostate un po’ ovunque, prive dei loro colori originali. E solo il loro vero autore ne avrebbe saputo riconoscere la reale gamma cromatica e i dettagli, persi nei millenni come antichi reperti sepolti sotto le memorie.
Nessuno avrebbe saputo dire fin dove quella eccentrica volontà li avrebbe condotti. Non potevano far altro che seguirla; perché anche loro, volenti o nolenti, erano proprio come lui…

Varcare l’entrata dell’Arca Nera fu come sentire la sottile e delicata carezza della pellicola di una bolla di sapone, lucida e trasparente, sulla propria pelle; come immergersi in un mare nero e profondo, perdere il respiro e subito dopo tornare a nuova vita, rinascere. Perché in quel luogo, oltre all’atmosfera tetra dalla quale pareva trarre oscure energie, emergevano costanti il senso di confusione ed estraneità dei quali era assoluto padrone. Perdersi al suo interno sarebbe stato come chiudere gli occhi in una stanza buia.
Fortunatamente, ad abbellire quel cupo ammasso d’ombre striscianti, ci aveva pensato la piccola Road. Certo, il suo particolare gusto per l’arredamento, costituito di forme stravaganti e colori cangianti, offuscava perennemente una malsana e paurosa personalità, che mai e poi mai avrebbe potuto ricondurre ad una bimba di soli dodici anni, quale la piccola Noah del sogno pareva somigliare.
Nulla di fanciullesco, in verità, permeava nei suoi modi di rivolgersi ai restanti membri della famiglia o agli Esorcisti: sorrisi velati di tenebre, contornati da una perversa e macabra malizia che non conosceva confini nemmeno nel concedere pietà ai propri avversari. Guai a lasciarsi ingannare da quel visino furbesco e giovanile. Guai a lasciarsi trasportare nel mondo delle sue bizzarre fantasie: impossibile sarebbe, per anima viva, fare ritorno da un simile inferno…

Ad accogliere i due Noah sopraggiunse la tondeggiante figura del Conte del Millennio. Essendo la situazione per lui di vitale importanza, voleva accertarsi di persona della sua riuscita. O del suo fallimento, perché no?

- Bentornato, Tyki-pon! Bentornato! ♥ – l’esuberanza con la quale acclamò il ritorno del parente sfociò in una feroce pacca sulla spalla di quest’ultimo.
Tyki sussultò per il dolore e pregò mentalmente che il primo apostolo avesse già finito con i commiati. Da sempre dotato di una sfacciatissima fortuna, si vide così risparmiare il suo super abbraccio – mossa che in rari casi poteva perfino risultare mortale -.
Fece poi per avviarsi, quando il Lord notò la brutta ferita al braccio. Con gli occhietti luccicanti posti dietro alle lenti del minuscolo paio di occhiali, lo bloccò sul posto con le manine guantate, inchiodandolo poi a forza su una poltroncina di velluto rossiccio comparsa chissà quando, forse per mano di Road.

- Voi ragazzi siete proprio scalmanati ♥ - ridacchiò, civettuolo; pareva una di quelle mamme pettegole che si vedevano spesso in giro – Sempre a farvi male ♥

- Guardi che non è niente! – tentò inutilmente di allontanarlo Tyki. Ma ormai era tardi. Era circondato, ed ora… Sarebbe stato costretto a raccontare per filo e per segno tutta la faccenda. Non che si aspettasse di evitarlo, figuriamoci. Solo, non pensava che la sua morte sarebbe giunta così presto…

- Su su, non serve atteggiarsi a duri ♥ - il Conte ignorò platealmente le sue espressioni facciali, mentre con cura gli levava la divisa – Ci pensa moi

Dopo il piacevole tepore dell’acqua calda sulla pelle, per ripulirla dal sangue, ciò che Tyki sentì fu un lancinante dolore carpirgli la spalla ed espandersi su tutto il corpo. Rigido come una statua, sprofondò sempre di più nella poltrona reclinando poi la testa e volgendo lo sguardo al ‘soffitto’ dell’Arca, per scansare la vista del Lord che con un ago ricurvo gli stava ricucendo la ferita; fischiettava. Neanche stesse lavorando a maglia!
Road osservava l’imperturbabilità dello zio smuoversi appena in ridicole posizioni volte a contenere la sofferenza sul suo volto pallido; e sorrideva. Ogni cosa, se osservata con gli occhietti vispi della piccola, appariva divertente.

- Allora… - il Conte interruppe quel surrogato di silenzio, fatto di lamenti taciuti sul nascere per volere d’un orgoglio troppo forte per essere vinto, e pose al Piacere la fatidica domanda mentre continuava a passare il filo nella pelle con abilità – Cos’ha combinato la piccola Gwen? ♥

Ecco. Ora sì che Tyki poteva considerarsi fregato. In tutti i sensi. Cercando di mitigare l’agitazione dietro sospiri e balbettamenti degni di un impreparato durante l’interrogazione, diede inizio a una sequela di farfugliamenti privi di connessioni tra loro; frammenti di possibili discorsi cestinati ancor prima di completarsi nella sua mente.

- Be’… Non è che avrei potuto prevedere cosa avrebbe fatto… - cercò di togliersi ogni colpa giocando sul fatto che non poteva sapere dell’incontrollabilità della Follia – Si è dileguata prima che potessi fare qualcosa.

E fu a quel punto che Road uscì dal suo angolo per poter prendere parola. Con un ambiguo sorriso e due occhietti dorati luccicanti, additò lo zio coprendosi la bocca sogghignante con la manica del vestitino. E fu a quel punto che Tyki ebbe la viva sensazione di essere spacciato.

- Ma che racconti, se ti sei dato alla fuga? – sghignazzò senza riguardo la nipote, trattenendosi a malapena.

Il Piacere si pietrificò sul posto, fissandola disperato. Avrebbe voluto darle dell’ingrata, fuggire, indossare i suoi amati occhiali a fondo di bottiglia e andarsene a pesca. Niente Conte, niente Gwen, niente bimbette sfacciate che lo avrebbero venduto per due risate in più.
Come diamine avrebbe reagito ora il Conte, sapendo che se l’era filata alla prima difficoltà?!

- Sigh ♥.

Si voltò, lo sguardo perso nel vuoto. Il Lord stava… Stava singhiozzando. Con un fazzolettino tratto dal taschino del cappottone color crema che indossava, si soffiò rumorosamente il naso con fare sconsolato.

- Sigh… Come ti capisco Tyki-pon… ♥ - mormorò con voce tremula, mentre si tamponava un gocciolone piovuto giù da un occhio – Anche a me ha fatto tanta paura! ♥

-Non ho avuto paura!! – strepitò Tyki issandosi con un balzo dalla poltrona, la ferita al braccio ormai completamente ricucita.

Road scoppiò in una fragorosa risata, che sovrastò sfrenata ogni altra voce. Per qualche minuscolo secondo nella stanza regnò il caos.

Poi il Conte cambiò atteggiamento. Per quanto piacevole fosse ridere e scherzare in famiglia, altre questioni urgevano di essere portate alla luce; prima fra tutte, Gwen Grey. Chi mai poteva essere quella giovane fanciulla che incarnava un’emozione mai esistita prima tra le schiere Noah? Da dove poteva mai essere sbucata? Chi e cosa aveva potuto renderla… Lei?!
Ebbene, nemmeno il Conte conosceva le risposte a tutte queste domande. L’unica che avrebbe potuto aiutarlo ora era in mano all’Ordine, e lui… Di certo da solo non disponeva di tante opzioni.
Però, forse… Avrebbe potuto volgere in qualche maniera la situazione a suo vantaggio…

- Insomma, Lord. Chi è questa Gwen? – Tyki si risedette spazientito sulla poltrona, accavallando le gambe e fissando la cucitura al braccio, per poi sfiorarla appena con un dito – Non ha niente a che fare con noi, vero?

Road tacque all’istante per ascoltare il primo apostolo che, atteso un secondo di silenzio, parve voler raccontare.

- Gwen Grey… Nemmeno io so da dove possa essere spuntata, ad esser sinceri ♥ – cominciò con tono riflessivo, calmo – Un tenero pulcino lasciato solo sotto la pioggia, moribondo. Ecco quel che vidi marcire in un vicolo di Londra, appena tre giorni fa ♥…




Una creatura fragile, sottile; trasparente. Annidata nel ristretto spazio tra due cumuli di immondizia, e lasciata a ricercare nelle loro vicinanze la miglior fonte di calore per non soffrire troppo il freddo, si raccoglieva in se stessa accartocciandosi in stracci lerci e scuciti che ne offrivano un’immagine più desolante di quanto in realtà non fosse.
Le dita sottili, arrossate sulle nocche dove la pressione vi evidenziava l’ossatura sottostante, stringevano quel pezzo di stoffa usato come coperta, mantello e, in molti casi, anche vestito. Il freddo londinese le faceva battere appena i denti, generando un rumore che rompeva il glaciale silenzio che altrimenti l’avrebbe resa del tutto invisibile agli occhi della folla che, incurante, procedeva disinvolta lungo la strada avvolta in morbidi e soffici cappotti.
E lei invece per scaldarsi era costretta a rannicchiarsi come un verme tra la spazzatura, un cencio consumato a coprirla quel tanto per non farla morire assiderata. Il viso scavato, sul quale era caduta un’ombra cupa che mai essere vivo o morto aveva posseduto, fissava i propri piedi impalliditi per il gelo. E respirava, a malapena. Brevi ansiti costringevano il suo petto a sollevarsi pigramente e ad abbassarsi con cautela. Come se avesse paura che qualcuno potesse avvertire la sua presenza.
Perché lei era maledetta.
Era un mostro.

Se n’era accorta qualche giorno prima, quando… La sua fronte aveva iniziato a sanguinare. Senza avvertire alcuna traccia di dolore, una scia rossastra aveva preso a scenderle lungo il viso, fino ad arrivarle al mento. Con atteggiamento ingrigito dal tempo, passato a lasciare che la felicità fluisse via dal suo corpo, aveva allungato con lentezza una mano per prelevare un po’ di quel colore così acceso e studiarlo attentamente. Non era la prima volta che si feriva – benché non riuscisse a ricordare come quella volta fosse stato possibile -, perciò la vista del sangue non la intimoriva; non più almeno, anche se rievocava in lei la visione di immagini macabre frutto delle sue memorie malandate.
Si era tastata con circospezione la fronte, sentendo sotto le proprie dita… Una protuberanza. Qualcosa di lungo vi si era formato sopra. Un taglio, forse?
Il leggero rilievo che fu in grado di percepire al tatto le fece pensare questo.
Ma un urgenza ben più grande prese piede, nel giro di pochi istanti: doveva fermare l’emorragia. Con un lembo dello straccio con il quale si stava coprendo cercò di fasciarsi la ferita nel miglior modo possibile.
Ma quella non smise di sanguinare.
Continuò, e continuò, fino a divenire insopportabile. Fu costretta ad alzarsi e andare in cerca di una fonte dove lavarsi. Corse scompostamente lungo i vicoli secondari della città, sperando che nessuno la notasse. Che nessuno inorridisse di fronte a lei e al suo volto sporco e macchiato. Riuscì a localizzare un abbeveratoio posto affianco ad una casa. Senza attendere oltre ci immerse la faccia.
Nuvole rossastre si diramarono nell’acqua, scurendola. Si risollevò all’istante, ansimando. E nel suo riflesso distorto, le vide.
Quattro cicatrici nere come pece si aprivano sulla sua fronte bagnata.
Ed ebbe paura.
Perché quella era la prova inconfutabile che lei era diversa; che era una creatura mostruosa, senza alcuna via di scampo.
Quei marchi sul suo corpo erano il motivo di tutto il dolore provato inutilmente, cercando di abbandonare il mondo; il motivo per il quale Gwen Grey non era mai riuscita a morire, fino a quel momento…

Quei segni erano ancora lì, non se ne volevano andare. Eppure erano passati giorni dalla loro comparsa, ore e minuti preziosi nei quali la giovane donna, in preda a un terrore disumano, si era nascosta dal mondo per evitare che fossero visti da qualcuno. Ed ora, obbligata a chiedersi con timore quanto la sua sofferenza sarebbe durata, si vide finire una goccia d’acqua dritta dritta sul piede.
In pochi secondi, il rumoroso scroscio della pioggia riempì l’aria. Fortunatamente Gwen era rintanata sotto una tettoia, per cui non doveva preoccuparsi granché. Ma altre sorprese l’attendevano: segni del destino incomprensibili, glifi dall’arcaica forma che avrebbero spezzato a metà il suo futuro per concepire vie mai percorse e sempre più ardue da superare. E chissà cos’avrebbe trovato alla fine…

Col cuore in gola per l’ansia, a stento si rese conto di un ticchettante rumore di passi protendere nella sua direzione. E solo quando i suoi occhi tornarono realmente a vedere ciò che era dinnanzi a loro, un paio di strambe scarpette a punta si fermarono proprio lì, di fronte ai suoi piedi congelati per il freddo.
Non sollevò lo sguardo. Lo tenne basso, per non dover mostrare le proprie immonde cicatrici. Così fu quella figura a chinarsi su di lei. Ed ecco ciò che apparve: un viso mostruoso; un sorriso inquietante; occhi dorati quanto ciò che più di tutto il resto conduce alla dannazione l’animo umano: la smania di potere, la bramosia nel volere non solo il mondo ma anche la forza divina per poterlo controllare.

Quella fu la prima volta che Gwen vide il Conte del Millennio.


Non se lo sarebbe mai scordato…



• ♦ •




Era buio. E freddo. E… Orribile.
Avvolto nell’oscurità più tetra e sinistra, Allen Walker sognava. Cosa, poi, non lo sapeva. Davanti a lui non facevano altro che estendersi chilometri su chilometri di pura oscurità, quella più fitta e penetrante. Braccia nere e dense avvolgevano lo spazio attorno ghermendolo silenziosamente e coprendo persino il più sottile spiraglio luminoso. Non riusciva nemmeno a vedere se stesso, come se stesse tenendo gli occhi chiusi. Però… Poteva percepire la presenza del proprio corpo. Era una sensazione molto strana, ma dopotutto si trattava di un sogno.

E come tale, avrebbe avuto una fine.

Nell’attesa che quell’ambigua visione giungesse al suo capolinea con alba ormai incombente, ecco che la flebile parvenza d’un rumore distorse il buio. Onde concentriche, brillanti di luce, si espansero sotto i suoi piedi, ora finalmente visibili; come se quell’improvviso bagliore gli avesse fatto spalancare gli occhi. Lievi increspature si allargarono sulla superficie nera e fluida come acqua sulla quale stava in piedi, accompagnate dal candido tintinnare di campanelli lontani nel tempo e nello spazio, il cui suono gli giungeva flebile, inseguendo il moto armonico dei flutti fino a dissiparsi nell’oscurità.

Per istinto, o forse per curiosità, il giovane Esorcista provò ad avanzare sul quel mare nero, frutto dei suoi sogni più tenebrosi. E ciò generò una nuova serie di onde concentriche brillanti sotto i suoi piedi, che furono questa volta accompagnate dal vibrare di una nuova nota, più acuta della precedente.
Allen scoprì, con una certa fanciullesca allegria, che ogni passo fatto su quel pavimento acquatico generava delle note, dolci e metalliche come quelle di un carillon ma profonde e delicate come quelle di un pianoforte. E si divertiva a compiere brevi saltelli per vedere fin dove la scala tonale di quello strano invisibile strumento si sarebbe spinta, per sbalordirlo sempre più.

Che cosa assurda, i sogni. Persino nella sua più improbabile avventura, mai il giovane albino aveva assistito a qualcosa di simile. Poteva andare dove voleva, annientando con un semplice pensiero ogni legge fisica; camminare sull’aria, senza avvertirne il peso; trovare nel buio una fonte di pace e serenità, all’interno della quale ogni cosa, che fossero Noah o Akuma o guerre, si annullava. E lui non era più il Distruttore del Tempo Allen Walker, ma una particella di niente, un minuscolo granello di sabbia che fluttuava in una nebbia indistinta, tutta uguale, spessa e lattiginosa.
Ma si trattava di un’effimera condizione, quella, che lo spaventava: lo annullava di fronte ad ogni cosa, rendendolo spettatore passivo della vita; riduceva a niente l’esistenza umana, la sua esistenza. Ma tale pensiero non era mosso da superbia, o da una qualunque necessità di diventare qualcuno che contasse, bensì da un bisogno quasi impellente di sentirsi presente, in ogni attimo, su quella terra. Perché aveva fatto una promessa a Mana, all’umanità e agli Akuma: andare avanti, vivere per loro in ogni istante.
E l’avrebbe mantenuta.

Ma ecco che, proprio sul finire del delicato componimento, Allen inciampò in una nota sbagliata. Una nota grave, profonda, che ruppe con violenta drammaticità l’atmosfera di benessere creatasi in quell’oscurità di bagliori. Essa si dilungò arrogante e sfacciata fino a scomparire del tutto, diffondendosi come il suono di un gong in ogni dove. Il giovane Esorcista si fermò. Il suo cuore iniziò a battere, battere, battere… Sempre più forte…

Ansia.

Ecco quello che iniziò a provare qualche secondo dopo, mentre attorno a sé osservava il buio avvolgere nuovamente il suo mondo dei sogni. Non c’era più la musica ad illuminarlo. Tutto si spense; la sottile fiamma della candela che illuminava quell’universo oscuro tacque.
Era tornato il silenzio.
Quel vuoto orripilante sorto dalle profondità del tetro spazio che lo circondava voleva nuovamente la sua paura e la sua dignità, per farne brandelli da divorare.
Provò a muoversi. Ma i suoi piedi erano incollati al suolo acquatico, fermi, paralizzati. Non potevano più muoversi.
Il suo cuore agitato non voleva saperne di calmarsi. Perché improvvisamente provava… Paura?

- Sigh…

Un singhiozzo.
Flebile quanto il battito d’ali di una farfalla, fluttuò nel buio fino a giungere all’orecchio del giovane albino, il quale acuì la vista quanto gli fu possibile per ricercare nel nulla la fonte di quel rumore.
Ma non la trovò. E come d’altronde avrebbe potuto, se non riusciva nemmeno a vedere se stesso?

- Sigh…

Di nuovo.
Un lamento sofferto, carico di tristezza e rimpianto.
S’insinuò nel suo animo, recandovi cordoglio. Soltanto una volta, Allen ricordava d’aver pianto così intensamente: quando era morto Mana.

Quella volta non aveva urlato.
Non aveva gridato il suo nome al cielo, né aveva chiesto perché.
Nessuno avrebbe potuto sentirlo, e nessuno lo avrebbe consolato.
L’unica cosa che aveva fatto, era stata appoggiarsi alla sua tomba e, abbracciato dall’intimo silenzio del cimitero, piangere sommessamente. Con discrezione. Perché quel dolore che si portava dentro non potesse essere sentito o compatito. Perché lui, suo padre, non lo vedesse e ne soffrisse.
Allen era sempre stato un ragazzo forte, eppure fragile. Poteva andare in pezzi, distruggersi completamente; ma nulla gli avrebbe mai tolto il coraggio e la determinazione per aggiustare i frammenti del suo animo torturato, ogni volta che fosse successo.


I suoi piedi erano ancora bloccati, non poteva vederli ma riusciva comunque a sentirli paralizzati, piantati con forza a terra; irremovibili, blocchi di cemento che gli impedivano di fuggire da quell'incubo di ombre striscianti.

- Sigh...

Qualcuno stava piangendo in lontananza. Questa volta Allen voltò istintivamente la testa verso il basso, intuendo che i ripetuti e sofferti singhiozzi che avevano iniziato a sporcare quel tenebroso silenzio, provenivano da quel pavimento d'acqua dal quale non riusciva a smuoversi.
C'era forse qualcuno vicino a lui... ?

- Tutto bene? - domandò, premuroso e dimentico di trovarsi in un sogno. Inutile dirlo, non era mai stato una persona menefreghista, né da sveglio né da addormentato.

Tuttavia, nessuno diede segno di voler ricambiare la sua cortesia. I lamenti cessarono in quell'istante, come se non ci fossero mai stati.

- Sarà... Andata via? - pensò l'Esorcista, rammaricandosi di non aver potuto scoprire nulla. Ma proprio in quel momento, dal piatto silenzio che pareva ghermire ogni anfratto di quel luogo pregno di oscurità e mistero, emerse qualcosa: rimasugli di sentimenti, vecchie memorie andate perdute, strappate con ignobile crudeltà e lasciate affogare nel mare del cuore, nero più del buio stesso e penetrante più del gelo invernale; pezzi di carta stracciati emersero dall'acqua silenziosamente, brillando di un bianco pallido ed evanescente, come se da soli non avessero nemmeno la volontà di rischiarare quel mondo oscuro.
Allen li vide galleggiare placidi, in attesa di essere tratti in salvo dalle ombre liquide di denso petrolio. Con in volto un'espressione assai perplessa, si chinò e raccolse quello che pareva rilucere più degli altri: era completamente bianco, pulito e asciutto. Ne studiò sia il fronte che il retro, perfettamente identici nel loro brillare tenuemente come stelle morenti.
Ma ecco che su di un lato cominciò a delinearsi con lentezza e fatica un segno, un carattere.


2

L'elegante calligrafia con cui era stato scritto attraverso dita invisibili, tradiva un dettaglio a dir poco agghiacciante: non era inchiostro quello che era stato utilizzato per imprimere il numero sulla carta. Era sangue. Sangue rosso e brillante, che Allen non potè non confondere con la cera utilizzata per chiudere le buste delle lettere. Eppure, quando s'accorse che non era ciò che credeva, poco ci mancò che lasciasse cadere il foglietto, allibito.
Riuscì solo a fissarlo, a fissarlo quasi come ipnotizzato, cercando di capire con tutte le sue forze cosa mai potesse significare. Ma ecco che nuovi simboli marchiarono di carminio la candida carta. Come se una penna invisibile li stesse scrivendo per lui, si rivelavano poco per volta ai suoi occhi d'argento curiosi e spaventati con tratto eloquente, pregiato. E solo quando la frase fu completata, l'Albino strabuzzò finalmente gli occhi, sorpreso oltremodo per quanto gli si presentava dinnanzi.


24 Febbraio, 18xx

Una data.
Una data marchiata col sangue su un foglio bianco.
Che cosa poteva significare?


Qui tutti mi trattano male.

Una voce chiara, atona... Un eco lontano sparso nell'aria, confuso. Allen si voltò all'indietro. Ma non vedeva niente, e i pezzi di carta luminosi erano scomparsi. Però... C'era qualcuno, assieme a lui. Qualcuno che parlava, girandogli attorno; refolo d'invisibile vento, che trasportava il suono scompostamente per riempirci il vuoto d'ombra della sua dimensione onirica.


La padrona dell'orfanotrofio ci picchia, e non ci da mai da mangiare.

Di nuovo. Chiunque fosse, era chiaramente una bambina. Eppure nessuna emozione dimorava nelle sue parole. Nessuna sfumatura di colore in quelle sillabe ingrigite dal pianto. Solo... Solitudine. E amarezza. E desolazione. Si algamavano all'oscurità in una perfetta e macabra simbiosi. Come se fossero la matrice di quel luogo tetro e vuoto. Come se quel mondo dentro al quale l'albino pareva essere precipitato non fosse che un'estensione di quell'inconsolabile suono fluttuante.


Sarebbe stato meglio rimanere a marcire ai bordi della strada.

- Chi sei?! - Allen aprì finalmente bocca, teso e impaziente. Il cuore gli batteva talmente forte da risuonare in ogni angolo del suo corpo; stava per cedere. Non ce la faceva più, voleva svegliarsi. Voleva aprire gli occhi, fuggire da quel postaccio per non doverci più tornare. Aveva paura. Sentiva l'agitazione crescergli nell'animo, divorargli lo stomaco, appannargli la vista e azzerargli l'udito.
"Svegliati, svegliati, SVEGLIATI!!" gridava nella sua mente, rannicchiandosi a terra con la testa stretta tra le mani; una bomba, che sarebbe esplosa se quella voce sfuggevole non fosse cessata al più presto.


Però...

Allen spalancò gli occhi, gonfi di lacrime.

... Oggi ho conosciuto un'altra bambina.
Si chiama
Cari.

E poi, sull'acqua riaffiorò un'immagine riflessa e luminosa, i contorni sfocati, quasi inesistenti. Due bambine erano intente a lavare un pavimento con degli stracci lerci. Sorridevano. E intanto, si raccontavano a vicenda le proprie storie, così simili eppure così distinte tra loro da parire come fili che il Destino aveva intrecciato appositamente.
La prima, la più grande per aspetto, aveva lisci capelli castani, tenuti a bada da un fiocco maldestro sulla nuca, occhi azzurri, brillanti più del cielo; un sorriso che sapeva di simpatia. L'altra, quella più piccola e magra, portava lunghi fili di seta lilla sulla testa, e oro lucente a colorarle le iridi. Nell'istante in cui la vide, così ritratta in se stessa, così debole, così malinconica... Ebbe un dejavù. Lui... Aveva già incontrato quella fanciulla molto, molto tempo prima...

Ricordava una pagnotta rotolare sotto la pioggia; ricordava un corpicino freddo e pallido rannicchiato sotto una coperta, inerme di fronte alla crudeltà del mondo. Ma soprattutto... Ricordava il suo sguardo. Quello che per un breve istante l'aveva atterrito, l'aveva spogliato di tutto il suo coraggio e lanciato contro un muro di gelido rancore, sopito o forse dimenticato a causa del dolore di ogni singolo giorno.

Mi ha chiesto se possiamo essere amiche.

Ha detto che così potremmo dividerci da mangiare e aiutarci a vicenda...


L'immagine cominciò a svanire, divorata dall'avanzare delle ombre galleggianti sull'acqua nera. Allen allungò una mano verso di essa e tentò di trattenerla dallo scomparire. Ora, improvvisamente, voleva capire. Voleva comprendere il senso di quelle visioni e quanto centrassero con una ragazzina incontrata per caso anni prima. E poi... Voleva scoprire la ragione per cui aveva la strana sensazione di conoscerla.

- No! Aspetta!!

Sforzo vano.
Il riflesso delle due bimbe diveniva sempre più piccolo, sempre più spento...


... Non voglio perderla...

... Finché non scomparve, inghiottito dai flutti d'ombra.
Allen gridò. Ma la sua bocca non emise un fiato.
Cominciò ad immergere le braccia, nel tentativo di riacciuffare quella luce. Ma anche lui cominciò a venire risucchiato. Si dibatté con tutte le sue forze, facendo appello ad ogni minuscolo grammo di forza in suo possesso per resistere. Ma prima che se ne potesse accorgere, stava già precipitando sul fondo del mare. Bolle d'aria scure fluttuavano sopra di lui, silenziose. I suoi occhi d'argento si stavano chiudendo.

- Non... Voglio... Per... Derla... - mugugnò, mentre il suo corpo veniva trascinato da macigni invisibili verso la morte. E quando non fu più in grado di vedere né sentire nulla, un'altra voce gli rimbombò nel cervello.

- Svegliati...

Chi lo chiamava?

- Svegliati...

- L... Lina...


- SVEGLIATI, ALLEN!

- Waaaaaah!!!

Allen si tirò sul letto gridando in preda al panico, la faccia pallida e sudata. Timcampi, che ronfava comodamente sul suo petto, volò via come un proiettile, rizzando la coda spaventato per la sorpresa. Finì così tra le braccia di una Linalee parecchio seria in volto, che fissava il compagno come se quello appena compiuto non fosse stato altro che uno dei tanti tentativi di svegliarlo.

- Non vuoi perdere chi? - domandò parecchio contrariata, per motivi di cui l'albino, confuso e spaurito, non era a conoscenza e non poteva nemmeno immaginare.

Infatti non badò minimamente alla domanda della cinesina, intrappolato in un turbinio di sentimenti e pensieri confusi, senza senso secondo lui. Ansimava, cercando nuovo ossigeno per i suoi polmoni. Qualcosa gli diceva che se non fosse arrivata Linalee a svegliarlo, sarebbe annegato nel suo stesso sogno. Il pensiero lo fece trasalire, tanto da portarsi le mani alla testa, pesante, per arruffarsi nervoso i capelli.

- Allen? - la giovane Esorcista si chinò su di lui, cedendo parte della collera accumulata nel tentativo di svegliarlo in cambio di seria preoccupazione. Dopotutto, erano appena tornati da quella bizzarra missione nella foresta, e tutti in condizioni più o meno gravi, a seconda che si parlasse del fisico o della mente. Ma non c'era tempo per riposarsi, o per aspettare che le ferite cicatrizzazzero; non ancora. E proprio per questo Linalee era accorsa a svegliare il compagno, seppur questo fosse in condizioni da non sottovalutare: questioni di elevata importanza reclamavano al più presto una spiegazione, e il racconto di chi aveva assistito a quel piccolo dramma sarebbe stato fondamentale per ottenerla.
Timcampi zampettò veloce fino al viso del padrone, le alucce abbassate fino a trascinarsi sul materasso. Stette qualche attimo a fissarlo, e poi all'improvviso spalancò la bocca irta di denti appuntiti per dargli un sonoro morso sul naso.

Allen saltò via dal letto gridando per il dolore, gli occhi lucidi di lacrime e qualche vena pulsante a manifestare la sua rabbia. Il piccolo golem dorato si staccò bruscamente sfarfallando in giro per tutta la camera, per paura di essere acchiappato dal collerico padrone al quale, per assurdo, iniziarono a lacrimare gli occhi. E Linalee non poté che guardarlo stranita: lui, che mai si lasciava andare neanche durante i più feroci scontri con Akuma, piangeva per un morso al naso.

- Allen - lo chiamò ancora, con voce comprensiva ma al tempo stesso desiderosa di essere autoritaria. Non era il momento di perdersi in gag di quel tipo.

Il giovane albino sollevò la testa, con la punta del naso tutta arrossata.
- Oh, scusa Linalee! - esclamò con tono dispiaciuto - Non ho badato minimamente a te, ti chiedo di perdonarmi!

- Fa niente. Piuttosto, cosa stavi sognando? - chiese la cinesina acchiappando al volo Tim per accoglierlo tra le sue manine delicate.

Allen ci pensò su qualche attimo.

- Non me lo ricordo con precisione, ma penso fosse un incubo - mentì, senza alcuno scrupolo. Non voleva preoccuparla inutilmente - Comunque... C'è qualche problema?

Linalee annuì subito dopo con decisione, tornando a focalizzarsi sul suo obbiettivo primario.

- Sì, devi venire subito da mio fratello, è urgente! - asserì puntigliosa, avviandosi verso la porta con passo svelto - Deve parlarti riguardo alla nostra missione...

Allen capì all'istante. Non ci fu bisogno di alcuna parola in merito perché lui ricollegasse l'urgenza della compagna alla donna che avevano incontrato, durante il recupero dell'ultimo cubetto di Innocence. Con fare calmo si sollevò dal letto, risistemando le coperte con cura: un gesto fin troppo freddo, calcolato, che tradiva una tensione snervante. Komui avrebbe voluto spiegazioni, poco ma sicuro. E lui avrebbe dovuto dargliele, ben sapendo che avrebbero potuto apparire al Supervisore della sezione scientifica solo come farfugliamenti dettati da sensazioni inutili; decisioni prese sulla base di sentimenti confusi, insensati, della cui natura non era certo nemmeno l'Esorcista albino. Perché l'aveva salvata?

Nemmeno lui, questa volta, riusciva a trovare una risposta. E se avesse potuto evitare di discuterne, ne sarebbe stato più che felice. Oh, come avrebbe voluto cancellare quel momento, far sì che non avvenisse per nulla. Invece i suoi piedi battevano veloci sul pavimento di pietra dell'Ordine Oscuro, a ritmo con i tacchetti leggeri di Linalee, diretti proprio dal fratello di quest'ultima. La detentrice dei Dark Boots embrava agitata, e come darle torto? Avevano raccattato una Noah da una foresta, senza sapere chi fosse o se avesse intenzioni pericolose nei loro confronti. Per quanto ne poteva sapere Allen, che ci aveva combattuto e aveva visto di cosa era capace, quella giovane non era altro che una ragazzina spaventata, vittima di una volontà più grande di lei. Forse era stato questo il motivo per cui aveva deciso di aiutarl: la curiosità, nei confronti di quel comportamento umile e pietoso, a cui mai nessun'altro Noah incontrato era stato soggetto. Nemmeno Tyki Mikk, col suo scivolare da una vita all'altra dando l'impressione di possedere sentimenti davvero umani, poteva sembrare davvero sincero. E dire che se non lo avesse saputo, che il barbone contro cui aveva vinto a poker era un alleato del Conte, avrebbe continuato a pensar bene di lui.

E poi, il sogno, da cui si era appena svegliato. Che centrasse qualcosa con quella donna? Forse avrebbe dovuto parlarne, sperando che fosse un valido argomento...


La porta dell'ufficio del Supervisore s'aprì lentamente. Tra la marea indicibile di foglie e cartacce impunemente sparsi sul pavimento, ormai inesistente, Komui stava in piedi accanto alla scrivania, il palmo sinistro poggiato su di essa a stringere i documenti inerenti l'ultima missione affrontata dai due Esorcisti. Si voltò nell'istante in cui questi entrarono, palesando sul proprio volto un'aria preoccupata e stanca: gli occhi contornati da nere occhiaie, la mascella serrata, i muscoli rigidi. Mentre Allen aveva beatamente ronfato nella sua stanza, quasi dimentico di tutto, lui non aveva osato concedersi un simile lusso, continuando a riflettere per tutta la notte, agitato e impaziente. Non era da lui mostrare paura. Questa volta la faccenda si faceva seria.

- Grazie per averlo portato, Linalee - li accolse con un lieve sorriso; una maschera, un gesto di circostanza che sparì all'istante.

Allen non si sedette nemmeno. Ritto davanti a lui, come un soldato nei confronti di un generale, attese istruzioni. Ma nel suo cuore sapeva già quale sarebbe stata la domanda.

- Allen - il Supervisore pronunciò il suo nome sospirando, come se l'atto del parlare gli pesasse, per l'enorme quantità di tensione che si portava appresso - Perché l'hai portata qui?

L'Esorcista non rispose. Stava ancora cercando di sistemare insieme le parole da dire.

- E' una Noah, ti rendi conto? - continuò il cinese - Sulle prime ho deciso di aiutarvi, quindi ho fatto in modo che se ne occupasse solo la Capo Infermiera, in una stanza isolata. Ma... Ora, Allen, voglio delle risposte. Sappi che non ti immolerò per questo, né ti accuserò di tradimento o altro. E' proprio perché penso che ci sia una valida ragione dietro a tutto questo, che ho aspettato di parlarti per sapere la tua versione.

- Mio fratello non ha ancora detto nulla all'Ufficio Centrale, né al personale della Home. Nessuno a parte noi e la Capo Infermiera sa di questo fatto - spiegò Linalee, decisamente più pacata e dolce. Lei avrebbe sempre riposto fiducia nei suoi compagni, a prescindere.

Allen li guardò negli occhi, tutti e due. Senza timore di dire la propria, trovò forse la maniera per spiegare sia a loro che a se stesso il motivo di quella cruciale scelta.

- In verità, nemmeno io sulle prime ho saputo spiegarmi una simile scelta. Il perché abbiamo salvato quella donna mi rimane ancora nascosto, ma... C'è stato un momento, mentre combattevamo, prima che tutto fosse avvolto dalle fiamme... Ecco... - trovava incredibilmente difficile parlare. Se dal un lato pensava che quel dettaglio rivoltasse in meglio la situazione, dall'altro lo trovava insignificante, se non addirittura stupido.

- Non preoccuparti, Allen - Linalee gli si avvicinò, con un piccolo sorriso - Se mio fratello non ha ancora avvertito nessuno, e ha deciso di insabbiare la faccenda, è perché si fida di te. Sa che non ci tradiresti, che non compiresti mai scelte che possano metterci in pericolo. Qualsiasi cosa sarà in grado di fare per aiutarti, la farà. Giusto?

Komui, sentendosi preso in causa, esitò per qualche attimo, ma alla fine esibì un sorriso speranzoso che non poté far altro che infondere ulteriore coraggio nell'albino, il quale annuendo si apprestò a terminare con rinnovata sicurezza la frase incespicata fino a quel momento.

- La verità è che prima che la bomba di Albin esplodesse, quella donna si è bloccata e... Mi ha chiesto scusa.

Linalee e Komui strabuzzarono appena gli occhi, sorpresi da quella rivelazione.

- Mi ha chiesto scusa per avermi fatto del male. Poi, qualche minuto dopo, benché stesse per morire e fosse sopraffatta dal dolore... Ha continuato a scusarsi, all'infinito. Io.. Ho capito che nulla di quello che ci ha fatto era intenzionale. Che non era lei ad agire.

- Come fai a dirlo? - chiese la cinesina titubante, scossa da quelle parole di verità profonda.

A quell'intervento ad Allen scappò una piccola risatina imbarazzata. Fornire risposte non era mai stato tanto difficile come in quel momento.

- Ecco... Sapete, io penso di averla già incontrata, molto tempo fa, durante il mio apprendistato; ma allora ciò che vidi era solo una ragazzina impaurita, accucciata all'angolo di una strada al riparo dalla pioggia. Allora mi sembrò così fragile, così... Ecco, mi sembrò che si sentisse in colpa per qualcosa. Altrimenti perché avrebbe lanciato la pagnotta in mezzo alla strada?

- La pagnotta? - i due fratelli mostrarono con la stessa perplessa espressione due punti interrogativi al posto degli occhi.

- Ah, però poi quando gliel'ho ridata l'ha accettata senza problemi... - continuò l'albino, perso in uno sproloquio senza senso alcuno, la mano sinistra guantata appoggiata al mento in un atteggiamento da pensatore.

- Allen, cosa stai dicenodo? - Komui lo interruppe, confuso oltre ogni dire. Ora tutta la sua faccia era a forma di interrogativo.

- Ah, scusatemi! - si ricompose l'Esorcista ridacchiando, assalito dalla vergogna. Continuò poi, tornando serio e calmo - Ho fatto anche un sogno strano questa notte. Ho sentito una voce, e ho visto l'immagine di due bambine. Una non l'ho riconosciuta, ma l'altra... Penso si trattasse di quella donna. In realtà, non ci ho capito molto...

Linalee si rabbuiò, abbassando lo sguardo. Aveva capito che Allen le aveva mentito. E dire che si era pure preoccupata! L'albino se ne rese conto, suo malgrado, ma dovette terminare il suo discorso.

- Sono convinto che se ci parlassi, potrei ottenere delle informazioni importanti, sia su di lei che sui piani del Conte. Per quanto ne so, non sembrava intenzionata ad ucciderci, quindi penso che non sia pericolosa.

Komui andò a sedersi sulla propria scrivania, sommersa di documenti stampati sia su fronte che retro. Congiunse le dita a piramide, segno che stava attentamente riflettendo mettendo in relazione le informazioni già in suo possesso con quelle appena ottenute dal ragazzo. Qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto diffidare, che avrebbe dovuto retrocedere sulle proprie posizioni e negare ogni aiuto alla Noah, ma... Allen... Lui, in qualche modo, era riuscito a instillare il dubbio nel suoi pensieri. E se fosse stato tutto un errore? E se quella donna fosse sul serio indipendente dal volere del Conte? Certo sarebbe stata una risorsa fondamentale per loro; una preziosa fonte d'informazioni segrete sul loro nemico, che avrebbero potuto sfruttare per coglierlo di sorpresa, schernirlo, sconfiggerlo...

- Nemmeno io... - iniziò, il tono incredibilmente grave - ... Ne capisco molto, Allen. Ma se quello che dici è vero allora quella in nostro possesso è un'arma perfetta per la lotta contro il Costruttore. Se sarà in grado di fornirci informazioni adeguate sul suo conto, e soprattutto se si dimostrerà assolutamente innocua nei nostri confronti... Credo che riuscirò a parlarne all'Ufficio Centrale. Ma fino ad allora, finché non siamo del tutto sicuri, vi chiedo di tenerla d'occhio. Siete gli unici Esorcisti a conoscenza di questa informazione, affido a voi il compito di uccidere quella Noah nel momento in cui dovesse perdere il controllo. Me lo promettete?

A quelle parole, così ferme e spietate, pronunciate da una persona della cui dolcezza mai avevano dubitato, Allen e Linalee abbassarono il capo. Quello che stava chiedendo loro era una cosa senz'altro orribile, ma tuttavia perfettamente sensata.
Linalee fu la prima a capire quanto quell'ordine fosse indispensabile, per evitare fin da subito fraintendimenti o coinvolgimenti dal punto di vista emozionale verso quella che sarebbe potuta essere il loro miglior asso nella manica, o la causa della loro distruzione. Come per il Quattordicesimo sopito dentro Allen loro, in quanto compagni di vita e morte, avevano l'obbligo di rispettare la promessa fattagli, proprio in virtù di quel legame così forte che in pochi anni era divenuto più forte del diamante. E per quanto spregevoli, quelle parole erano la verità che aggirava i tormenti del cuore, che non guardava in faccia cose banali come i sentimenti, in una guerra dove questi avrebbero potuto essere la causa principale del male. Linalee lo capì subito, e dopo aver fissato il fratello negli occhi con ferrea determinazione, annuì senza rimpianto.

Allen la seguì qualche istante dopo, ma ciò non significò niente. Il suo coinvolgimento emotivo era già iniziato, e una promessa simile difficilmente lo avrebbe spezzato. Semplicemente, l'Esorcista albino non era affatto convinto di volerla uccidere. Piuttosto, la curiosità lo divorava, insaziabile. E prima che obbedire ad un ordine al quale non riusciva a trovare una spiegazione sufficiente che lo convincesse, avrebbe studiato a fondo Gwen per capire che tipo di persona fosse. Solo allora, avrebbe deciso se seguire il suo cuore, decisamente troppo tenero, o la logica; la spietata logica della guerra, impostata per menti fredde e calcolatrici e non certo per stupidi sentimentali come lui. Ma anche se questo avesse significato agire contro se stesso, non avrebbe esitato nell'eliminare la minaccia, nel caso in cui questa si fosse manifestata. Probabilmente ne avrebbe sofferto, ma quelle che avrebbe pianto non sarebbero state né le prime né le ultime lacrime...

- Signor Komui, se per voi non è un problema allora io andrei a farle visita - asserì così l'Esorcista, gli occhi chiusi e il capo chino, unici tramiti del dolore che si portava dentro.

Il Supervisore annuì serioso. Ma prima che il giovane inglese abbandonasse l'ufficio, aggiunse qualcosa:

- Mi raccomando: non fatela agitare troppo. Ci sono state delle complicazioni durante il suo trattamento, quindi potrebbe non essere in condizioni di parlare.

Allen si voltò all'istante, il viso chiaramente preoccupato; Komui lo notò e non ne fu affatto soddisfatto. Ma dopotutto, cosa poteva aspettarsi? Ormai, doveva conoscerlo bene. Il giovane si avvicinò rapidamente alla scrivania, impetuoso, senza curarsi per nulla dell'atteggiamento, divenuto improvvisamente troppo agitato per potersi dire una sua prerogativa. Strano a dirsi, era in pensiero per quella donna. E dire che aveva appena promesso di non lasciarsi coinvolgere...

- Cosa le è successo?!




Angolo di Momoko

Ma salve! xD
Pian piano recupero tutte le mie long, cominciando da Into the Madness. Vi avverto, questo capitolo non mi soddisfa molto: ci sono fin troppi dialoghi, anche se necessari in quanto saranno il terreno su cui poi si svilupperà il grosso della storia. Che dire? Il Conte rulla u.u
Solo ora mi rendo conto che questa storia sarà d'una pesantezza incredibile. Ho deciso che nel prossimo capitolo comincieremo a sapere le prime cose sul passato di Gwen e Cari (giusto accennato in questo capitolo), quindi spero che vi piacerà :)
Come sempre, ringrazio alla Follia - ehhhhhhh! - tutti quelli che leggono, recensiscono, mettono la storia tra preferite, seguite e ricordate. Vi voglio bene ç_ç Devo ricambiare in qualche modo...
Prima di dileguarmi, vi avverto che ho quasi finito di sistemare il mio blog di Tumblr xDD Non chiedetemi perché, ma ho voglia di provarlo, dopo anni di sfruttamento per il rapimento di immagini d'ogni sorta xD Quindi, se qualcuno ha voglia di mettersi in contatto con me anche lì, anche solo per chiacchierare del più e del meno, sappiate che ci sarò^^
Ok, ora me ne vado davvero xD Scusate tanto il madornale ritardo, spero che queste vacanze mi permettano di aggiornare con più regolarità ;A;
A prestoooooo,

Momoko <3
   
 
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