Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Rhona    18/06/2014    1 recensioni
Parigi, 1772.
I poveri sono stremati. Tutti ripongono le loro speranze nel Delfino, il futuro re, e nella sua nuova sposa, tanto amata dal popolo quanto odiata nella corte.
Poi ci sono loro...Pierre: uno scassinatore belloccio ma piuttosto stupido. Henri e Philippe: ladri di strada, gente dalle mani leggere e vellutate. Mathieu: l' orfano del mugnaio della Cité. Gilbert: un bracciante fuggito dal sud e approdato nella capitale. Jean: un vecchio mendicante che suona il violino sul sagrato di Notre Dame per quattro spiccioli di elemosina. Edouard e André: amici dal momento in cui sono nati in due case attigue, ma fin troppo diversi. Ognuno di loro fa parte di un gruppo, una banda, una strana combriccola di saltimbanchi che rubano e donano: la banda di Monsieur Dubois.
Scelte disumane, tragedie familiari, pregiudizi. Onore ai nobili, fasti di corte, lussuria. Amori impossibili o non corrisposti, un segreto tenuto nascosto per più di vent'anni... E la rivoluzione che, inesorabile, si avvicina.
«Ma chi credete di essere?!» chiese ridendo «Robin Hood, forse?!» Lui sorrise, le scostò i riccioli castani dall’orecchio e le sussurrò «Io sono Dubois.»
NOTE: ispirata in parte al classico ideale del “ladro-gentiluomo”.
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
9. Insopportabile dolcezza del suono “Madeleine”
 






 
André baciava bene. Dopo anni ed anni passati a fare pratica su qualunque donna incontrasse ne era sicuro. E la donna che era a cavalcioni sopra di lui, con la gonna tirata su fino alla vita e la camicetta sbottonata, sembrava essere del suo stesso avviso. Steso sul letto di una stanza dell’ala ovest nella residenza dei Juillar, si lasciava accarezzare dalle piccole ed agili mani della cameriera. Il suo nome era Madeleine. Gli accarezzava il petto nudo e continuava a baciarlo freneticamente, lasciandosi sfuggire piccoli suoni involontari. Fantasticava, sussurrandole all’orecchio parole dolci, che non fosse la semplice cameriera venticinquenne Madeleine Loraine, ma che fosse l’altera e affascinante Madeleine De Bayonne. I loro abiti erano seminati in tutta la stanza, chiusa a chiave. André, tenendo gli occhi chiusi, baciava le labbra morbide di Madeleine, accarezzava le spalle di Madeleine, il viso di Madeleine, la schiena di Madeleine... ma Madeleine Loraine: si sarebbe venduto la Francia a uno qualsiasi fra i paesi stranieri che la volevano pur di avere l’altra, vera, Madeleine. I capelli della Loraine le arrivavano solo fino alle spalle, in netto contrasto con i capelli lunghissimi che aveva visto sulla vera Madeleine. Più sentiva la pelle del misero surrogato sulla sua, più sentiva che non avrebbe mai avuto la vera Madeleine. Anche il corpo della cameriera era diverso: meno alta, meno snella, meno abbondante col seno, ... Per non parlare del carattere: meno altezzosa, meno istruita, meno intelligente, meno... meno... meno... Ciononostante non smetteva di baciarla appassionatamente, immaginandosi non già Madeleine Loraine, ma Madeleine De Bayonne, a muoversi seminuda sopra di lui in preda all’estasi più profonda. «Chi è lei?» la domanda lo lasciò esterrefatto.
Tartagliò: «M-ma cosa dici, Madeaux?» tentò i baciarla di nuovo.
Lei scosse la testa e scese. Si riabbottonò la camicetta velocemente, rassettò la gonna  e cominciò a rivestirsi velocemente. «Senti: è inutile. Il vecchio metodo “chiodo scaccia chiodo” non funziona, chiaro?! Se è lei che vuoi sarà meglio che cerchi di  averla, o diventerai pazzo. Non cercare di dimenticarla perché non ci riuscirai.» lo guardò truce e uscì sbattendo la porta. Forse era il sesto senso femminile, o forse non era così ingenua come pensava lui. André restò steso sul letto, con la sola camicia addosso. Sospirò. Si guardò intorno: dovevano essere circa le sei del mattino, forse le cinque e mezzo. L’alba illuminava debolmente la stanza. Per l’ora di pranzo forse sarebbe riuscito ad intrufolarsi a Versailles e forse anche a trovare Madeleine, quella vera finalmente. Aveva bisogno della lista, per trovare i suoi genitori. Eppure la cosa non gli importava più: quella che una volta era stata la sua priorità, ora si eclissava alla luce della dolce Madeleine. “Dolce?!” ecco fatto, cominciava ad idealizzarla già dopo due settimane che non la vedeva. Era ora di riprendere contatto con la realtà... Fissò il segno quasi scomparso del frustino. Se la ricordò mentre, spaventata, parlava tremolante con gli occhioni sbarrati.  Poi se la immaginò come aveva fatto poco prima: nuda affianco a lui, mentre, raccontandogli la sua giornata, gli accarezzava il petto dopo aver fatto l’amore. “Pensi al nulla, André. Non l’avrai mai...” ora cominciava a realizzarlo.
“Basta: è ora di mettersi al lavoro.”
 
 
 
 






 
VERSAILLES
 
 
 


Era un piovoso mercoledì, era quella l’unica differenza fra quel giorno e tutti gli altri. La luce pallida e spossata del sole entrava appena e rilegava Antoinette in uno stato a metà fra l’annoiato e il triste. Le Madames Tantes insistevano a prendere il tè con lei ogni domenica, ma non disdegnavano neppure il mercoledì per torturarla. Erano arrivate fra le nove e le dieci, e alle undici ancora non accennavano ad andarsene. Ormai anche le pareti della stanza erano annoiate! Si era dovuta perfino cambiare di fronte a loro! Non che non l’avesse mai fatto: alla cerimonia della vestizione mattutina erano sempre le prime della fila; e dopo tutti gli anni che avevano, ancora non riuscivano ad allacciare decentemente un corsetto. Continuavano imperterrite a spettegolare. Ma quel giorno Antoinette era piuttosto soddisfatta: soddisfatta perché Madeleine l’aveva messa a parte di una “volgare e disgustosa” mania di dare soprannomi alle tre: Adelaide era "Loque" straccio. Vittoria: "Coche" cocchio, per la sua mole spropositata. Sofia:"Graille" cornacchia. Che gente odiosa! “Con persone come queste intorno: o diventi come loro o scappi” aveva pensato diverse volte. Come sarebbe voluta scappare via, per vivere in campagna con una vita semplice e felice... Se ne andarono alle undici, quarantasette minuti e trentasei secondi: era tanto concentrata a fissare morbosamente la pendola che non fece quasi caso alla loro partenza. La Lamballe si lasciò cadere sulla sua poltroncina fingendosi morta. La fece ridere.  Antoinette si alzò andò verso la finestra aperta: sole pallido, frescura, giornata piacevole. «Altezza, se permettete vorrei tornare da mio marito, è da poco tornato a Parigi.» chiese la Lamballe.
Antoinette le sorrise. «Certo Maria Luisa. Potete andare. Se volete siete dispensata anche per questo pomeriggio.» La Lamballe si inchinò, sorrise e indietreggiò fino alla porta senza dare le spalle.
«Volete andare anche voi Madeleine?»
Lei scosse la testa. «Aspetterò finché vorrete.» le sorrise. Antoinette tornò a guardare fuori dalla finestra. La duchessa De La Rochelle tornava alla reggia correndo, colta dalla pioggia mentre passeggiava con i suoi figli. Ma Antoinette non aveva figli. Era sposata da quasi sei anni, ma niente figli. Sentiva lo sguardo dei nobili su di lei, quando si presentava a pranzo, o la mattina durante la cerimonia della vestizione. Tutti mormoravano, tutti parlavano, tutti sputavano la loro sentenza personalizzata su di lei: la gelida austriaca sterile che non concepiva un erede al paese. Antoinette piangeva, sempre più spesso e sempre più a lungo, nella solitudine del giardino. A volte Madeleine, per tirarla su, le portava dei dolci da Parigi, della zona dove abitava. Antoinette le aveva chiesto di stabilirsi a Versailles, ma Madeleine aveva risposto semplicemente “Altezza: spero capiate che come Versailles è una gabbia per voi, lo è anche per me.” E Antoinette non aveva fatto obbiezioni. Ciononostante veniva a Versailles ogni giorno con Alain, che come capitano delle guardie della reggia doveva presentarsi a Versailles ogni sacrosanta mattina.  Infondo Marie Antoinette aveva sempre la Lamballe vicino. Maria Luisa non era semplice come Madeleine, ma aveva la classica simpatia italiana. Era divertente stare con lei. Mademoiselle Genet era in brodo di giuggiole, mancavano pochi mesi prima che diventasse ufficialmente “Madame Campan”.   «Tutto bene, Altezza?» chiese Madeleine, interrompendo le fila dei suoi pensieri. Le si sedette accanto. Antoinette sospirò. «Tutto bene, è solo che non vedo Louis da un po’...» mentì. Dopo quello che Madeleine le aveva confidato non se la sentiva di mettere sulle sue spalle anche i suoi problemi: aveva le spalle larghe, sì, ma fino ad un certo punto.
«E voi? State meglio da domenica scorsa?»
Scosse la testa. «Mi sento osservata anche ora.»
Cinse l’amica con il braccio. «Passerà.» sussurrò.
«Non ne dubito.» mormorò in ricambio «Ma è una sensazione... orribile.»
«Quand’è stata l’ultima volta che lo avete visto?»
«Circa una settimana e mezzo fa. Era su un albero, ma ho fatto finta di non vederlo.»
«Ne avete parlato con Alain?»
Scosse la testa. «Ho paura per lui: paura che possa fare qualcosa di stupido... E non ho il coraggio di andarlo a denunciare, ho paura che si vendichi... io non ce la faccio più...»
Antoinette le sorrise. «Se non se n’è andato dopo che l’avete picchiato col frustino dovete davvero piacergli. Forse non vuole farvi del male, solo... sedurvi. Ho sentito che è un donnaiolo.» ma Madeleine affondò il volto nella gonna del vestito blu che indossava. Un vestito semplicissimo ma ampio, con una pelisse damascata (strettissima sul busto e morbida sulla gonna) di un tono lievemente più chiaro. Pensò a rassicurarla: «Venendo qui si espone troppo. Presto lo noteranno: verrà arrestavo, ve lo assicuro.»
«Quell’uomo attraversa le pareti, Altezza. Nessuno l’ha mai visto entrare o uscire fino ad ora.»
Guardò la pendola. Quasi le dodici. «Credo che se non mi presenterò a pranzo nei prossimi cinque minuti, la contessa di Noailles andrà in escandescenze.» osservò ironica. Madeleine scosse la testa sorridendole. Antoinette si alzò. Mentre si avviava verso la porta Madeleine la fermò. «Grazie, Altezza.»
 
 
 
La luce del sole era debole e veniva offuscata e a tratti del tutto oscurata dalle nuvole plumbee che gravitavano su Parigi. La pioggia batteva inesorabile sulla reggia. La finestra del re era aperta. La pioggia sarebbe entrata... ci voleva qualcuno che la chiudesse. Due strani uomini, vestiti di nero, con domino ed una maschera dal lungo naso su ciascuno dei volti, s’aggiravano guardinghi sul tetto. Sapevano di correre un rischio. Il primo assicurò la fune sull’ornamento più solido e si calò giù. Il secondo fece lo stesso, utilizzando la corda del primo. Già sul balcone due guardie li attaccarono. Il primo strappò il fucile alla guardia e la colpì  con un calcio ai genitali. Tutte e quattro le guardie fecero la stessa fine: a terra, agonizzanti per il dolore. I due domino fuggirono schivando i servitori. Una dozzina di servitori avevano assistito alla scena, ed ora correvano a perdifiato per andare a chiamare aiuto. Si trovarono un vicolo cieco: una stanza chiusa e senza chiave. Guardandosi intorno videro i due domino con bianche maschere dal lungo naso chiudere la porta da dove erano entrati. Il secondo domino cominciò a ridere forte. Il primo si tolse la maschera. André era fradicio, letteralmente. I capelli erano appiccicati sulla fronte, appiattiti. Ci passò la mano, li strizzò e tornarono, seppur umidi e bagnaticci, al loro posto. Edouard però non era da meno. «E siamo qui solo da venti minuti!» constatò. Guardò fuori dalla finestra. Pioveva a dirotto... «Il Diluvio Universale è alle porte, amico mio.»
«Ed è solo mezzogiorno, pensa cosa farà ‘sta notte!» osservò l’amico sul tempo.
André sorrise. Si riscosse: «Edouard, dev’esserci una porta nascosta qui intorno, che conduce fino alle stanze della regina, cerchiamola.» Come faceva a saperlo? Facile; in ogni casa nobiliare il marito e la moglie avevano camere separata, ma comunicanti... per la notte... Era grazie a quelle porte che un paio di volte si era salvato dall’essere scoperto da qualche marito furente. Scosse tende, scansò veli, tastò le pareti, mentre Edouard controllava nei dintorni. Nulla: nessuna porta.
«André!» chiamò Edouard bisbigliando. «C’è una porta nella parete, vieni qui!»
André lo raggiunse, rimettendo la maschera sul viso. Scostò lievemente la porta. La camera della regina: la porta era molto vicino al letto a baldacchino.
All’interno c’erano due cameriere. Mettevano in ordine «Edouard, come la mettiamo con le cameriere.»
«Aspetta che se ne vadano, no? Vedi la tua donna?»
“La MIA donna... bella frase!” «No, non c’è.»
«Allora aspettiamo.» Attese paziente. Entrò un’altra cameriera, poi un’altra, un servitore, un paio di cameriere uscirono, uscirono anche le altre quattro, restò il servitore che se ne andò con un candelabro in mano. Uscirono dal loro nascondiglio circa un quarto d’ora dopo. La stanza non sarebbe rimasta vuota a lungo, dovevano esserci delle cameriere per quando la Delfina sarebbe tornata dal pranzo. Tutto stava nell’incrociare le dita e sperare che entrasse Madeleine. Scavalcò la ringhiera in legno dorato, fece un cenno distratto che indicò ad Edouard la  tenda preziosa e ampia della finestra più a destra. Si nascosero sulle due tende della stessa finestra: una ciascuno. Entrarono due donne. Una cameriera sui quaranta: magra e dalla mascella spigolosa. Gli occhi chiari infossati nelle orbite e i capelli che erano a tratti rigati di grigio argenteo. La cuffia che indossava era piuttosto piccola. Era molto bella, anche se cominciavano a vedersi in lei tutti i segni d’un invecchiamento un po’ precoce. Dietro di lei entrò, finalmente, Madeleine. André la trovava bellissima quel giorno. L’ampio abito blu si intonava con la sua pelle chiara, con quegli occhi dello stesso colore. Sorrise. Aveva i capelli raccolti in un una acconciatura più o meno alta, ma non troppo. Le scendevano delle lunghe ciocche ricce, una ventina. Poggiò un pacchettino sul mobile. La cameriera accennò ad un inchino e se ne andò. Ora aveva paura di spaventarla, avrebbe potuto reagire male. Doveva presentarsi prima? L’avrebbe spaventata non capire chi la chiamava. Meglio questo però, che spaventarla a morte, sbucando senza preavviso. Edouard aveva il preciso ordine di non muoversi, come d’accordi presi.
«Madeleine?» chiamò, restando nascosto. Lei si voltò e sorrise. «Chi c’è? Alain, sei tu?» André uscì allo scoperto. Il volto di Madeleine cambiò drasticamente, divenne spaventata e tesa. Urlò. André le si avventò sopra, tappandole di nuovo la bocca. Lei cominciò a dimenarsi: «Chi siete?!»
«Sono Dubois.» disse, come se fosse ovvio, allontanandosi mentre allentava la presa.
«Idiota, levatevi quella maschera!» André capì cos’era la cosa che gli faceva tanto caldo sulla faccia. Se la tolse velocemente e si sfilò il cappuccio del domino. «Bene.» riprese fiato. «Dov’eravamo rimasti?»
«Andatevene.» scandì, voltandogli le spalle. Edouard uscì, ma non tolse né maschera né domino. «Lui è Edouard, lavora con me.»
«Non  m’importa chi è! Non voglio vedervi, non voglio parlare con voi! Andatevene!» alzò la voce.
«Sono qui solo per chiedervi un piccolo favore.»
Lei si voltò. Aveva gli occhi spaventati. «Che favore potrei mai farvi io?» mormorò.
«Non lo immaginate neppure...» le sorrise. Sfortunatamente, il sorriso che ne uscì era il sorriso sensuale e misterioso che usava per sedurre le giovani figlie dell’aristocrazia campagnola... Madeleine ne fu spaventata: forse chiedendosi a cosa gli sarebbe servita la forza di un secondo uomo –Edouard, che non aveva mai portato fino a lei- e aggiungendo la risposta vaga e ambigua di André corse via. André ne fu preso alla sprovvista, ma con un lungo scatto l’inseguì. Passarono una stanza, poi un’altra ancora, poi un’altra fino ad arrivare a quella che riconobbe come Sala delle Guardie. Mentre si accorgeva che la porta era accostata ma non chiusa, della speranza di poterla fermare, inciampò nel domino. Il rovinoso ruzzolone lo portò a cadere su Madeleine, che cadde, voltandosi appena in tempo per atterrare sulla schiena. André le cadde sopra. Madeleine lo fissò a bocca semiaperta, col respiro affannoso. Urlò, poi si mise a gridare aiuto, ma nessuno la sentì. André non si muoveva, era ipnotizzato dal movimento del corpo della donna sotto di lui. Lei cercava di dimenarsi, ma non riusciva a spostare André, sicuramente più pesante di lei. Madeleine –non se lo sarebbe mai aspettato- cominciò a piangere.
«Farò tutto quello che volete, ma vi prego non usatemi violenza, io...» implorò fra le lacrime. In quel momento André si rese conto di essere fra le sue gambe, di costringerla a terra e di tenerle i polsi attaccati al pavimento. Si alzò subito, tenendo le mani in alto e bene in vista. «Non volevo costringervi a terra! Io... sono caduto e vi ho spinta per sbaglio. Mi dispiace, Mademoiselle!» tartagliò.

Madeleine sembrò un po’ sorpresa. «Voi non avete... non proverete a violentarmi.»
Scosse subito la testa. «Mai, Mademoiselle.»
Sospirò, scuotendo la testa: « Perché continuereste a seguirmi, allora?!»
André sorrise, sperando di rassicurarla. «Voi... bé... non posso dire che non siate una donna attraente. Forse un po’ altezzosa, ostile, altera, paranoica, testarda ma pur sempre attraente.»
«Vedo che apprezzate soprattutto il carattere in me.» osservò arricciando le labbra.
«Molto più di quanto possiate pensare, in realtà: non siete come le altre del vostro rango, sapete parlare di altro oltre che spettegolare. Non avete bisogno di essere tutelata, avete la lingua più tagliente di una spada.» poi abbassò la voce «E anche se non lo sembrate, sono sicuro che siate la persona più dolce e comprensiva che possa esistere.»
«L’insopportabile dolcezza del suono “Madeleine” non implica la dolcezza di chi lo porta in nome.»
«Io non lo so dal nome,» le porse la mano per aiutarla ad alzarsi. «ma dai vostri occhi.»
«Ah, sì?» chiese ironica. Gli afferrò la mano ed André per un attimo ebbe la sensazione di non reggersi più in piedi. «Volete sapere cosa vedo io nei vostri, di occhi?»
«Cosa?»
«Vedo che non siete sincero.» era seria.
André sorrise, andando verso la finestra. «È  frustrante, sapete? Il fatto che nessuno ti creda solo perché sei un ladro.»
«Non è quello che siete?»
«No, io sono un adorabile e simpatico briccone.» le sorrise. Con sorpresa e non poca soddisfazione notò sul suo viso la comparsa si un sorriso - seppur triste e restio.
«Continuo a dubitare di voi perché mi rimane piuttosto ostico pensare che continuiate a starmi col fiato sul collo dopo così tanti rifiuti...»
André si finse offeso. «Odio voi e il vostro frustino.»
Cambiò discorso. «Cosa volevate da me, prima?» chiese dubbiosa, un po’ diffidente.
«Voi avete accesso ai registri di corte?»
«Sì,» chiese diffidente «ma a voi cosa servono?»
«Vorrei che mi faceste una lista: tutti i generali residenti a Parigi dal 1745 al 1755. Con i relativi indirizzi di adesso se è possibile.»
Madeleine scosse lentamente la testa. André ebbe il bruttissimo presentimento che stesse per sbottare «Così che possiate rapinarli indisturbato?! Come siete ipocrita, Dubois! Prima parlare bene e poi venite a chiedermi favori: a me, che credete ti conoscere così bene, eh?!»
«Vi do la mia parola che non sarà fatto nulla di male a quelle persone.»
«Ve lo ripeto: che valore ha la parola di un bugiardo?»
Sospirò. «Avete la mia parola: e se non onorerò il patto, descrivete il mio aspetto alle autorità.»
«E come so che non vi vendicherete. Avete voi il coltello dalla parte del manico.»
«Avete la mia parola d’onore.»
«Parola d’onore d’un ladro.»
André si fermò a riflettere: dire a cosa gli servivano i registri era escluso. Cosa voleva Madeleine più di qualsiasi altra cosa? «Fatelo è giuro che non mi rivedrete mai più. Vi lascerò in pace, la prossima e ultima volta che mi vedrete sarà per consegnare la lista. Dopodiché sarà finita, se così vorrete. » Aggiunse l’ultima frase per darsi una speranza. Lei sembrò pensierosa; si avvicinò alla finestra. «Lo farò.»
André annuì.
«Quando avrò finito vi verrò a cercare io. Dove vi troverò?» chiese, guardando all’esterno.
«Cattedrale di Notre Dame, a Parigi. Un mio uomo è sempre sul sagrato.»
«Dove posso trovare voi, non il vostro uomo.»
«Venite alla cattedrale di Notre Dame, non posso dirvi altro.» poi si voltò per andarsene.
« Io non parlerò con il vostro uomo: non so chi lui sia, non so se sia la persona essenzialmente buona che riconosco in voi. Io parlerò con voi, o non parlerò affatto.»
André sorrise, si voltò ed annuì. «Ci sarò anch’io.» Lei asserì. La fissò negli occhi, aspettando una risposta, ma questa non arrivò. Rimase lì a guardarla, inchiodando il suo sguardo magnetico per un secondo in più del solito. Poi lei gli si avvicinò. Fino all’ultimo André credette che venisse verso di lui, ma lo oltrepassò e giunse per prima nella stanza della regina. Anche lui raggiunse Edouard, rimasto vicino alla tenda da dove era uscito.
«Buon pomeriggio, Mademoiselle.»
«Messieurs.» li salutò entrambi, senza alcun gesto. André rimise la maschera e calzò per bene il cappuccio del domino. Si infilò nella porticina della parete seguito da Edouard. Tornarono correndo nella stanza del re, uscirono sul balcone e risalirono sul tetto grazie alla fune che avevano lasciato. Scesero con cautela dal lato Ovest, meno affollato. Scavalcarono la recinzione appena in tempo per sfuggire all’allarme appena dato.




 



 
Si erano cambiati in fretta e furia dietro la recinzione della reggia. Avevano indossato tricorni e mantelli semplici, rilegando domino e maschera di ognuno delle due sacche di stoffa rozza che avevano con loro. I cavalli li aveva tenuti Mathieu, mentre era in città con un paio di “commissioni” da fare –rivendite porta a porta per i nobili del ciarpame che avevano rubato.
«Com’è andata?» domandò Mathieu.
«Abbastanza bene.» fece una smorfia «Farà quello che le ho detto. E dice che vuole parlare solo con me, non con uno dei miei uomini!» sorrise soddisfatto, avvicinandosi a Mathieu.
«Ma per favore!» intervenne Edouard.
 «L’hai sentita anche tu, Edouard! Sono essenzialmente buono!» poteva dirsi soddisfatto.
«Ce n’è di strada fra “è essenzialmente buono” a “è l’uomo della mia vita”...» sibilò ironico Mathieu.
André allargò le braccia, lasciando le redini. «Ma è già una conquista!»
Edouard scosse la testa sorridendo: «Ha ragione il ragazzo, André.»
«Scontenti cronici...» riprese le redini con un gesto svogliato.
Edouard chiese a Mathieu: «Qualcuno ha comprato?»
«Un paio di donne hanno acquistato le stoffe, poi ho venduto diversi candelabri, un po’ di libri. Non ci possiamo lamentare. Ho pensato che se rivendessimo i vestiti nobiliari a delle sartorie potremmo ricavarci parecchio.»
«Chi ha davvero confezionato l’abito potrebbe protestare. »
«E se le vendessimo alle stesse sartorie che li anno confezionati?»
«Non so quanto Rose Bertin voglia acquistare i suoi abiti ad un prezzo maggiore di quello di produzione.»
«Chi ha detto che deve essere maggiore?!» rise Mathieu «Basta che sia maggiore di quello a cui noi lo acquistiamo; e visto che noi li rubiamo...»
«Basta un prezzo stracciato, ed è comunque più di quanto prenderemmo da altri.» ragionò André. Annuì sorridente a Mathieu. «Altre novità?»
«Mi hanno detto che il Duca De La Rochelle dà una festa in maschera...» confidò.
André storse le labbra e poi le arricciò «Edouard?» chiamò, mentre il suo cavallo trottava allegro.
«Sì?»
«Non credi che sia ora di mostrare a tutta la nobiltà parigina le nostre belle maschere italiane?» spronò il cavallo al galoppo.








(... in pratica sarebbe la maschera di Scaramouche)






NOTE:
...non voglio fare l'uccellaccio del malaugurio ma credo proprio che non riuscirò a scrivere il prossimo capitolo prima di un mese! Teniamo le dita incrociate! Il rating è di nuovo arancione per via della scena all'inizio: non so se sia proprio necessario, ma nel dubbio metto le mani avanti!
Solita dichiarazione: chi vuole lasciare la sua opinione in merito alla storia è sempre bene accetto!
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Rhona