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Autore: TsubasaShibahime    19/06/2014    5 recensioni
" Non voleva lasciarlo andare. Per più di un anno Junhong era stato la sua libertà, il suo modo di uscire dalla triste monotonia della realtà. Era stata la ragione di ogni sua scelta. E adesso non ci sarebbe stato più niente del genere fino a chissà quando. Sentì la voce di sua madre e sua sorella chiamare il suo nome in lontananza, non poteva lasciare che scoprissero il suo piccolo principe. Lo accompagnò allora ai cespuglietti, lasciandogli la sua giacca e avvolgendolo in essa come un fagottino.
- Lo hyung tornerà e giocheremo ancora insieme. Cresci e diventa forte e tanto, tanto felice Junhongie. -
- Hyung, non... -
Non voleva che lo supplicasse di non andare, non voleva sentire quelle parole perchè avrebbero squarciato maggiormente il suo cuore. Portò un dito davanti alla bocca minuta del bimbo, zittendolo, poi sorrise e gli diede le spalle, correndo via, verso un futuro degradante, senza di lui.
Junhong lasciò cadere il Tigro per terra, in una pozzanghera e allungò le manine bianche verso quella che era ormai la sua ombra immersa nella pioggia fitta. Proprio come la prima volta tendeva le braccine verso la sua sagoma che si allontanava.
- Non lasciarmi solo hyung.. - "
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Yongguk, Zelo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nei giorni seguenti Yongguk iniziò a provare una sensazione di spaesamento, di confusione e quasi di paura. Era un uomo razionale alla quale diverse volte nel corso della vita era stato insegnato che illudersi era la cosa peggiore che si rischiasse di fare e, tra l'altro, detestava il non avere le idee chiare. Aveva vissuto sempre con la propria vita scandita da programmi giornalieri, sapeva a che ora doveva mettere giù i piedi dal letto, quanto poteva impiegare per una doccia ogni mattina e quanto tempo avrebbe trascorso per portare a termine un qualche lavoro che gli veniva assegnato, ma la cosa importante era che sapeva sempre e comunque quali fossero le ragioni per le quali agiva, quali fossero i suoi obiettivi finali ed in che modo ruotasse il suo mondo. 
Da quando era alla villa invece, tutto si era capovolto. Gli sembrava di vedere le cose sempre al contrario, aveva l'impressione di camminare a testa in giù, così che tutti i pensieri, grumosi ed intricati, si concentrassero in un punto, impedendogli di andare avanti. Era esattamente così che si sentiva e no, non era affatto piacevole. 

Quando qualche giorno dopo riuscì a tornare a pensare all'accaduto razionalmente, prese un'unica decisione che, in realtà, avrebbe dovuto prendere molto tempo prima: quella di avvicinarsi alla famiglia Jung. Le motivazioni erano più di una. Da un lato faceva parte del piano che Lui aveva stilato prima che Yongguk giungesse in Corea, dall'altro si trattava dell'unico modo di scoprire quale fosse la verità dietro quella stupida scatola nera. In fin dei conti non era possibile che quel pupazzetto prendesse vita la notte e uscisse dalla scatola, andandosene a zonzo, e vi tornasse per riposare alle prime luci del mattino, come per non rischiare di essere visto dagli umani. No, Yongguk era davvero frastornato, ma non fino a quel punto. Sapeva dunque che qualcuno doveva necessariamente mettere e poi togliere il Tigro dalla scatola, ma non sapeva chi fosse, se fosse interno o esterno alla casa e per quale ragione lo facesse. Certo non sarebbe stato difficile per lui scoprirlo se si fosse appostato dietro uno degli alti cespugli di rose del giardino, ma quella casa era popolata da più occhi che persone, dato che oltre ad esse, la quantità di telecamere era impressionante. Se solo il maggiordomo e i suoi occhietti cattivi si fossero accorti di uno Yongguk accovacciato come un idiota dietro un cespuglio, di certo non ci sarebbe stato modo di non farlo sospettare di sè. Sinceramente non aveva voglia di discutere ancora (dato che lo faceva fin troppo frequentemente) con quel maggiordomo rincitrullito. 
Avvicinarsi alla famiglia Jung comunque non era un'impresa facile. Era conscio fin dall'inizio di doverlo fare penetrando con cautela nella cerchia delle persone fidate, perchè non credeva che i padroni di casa dubitassero di lui, ma c'erano di certo cose che non gli avrebbero mai detto, dato che abitava in quella casa da ancora troppo poco tempo e perchè in fin dei conti non c'era ragione di fidarsi di lui. Il primo passo era dunque quello di avvicinarsi al corpo dei domestici. Con il maggiordomo non c'erano molte speranze, ma con gli altri decise di non demordere. 
Tutte le mattine allora, alle nove e trenta in punto, mentre faceva colazione con gli altri, stupendo tutti, iniziò a salutarli, poi a dare il via a conversazioni, porre domande e mostrarsi curioso nei confronti delle mansioni degli altri, riguardo ciò che pensavano riguardo questo o quell'altro e tante altre cose, anche piccoli gesti, che lo aiutarono a raggiungere il suo obiettivo in non troppo tempo. Con Hyoseong, la domestica che credeva così snob e sulle sue, strinse addirittura quella che poteva considerarsi una buona amicizia. Era una ragazza graziosa, ma dalla forza bruta e la personalità iperattiva, ma non era solo questo a rendere Yongguk particolarmente soddisfatto di quella nuova relazione, quanto due vantaggi fondamentali: il primo era che Hyoseong parlava tanto, parlava di tutto, parlava a vanvera e raramente misurava le parole o solo in seguito si rendeva conto di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto, per questo spesso trapelavano dai suoi discorsi informazioni riservate, che sperava Yongguk non tenesse a mente; il secondo vantaggio era che lei, oltre al maggiordomo, era l'unica a poter avere liberamente accesso allo studio del Signor Jung ogni qual volta che quotidianamente egli voleva fare una pausa. Hyoseong entrava in quella che sembrava una camera blindata, in fondo al corriodio del secondo piano, con una porta ampia e in faggio, dalla maniglia laccata in oro, che sembrava più massiccia di entrambi i bicipiti di Yongguk. Hyoseong, con la sua aria graziosa, sembrava quasi cozzare con quella seriosa e lussuosa dello studio di quello che, una volta oltrepassato l'uscio, diventava il Presidente Jung, capo di una grossa multinazionale che, nel campo della tecnologia, aveva ormai conquistato economicamente tutto il Paese e che si preparava ad allargare i propri confini conquistando gli Stati Uniti. 

Era mattina quando si decise a perdere un po' del suo tempo, non spendibile in altri modi, in realtà, a parlottare con Hyoseong durante la colazione.
- Non vedo l'ora, sarà un evento memorabile! - esclamò la ragazza, mordendo un altro toast. Era il terzo, probabilmente, coperto di marmellata alle ciliegie. 
- Parli del compleanno della signora Jung? - 
Lei annuì, lasciando perdere il toast, pronta a raccontargli tutto. Aish, si sarebbe solo voluto tappare le orecchie. 
- Ci saranno moltissime decorazioni, anche se la Signora è ancora indecisa sul colore dei vasi, ma immagino che vada bene il verde menta, si abbina alle pareti. Ah, Yongguk-ssi, sei così fortunato ad andare al ricevimento, io dovrò servire per tutto il tempo. Sai che ci saranno tantissimi nuovi camerieri? La casa ne sarà letteralmente invasa. Spero ce ne sia qualcuno particolarmente carino. Immagini come sarebbe? Ascolta, ascolta. Lui mi vede tra la folla, con un vassoio d'argento in mano, io lo intravedo, ma imbarazzata fuggo con le guance tutte rosse, lui mi insegue... - afferrò il polso di Yongguk con così tanta forza da farlo guaire come un cagnetto alla quale è stata pestata la coda - ...mi prende per il polso e sospira sulle mie labbra. E poi ci sposiamo ovviamente. - 
Yongguk alzò un sopracciglio, riuscendo solo allora a liberare il polso dalla sua stretta e tutto il resto dalle fantasie amorose e parecchio sconnesse di Hyoseong. Certo, potevano essere attratti dal suo aspetto, ma avrebbe voluto proprio vedere in che modo avrebbero fronteggiato la forza di quel troll nascosto nel corpo di una ragazza. 
- Accadrà senza dubbio qualcosa del genere... - commentò ironicamente e lei fece una smorfia e gli diede un pizzicotto sul braccio. 
- Yah, piuttosto, hai visto in che condizioni sei? Da quanti anni non pettini i capelli? Vedi di essere carino la sera del ricevimento o ti farò uno sgambetto nel bel mezzo della sala. E poi ho sentito dalla Signora la vera ragione per la quale vuole che tu ci vada... però aish, non credo dovrei dirtelo... - 
Yongguk la fissò, contando in mente fino a tre. 
- ...Però insomma, non credo sia così importante. Te lo dico, so che vuoi saperlo! Dunque, ricordi di sabato scorso? Daehyun è tornato a casa con un'amica, no? Ah, la Signora era così preoccupata che potesse essere la sua fidanzata che mi ha supplicato di estorcere informazioni alla ragazza, e indovina un po'? La sua risposta è stata " no, Daehyun non mi interessa, ma ho visto di sfuggita quel suo tutor... è così sexy " -. Il suo tono di voce era diventato disgustosamente femminile nelle ultime parole.
Yongguk non fece una piega, non perchè non gli facesse piacere, ma interessarsi ad una compagna di classe di Daehyun lo faceva sentire un pedofilo, giusto perchè trattava il suo allievo come un ragazzino, nonostante avessero solo tre anni di differenza. E poi in realtà le questioni sentimentali non gli interessavano poi tanto. Aveva così tante cose alla quale dedicarsi che figuriamoci se una ragazzina con una cotta per lui potesse attrarre la sua attenzione. 
- Comunque la Signora ha deciso di presentartela direttamente. - 
Yongguk sputò la poca acqua che aveva appena sorseggiato. 
- Yaaah! Guarda che ho appena lavato il pavimento! - sbottò l'altra, dandogli anche uno schiaffetto sul polso poco prima di alzarsi per cercare il mocio, così che potesse dare una ripulita alla veloce, prima che qualcuno dubitasse che avesse svolto le sue mansioni in maniera appropriata. Yongguk tossì. Cosa gli toccava sopportare? 

Il ricevimento fece cadere la casa nel caos, ma a distanza di due giorni dal quarantacinquesimo compleanno della Signora, Yongguk continuava ad esaminare l'attuale situazione, ancora disastrosa, e alla fine si decise a chiedere a Hyoseong quel piccolo favore. In realtà ci volle un po' per farla cedere. Yongguk non credeva fosse una richiesta poi tanto gravosa: voleva solo avere qualche minuto per parlare con il Presidente del rendimento di Daehyun, o almeno questa era la ragione che si era inventato. Dopo mille preghiere e scongiuri, finalmente si convinse. 
La domenica allora, a due giorni di distanza dal pomposo ricevimento, Hyoseong si intrufolò nello studio del Presidente con un vassoio con tè nero e biscottini e quando ne uscì gli rivolse un occhiolino, segno che il Presidente aveva acconsentito a vederlo. Nel momento in cui Yongguk fece un passo verso la porta, il cuore gli salì in gola e iniziò a battere come un tamburo. Sapeva che probabilmente, anche senza volerlo, aveva evitato a tutti i costi quel momento. Aveva sempre visto quell'uomo di sfuggita, le poche volte in cui lasciava il suo studio o non andava a lavoro, ma mai aveva avuto modo di avvicinarsi abbastanza da poter dire quali erano i tratti somatici del suo volto. La questione era che forse non aveva mai voluto che accadesse. Temeva di non riuscire a mantenere il controllo, temeva di mandare all'aria tutto, tutti quegli anni trascorsi con un solo passo falso, con una parola troppo irriverente, con un gesto affrettato e istintivo. Se non fosse riuscito a mantenere l'aria professionale, seria e da bravo ragazzo che si era costruito non solo la sua permanenza lì, ma probabilmente anche la sua stessa vita, sarebbe giunta al termine. 
Alla fine si fece coraggio e fece un passo avanti, superando l'uscio ed infilandosi all'interno. Lo studio era grande due volte la cucina, con le pareti coperte da una carta da parati color giallo ocra e le tende spesse, in velluto bordeaux che coprivano le grandi finestre. Sulla destra c'era la scrivania, ordinata, che ospitava giusto qualche scartoffia, una lampada e una penna stilografica. Dietro di essa un'intera parete era ricoperta da una grande libreria, piena piena di libri e fascicoli, ma dubitava si trattasse di articoli di intrattenimento o lettura per diletto. Forse una prova, ciò che cercava, poteva trovarsi tra quella tanta carta. 
Il Presidente, tarchiato, che per via dei capelli brizzolati non poteva più nascondere i suoi cinquantasei anni, se ne stava invece sulla sinistra dello studio, in una zona dedicata al relax, dotata di due divanetti e due poltrone color senape che sostavano su un ampio tappeto persiano che trasudava preziosità da ogni fibra. Yongguk, rigido come una tavola di legno, si voltò verso di lui e si inchinò. Il Presidente lo guardò da sopra gli occhiali da lettura dalle lenti sottili e con un gesto della mano lo invitò a venire avanti. Sorseggiava il suo tè nero. Lo faceva con estrema calma, come se avesse la coscienza pulita, quell'assassino. Yongguk si avvicinò sorridendo appena e si accomodò sul divano, giusto accanto alla sua poltrona, che sembrava aver preso ormai la forma di quel corpo che spesso la occupava e che magari tanto tempo prima era stato atletico e giovane. D'altronde occupava quell'importantissimo ruolo nell'azienda di famiglia da quando aveva venticinque anni. Si era informato bene su di lui. 
- Hyoseong mi ha detto che volevi vedermi. - 
- Si signore. Volevo semplicemente riferirle del rendimento di Daehyun. -
- C'è qualcosa che non va? - 
- Oh, no, va tutto bene, anche troppo bene, direi. Suo figlio aveva giusto qualche lacuna nella lingua, ma è estremamente sveglio e intelligente. Quello che vorrei consigliarle, una volta terminato il tutorato, è di consentirgli di fare un viaggio all'estero per parlare più frequentemente la lingua. Nel nostro Paese purtroppo non ci sono molte possibilità da questo punto di vista. - 
Lui annuì, bevendo un altro sorso di quel tè bollente. Come facesse a mandarlo giù con quel caldo davvero non se lo spiegava. 
- Io e mia moglie abbiamo già preso in considerazione questa possibilità, tuttavia non credo l'idea per adesso andrebbe molto a genio a Daehyun, essendo un ragazzo molto socievole ha tanti amici e dubito li lascerebbe andare tanto facilmente. - 
Yongguk sospirò e poggiò la schiena alla spalliera, con aria un po' più rilassata, pur avendo le mani sudate dal nervoso. 
- Credo di capirlo, in realtà. Chi vorrebbe lasciare questa bella villa? - 
Lui sorrise fieramente, distendendo finalmente quell'espressione corrucciata e austera. - Allora ti piace? - 
- Come potrebbe non piacermi? La villa è davvero perfetta e il giardino di rose al quale il balcone della mia camera si affaccia è davvero bellissimo. Mi soffermo sempre a dare un'occhiata. - Che bugiardo spudorato. 
- Ah si, mia moglie ha insistito tanto perchè la camera con la vista sul giardino andasse all'ospite. Ama particolarmente le rose, in particolare quelle gialle e quelle color pesca. -
- Comunque il terreno è molto grande, a quanto ho visto, anche l'albero più bello del giardino, quello indicato da quei lampioncini... - 
Lui tornò a corrugare la fronte, stranito. - C'è un albero del genere? - 
Yongguk rise dentro di sè, era ridicolo quanto poco conoscesse camera sua, ma si limitò ad annuire. 
- Beh, è il giardiniere ad occuparsi di queste cose. Mi fido del suo buon gusto. -
- Dunque anche la serra è opera del giardiniere? - 
Lui alzò un sopracciglio, posando la tazza e incrociando le braccia sul petto. Forse stava valutando il fatto che Yongguk se ne fosse andato abbastanza a zonzo. 
- No, quella è opera mia. Vedi, l'albero scelto dal giardiniere sarà anche il più bello tra tanti, ma il vero fulcro del giardino è quella serra. - lo vide quasi inorgoglirsi, mentre fissava fuori dalla finestra, ma le sue labbra restavano immobili, piatte come il mare in giornate fredde e senza vento. 
Yongguk quasi imitò il suo precedente gesto, sollevando anche lui un sopracciglio. 
- E' perchè è una costruzione antica o particolarmente pregiata? O magari per qualcosa che contiene? - 
Il Presidente se la rise e riportò gli occhi su di lui. - Come ho detto mia moglie ama le rose, ma ancor più ama il giardino di rose. Sente il bisogno di avere almeno un mazzolino di quelle stesse rose in camera, o accanto alla sua vasca da bagno. Se le cogliessimo però dal giardino, per lei sarebbe un grande fastidio, perchè vorrebbe dire rovinare la natura dei cespugli. Avevamo la necessità di avere altre rose, che crescessero lontano dalla sua vista e che potessero essere colte ogni qual volta mia moglie desiderava. Ed ecco il perchè della serra. - 
Yongguk era confuso e non riuscì a stare zitto. - La prego, non mi consideri irriverente, ma come può essere una serra contenente altri fiori dello stesso genere il fulcro di un giardino così bello? - 
Lui sembrava divertirsi un mondo, difatti rise ancora. 

- La ragione è, signor Bang Yongguk, che dentro la serra... una rosa respira. - 

Yongguk aggrottò la fronte, era la frase più equivoca che potesse mai sentire, ma prima che potesse aprir bocca per chiedere spiegazioni a riguardo, Daehyun entrò in camera con il suo passo saltellante e canticchiando a labbra serrate con la sua bella voce. Sbigottito notò Yongguk, ma non disse nulla, si inchinò e sorrise ad entrambi.
- Passo più tardi. -
- Ah, no Daehyun - lo fermò il padre - Resta pure, il signor Bang Yongguk stava andando via. - 
E nonostante Yongguk si sentisse cacciato, si alzò, salutò educatamente e uscì dalla stanza, prendendo aria solo quando finalmente si trovò lontano da quel mostro. 

-

Le parole dell'uomo gli avevano dato ancora una volta qualcosa sulla quale riflettere e così, mentre tutti si affannavano per la preparazione del ricevimento e perchè fosse perfetto, lui se ne stava chiuso in camera, uscendo fuori solo quando era costretto a farlo per via delle lezioni con Daehyun, ma anche durante quelle si distraeva facilmente e troppo spesso l'allievo doveva riprendere il maestro perchè tornasse con i piedi per terra e smettesse di volteggiare tra le nuvole. 
Prima ancora che potesse rendersene conto, il giorno del ricevimento arrivò. 
Sarebbe impossibile descrivere quanto quel giorno l'intera tenuta fosse piombata nel caos. La quantità di camerieri giunti in casa era davvero ingente come diceva Hyoseong, quasi non si riusciva più a camminare per i corridoi senza correre il rischio di scontrare un cameriere o una domestica con una pila di stoviglie tra le mani, argenteria, utensili da cucina, o torri di tovaglie. Ormai non si trattava più di attraversare androni, ma di intraprendere quotidianamente un percorso ad ostacoli. Anche perchè beh, se malauguratamente fosse caduta una forchetta dalle manine chiare di una di quelle domestiche e si fosse scheggiata in maniera anche solo appena evidente, sarebbe toccato a Yongguk ripagare tutto il servizio. Hyoseong l'aveva avvertito con un'aria serissima. 
Quella stessa sera, la domestica consegnò in camera sua uno smoking che, sicuramente, era costato un occhio della testa, dicendo che era un omaggio da parte della Signora la quale teneva davvero tanto alla sua partecipazione (che poi non aveva ancora ben capito se fosse perchè voleva appioppargli una fidanzata viziata o se per vantarsi del suo buon tutor d'inglese). Ovviamente non poteva di certo rifiutare un dono del genere, insomma, sarebbe stato un idiota se avesse anche solo pensato di farlo. Una volta indossatolo rimase una mezz'ora buona a rimirarsi allo specchio. Non si era mai sentito così in forma, così elegante. Aveva dato addirittura una bella sistemata ai capelli arruffati, portando il ciuffo all'indietro con giusto un po' di gel. 
Daehyun, che non voleva raggiungere la sala del ricevimento da solo, si intrufolò nella sua camera quando Yongguk era pronto per uscire, così insieme camminarono verso l'ala esterna che conduceva al ricevimento. Riusciva già a sentire la piccola orchestra sinfonica, risa, schiamazzi e il chiacchiericcio allegro degli ospiti, ormai tutti arrivati da un pezzo. Il portone della sala era spalancato, le luci gialle creavano un'atmosfera soffusa ed elegante, batteva sui vasi color menta e sulle tovaglie color glicine, sull'abbondante buffet italiano e coreano e sui sorrisi più o meno stereotipati degli invitati. Daehyun disse di non conoscere quasi nessuno lì dentro, ma i suoi occhi si illuminarono quando finalmente trovò la sua compagna di classe, felice di incontrare un volto amico tra tutti quei manager, politici e mogli di uomini benestanti mai visti prima. Yongguk si sentì un po' meno felice. Gli occhioni di quella ragazza sembravano brillare davanti alla sua figura ben più alta, lo fissavano con insistenza, ma, quando schiuse le labbra per dire qualcosa, il maggiore tossì, dando una pacca sulla spalla a Daehyun. 
- Bene, allora io vado eh? Ho voglia di bere qualcosa di fresco. - 
E in un attimo sgattaiolò via, lontano da quella signorina di buona famiglia, che probabilmente, se avesse voluto, avrebbe potuto comprarlo come fosse un nuovo Ken da dare in pasto a Barbie. 
Avrebbe fatto l'asociale, come faceva alle feste di compleanno dei suoi compagnetti durante le elementari, mettendosi in un angolino e strafogandosi di patatine e coca-cola. Beh, in quel caso il cibo di cui strafogarsi sembrava molto più raffinato, ma lo avrebbe comunque aiutato a fare la parte del figurino che osservava la festa da lontano, partorendo idee su quale potesse essere la vera personalità di tale persona, su cosa nascondesse in realtà quell'altra persona e insomma, che nessuno sembrava notare troppo. Nessuno tranne quella benedetta ragazzina. La vide rispuntare dalla folla dopo una ventina di minuti, con il mento alto e lo sguardo dritto verso di lui, uno sguardo talmente deciso da fargli temere che volesse perforargli la fronte fissandolo. Maledizione, doveva fuggire. Allora, come illuminata da un lampo di luce divina, vide la figura di Hyoseong, non poteva che inseguirla in fretta, sfuggendo una seconda volta alla tipetta con una cotta per lui. Vide la gonna voluminosa di Hyoseong svanire dietro la porta riservata ai domestici e naturalmente la imitò, chiudendosi quella porticina quasi invisibile alle spalle. Ovviamente si ritrovò nel bel mezzo del marasma più assoluto, i camerieri non lo videro neanche, troppo impegnati a svolgere le loro mansioni. Forse fu per miracolo che riuscì a ritrovare la chioma curata e raccolta di Hyoseong che per qualche oscura ragione usciva dalla porta di servizio. Raggiungerla tuttavia non era impresa facile. I camerieri iniziavano a guardarlo male e a chiedersi che diavolo ci facesse lì se era tutt'altro che qualcuno appartenente allo staff domestico. Insomma, tra non molto l'avrebbero buttato fuori a calci. Dunque, per prevenire la cosa, gli toccò uscire da quella porticina e tornare nella grande sala affollata, ancora animata dalle sinfonie eleganti dell'orchestrina. Dov'era finita Hyoseong? Aveva bisogno di qualcuno di ben più genuino come lei con la quale scambiare giusto una parola per sentirsi meno a disagio tra tutti quei "pezzi grossi". Decise di lasciare la sala mentre nessuno sembrava prestargli attenzione e fatto qualche passetto in penombra ritrovò la domestica che sembrava celermente tornare alla porta di servizio dalla quale era uscita un attimo prima. 
- Hyoseong, yah, che ti prende? - 
Notò che reggeva in mano un vassoio e non capiva per quale ragione. Alzò un sopracciglio. 
- Sei andata a dare una parte del buffet alle piante? - 
Lei gli diede un pugnetto sulla spalla, ma sembrava ugualmente un po' sbigottita. - Che idiota, mi hai spaventata. - 
- Ma che vai blaterando? Non mi sembri affatto spaventata. - 
- Torna al ricevimento Yongguk! - 
Era strano trovarla tanto seria, forse era soltanto impegnata con il servizio ai tavoli... o forse nascondeva un qualche cameriere/amante in un angolino del giardino. Certo, adesso stava fantasticando anche lui, ma non si sa mai. Con quel "non si sa mai " in testa allora iniziò a camminare, seguendo il tragitto che aveva percorso la ragazza un attimo prima, ma non trovò niente di più che il giardino di rose, illuminato dalla solita fontana. Allora lo sorpassò, indignato e nauseato da quei maledetti fiori. Pensò che magari fosse il caso di dare un'altra breve controllatina alla scatola nera, ma prima che potesse intraprendere quel sentiero tra l'erbetta umida, venne una seconda volta attratto dalla serra. La serra bianca e vecchia, dalle pareti ricoperte d'edera. Era la costruzione più importante del giardino, aveva detto il signor Jung.
- Ridicolo. - sbottò, raggiungendo la porta. - E' così vecchia e arrugginita, non si curano neanche di riverniciarla. - e sbuffò una prima, seconda e terza volta, dando un calcetto nervoso alla porta. Un "click" a quel punto attrasse la sua attenzione. La porta era aperta. Che qualcuno se ne fosse dimenticato? Forse il giardiniere?
Qualcosa gli diceva che non avrebbe dovuto, ma dando ragione alla sua testa dura, si intrufolò all'interno e si guardò attorno. Dei lampioncini dalla luce davvero flebile illuminavano la serra, appesi a pochi metri di distanza gli uni dagli altri nella parte superiore delle vetrate che si susseguivano nel formare le pareti della costruzione. Come aveva detto il Presidente, vi erano altri vasi di rose, ma non sembrava si trattasse di un'intera coltivazione, ce n'era giusto qualcuna sparsa qui e lì. Ma soprattutto, notò che, a differenza di quelle piantate in giardino e delle preferite della signora Jung, erano tutte bianche. 
Che razza di serra era? Avanzò, nonostante non sapesse bene in che direzione stesse andando. Notò che a dispetto delle serre completamente chiuse che spesso gli era capitato di vedere, quella aveva dei veri e propri buchi sul tetto, come si volesse far entrare la maggiore quantità di ossigeno possibile. Forse dipendeva solo dalla poca manutenzione che veniva riservata a quella costruzione nascosta. L'edera sulle pareti sembrava aver aggredito la serra e averla conquistata di prepotenza; ne ricopriva le pareti all'esterno e all'interno, e persino il pavimento; ai margini di quest'ultimo, si poteva trovare un'ingente quantità di foglie di un bel verde smeraldo. Mentre le fissava, non si rese conto di essersi avvicinato ad una lampada dalla luce un po' più forte delle altre. Fu la sua stessa ombra a far sì che si desse finalmente una svegliata. 
Sollevò lo sguardo, stropicciò gli occhi per via di quella luce che improvvisamente aveva reso tutto sfocato. 
Gli si formò un groppo in gola.
Il peluche se ne stava lì, su una comoda amaca, tra le braccia di un ragazzino dalle dita affusolate, le braccia esili e il viso dai lineamenti delicati. Dei ciuffetti biondi cadevano sulla sua fronte. Sembrava dormire profondamente, sereno, senza pensieri, o piuttosto, la parvenza era che tutto ciò che di brutto poteva aver vissuto, lo stesse riversando nella stretta salda imposta sul peluche di Tigro.
Una rosa respira
Gli tornò in mente quella frase all'improvviso, come un lampo. Sembrava quasi la didascalia dell'immagine che aveva di fronte. Quel ragazzino gli ricordava una delle tante rose bianche sparse per la serra, ma al contrario di esse, riusciva a vedere il suo ventre, nascosto sotto la coperta blu, alzarsi ed abbassarsi. Respirava lentamente. 
Cambiò espressione, seppur ancora dormiente, deglutì nel sonno e accennò un piccolo sorriso. Fu così che riuscì ad intravedere quel piccolo, minuscolo dettaglio, che riportò a galla tutte le sue speranze: notò un'adorabile fossetta sull'unica guancia in vista. Era una caratteristica non comune, quantomeno tra le persone che aveva incontrato nel corso della sua vita. 
Era una caratteristica che apparteneva ad un solo bimbo, quello con la medesima pelle cerea e delicata del ragazzo immerso nei sogni di fronte ai suoi occhi. 

Junhong



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OK, LO SO. Per questo capitolo ci ho messo un pochetto. E' stato un periodo incasinato, ecco tutto. Come promesso, ecco un pizzichino di gioia in più rispetto al solito! L'ho cambiato duecento volte, inserendo e poi togliendo dettagli che ero indecisa se mettere adesso o più avanti... e insomma, questo è il risultato e spero vi piaccia >w<
   
 
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