So far from where we are
Elena
Damon
cambia marcia con un gesto secco, inumidendosi il labbro inferiore e
continuando a guardare di fronte a sè. E’ sera
inoltrata ed il buio fa
compagnia ad una città troppo viva e troppo grigia,
riflettendo i miei stati
d’animo, il miscuglio di sentimenti non identificati che mi
bloccano il respiro
se mi ci soffermo troppo.
Stringe
il manubrio con una presa non salda, le nocche sono del loro solito
colore e le
mani sono quasi completamente distese. Smetto di guardare lui ed il suo
profilo, i suoi movimenti e, per un secondo, mi ritrovo a pensare a
quello che
sento, per cui volto il capo di fronte a me e decido che devo distrarmi.
Parlare
non pare essere un’opzione, sono troppo scossa per dire
qualcosa a riguardo e
indecisa se scusarmi; d’altra parte lui ha reagito non nel
migliore dei modi,
mostrandosi vulnerabile e non so dire se questo è un bene o
un male. Mi sono
sentita attaccata durante la nostra ultima discussione, e, inoltre,
l’unico
aggettivo con cui riesco a descriverlo è (di nuovo)
vulnerabile. Vulnerabile
forse perché tiene a me, all’altra me, a
sé stesso o semplicemente alla sua
sanità mentale.
“Elena…
giusto?”
Sobbalzo
al sentire la sua voce, per lungo tempo ho ascoltato solo i miei
pensieri e
poi, sentirlo così calmo e apparentemente pacato dopo quel
discorso, sembra
essere un’assurdità.
“Credo…
credo di sì.”
“Dov’è
Katherine?” tamburella le dita sul volante lasciando
trasparire ansia da quel
questo innocente.
“Suppongo
a casa.”
“Avete
parlato?” mi rifila l’ennesima domanda da
interrogatorio, mettendomi a disagio
più di quando credevo fosse possibile.
“Sì.”
“Perché
siete identiche?”
“Lei
dice
di non saperlo.”
Stringe
le labbra, lo noto con la coda dell’occhio. “Io
l’ho chiesto a te… a meno che
non possediate il dono della telepatia, oltre quello della magia che vi
permette di essere due gocce d’acqua”
Tagliente,
pronuncia queste parole. Sospiro.
“Credo
che abbiano a che fare i nostri genitori. Non so dire se i suoi o i
miei, ma mi
sembra un’impossibile coincidenza che due persone senza alcun
legame siano
identiche.”
“Perspicace.
Hai parlato con quelli di Elena, Elena?”
“No”
ribatto secca.
“E
perché, se posso chiedere?”
“Perché
implicherebbe l’andare da dei perfetti sconosciuti. Ed io
ho-”
Mi
blocco, mi mancano le parole e Damon, accanto a me, si irrigidisce.
Stringe la
mascella e smette di parlare,
di porre
domande lecite ma apparentemente inopportune e guida con il silenzio
nell’abitacolo.
Ho paura.
Ho troppa paura. Ecco cosa,
inconsciamente,
stavo per dire.
In un
modo che suona terribilmente patetico, adesso, sento che non riuscirei
più a
parlare con lui come accadeva prima. In un qualsiasi momento,
razionalmente o
meno, gli avrei confidato ogni cosa, senza conoscere la reale
motivazione del
mio gesto. Ora invece no.
Ora,
invece, mi sento inopportuna. Come le mie parole.
“Ti
posso
accompagnare io.”
“Ma
non
vuoi farlo” replico un attimo dopo, pentendomi di quelle
parole.
“Non
puoi
dirlo.”
Prende un
respiro profondo e continua a parlare. “Sei sola. Senza
memoria, per giunta, Elena. Per
quanto tu sia una
sconosciuta per me, sono ancora un essere umano. So che è la
cosa giusta da
fare.”
“D’accordo”
ribatto, rilassandomi sul sedile. “Portami da loro.”
“Adesso?”
“Prima
lo
farai, prima ti libererai di me.”
“Elena”
Il suono
della sua voce mentre pronuncia quel nome che non sembra appartenermi
del tutto
non fa altro che testimoniare il voler allontanarsi da me. Eppure
è qui, così
vicino. E’ distante con le parole ma a qualche decina di
centimetri con le
promesse.
“M’importa.”
Esclama non sbottonandosi troppo con i suoi pensieri.
“Lo
hai
già detto.”
Le sue
nocche diventano quasi bianche. “Ma tu non sembri
capirlo”
I miei
occhi sfuggono innervositi dal suo controllo, dall’unione con
i suoi e, improvvisamente,
quest’abitacolo sembra stringersi sempre di più
fino a far scomparire tutto
l’ossigeno presente.
Deglutisco,
buttando giù un groppo in gola di quelli davvero dolorosi.
Insistente
e famelico il suo sguardo indugia sulla mia figura, poco dopo ritorna
di fronte
a sé, sulla strada, nel momento esatto in cui stringe le
labbra ed una nuova
consapevolezza prende possesso del mio animo.
Un
dejà vu.
Una
sensazione già vissuta precedentemente. Le luci delle
macchine attorno a me. I
rumori della strada e il pensiero quasi sfuggente che
l’essere stata investita
possa ritorcersi contro me.
Stringo
gli occhi, riducendoli a due fessure, nella speranza che la
destinazione non
sia così lontana.
***
Non
è
difficile arrivare ad Hampstead
Heath e scorgere
l’unica e quasi fuoriposto galleria nelle vicinanze. A
differenza di quanto lei
ha detto, non c’è nessuno ad aspettarmi. In fin
dei conti, sarebbe stato anche
un po’ surreale cercare qualcuno semplicemente aspettando. O,
per la peggiore
delle ipotesi, nessuno si è accorto di questa mancanza.
Damon, al
mio fianco, avanza di qualche passo e raggiunge
la porta d’ingresso. Ovviamente è tutto buio,
è notte e non è possibile sperare
di trovare qualcuno a quest’ora. Ma lui è
più furbo di me, è più lucido di me
e, quasi paradossalmente, quei pochi passi di differenza fra me e lui
sono più
significativi di quanto credessi. E’ davvero lontano da me. E
per quanto io
corra per raggiungerlo, per quanto avanzi nella spasmodica voglia di
essere al
suo fianco, non ci riesco.
“Ci
sono dei recapiti telefonici” insorge qualche attimo
dopo, “Credi che risponderà qualcuno?”
Alzo le
spalle, “Provare non costa nulla, no?”
Guarda la
vetrata lucida e
poi sposta lo sguardo sul suo cellulare, in un
movimento che mette ancora più in risalto il suo profilo ed
i suoi lineamenti
da capogiro.
“Ehm,
pronto?”
I miei
occhi scattano nella sua direzione, sui suoi, che adesso mi osservano
con
insistenza.
“Sono
con
Kat- Elena”
inspira. “Ad Hampstead
Heath”
Sbatte le
lunghe ciglia e ascolta una voce che non riesco
ad udire. “Non sono un maniaco né un serial
killer” ribatte sarcastico.
“Arriviamo
subito.”
Siamo
seduti nel grande salotto di casa Wasilgilbert, non molto ampio ma con
un
arredamento elegante e raffinato (e costoso, aggiungerei, ma non tutto
quel che
luccica è oro… anche se, qui, non ne sarei tanto
certa). C’è un caminetto in
marmo bianco sul muro più grande dell’intera
stanza, di fronte al quale sono
disposti tre divani color latte attorno ad un tavolino basso pieno
zeppo di
vasi con fiori, le cui tonalità variano dal bianco al lilla.
I divani
tre posti sono arricchiti con semplici cuscini quadrati con strisce
più scure;
l’ambiente è luminoso e le tende panna sono tutte
chiuse, mettendo in
particolare risalto un pianoforte nero disposto in un angolo
dell’intera
stanza.
Accanto a
me ci sono solo persone sconosciute, due donne per
l’esattezza, che mi lanciano
qualche occhiata più spaventata che felice di rivedermi. Sul
divano di fronte a
me c’è Damon, che tamburella le dita sulla sua
coscia e sorride a metà fra il
sarcastico e lo scocciato. Accanto a lui due uomini, uno dei quali
visibilmente
giovane. Siamo qui, intenti a… far nulla? Scrutarci?
Aspettare che torni la
memoria?
“Quindi
tu sei… Elena.”
Lo dice
una bruna con la pelle ambrata, la quale spera che forse io sappia
più di lei.
Alzo le spalle, perché in fondo, cosa ne posso sapere io?
“Ma
l’uomo al telefono ha detto che lo eri.” Ribatte
poco dopo, assottigliando lo
sguardo.
“La
verità è che nessuno lo sa. Tranne Katherine...
forse.” Subito volto la testa
nella sua direzione, Damon che prende la parola; sono quasi catturata
da quel
nome, come se mi appartenesse ancora. Come se fosse mai stato mio.
“Katherine?”
dice l’altra mora al mio fianco.
“La
Katherine di Stefan?” continua un istante dopo.
Damon
serra le labbra e indurisce la mascella. Io lo guardo. Sembra voglia
ribattere.
Sembra voglia specificare che Katherine non è di Stefan. Non
lo è mai stata. Perché
Katherine è sua.
Questi
annuisce, con lo sguardo basso e perso nel vuoto di fronte a
sé.
“Tu
sei…
Stefan.” Esclamo allora, e tutti mi osservano con gli occhi
sgranati. “Lei ti
ha nominato. E anche… il
fratello.”
Damon rotea
gli occhi al cielo, in un gesto che sa di esasperazione e stanchezza.
E’ troppo
per lui? E per me?
“Non
è quell’Elena”
parla Stefan, posando lo
sguardo su di me, chiaro e colpevole, ferito e perso.
“L’ultima
che abbiamo avuto qui.”
La prima
mora scrolla le spalle. “Non puoi saperlo”
“Sì
che
posso.” Stefan mi indica. “Elena ha tagliato i
capelli. I suoi sono lunghi.”
Divento,
in poco tempo, il polo dell’ attenzione di tutti i presenti.
“Cosa
sai
di Katherine?”
Rido
istericamente. “Pensavo di esserlo. Lo penso ancora, se non
rifletto. Sono così
abituata alla sua vita al punto che tutto questo non mi piace. Voglio
tornare
lì, a casa.”
“Ma
sei a
casa” ribatte il giovane che non ha aperto bocca.
Scuoto la
testa, stanca. “Non ho idea di chi io sia, se Katherine,
Elena o chissà chi
altro. Non ho idea di quale sia il mio posto, ma lì sono
stata bene. Mi hanno
voluta bene.”
“Possiamo
amarti allo stesso modo.”
“Non
ci
capisco più nulla!”
“Come
possono essere identiche?”
“Quanto mi manca Elena.”
La
famiglia dell’altra me
–ammesso che
io sia Katherine – pronuncia queste frasi nel medesimo
istante.
“Katherine
ha ricordato. Non tutto, perlomeno.” Damon prende la parola,
sfregando piano le
mani. “Che voi sappiate, Elena è stata a Las Vegas
ultimamente?”
Tutti si
incupiscono, c’è chi abbassa lo sguardo e chi lo
punta su Stefan.
“Stefan?”
chiedo io, mormorando appena il suo nome. Lui sembra riprendersi
– come se
quella voce gli sia mancata, come se fosse un ricordo che prende vita,
come se
fossi la sua Elena.
“Sì,
con
me. Dopo che le ho chiesto di sposarmi.”
Damon
deglutisce. “Bene, cosa è successo?
Perché la mia Katherine ha avuto un
incidente.”
Pronuncia
duro queste parole, in modo quasi tagliente, ferendomi appena. Come se
avessi
appena avuto una fitta all’altezza del cuore. La
mia Katherine. La donna che ama.
“Abbiamo
discusso. Lei aveva… lei…”si copre la
fronte con una mano, prima di proseguire.
“Lei aveva bevuto. Ed io ero stanco, arrabbiato da come si
stava comportando.
Quando si è allontanata non ho provato a seguirla.
E’ stato—“ adesso mi guarda
negli occhi, mentre i suoi sono quasi lucidi. “E’
stato stupido da parte mia.
Ma ero furioso. Hai… hai fatto un incidente. Ti ho trovata
ore dopo, in un
ospedale piuttosto lontano dall’Hotel. Perdonami,
Elena.”
Damon ed
il ragazzo al suo fianco mormorano un
coglione sottovoce, quasi nello stesso momento.
Si
guardando di sottecchi.
Katherine
non ha ragione: la mia teoria sembra essere perfetta.
“Ricordo
Las Vegas.” Inizio incerta. “La mattina in
ospedale… prima di Caroline, c’era
Las Vegas. Me lo ricordo. E’ l’unica cosa che abbia
mai ricordato da quella
mattina sino ad oggi.”
“L’Hotel
con la torre eiffel?”
Damon ha
un briciolo di speranza negli occhi azzurri. Lo sa, sa che Katherine
era lì con
Caroline quel giorno. Me l’ha detto la bionda una volta.
Damon sa che, se io
rispondessi di sì, sarei la sua Katherine.
Ma se la
mia risposta fosse no, tutto ciò che abbiamo vissuto
è stata una bugia. La mia
vita è stata una bugia. E questa sarebbe, molto
probabilmente, la mia famiglia.
Non sono
pronta a mandarlo via, ad azzerarmi daccapo.
Però
lo
faccio – scuoto la testa, rassegnata, un po’
triste, mentre la speranza si
allontana da entrambi.
“Dobbiamo
parlare con Katherine.”
“Non
la
voglio qui” blocco Stefan facendo saettare il mio sguardo su
di lui.
“Elena…”
“Non
la
voglio qui. Voglio solo chiarezza. E lei non può darmi
ciò che voglio.”
La odio.
“Voglio
che rispettiate le mie scelte. E la mia scelta è non parlare
di Katherine, non
nominarla, non pensarla, non averla qui. Ha già fatto troppi
danni.”
Damon
scoppia: “Questo ha fatto
tanti
danni, io li ho fatti, Katherine e te non potete averne fatti. Non
nelle vesti
dell’altra.”
“Non
proteggerla solo perché sei innamorato di lei!”
sbraito io.
Tutti si
ammutoliscono.
Damon
chiude gli occhi. Sospira.
“Domattina
sarò di nuovo qui, in compagnia. Niente idiozie del cazzo,
dovete esserci
tutti.”
La sua
voce è atona, vuota di ogni minimo sentimento che non riveli
un’apparente
rabbia e frustrazione.
Va via,
prendendo la sua giacca e lasciandomi in balia di ciò che
temo di più.
Non
rispetta le mie scelte, non mi ama, mi odia e basta.
Mi sento
incredibilmente vuota.
Katherine
Caro
diario,
il mio
psicanalista diceva che avrei
fatto bene ad averne uno.
Quanto lo
odio.
Solo adesso
lo sto ascoltando. E
non so nemmeno il perché. Okay, probabilmente lo so.
E’ che non ho più nessuno,
adesso. Nessuno.
Mi rendo
conto dell’idiozia che ho appena scritto e strappo
l’intera pagina.
Caro diario,
tutto bene.
Tutti mi
parlano, non c’è nessun
problema.
Accartoccio
anche questa pagina.
Sto bene.
Aggiungo
la data di oggi e ripongo il quaderno sul letto del mio appartamento.
Sorseggio
un po’ di caffè, questa mattina mi sono svegliata
terribilmente male e dire che
non sono riuscita a dormire, questa notte, non credo nemmeno renda il
concetto.
Il
liquido scuro e bollente è nella mia tazza colorata, in
quella che ho sempre
usato.
E’
strano
a dirsi – a sentirsi, a pensarsi: essere a casa.
Eppure lo
sono: i miei muri sono questi e mi circondano, mi proteggono da quello
che c’è
fuori.
Sono
passate delle ore da ieri, delle ore da quando ho cacciato Elena di
qui, da
quando Caroline ha chiuso con me e con lei Damon, Nik, Elijah, Vicky
– persino Vicky.
E non sto
bene, per quanto voglia mentire a me stessa. C’è
una parte di me che sperava in
un ritorno ai vecchi tempi non del tutto ricordati, un ritorno a casa,
con
amici, Damon, Elijah, ai litigi, al mio lavoro, alla mia famiglia.
Ma nulla
di tutto questo è accaduto: sono più sola di
prima.
E riesco
a pensare solo una cosa da quando mi sono svegliata (come se avessi mai
chiuso
occhio).
Un
qualcosa di assurdo che non vorrei mai e poi mai fare.
Eppure
c’è una parte di me che lo sa, sa che lo farei, sa
che ne sono in grado perché prima
era prima, sa che potrei fare del
bene. Nuoto da tempo senza sapere di non poter stare a galla, di non
potermi
muovere perché vivo in agonia, ho sempre chiuso gli occhi ed
evitato di
aprirli, di guardare e capire cosa avevo e cosa perdevo.
Ma ora lo
so: e non è da me (ma chi sono io?), affatto. Ma me lo devo.
Prima a
me stessa.
Poi ad
Elena.
Ma io
resisto, lo faccio sempre.
In fondo, sono una Petrova.
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Buonsalve! Eccomi qui, con un nuovo capitolo dello strano caso:)
se vi state chiedendo il perchè di questo ritardo... niente, ho finito di scrivere la storia e mi sento davvero incompleta, credo che l'epilogo sia a tratti delirante e a tratti totalmente diverso dalla "serietà" presente nei vari capitoli. Okay, ma passiamo alle note di questo capitolo!
1. Hampstead Heath: è l'ambientazione della vita di Elena, ma, se qualcuno volesse saperne di più, è qui su wikipedia:)
2. https://www.youtube.com/watch?v=2v2_VQxUxmc questa è la magnifica canzone da cui il titolo prende nome... credo che la conosciate tutti per ovvie ragioni, in più io amo Birdy e molte delle sue canzoni/cover hanno fatto da sottofondo musicale a tvd (vedete il funerale di Bonnie con "without a word" o quello di jenna con "skinny love" etc)
3. questo capitolo, a mio parere, è pieno di dettagli Delena, ma credo siano difficili da scovare. Questo è il punto di vista di Elena, questo è quello che pensa lei e quello che vede lei, ma c'è sempre l'altro lato della medaglia... e qui mi riferisco a una frase in particolare:) non vi dico altro perchè altrimenti vi rovino la lettura/vi anticipo quello che accadrà nell'ultimo capitolo!
4. cosa ha in mente Katherine secondo voi? anche perchè vi dico che qui finisce ufficialmente il suo percorso, il resto sono dettagli o piccoli eventi che seguono a quanto accade qui!
5. ecco il salotto di casa Wasilgilbert!
6. so che il capitolo non è molto lungo, ma è importante, a cavallo fra il precedente e ciò che accadrà nel successivo, dove verrà spiegata e chiarita ogni cosa, dalla storia delle gemelle a tutto il resto:)
per qualsiasi altra cosa, basta chiedere!
vi lascio con lo spoiler e qualche link!
-la
mia long fortunata ad essere ancora su efp, acid
rain
-la
mia os, way
to say,
che mi sta particolarmente a cuore
-la
nuova long scritta a quattro mani con _valins, To
bet is to get
Dal capitolo 23:
Alza le
spalle. “Le cose nelle nostre vite non vanno bene
da un pezzo”
“Lo so”
“No” esclama, “Tu non lo sai davvero,
Elena… tu hai un
fratello, stavi per sposarti ed avevi tutto. Io ho sempre navigato nel
mare
dell’incertezza.”
//
“Lo
chiedi a me?”
Ride appena, scrollando le spalle e mi sento totalmente
stupida per aver parlato con lui.
“Scusami… dimentico che, beh,
tu sei Stefan”
//
“Il
problema” inizio io, “è che non so
più di cosa si
tratti”
“Il problema” continua lui, “sei tu,
Elena”
a presto ed un bacio!