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Autore: Severa Crouch    20/06/2014    1 recensioni
Questa storia nasce in occasione del compleanno di Pseudopolis Yard.
Dal primo capitolo:
Il primo a voltarle le spalle era stato proprio lui, quando aveva conosciuto Audrey, e l'aveva sposata, e aveva avuto due bellissime bambine ed era tornato a pensare alla propria carriera al Ministero; poi c'era stata Med, che era così assorbita da Oliver e dal campionato di Quidditch - lei! - e dai turni del San Mungo da non riuscire a gestirla insieme al resto; infine, c'era stato Charlie.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Spirava una leggera brezza estiva tra i vicoli di Trastevere.

Quando Percy le aveva detto che avrebbero trascorso la serata a Trastevere, Fera aveva immaginato la bolgia di turisti americani sudaticci e mezzi ubriachi, gli studenti universitari – quei pochi che non erano fuggiti in vacanza – che festeggiavano la chiusura del primo round della sessione estiva, e solo a settembre avrebbero ripreso i libri.
Aveva fatto training autogeno per poter gestire la bolgia e Percy, Percy nella bolgia, lei nella bolgia insieme a Percy. 
Invece, lui l'aveva sorpresa nuovamente, e quasi avrebbe detto di non conoscerlo abbastanza, se non fosse stato per tutto il tempo trascorso insieme. Del resto, poi, quella era l'unica ragione per cui alla fine si era decisa a seguirlo.

Percy la stava conducendo dalla parte meno frequentata di Trastevere, quella dove ci vanno in pochi, dove regnava la placida eleganza della Basilica di Santa Cecilia e le risate di qualche gruppetto di amici.

Tra quei vicoletti c'era un ristorantino al quale Fera non aveva mai prestato attenzione. Roma è talmente piena di ristoranti, alcuni dei quali sono delle trappole per turisti, così lei si fidava solo dei consigli dei colleghi italiani. In quei mesi aveva assaggiato piatti deliziosi e scoperto ricette che definirle gustose era troppo poco.

Dentro di sé si augurò di non finire in uno dei soliti ristoranti per turisti, perché non avrebbe potuto tollerare Percy ed una pessima cena nella medesima sera.

Le sorrise mentre salutava il gestore, il signor Maurizio, che evidentemente conosceva. Si guardò intorno e notò che per lo meno non c'erano le classiche tovaglie a quadretti, ma semplici tovaglie bianche. Li fecero accomodare ad un tavolo fuori, alla luce soffusa delle lampade e Fera iniziò a sentirsi un po' a disagio.

Sorrise nervosamente al cameriere che lanciava sguardi di intesa a Percy mentre sfogliava il menu. Quel maledetto di un Weasley sembrava addirittura compiaciuto della situazione: aveva raccontato qualcosa ai camerieri? Forse era stato in quel posto la sera prima e aveva dato particolari disposizioni?

Fera lo sapeva: gli italiani erano romantici e se c'era da muovere le montagne – o il Colosseo – per aiutare quello che loro chiamano un Romeo, lo avrebbero fatto con estremo piacere, salvo poi pretendere di essere testimoni della riuscita della missione con un'invadenza che definire irritabile è troppo poco.

Tutto il contrario degli inglesi, così sobri e attenti a non invadere la sfera della riservatezza del vicino da sembrare addirittura freddi. Percy, poi, era decisamente inglese. Avrebbe tollerato a lungo le invadenze del gestore e dei suoi camerieri?

Al momento, sembrava non curarsene e sfogliare il menu con estrema naturalezza.

Certo. Sapeva fingere, lui. Certo, non era lui quello che aspettava un verdetto. Questa era la punizione che le spettava per aver fatto una domanda idiota.

“Prenderò una bruschetta di pomodoro, carciofi alla romana e... tagliolini alla carbonara!”

Fingendo indifferenza Fera ordinò una bruschetta alla crema di carciofi e maccheroni cacio e pepe. Adorava il pecorino romano!

Percy iniziò a farle domande sulla vita a Roma, sugli italiani, sulla cucina e su come si trovasse a vivere in quel contesto.

Era difficile spiegare che, sì, in Italia lei stava bene, ma che era un benessere diverso da quello di Londra: Roma era una città consolatoria. La sua bellezza alleggeriva l'animo, le strade affollate dai pellegrini, i turisti, le classi di studenti in gita, riempivano le giornate di un'allegria che si respirava in poche parti del mondo. I Romani, poi, erano persone sempre pronte a fare due chiacchiere. Roma era una città dove il ritardo cronico dei mezzi diventava occasione di conversazione con gli abitanti del quartiere. Certo, a volte i Romani erano irascibili e cocciuti, come neanche gli Scozzesi, ma tutto sommato in Italia Fera viveva bene.


“Frequenti qualcuno?” le domandò a bruciapelo addentando una bruschetta.

Alzò un sopracciglio pensando che questa domanda avrebbe potuto fargliela prima di invitarla a cena fuori.

“Sì,” fu la risposta soddisfatta.

“E lui ti piace?”

“Certo.”

“E adesso che sei qui con me, pensi di amarlo di meno?”

“No, certo che no.”

“Non pensi sia bello tornare ad essere migliori amici e frequentarsi? C'era un tempo in cui parlavamo di tutto e trascorrevamo pomeriggi interi in sala comune e in biblioteca. Mi manchi, Fera.”

Ecco. La cruda verità spiattellata. Aveva frainteso tutto. Si era sbagliata e quanto era successo poteva anche farle credere che lui avesse fatto tutto ciò per amicizia. Perché era convinta che lui ci stesse provando con lei? Perché qualche sbaglio aveva finito per farle fraintendere tutto?

“Anche a me manchi, Percy,” gli confessò un po' più rilassata. 

Dopo il chiarimento, tornarono a parlare di tutto, come un tempo, tra una forchettata di tonnarelli e un bicchiere di vino. Percy, da buon irlandese, quando c'era da bere non si tirava indietro e continuava a riempire il bicchiere di Fera. Ridevano, ricordando aneddoti dei tempi della scuola: di quando i gemelli al primo anno avevano fatto esplodere delle Caccabombe nell'ora di Pozioni e avevano fatto andare su tutte le furie Piton, di quando Lee Jordan era stato beccato dalla McGranitt a cercare di trasfigurare il gufo di Meusa in un rospo.

Sembravano giorni spensierati e lontanissimi rispetto a quanto era accaduto dopo. La guerra, la crescita personale, le loro carriere, il matrimonio di Percy, Charlie e la fuga in Italia di Ferao.”

“Pensi che tornerai in Inghilterra?”

“Non lo so. Non mi trovo male qui, e poi c'è Federico.” Era strano fare il suo nome.

“È un mago italiano?”

“No, è un Babbano,” precisò Fera ricordando l'amico del suo collega, quello che aveva conosciuto ad una festa dopo circa un mese che aveva iniziato a lavorare al Museo della Basilica. Vide Percy saltare sulla sedia nell'udire quella notizia. Lui le prese le mani preoccupato, come faceva quando lei accusava i primi sintomi della febbre. Le domandò con un'espressione seria: “Ma lui lo sa che sei una strega?”

“No.”

“Fera, lo sai che adoro i Babbani, e la mia famiglia ne ha passate di ogni per questo interesse verso di loro: ma come fai a rinunciare alla tua natura? Come fai a rinunciare alla magia?”

“È possibile, Perce, sono mesi che la mia bacchetta giace in una scatola in fondo al mio armadio...”

“Non puoi uccidere la tua magia, Fera! Sei una strega brillante, per Godric! Avresti dovuto diventare un'esperta di Incantesimi, non puoi mollare tutto e vivere come una Babbana!”

Percy era sconvolto e Fera si mordeva l'interno della guancia nervosamente perché non aveva voglia di raccontare del perché lei non voleva più toccare la bacchetta magica, perché la sua magia stava morendo, perché da quando Charlie era andato via lei non si era mai sentita tanto male e non riusciva più a tenere in mano la sua bacchetta, e non aveva la concentrazione per fare anche i più semplici incantesimi.

Percy insisteva nel cercare di convincerla in tutti i modi, ma lei si ostinava a tacere fissando il piatto che improvvisamente non riusciva più a mandare giù.

Alla fine disse: “Non sono una strega, non sono una Babbana, non sono Inglese né Italiana. Io sono io. Sono Fera, solo Fera.”

"Ed è proprio perché sei Fera che non devi rinunciare al tuo dono, ma lo devi coltivare!"

Tratteneva le lacrime perché non voleva fare scenate da donnicciola: non le era mai piaciuto farsi vedere in lacrime, specie da lui, anche se Percy aveva un talento per far venire a galla tutto il dolore che lei provava.

Percy pagò il conto e la portò via. Appena usciti dal ristorante, però, la strinse tra le braccia sorprendendola. Fu strano tornare a sentire il corpo esile di Percy contro il suo, le braccia sottili di lui che la stringevano, le mani nervose, il suo profumo e la spalla ossuta su cui aveva versato molte lacrime.

Come tutte le volte, le asciugò le lacrime, con la stessa espressione che aveva visto fare a Molly Weasley quando Ginny cadeva per terra e scoppiava in lacrime.

Le sussurrò: “La magia ritornerà, Fera, hai solo bisogno di tempo per riprenderti.”

Camminarono fino a trovarsi in una piazzetta deserta in quella parte così silenziosa di Trastevere. Fera era silenziosa e Percy per rompere il silenzio le disse: “Vuoi provare ad usare la mia bacchetta?”

Le comparve un sorriso sul volto, perché nessuno in Italia aveva potuto accorgersi e capire il dolore di Fera nel non riuscire più a usare la magia. Il gesto di Percy, pieno di pazienza, come quando studiavano insieme e si trattava di ascoltarla ripetere le lezioni di Storia della Magia, la commosse profondamente.

Dopo mesi strinse nuovamente una bacchetta tra le mani e provò a dire: “Lumos...”

Una luce fioca si accese sulla punta della bacchetta. Percy le sorrise: “Hai visto? La tua magia c'è ancora, pensa che è uscita anche con una bacchetta che non ti sente da molto tempo. Certo, qualche volta hai usato la mia bacchetta, e lei mi è fedele ed ha capito che io te l'ho data volontariamente perché la usassi. È una buona bacchetta.”

Continuarono a camminare. Erano arrivati lungo il Tevere e dovevano destreggiarsi tra i turisti, mentre attraversavano Ponte Sisto, Fera stava guardava la cupola di San Pietro pensado alla bellezza di quel panorama. Era immersa nella contemplazione quando Percy disse: “Ad ogni modo, credo che presto ti toccherà venire in Inghilterra: Med si sposa.”

Fera non riuscì a credere a quella notizia. Medusa si sarebbe sposata e lei non ne sapeva niente? Come era possibile che all'amica le fosse passato di mente di dirle una cosa così importante? Sentiva la rabbia crescere dentro di sé a dismisura: appena arrivata a casa avrebbe inviato una lettera furente a Medusa accusandola di abbandono e tradimento.

Percy aggiunse: “Ah, Med ancora non lo sa.”

Fera scosse la testa e si fermò in mezzo al passaggio del ponte. Un ragazzino francese le andò addosso e si scusarono reciprocamente. “Come sarebbe a dire che Med si sposa e non lo sa?”

“Ho visto Oliver al Ministero che chiedeva informazioni sui documenti da preparare, abbiamo fatto due chiacchiere e mi ha detto che il prossimo fine settimana, dopo la chiusura del Campionato di Quidditch, vorrebbe chiedere a Med di sposarlo.”

“Tanto non accetterà mai.”

“Non essere pessimista, sono litigiosi, ma sono complementari e insieme sono una bellissima coppia!”

Da quando Percy frequentava Medusa e Oliver Baston? E perché Medusa non le aveva scritto niente? Forse Percy era uno degli amici scemi di Oliver a cui lei ogni tanto accennava? No, certo che no, Medusa le avrebbe detto qualcosa di Percy, per loro lui era l'idiota. In quell'esatto momento, però, Fera vedeva Percy sotto altri occhi, con gli stessi che usava quando erano migliori amici, prima che tutto si complicasse e si rovinasse. Fera in quel momento espresse il desiderio che tutto rimanesse per sempre in quel modo. Perché quello era il migliore dei mondi possibili, quello in cui loro erano solo Fera e Percy, e nient'altro.

   
 
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